mercoledì 25 settembre 2013

Bossi - Casate nobili



                                                        


NOBILTA’ ORIGINARIA

I Bossi erano annoverati fra la nobiltà originaria e non già tra le famiglie nobili di elezione ducale. Detta nobiltà viene anche detta naturale, non di concessione.
Tuttavia bisogna ricordare che per essere nobili non basta essere Bossi, ma bisogna individuare precisi illustri avi. La nobiltà non è carisma collettivo, di parentela, ma fatto anzitutto individuale, precisamente individuabile e verificabile.
Per meglio chiarire l’argomento proponiamo questa relazione formulata dal prof. C. Manaresi.

ORIENTAMENTI PER LE RICERCHE SULLA NOBILTA' ORIGINARIA LOMBARDA[1]

I nobili, se si prescinde da quelli appartenenti a famiglie che ottennero in processo di tempo concessioni speciali di nobiltà o di titoli e vennero così aggregate al loro ceto, sono i discendenti dei signori, che nel periodo feudale esercitarono, per concessione del vescovo, o del conte, o dei loro vassalli, l'honor e il districtus sopra una parte più o meno estesa del territorio dello Stato, e che si trovano indicati nelle fonti coi nomi di nobiles, arimanni, curtisii, gentiles, milites, seniores, domini, vassalli, valvassores, capitanei, ecc., nomi che in origine avevano un significato diverso, ma che poi divennero quasi sinonimi.
Sono però anche nobili i discendenti di quelle famiglie cittadine che, senza avere esercitato alcun diritto feudale, in determinate condizioni, furono equiparate alle nobili, e parteciparono con quelle agli uffici pubblici e fruirono della stessa posizione privilegiata.
Queste due classi di nobili costituiscono la nobiltà originaria, o del sangue, o, come si diceva in altri tempi, la nobiltà generosa.
Se si potesse sempre risalire con la genealogia fino alle persone che esercitarono l'honor e trovare la prova dell'esercizio di esso, o fino alle persone che nella città furono equiparate alle prime, sarebbe facile determinare le famiglie originariamente nobili. Ma ciò purtroppo non è possibile, perché al di là del sec. XV le fonti documentarie scarseggiano al punto che pochissime sono le famiglie che vanno oltre una tale epoca col loro capostipite, eppoi perché, anche nel caso fortunato che con qualche genealogia si arrivi al sec. XI, cioè al periodo feudale, raramente i documenti che servono alla ricostruzione genealogica, si riferiscono o accennano all'honor esercitato dalla famiglia.
Quindi per la ricerca dell'origine nobile delle famiglie non bisogna prefiggersi, salvo casi eccezionali, delle mete tanto lontane.
Ma se il problema è difficile oggi, fu ugualmente difficile nel passato, con questo di diverso che, se oggi la ricerca è puramente storica, anche quando dia per risultato il riconoscimento della nobiltà da parte dello Stato con la conseguente iscrizione nei libri araldici, una volta, quando il riconoscimento della nobiltà era indispensabile per accedere a determinate cariche o per essere ammessi ai collegi professionali o a corpi amministrativi, al criterio storico si accompagnava o si sovrapponeva quello delle condizioni civili della famiglia nelle ultime generazioni.
Per il corpo dei canonici ordinari del duomo di Milano, al quale per antichissima consuetudine non potevano appartenere se non persone provenienti dal ceto dei nobili, per la ragione che da essi si sceglieva l'arcivescovo, il quale per un tempo assai lungo fu a capo dell'ordinamento feudale della diocesi, nel 1377 l'arcivescovo Ottone Visconti determinò da quali famiglie gli ordinari potevano essere scelti. L'elenco, o Matricula Nobilium Familiarum Mediolani, fu pubblicato dal Giulini[2] e comprende 189 famiglie (tra le quali 12 per privilegium), che avevano ottenuto la concessione di essere equiparate alle nobili, sia perché mancanti del requisito della dimora nella diocesi, sia perché provenienti da altri territori, sia anche perché elevate da poco tempo alla condizione nobiliare.
Esso per i contemporanei doveva essere una designazione sicura delle famiglie nobili che godevano di quel diritto non ostante che vi siano designate col solo cognome, perché allora non era certo possibile equivocare, fra due famiglie di cognome uguale, a quale si intendesse alludere, come oggi nessuno parlandosi di privilegi della famiglia Borromeo, potrebbe avere il minimo dubbio che non si tratti della casata illustre di quel cognome, nonostante il pullulare di altre famiglie di uguale cognome, ma non nobili. Nei pochi casi, nei quali si potevano avere dubbi, l'elenco di Ottone Visconti scendeva ad una precisazione maggiore, sia indicando la località della residenza o dei possessi delle famiglie, sia indicando la discendenza dal tale o dal tale altro personaggio. E' il caso dei Bossi che vengono designati come Bossiis de Aciate e Bossiis de domus Jacobi .
Ma oggi per molte ragioni, quell'elenco non giova più da solo a determinare la nobiltà di una famiglia: difatti si è perduta la conoscenza diretta, che viceversa i contemporanei avevano, delle famiglie iscritte nell'elenco, e data la simultanea esistenza di famiglie nobili e di altre non nobili di eguale cognome, non si possono fare deduzioni sicure sulla nobiltà delle famiglie che portano un cognome eguale a quelle descritte nell'elenco. Inoltre non bisogna dimenticare che esso fu certamente un atto di parte: emanato dall'arcivescovo appena salito al potere, dopo la disfatta di Napo della Torre, tendeva ad escludere la parte guelfa, prevalentemente popolare dalla carica di ordinario: perciò non comprendeva tutte le famiglie nobili esistenti nel territorio milanese, ma escludeva appositamente le famiglie nobili che avevano parteggiato per i Torriani. Cosicché, se la presenza di un cognome nell'elenco non prova la nobiltà di tutte le famiglie di egual cognome, la sua assenza non costituisce una prova della non esistenza della condizione nobile in una famiglia.
Ma la condizione nobile si richiese a Milano, oltre che per essere ammessi fra gli ordinari del Duomo, anche per essere ammessi al Collegio dei Giureconsulti, al Collegio dei Fisici e agli onori del patriziato.
Per tutte queste ammissioni si abbandonò il sistema di formare degli elenchi di cognomi di famiglie nobili, e si stabilirono invece delle speciali norme in base alle quali si poteva riconoscere provata la nobiltà.
Per l'ammissione al Collegio dei Giureconsulti, secondo l'articolo XIX degli statuti approvati dal re Filippo II il 9 luglio 1575, si richiedeva l'appartenenza ad un'antica famiglia di Milano o del ducato, nobile da tempo antico: "ex antiqua et antiquitus nobili familia originem ducat". In altre parole si richiedeva la prova della nobiltà originaria, con esclusione di tutte quelle famiglie che avessero ottenuto una concessione di nobiltà dal sovrano in un tempo recente. L'accertamento della nobiltà si faceva, secondo un antico decreto, provando di appartenere genericamente ad una famiglia nobile, e, secondo invece un decreto più recente, provando che il richiedente apparteneva ad una famiglia genericamente nobile e che i suoi antenati per uno spazio di cento anni erano stati chiamati domini negli istrumenti notarili: "quod in publicis instrumentis eius maiores per centum annos domini vocarentur, constito tamen quod ipsi essent de familia seu parentela, quae nobilis in genere haberetur". Se non che in seguito sorsero dei dubbi se la qualifica di dominus potesse ritenersi sufficiente alla prova della nobiltà, perché proprio nella seconda metà del secolo XVI si era verificato qualche abuso della medesima. Fu pertanto costituita una commissione di quattro giudici, Moresini, Lodi, Besozzo e Pirovano, per lo studio della questione, e in seguito al parere da essi espresso, fu fatta in data 12 giugno 1586 una dichiarazione all'art. XIX degli statuti, nella quale si stabiliva che in avvenire non si tenesse in nessun conto delle qualifiche di dominus, spectabilis, nobilis,  e simili attribuite negli istrumenti notarili degli ultimi sessanta anni, se non fossero attribuite anche negli istrumenti anteriori, e che d'altra parte, esse da sole non bastassero, ma si dovessero tenere nella dovuta considerazione anche le ricchezze antiche, le affinità, i matrimoni, le doti, gli edifici e tutti gli indizi di nobiltà in genere.
Il Collegio dei Giureconsulti pertanto, per stabilire la nobiltà originaria dei cooptandi, non richiedeva la prova che le rispettive famiglie discendessero da quelle che nell'epoca feudale avevano costituito nelle sue molteplici gradazioni il ceto signorile, ma riconosceva che la qualifica di dominus e spectabilis  ecc. attribuite negli atti notarili, prima che nel sec. XVI si verificassero abusi, stavano ad indicare l'origine nobiliare della famiglia.
Le norme fissate nel 1586 dal Collegio dei Giureconsulti hanno il loro riflesso nelle comparizioni per l'ammissione ad esso, nelle quali una prima parte è riservata alla dimostrazione della nobiltà generica della famiglia e l'altra alla dimostrazione che il ramo del richiedente, per uno spazio di almeno cento anni, si era comportato, sia per le qualifiche, come per gli altri requisiti, alla maniera dei nobili. Sorse allora, allo scopo di facilitare le prove della nobiltà generica delle famiglie, la colossale opera, rimasta manoscritta, di Raffaele Fagnani (n. Gerenzano 1552 + Milano 22.9.1623), Familiarum commenta, nella quale per circa 1300 famiglie milanesi sono raccolti un'infinità di documenti tratti per lo più dai pubblici archivi. Per la dimostrazione della nobiltà specifica, quantunque vi fosse l'obbligo di provare solo per gli ultimi cento anni, si voleva risalire più indietro fino a 150 e a 200 anni e anche più indietro, e in realtà non vi erano limiti, stimandosi che non nuocesse provare una nobiltà antichissima, la quale risalisse, se possibile, anche all'epoca feudale[3].

________________________
[1] Comunicazione letta nell'adunanza della Società Storica Lombarda del 13.12.1931
[2] G. GIULINI, Memore spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e della campagna di Milano, 1^ edizione, vol. VIII, p. 312
[3] Pagina 429.


Bossi: nobile famiglia che nello stemma riporta un bue. Il Cherubini, nel vocabolario milanese del 1839 scrive che in dialetto l’antica voce boz significa piccolo bue e anche persona di poco senno. Sicuramente dal latino bos=bue. Secondo il Merati va, invece, ricondotto al germanico Bozo (cattivo). Nel medioevo troviamo i nomi personali: Busus, Bossus, Bono; come cognomi Bussus, Bossius, de Bosis, de Boso. Appare nel 1170, quale console di Giustizia a Milano, un Tosabos Bossius.  La famiglia appare tra quelle nobili che, dall’elenco del 1377, aveva diritto all’elezione passiva come canonici ordinari del duomo. Nel 1398 i Bossi sono presenti in parecchie parrocchie della diocesi di Milano: Gallarate, Varese, Leggiuno, Seveso, Brivio, ecc. Anche 9 consiglieri con questo nome appaiono nel Consiglio dei Novecento dell’Aurea Repubblica Ambrosiana del 1447. 

                                                    Modena - Biblioteca Estense.
                                                    Modena. Biblioteca Estense.




MATRICULA NOBILIUM FAMILIARUM DI OTTONE VISCONTI

E’ il più antico elenco nobiliare del ducato milanese compilato il 20 aprile 1277 che nomina tutte le famiglie che godevano la nobiltà originaria ovvero per privilegio ducale.
L’ordine alfabetico non è stato esattamente rispettato e fra parentesi sono a volte suggerite correzioni ortografiche.

Matricola Nobilium Familiarum Mediolani rogata de anno 1277 sub die 20 Aprilis per Dominum Marchum De Ciochis Mediolani Notarium et Curiae Archiepiscopalis Mediolani Cancellarium

De Amiconibus                                    Caponago

Annono                                               Castilliono
Ayroldis de Robiate                             Corbis
Arzonibus                                            Carpanis
Alzate                                                 Cribellis de Parabiago
Advocatis                                            Confanoneriis
Aliprandis                                            Creppa
Arconate scilicet Capitanei                   Cutucis
Arsago scilicet Capitanei                      Casate
Arinerio (meglio Ariverio)                    Curte
Appiano                                              Caimis
Anrisiis                                                Capponibus
                                                           Cuminis
Bizozero                                              Cutesella
Birago                                                 Cottis
Biffis                                                   Cribellis de Uboldo
Besutio                                               Cribellis de Nerviano
Butiis                                                  Caimbasilicis
Bernadigio                                          Canibus
Bossiis de Acciate                            Calcho
Balbis                                                 Carugo
Bolgaronibus                                       Capellis Castello de Cirnusculo
Burris                                                  Comitibus de Castro Seprio
Busnate                                               Cornisio (meglio Carnisio)
Busti scilicet Capitanei                          Cagnolis Cagnola
Bossiis domus Domini Jacobi           Cagnolis de Cassano Marengo (forse Magnago)
Blanchis de Velate                                Cepis
Badagio                                               Cazolis
Brippio per privilegium                         Curtis
Basilicapetri scilicet Capinatei               Conradis
Becaloe                                               Corradis
Brioscho                                              Cimaliano (forse Cimiliano) per privilegium
Bebulcho                                             Cardano et de Castilliono de Cardano
Baldizonibus                                         Cassina
Barni non Laudenses                            Cagatosicis
Biumo superiori per privilegium             Castelletto
                                                            Cattanei de Busti arsitio dicti de Vituda
Carchano                                            
Cribellis                                               Daverio
Cacharanis                                             Desio              
Dugnano scilicet Capinatei                      Marnate
Derni (meglio Dervi) scilicet Capitanei     Medicis
Dardonibus (forse Dardanonibus) per privilegium   Merosiis de Vicomercato
                                                           
Fagnano                                                 Nasiis
Foppa                                                 
Figino scilicet Capinatei                          Olgiate Olonae
                                                              Oldrendis de Legnano
Geronibus                                               Orello de Abiascha Mediolani
Gheringhellis de Carono                          Ozeno per privilegium
Grassellis                                            
Glussano                                                  Pusterla
Gufredis de Homate per privilegium          Pirovano
Gattonibus per privilegium                        Pirovano de Tabiagho
Ghiringhellis de Mediolano                       Perego
Guaschis de Beluscho                              Petrasancta
Grasellis de Bolate et Treno                     Pandulfis
                                                               Paravisino
Hoe scilicet Capinatei                              Petronis de Cisnusculo
Homodeis per privilegium                        Prata per privilegium
                                                               Petronis de Bernadigio
Judicibus de Castagnate                           Putheobonello
                                                               Paratio
Imbresago scilicet Capitanei                     Platis
                                                               Porris
Littis                                                        Paravisino de Bucinigo
Landriano scilicet Capitanei                      Porta Romana scilicet Capitanei
Lampugnano                                            Pado scilicet Ambrosii Johannoli per privilegium
La Majrola                                               Perdeperi
La Sala                                               
Mandriano                                               Riboldis de Besana
Luyno                                                      Richis
La Turre                                                   Raudo scilicet Capitanei
La Porta per privilegium                            Regnis per privilegium
                                                                Rugolo (cioè Ruzolo)
Mandello                                                  Rusconibus scilicet Civibus Mediolanensibus
Mayneriis                                            
Menclotiis                                                 Sachis
Martignonibus de Bolladello                      Soresina scilicet Capinatei
Martignonibus de Roate                            Segazonibus per privilegium
Mirabiliis                                                   Sessa de loro Sarrae Plebis Travaliae
Medicis Portae Ticinensis                           Scaccabarotiis
Molteno                                                     Stampis per privilegium
Marinonibus                                               Septara scilicet Capitanei
Marris                                                        Sirturi
Medicis de Casoretio                                  Sachis de Bucinigo
Medicis de Masigia (forse Nusigia)              Selvaticis
Matrenano o Matregnano                            Solbiate
Medicis de Albayrate                                  Sesto scilicet Capitanei
Medicis de Novate                                     Spangutis (meglio Spanzutis) domus Carioni per privilegium
Mantegatiis                                                 Taegio
TerzaghoTabusiis de Castro Novatae           Vergiate
Trivultio                                                       Vincemalis per privilegium
Tritis                                                            Vicomercato scilicet Capitanei de Merosiis scilicet Domus
Turate scilicet Capitanei                                Domini Joannis
                                                                    Vicomercato scilicet domus Domini Guidoli per privilegium
Vicecomitibus                                               Valvassoribus de Serio o De Sexto
Vicecomitibus de Serono                              Vitudono
Vicecomitibus de Pobiano (meglio Poliano)   Vigonzono
Vicecomitibus de Invorio                              Vilanis Vigliani
Vicecomitubus de Oregio (cioè Olegio)  
Vicecomitibus de Oregio Castello                 Zotis
                                                        Zerbis per privilegium
                                                                    Zeno




L’ORIGINE DEI BOSSI

Se dovessimo fidarci del giudizio del Crescenzi dovremmo considerare Donato Bossi (1436-1511) lo storico di famiglia per eccellenza. Purtroppo era di parte e tutta la sua capacità la impiegò per magnificare l’origine della sua famiglia, giungendo a delle esagerazioni cui nessuno oggi ci crede. Viene da chiedersi in che misura vennero prese le sue affermazioni anche a quei tempi, tenuto conto che non tutti erano ignoranti e disposti a credere nella mitologia.
Era indubbiamente fantastico e dilettevole lasciarsi trasportare in un mondo di favola, ma credere che i Bossi traessero origine da Iside rasenta veramente il ridicolo.
Vittorio Spreti lo nomina come "il noto storico milanese"; Paolo Moriggia lo dice nato nel 1436 e in un documento del 1474 è detto abitante a Milano in Porta Cumana nella Parrocchia di S. Protaso ai Monaci e annoverato fra i Decurioni della città.
Altri lo vorrebbero figlio di Giovanni e fratello di Matteo, Luigi e Francesco.
Donato Bossi, dunque, farebbe risalire l'origine della sua famiglia a 1800 anni prima della nascita di Cristo! Ma lasciamo a lui la parola, così come ce la riporta Paolo Moriggia nella sua "Historia dell'antichità di Milano" (1592).

"Molti scrittori dicono che Inaco fu figlio dell'Oceano e della Terra. Costui, come riferisce Sant'Agostino ed Eusebio Cesariense, cominciò a regnare in Tessaglia presso gli Argivi ovvero Pelagi. Da costui, Inaco gran fiume d'Acacia, prese il nome, come afferma Pomponio ed entra nel Mare Argalico.
Questo Inaco lasciò due figli maschi ed una femmina cioè: Ioroneo e Fegeo che regnarono dopo il padre e furono gran dotti e virtuosi; la femmina si chiamò Iside, detta anche Ibo, donna bellissima e dottissima  che sposò Osiride re d'Egitto.
Si dice che essa fosse violata da Giove II e, avendo paura del padre, fuggì in Egitto. Ella, entrando nella nave che aveva per insegna un bue bianco, avendo prospero vento e portando a buon fine il suo viaggio, tenne poi sempre il bue bianco per insegna.


Museo del Bardo di Tunisi.


Di questa Iside gli scrittori raccontano molte cose.
Dopo vent'anni Cecropo I, re d'Atene, fu il primo che sacrificasse il bue a Giove, poiché dicono che Giove si trasfigurò in un bue bianco.
Pietro Boccalmo d'Orta afferma nel primo tomo della sua "Storia d'Italia" che la famiglia Bossi cominciò ad abitare in Milano con casa Trivulzi 134 anni dopo la nascita di Cristo.
Appresso vogliono che Berengario imperatore traesse la sua origine dai re di Bossina e portasse per insegna un bue bianco e che da esso la famiglia Bossi abbia avuto origine nell'anno 913.
Ma venendo ai tempi più moderni, dirò che Lotario III di Sassonia, che prese l'impero nel 1128, fosse grande amico di famiglia Bossi, che favorì grandemente, e particolarmente amò Maffeo Bossi[1] e per segno dell'amore che gli portava lo costituì suo Vicario Generale in Lombardia e Governatore di Lodi.
Signoreggiarono di certo i Bossi sia nell'Insubria che nelle valli, castelli e ville onde non è a meraviglia che Maffeo fosse trattato da parente e compagno dall'imperatore Federico I, avendo forse i vecchi di Svevia fatte parentele ed amicizie con questi potentissimi sovrani.
Parimenti la famiglia Bossi fu grandemente favorita dall'imperatore Federico Barbarossa nel tempo che egli fu incoronato a Milano da Uberto Pirovano, allora arcivescovo di Milano, e fu coronata di molti privilegi."


Un'altra nota, ritrovata nell'Archivio Bossi, non è così fantasiosa come la precedente ma ci lascia ugualmente perplessi. Eccone uno stralcio:


I Bossi, cosiddetti del bue, dai Bessi popoli della Bulgaria, sconfinati in Mesia, diedero del loro il nome alla terra in cui erano vissuti, la Bosnia, chiamata Mesia, al dire degli antichi geografi Sebastiano Meniste, Antonio Bonfisio e Domenico Negri.
Dopo quell'età, vagando più ampiamente i Bossi per terra e per mare, furono dovunque feconda progenie di grandi personaggi e di prìncipi.
Già abbastanza consta come i re della Bosnia appartenessero a gente Bossia e che dai re di Bosnia provenissero i dominatori Berengari. Si vuole incominciata dal belligero Berengario la schiatta dei Bossi quantunque, tenuto conto del tempo, si possa dire con maggiore verità che egli l'abbia piuttosto aumentata che iniziata.
Vicina al regno di Bosnia nell'Epiro, riferisce poi il Sansovino, essere stata della stirpe dei Bossi la donna dominatrice di Dagisio, superstite ai tempi di Scanderberg, e questo stesso nome di Azzate, che si eleva fra i più eminenti colli degli Insubri, stima Bonaventura Castiglioni, essere così nominato da Azio, promontorio dell'Epiro, in quanto per le antiche sedi di Bosnia vi fu appunto l'Epiro.
Nella restante parte della regione Bosnia fino alle foci della Germania si ammirano dovunque le insegne del bue bianco, che posto in alto sulle selle e sui vessilli dei Cesari attestano lo splendore e la mole dell'antica fortuna".


Di fronte a tali affermazioni si rimane veramente stupiti e perciò diamo la parola al Litta che dà un colpo di spugna a tutta la faccenda:

“Troppe volte, cercando le origini delle più insigni famiglie, si suppliva favoleggiando, per il passato, al silenzio della storia.
Si contentano i più di qualche nome longobardo o franco, e procedendo meravigliosamente di padre in figlio, appiccano quà e colà le architettate discendenze. Ma vi sono di quelli che a tanto non si acquetano e risalgono ad un bel tratto fino ai secoli tenebrosi della Mitologia.
Rapporto ai Bossi di Milano, il Crescenzio, il Moriggia, il Boccalini ed altri si trasportarono di netto fino a quelli d'Inaco, di Cecropre, e se Dio mi salvi, d'Iside e d'Osiride!
Donato Bossi, citando appunto il Boccalini, pretese di ritrovare in Milano un ceppo del suo casato ai tempi di Antonino Pio".

… “L’origine del casato è stata “stampata” su due lapidi murate nella parete posteriore della Chiesa dell’Assunta a Induno Ticino, delle quali proponiamo la seguente traduzione[2]:

LAPIDE I

Azziato (Azzate), castello de' Bossi, trae il nome da Azzio, promontorio dell'Epiro. Presso gli Insubri e i Reti, sia nelle vicende prospere che avverse, primeggiò la stirpe dei Bossi, seguì sempre e dovunque i Cesari, servì la chiesa in tutti gli oneri e gli onori. Ai governatori insubri diede Prefetti e Vicari generali, difesa la libertà della Patria a tutto potere nel governo di Milano.
Passato il governo di Milano ai Visconti prestò mano, tanto in guerra quanto in tempo di pace. Diede opera perché la provincia Milanese, per tanto tempo conservata coi sacrifici, si sottomettesse agli Sforza, non potendo più oltre difenderla aiutò gli Sforza coll'opera e col consiglio. Fece meraviglie sotto l'impero Austriaco ottenendo grandi onori.


Questa lapide, che ricostruisce la storia della famiglia Bossi dall'età romana alla venuta degli Austriaci sulle nostre terre, porta una data: 1612, e il nome di colui che dettò le frasi, tale Fabrizio Bossi figlio di Simone.
La seconda lapide sembra voler indicare le origini bulgare della famiglia e l'autore volle sottolineare legami con le famiglie più importanti della storia, legami di sangue che ci paiono spuri.

LAPIDE II

I Bossi traggono nome da Bove. Discendenti dai popoli della Bulgaria, passarono la Mesia, poscia chiamata Bosnia, ebbero sede in Milano molto più di milleduecento anni. Ciò è attestato dal timbro di ferro ritrovato nella tomba, fra le ossa, di S. Benigno Bossi sepolto presso l’Altare Maggiore di San Simpliciano. La Curia romana creando Benigno arcivescovo riconobbe la vetustà del casato e la sua nobiltà regalmente celebre. In seguito, dopo aver percorso terre a mari, dovunque i Bossi si trovassero si mostrarono progenie feconda di grandi uomini e di principi dominatori d'Italia, come furono i Berengari originati dai Re della Bosnia. Da sangue Bossio sono sorti prìncipi normanni, dalla medesima stirpe nacque la famiglia dei Re e Imperatori svevi. Il casato fu strettissimamente congiunto colla famiglia regnante in Sassonia, sono contanti fra prìncipi Bossi e Bossoni re della Borgogna e della Provenza e una donna di Dagisio della stirpe Bossia fu proclamata principessa nell'Epiro presso il regno di Bosnia.




Si vuole addirittura che la stirpe dei Berengari provenisse dai re della Bosnia, che appartenevano a gente Bossia ed il belligero Berengario, piuttosto che il capostipite della schiatta dei Bossi, fu colui che la continuò.
E per rendere più credibile la cosa si vuole trovare anche l’origine del nome di Azzate, sede storica ampiamente riconosciuta della nobile famiglia Bossi, che deriverebbe da Azio, promontorio dell’Epiro, che fu antica sede della Bosnia.



[1] Un affresco sulla casa che fu del marchese Bossi ad Azzate è rappresentato Maffeo Bossi.
[2] Avv. Luisa Vignati pag. 44.




ORIGINES BOSSIAE GENTIS

Da qualche parte bisogna pur iniziare a raccontare la nostra storia sulle origini dei Bossi, ma credo che nemmeno l’amore più grande e incondizionato, oltre che disinteressato, per questa nobile famiglia, quale ho avuto io, possa far passare sotto silenzio le affermazioni di un illuminato di famiglia, Fabrizio Bossi figlio di Simone, che nel 1612 faceva murare nella sua proprietà alla Cascina Induno di Robecchetto ( probabilmente in origine un casino di caccia visconteo, trasformato nel Settecento in insediamento agricolo, evoluto in seguito in residenza della famiglia) due lapidi il cui testo mi è stato gentilmente passato dall’avvocato Luisa Vignati:





                                                ORIGINES BOSSIAE GENTIS[1]

BOSSII a Bove dicti ex Bessis Bulgariae populis ad Moesiam egressi, Terram in quam venerant fecer cognomen e suvo: Bosnaque inde Moesia nuncupata est. Geopraphis auctoribus, Sebastiano Munstero, Antonio Bonffin°, & Dominico Nigro.
Mediolani Sedem habuisse annos Supra Mille ducentos, admonuit nostra memoria Sigillum signatorium ex Ferro repertum inter Cineres S. BENIGNI quos effoderat D. Carolus Cardinalis Borromeus ad aram maximam D. Simpliciani, incisum Bovem habet insigne Gentis cum Mitra & inscriptione, cuius partem ambedit vetustas pars effugit cladem: atque in ea tamen dominatur litterae iniuria leggitur explicatae totidem verbis BENIGNUS BOSSIUS EPISC. MED.
Suplevit antiquitatem liber Vaticanus de Successor. S. Barbabae in Eccle. Mediol. Pontifice BENIGNO a primaevo Generis splendore regio more comendato. Post eam etatem latius pervagati terras & maria, ubicumque BOSSII fuerint fecunda virorum ac principum soboles fuere: Bosna Reges ad BOSSIAM  Gentem pertinere, iam satis constat, & a Bosnae Regibus ortos Italiae Dominatores Berengarios, tradit probatiss. eiusdem Familia scriptores Donatus, subiicitque a Belige Berengario inchoatam in Insubria BOSSIAM Familiam; sed ex temporum ratione, verius auxit Berengarius, quam inchoavit.
Prope Regnum Bosnense in Epiro BOSSIAE Stirpis Feminam Dominatricem Dagnii, refert Sansovinus fuisse supstitem ad Scanderbergii tempora et ACTIATUM hoc Nostrum inter Eminentes Insubrium Coetus extructum Ab Actio Epiri promontorio, recte nominatum putat Bonaventura Castilioneus, ex reliquo tractu Bosnae regionis usque in ora Germaniae Spectata undique sunt Bovis Albi Insigna, quae in sellis ac Vexillis Cesarum errecta, testantur veteris fortunae splendorem ac molem.
Et sane Federicum Aenoebardum cun Regia Prole Sveva ex BOSSIO Sanguine derivatum, probat inter Annales donata redactum carmen veteris memoriae:

      UT VERO ITALIAM VENIT FREDERICUM AMAVIT
HOS SOSCIOS, TAMQUAM AUT HEREDES SANGUINIS, AMPLA
ORNAMENTA ILLIS REGALIA, DONAQUE CEDENS.

Consanguinitatem res gestae confirmant inter Aenoebardum & Guidonem BOSSIUMM Cardinalem: mutua in maximis rebus auxilia. Posthabita iussa Pontificis ut causam foveret Imperatoris, denique Siciliae Regnum cessit ex Normanna; Quae BOSSIA pariter est in Sveva veluti quodam Successionis Iure translatum: Hereditarium propterea id Regnum vocat federicus nepos in constitutione post Mundi mach. de Leg. paria coniunctionis vincula, & asinitatis cun Saxona Regnatrice Familia; Quod Lotaroius II refferente Donato socios imperii BOSSIOS habuit Vicarium Generalem  sibi Matteum dixit. Historiae Neapolitanae mandavit Joannes Baptista Caraffa, litteras & Inscriptiones secutum Principum Normannorum Rogerium I cognomento dictum esse Bossium, eiusque filium in Regno Siciliae & Apuliae successorem hereditatis, BOSSIAE Gentis nomina Simonem apellatum; sunt et qui Bursam eum dixerunt quasi Bovem tergusque bovis dicerent mox voce in barbarum corupta ex Bursa Birsa, et ea re decepti Chyrographi posteriores Crumenam inepte apellarunt. Nihil itaque ambigendum, quin BOSSIUS ROGERIUS fuerit, idque princeps inter regia documenta Cognomen manet.  Cognominis Origo illa est quod nominis principio BOSSIOS, nuper cremata patria Turcarum furore superstites, expetere solatium hoc calamitatis, ut dexteras miscere nobiscum possent utque domi nostrae assumentur in Consanguinitatis Iura. Nam coetera comunia esse insigne gentis anibal (?) Normanam  originem. Apuliae Reges Avos  coruptelam, etiam variationem, quae cognomenti cum in hanc usque diem Bossi Burseque et Birsae promisque nunc utantur, ex Francis Bossonem BOSSII Generis Stirpem facit Diamans Marinonus, sed rectius  fecisset ramum a Stipite Normann, cun in Italia longissime fuerint BOSSI ante Bossonem.
Narat Caroli Calvi Inperatoris Levirum eum fuisse Lodovici Generum II Ticinensibus primo Ducem datum, dein Provinciae Regem ab Imperatore Burgundiae, a Sumo Pontifice coronatum addunt P. Emilius, Donatus Bossius et Siguntus.
A BOSSONE genitum esse Lodovicum BOSSONEM  pariter dictum ex Provinciae Regno ad Ittalica Imperia a Longobardis evocatum; apud Insubres ac Rhaetos, per prospera, per adversa, Primas tenuit Bossia Gens Cesareas partes, semper et ubique sequta est. Ecclesiae per omnia munera et honores inseruivit. Insubribus Praefectos, Imperatoribus Vicarios Generales dedit. Patriae Libertatem quoad potuit deffendit. Reipublicae Mediolanensis aliquandium Princeps fuit: Dium et acriter servatam, cum deffendi amplius non posset, Francisco I Sfortiae dedendam curavit. Sfortias Succesores re et consilio inuit, Maxima quaequae sub Austriaco Imperio gessit: Magna tulit; Sed longe MAIORA PROMERUIT.
Probantur et haec posteriora principumlitteris, optimis Scriptoris ac minumentis, Raphael Volaterano, Bernardino Corio, Donato Bossio, Diamante Marinono, Pio II, Petro Bocalino, Bonaventura Castilioneo, Hieronimo Bardo, Johanni Murano, Alphonso Cieccarello, Alphonso Ciacconio, Henrico Farnesio, Fortunato Sprechnero, Josepho Ripamontio et Elogio quodam in Bossiano annali relato rudis antiquitatis.

Nomen in Insubribus Primum Hi Tenuere, Locumque
Ut De Te Taceam Vir Bello, et Pace Mapheae

Maxime Non Tantum His, Verum et Laudensibus Esse

Lotharius Voluit Cesar, Dominumque Ducemque.






 






Possiamo tradurre il testo in latino in questo modo:

“I Bossi, cosiddetti del bue, dai Bessi popoli della Bulgaria, sconfinati in Mesia, diedero del loro il nome alla terra in cui erano vissuti, la Bosnia, chiamata Mesia, al dire degli antichi geografi Sebastiano Munstero, Antonio Bonfisio e Domenico Negri.
Ebbero sede in Milano nell’anno 200 prima del Mille, e richiama alla nostra mente l’anello in ferro che serve per sigillare ritrovato fra le ceneri di S. Benigno che disseppellì il cardinale Carlo Borromeo sotto l’altare maggiore di S. Simpliciano, con inciso il bue, la mitria e queste parole mezze corrose dalla ruggine: BENIGNO BOSSI VESCOVO DI MILANO.
Colmò la mancanza di dati il libro vaticano dei successori di S. Barnaba nella chiesa di Milano e dal Pontefice, Benigno fu lodato in giovane età splendente di costumi regali.
Dopo quell'età, vagando più ampiamente i Bossi per terra e per mare, furono dovunque feconda progenie di grandi personaggi e di principi.
Già abbastanza consta come i re della Bosnia appartenessero a gente Bossia e che dai re di Bosnia provenissero i dominatori Berengari. Si vuole incominciata dal belligero Berengario la schiatta dei Bossi quantunque, tenuto conto del tempo, si possa dire con maggiore verità che egli l'abbia piuttosto aumentata che iniziata.
Vicina al regno di Bosnia nell'Epiro, riferisce poi il Sansovino, essere stata della stirpe dei Bossi la donna dominatrice di Dagisio, superstite ai tempi di Scanderberg, e questo stesso nome di Azzate, che si eleva fra i più eminenti colli degli Insubri, stima Bonaventura Castiglioni, essere così nominato da Azio, promontorio dell'Epiro, in quanto per le antiche sedi di Bosnia vi fu appunto l'Epiro.
Nella restante parte della regione Bosnia fino alle foci della Germania si ammirano dovunque le insegne del bue bianco, che posto in alto sulle selle e sui vessilli dei Cesari attestano lo splendore e la mole dell'antica fortuna".

Di fronte a tali affermazioni si rimane veramente stupiti e perciò diamo la parola al genealogista Pompeo Litta che dà un colpo di spugna a tutta la faccenda:

“Troppe volte, cercando le origini delle più insigni famiglie, si suppliva favoleggiando, per il passato, al silenzio della storia.
Si contentano i più di qualche nome longobardo o franco, e procedendo meravigliosamente di padre in figlio, appiccano qua e colà le architettate discendenze. Ma vi sono di quelli che a tanto non si acquetano e risalgono ad un bel tratto fino ai secoli tenebrosi della Mitologia.
Rapporto ai Bossi di Milano, il Crescenzio, il Moriggia, il Boccalini ed altri si trasportarono di netto fino a quelli d'Inaco, di Cecropre, e se Dio mi salvi, d'Iside e d'Osiride!
Donato Bossi, citando appunto il Boccalini, pretese di ritrovare in Milano un ceppo del suo casato ai tempi di Antonino Pio".



Il 3 luglio 1620 Sua Maestà Filippo III di Spagna, duca di Milano, concede a Fabrizio Bossi il titolo di marchese appoggiato sul feudo di Musso, ridente paese sulla sponda occidentale del Lago di Como.
Il marchese d. Fabrizio Bossi esprime in pieno tutta la cultura ed il modo di essere del suo secolo, caratterizzato da una forte valenza spagnola, al cui servizio si dedica con tutto il suo cuore, ricevendone ampi riconoscimenti.
Il primo gradino della sua lunga e gloriosa carriera politica durata 53 anni è rappresentato dalla cooptazione al Collegio di Milano nel 1596 in qualità di dottore giurisperito fino a par parte nel 1638 dei XII di Provvisione, una delle più prestigiose istituzioni del governo ducale.
Già nel 1600 viene eletto luogotenente e Vicario di Provvisione di Milano ma, evidentemente, le sue mire puntano più in alto visto che il 10 aprile 1609 Sua Maestà in persona raccomandata al Governatore di Milano di tenerlo presente per un impiego. Promozione e adeguato stipendio non tardano a venire visto che il 20 novembre 1610 è in grado di istituire una primogenitura di 10.000 ducati.
Nel 1614 è in Spagna per relazionare Sua Maestà Cattolica.
La sua memoria sfiderà i secoli poiché sulla torre dell’orologio del Palazzo dei Giureconsulti di Milano (fatto costruire da Gian Angelo Medici di Frascarolo quando fu eletto papa con il nome di Pio IV) è stampato a grandi lettere il suo nome in ricordo di quando era vicario della città.
Lo stesso marchese d. Fabrizio Bossi è autore di memoria apologetica su San Benigno, vescovo di Milano, ritenuto appartenente alla famiglia Bossi, come da sanzione pontificia del 1617 e 1631.
Riteniamo che sia stato proprio il marchese a soffiare sul fuoco di questa credenza perché prendesse una svolta decisiva a favore della sua famiglia che non aveva certo bisogno di essere glorificata per aver espresso un santo ma, si sa, per far carriera tutto serve e lui profuse a larghe mani… fino a giungere a dettare nel 1612 le due lapidi di Induno Ticino che proprio su questa incertezza se non falsità appoggia poi altre teorie che oggi possiamo ritenere fasulle.

Il primo matrimonio con Maria Rivoli di Bergamo non sappiamo quanto lustro portò in famiglia ma, di certo, ne portò il secondo celebrato a Milano nel 1641 con d. Laura dei marchesi di Fregoso che gli sopravvisse di ventidue anni. In tale occasione lo sposo porta di predicati di Conte, 1° Marchese di Musso, Conte di Azzate, Signore della Val Bodia, Conte Palatino del Sacro Romano Impero, Patrizio di Milano e Senatore di Milano. Un’esagerazione! E fino a che punto veritiera?

Dal loro matrimonio nascono tre maschi.
Il primogenito, Giovanni Galeazzo, com’era nella prassi del tempo, si prende il titolo ed il patrimonio e continua l’attività politica nell’amministrazione ducale.
Del secondogenito, Luigino, sappiamo che nel 1655 gli viene accordata da Sua Maestà una pensione di 300 scudi.
Il terzogenito, Federico, nel 1654 ottiene la patente di capitano di una compagnia italiana ma sei anni più tardi inoltra domanda di esonero dal servizio militare a seguito della morte di un fratello e per l’assenza dell’altro fratello che si trova presso Sua Maestà Cattolica, essendo molestato da molte liti. Nel 1666 viene addirittura carcerato nel castello di Milano e bandito dalla città nella quale ritorna per grazia ricevuta, segno evidente, che nonostante la sfortuna e le disgrazie, il sostegno del sovrano non gli è mancato.
La discendenza del secondo marchese di Musso Giovanni Galeazzo si ha con due maschi e due femmine. 

Qui si può continuare la narrazione.



                                                ORIGINES BOSSIAE GENTIS

BOSSII a Bove dicti ex Bessis Bulgariae populis ad Moesiam egressi, Terram in quam venerant fecer cognomen e suvo: Bosnaque inde Moesia nuncupata est. Geopraphis auctoribus, Sebastiano Munstero, Antonio Bonffin°, & Dominico Nigro.
Mediolani Sedem habuisse annos Supra Mille ducentos, admonuit nostra memoria Sigillum signatorium ex Ferro repertum inter Cineres S. BENIGNI quos effoderat D. Carolus Cardinalis Borromeus ad aram maximam D. Simpliciani, incisum Bovem habet insigne Gentis cum Mitra & inscriptione, cuius partem ambedit vetustas pars effugit cladem: atque in ea tamen dominatur litterae iniuria leggitur explicatae totidem verbis BENIGNUS BOSSIUS EPISC. MED.
Suplevit antiquitatem liber Vaticanus de Successor. S. Barbabae in Eccle. Mediol. Pontifice BENIGNO a primaevo Generis splendore regio more comendato. Post eam etatem latius pervagati terras & maria, ubicumque BOSSII fuerint fecunda virorum ac principum soboles fuere: Bosna Reges ad BOSSIAM  Gentem pertinere, iam satis constat, & a Bosnae Regibus ortos Italiae Dominatores Berengarios, tradit probatiss. eiusdem Familia scriptores Donatus, subiicitque a Belige Berengario inchoatam in Insubria BOSSIAM Familiam; sed ex temporum ratione, verius auxit Berengarius, quam inchoavit.
Prope Regnum Bosnense in Epiro BOSSIAE Stirpis Feminam Dominatricem Dagnii, refert Sansovinus fuisse supstitem ad Scanderbergii tempora et ACTIATUM hoc Nostrum inter Eminentes Insubrium Coetus extructum Ab Actio Epiri promontorio, recte nominatum putat Bonaventura Castilioneus, ex reliquo tractu Bosnae regionis usque in ora Germaniae Spectata undique sunt Bovis Albi Insigna, quae in sellis ac Vexillis Cesarum errecta, testantur veteris fortunae splendorem ac molem.
Et sane Federicum Aenoebardum cun Regia Prole Sveva ex BOSSIO Sanguine derivatum, probat inter Annales donata redactum carmen veteris memoriae:




“I Bossi, cosiddetti del bue, dai Bessi popoli della Bulgaria, sconfinati in Mesia, diedero del loro il nome alla terra in cui erano vissuti, la Bosnia, chiamata Mesia, al dire degli antichi geografi Sebastiano Meniste, Antonio Bonfisio e Domenico Negri.
Ebbero sede in Milano nell’anno 200 prima del Mille, e richiama alla nostra mente l’anello in ferro che serve per sigillare ritrovato fra le ceneri di S. Benigno che disseppellì il cardinale Carlo Borromeo sotto l’altare maggiore di S. Simpliciano, con inciso il bue, la mitria e queste parole mezze corrose dalla ruggine: BENIGNO BOSSI VESCOVO DI MILANO.
Colmò la mancanza di dati il libro vaticano dei successori di S. Barnaba nella chiesa di Milano e dal Pontefice, Benigno fu lodato in giovane età splendente di costumi regali.
Dopo quell'età, vagando più ampiamente i Bossi per terra e per mare, furono dovunque feconda progenie di grandi personaggi e di prìncipi.
Già abbastanza consta come i re della Bosnia appartenessero a gente Bossia e che dai re di Bosnia provenissero i dominatori Berengari. Si vuole incominciata dal belligero Berengario la schiatta dei Bossi quantunque, tenuto conto del tempo, si possa dire con maggiore verità che egli l'abbia piuttosto aumentata che iniziata.
Vicina al regno di Bosnia nell'Epiro, riferisce poi il Sansovino, essere stata della stirpe dei Bossi la donna dominatrice di Dagisio, superstite ai tempi di Scanderberg, e questo stesso nome di Azzate, che si eleva fra i più eminenti colli degli Insubri, stima Bonaventura Castiglioni, essere così nominato da Azio, promontorio dell'Epiro, in quanto per le antiche sedi di Bosnia vi fu appunto l'Epiro.
Nella restante parte della regione Bosnia fino alle foci della Germania si ammirano dovunque le insegne del bue bianco, che posto in alto sulle selle e sui vessilli dei Cesari attestano lo splendore e la mole dell'antica fortuna".



DI UNA LAPIDE MILANESE RECENTEMENTE VENUTA IN LUCE

…. E diamo intanto qui appresso il testo di una lunga iscrizione elogiativa sulle origini della Famiglia Bossi, che solo da poco fu messa allo scoperto in un sottoscala del palazzo già dei Litta sul corso Magenta, ora adibito a sede della Società delle Strade Ferrate del Mediterraneo.
La lunga epigrafe in questione, che occupa ben 27 righe ed è riprodotta in caratteri a stampatello, su una lastra marmorea delle dimensioni di metri 1.15 di larghezza per l’altezza di metri 0.90, proviene manifestamente da qualche chiesa distrutta sulla fine del XVIII o sul principio del XIX secolo, e venne utilizzata nel palazzo anzidetto come semplice materiale costruttivo in un oscuro andito, ove rimase inosservata fino a questi ultimi tempi. Lapidi tumulari avevano i Bossi a San Francesco Grande ed a San Pietro in Lino, a poca distanza dal palazzo dei Litta; e benché niun autore abbia citato il testo di quella epigrafe, non farebbe meraviglia che essa pervenga appunto da una di quelle due chiese.
Ed ecco ora l’iscrizione di cui trattasi:

                                                        Lapide in Palazzo Litta a Milano.
                 


Si risolve pertanto quell’epigrafe in un’estesa glorificazione genealogica della patrizia famiglia dei Bossi, con poche correzioni qua e là nel testo facilmente avvertibili dai commentatori e più dai critici dell’avvenire. Sono detti i membri di questa stirpe provenienti dai Bessi, popoli della Bulgaria e della Bosnia o media, citandosi a sussidio di tale asserzione il Munster ed il Bonfinio, e cioè verso l’anno 1200 dell’era volgare. La prova di ciò la si avrebbe in un sigillo di ferro che fu rinvenuto da San Carlo Borromeo aprendo la tomba del martire S. Benigno all’altare maggiore di San Simpliciano, portante lo stemma del bue passante e la mitra e il nome dell’arcivescovo milanese benigno Bossi; altra conferma la darebbe al riguardo il libro pontificio dei successori di San Barnaba. Si aggiunga che i Bossi, vagando per la terra diedero grandi personaggi e stirpi di prìncipi, e sull’autorità di Donato Bosso e del Sansovino, oltre ai re di Bosnia si cita Berengario e i re d’Epiro presso il promontorio d’Azzio, anche qui suffragato dalle dichiarazioni di Bonaventura Castiglioni e si conclude che non solo ebbero il simbolo del bue bianco dei Bossi i Cesari di Roma, ma che di quella schiatta fu certamente Federico Barbarossa, di sangue svevo, come ne fa testimonianza Donato stesso[2].
L’epigrafe non è quindi che una ampollosa e possiamo anche dire favolosa glorificazione dell’origine dei Bossi, ma è pur sempre un monumento storico che viene se non altro a comprovare quanto avesse ragione Pompeo Litta nel lamentare che troppe volte in passato, nell’indagare le origini delle più insigni famiglie, si supplisse, favoleggiando, al silenzio della storia.
Pel ceppo dei Bossi può dirsi infatti che fecero a gara nell’ammassare fallaci origini perfino cesaree e reali, e il Crescenzio e il Boccalini, che risalirebbero ai tempi di Inaco e di Cecrope, senza parlare di

Donato Bossi che pretenderebbe d’aver rinvenuto un ceppo del suo casato sotto Antonino Pio. Vanterie e miserie d’un tempo!
L’iscrizione in discorso non porta data alcuna né ha carattere funerario, benché possa supporsi collocata presso qualche deposito sepolcrale, come trascrizione pubblica d’un documento di famiglia oltremodo onorifico e tale da fare restare stupefatti i posteri.
Non si va però lontano dal vero assegnando a quel documento oltremodo fantastico e degno per sé di poca fede la data ad un dipresso[3] del 1632, e attribuendone la trascrizione almeno a quel giureconsulto Fabrizio Bossi, il cui nome fu a noi tramandato nell’iscrizione che leggesi sulla torre di Palazzo Mercanti: Fabricio Bossio, urbis prafecto.
E’ questo illustre personaggio di quel casato che pubblicò per la stampa le pratiche da lui fatte verso il pontefice Urbano VIII e l’adesione da questi data pel riconoscimento dell’essere il vescovo milanese benigno Bossi del 460, appartenente alla famiglia non già dei Bensi, ma dei Bossi. (Vedasi Biblioteca Ambrosiana, Sala III, 24).
Accennandosi in quello scritto alla circostanza anzidetta messa più specialmente in chiaro nella lapide in questione, è meglio spiegato che nella “straportazione solennissima che fece l’anno 1682 San Carlo cardinale Borromeo dei corpi santi della chiesa di San Simpliciano”, trovò presso al corpo di San Benigno un sigillo antichissimo di ferro (di cui dà anzi un disegno a bulino) nel quale era scolpita l’insegna del santo col nome suo, come è detto nell’epigrafe.
Fabrizio Bossi è ben lieto di dichiarare che in tal modo fu dal mero caso autenticato il vero, mentre in realtà l’Ughelli nell’Italia Sacra persiste nell’assegnare il vescovo benigno alla famiglia dei Bensi, e il Sassi nella Series Archiepiscop. Mediol.. series I, 129, è dell’ugual avviso, notando anzi che, al cader dell’impero, l’antico uso dei cognomi gentilizi fu per meglio di cinque secoli dimenticato, né parve risollevarsi che intorno all’XI secolo.
Ma, furono i giudici romani, cui nel 1617 venne deferita la vertenza che accertarono quel vero tanto gradito al prefetto Fabrizio, benché a tal proposito non manchi il Fumagalli di osservare che l’argomento del suggello, su cui insiste l’epigrafe del palazzo Litta, renderebbe anzi viepiù sospetta la cosa.
Non curandosi però affatto di tali obbiezioni, narra Fabrizio come San Carlo, finita la solennità della traslazione, donasse il sigillo a Francesco Bossi, vescovo di Novara, che lo ricevette con somma riconoscenza e divozione, e lo passò alla sua morte ad un Egidio Bossi, il qual ultimo chiese ed ottenne poi dal cardinale San Carlo Borromeo, un’attestazione scritta su carta pecora e firmata di sua mano.
E sono questi documenti che, presentati alla curia pontificia, ottennero nel 1617 la sanzione cui si è accennato più sopra, confermata poi da una formale lettera di papa Urbano VIII del 15 giugno 1631 che Fabrizio Bossi pubblica per esteso nella sua memoria apologetica, colla speciale concessione ottenuta dalla famiglia della plenaria indulgenza,
Parvero anzi quei documenti di tanga importanza, che, com’è narrato in atti di causa, prodotti nel 1644 dal marchese Giovan Galeazzo Bossi, figlio di Fabrizio, venivano essi per maggior cautela conservati in una cassa di ferro, cosicché non fa specie che, per meglio convalidare la loro autenticità e renderli noti al punto da sembrare indiscutibili, venisse da Fabrizio stesso se non dal di lui figlio, verso la data suesposta del quarto decennio del XVII secolo, predisposta la lapide marmorea testé rinvenuta, in cui sono magniloquentemente esposte quelle circostanze con ampollose ed esagerate origini genealogiche secondo l’uso del resto e la vanagloria generale di quell’epoca spagnolesca.
Della famiglia dei Bossi, cui appartengono in realtà chiare persone e fra gli altri quel giureconsulto Giacomino Bossi della metà del XIV secolo, celebrato per la compilazione degli statuti milanesi[4] e Gabriele Bossi, fondatore del chiostro di Sant’Ambrogio ad Nemus, due medaglioni nello stile del Rinascimento e provenienti da Azzate, coi ritratti di un Tommaso Bossi e del di lui genitore Giovanni, designati come patrizi milanesi, vennero ultimamente ad ornare la sala dei Ducali nel Castello di Porta Giovia, e per quanto si tratti nella lapide più sopra descritta di monumento epigrafico di poca o nessuna autorità, è però desiderabile che venga essa pure col tempo ad aggiungersi nel Cortile della Rocchetta alla serie delle iscrizioni milanesi solo da pochi anni iniziata mercé specialmente le cure del benemerito cav. Emilio Seletti.

                                                                                           Diego Sant’Ambrogio.

(Estratto da Archivio Storico Lombardo, Anno 1903).


[1] Il testo è scolpito su una lapide ora esistente nel sottoscala di Palazzo Litta a Milano, sede del Compartimento delle Ferrovie dello Stato.
[2] Meno male che non si parla anche di Brenno che si voleva pure di quel ceppo, come afferma un distico latino riprodotto dal Sitone di Scozia: “Bossiae clara domus quam olim deduxit ab oris Pannoniae, Brennus etc.”.
Amenissimo poi quel borgo d’Azzate presso Varese che ebbe il nome suo dal promontorio d’Azzio nell’Epiro!
[3] Circa, press’a poco.
[4] Si attribuisce al disperso tumulo di questo Giacomino Bossi e del figlio Vassallino, già esistente prima del 1711 nella Chiesa di San Marco, il bel bassorilievo campionesse da poco tempo rinvenuto e conservato oggidì decorosamente in Milano presso la famiglia Frova nel palazzo Borromeo. (Vedansi le induzioni pubblicate al riguardo nel Politecnico del febbraio 1903).
 


Quante persone hanno in casa propria, appeso in una parete in bella vista, incorniciato elegantemente, il presunto stemma della propria famiglia?
Una volta si potevano avere da presunti Istituti Araldici con una cifra piuttosto ragguardevole ma ora, con l’introduzione sempre più massiccia dei computers, si possono avere all’istante per pochi euro: è sufficiente fornire il proprio cognome ed ecco stampato su finta pergamena un bello stemma e nobili ascendenti. I più fortunati si troveranno discendere da un barone, oppure da un conte, oppure da un marchese, oppure da un duca; qualcun altro più fortunato ancora potrebbe anche discendere da un principe (da un re no, perché sarebbe veramente sfacciato!) ma state pur certi che nei casi meno fortunati non mancherà un dottore, un notaio e, perché no, anche un ecclesiastico. Dal monsignore, al vescovo, al cardinale tutto va bene e più è alto nella gerarchia ecclesiastica più il malcapitato neo-nobile paga volentieri la somma richiesta.



LO STEMMA DEI BOSSI


Viene solitamente descritto nei trattati di araldica in questo modo: "Arma: di rosso, al bue d'argento, passante (ossia in movimento)"[1].
Secondo il Litta, sembra che il più antico stemma dei Bossi sia quello descritto dal Giulini che lo aveva visto in marmo bianco nel chiostro annesso alla Chiesa di Sant'Ambrogio ad Nemus di Milano.
Questo stemma, del 1389, rappresenta un bue passante con in fronte allo scudo il nome di Gabriel Bossius.
Il Giaconio e l'Oldrini avrebbero fatto risalire lo stemma a quel Guidone Bossi da Crema (uno dei due cardinali sostenitori dell'antipapa Vittore che nel 1164 accettò di succedergli col nome di Pasquale III). Il Litta, però, avanzava le sue riserve, avvertendo che in quel periodo fiorirono molti cardinali omonimi, donde molti errori ed incertezze intorno ai primi Bossi.
Gli stemmi dei conti e dei marchesi Bossi differiscono soltanto nella corona che li sovrasta (la corona di conte è un cerchio d'oro rabescato a fogliami smaltati di vari colori, bruniti ai margini e sostenenti sedici grosse perle di cui nove visibili; quella di marchese è un cerchio d'oro sostenente quattro fioroni d'oro di cui tre visibili, alternati con dodici perle poste tre a tre, piramidalmente, cioè una su due, e sorrette da un piccolo gambo, simile a quello dei fioroni[2].
Lo stemma spettante al marchese D. Galeazzo Bossi e a D. Benigno fu approvato con decreto 4 agosto 1770.
Quello di D. Benigno Bossi-Visconti era invece uno scudo dipartito di rosso con bue d'argento passante con la biscia viscontea d'azzurro.
D. Gio. Battista e D. Idelfonso Bossi, con decreto 28 settembre 1771 e 14 luglio 1775, ottennero di potersi fregiare con lo scudo di rosso con bue d'argento passante ed il campo d'azzurro con croce di Malta di rosso, sormontato da elmi con quattro piume, le due superiori bianche, le inferiori rosse. (Questo stemma lo si può vedere sopra il portale d'ingresso della Villa Riva-Cottalorda).
Ma soffermiamoci un poco - da un punto di vista araldico - sul bue che è quasi l'emblema di  Azzate ed è servito per caratterizzare i suoi abitanti, che vengono detti "i boe d'Azà".
Il bue appare nello scudo di profilo, passante e con la coda pendente, ciò che lo fa distinguere dal toro, che si rappresenta con la coda rivolta sul dorso.
 Lo si può rappresentare anche furioso, pascente, collarinato, squillato, cornato, unghiato, ecc. (non è il nostro caso).
E' simbolo di pazienza, di fatica sopportata con rassegnazione e di assiduità al lavoro.
Essendo d'oro in campo azzurro vuol dimostrare fatica d'un nobile indirizzata a gloriosi acquisti; e, d'argento in campo rosso, pensieri mansueti in animo giusto e caritatevole. (Quello dei Bossi rientra in questa seconda attribuzione).
Il bue cornato è emblema della pace; il bue furioso rappresenta la pazienza che soverchiamente stancata prorompe[3].


IL FASCINO DELLO STEMMA





Un grande stemma occhieggia dal muro, segno-simbolo d'una struttura sociale trascorsa.
Il territorio, abitato da ciarlieri messaggi pubblicitari, non è più marcato dal signore che, fra le gentili volute dell'araldica, stabiliva e ricordava il proprio ruolo alla rusticità. Restano i palazzi dell'aristocrazia, mete di turismo e ambiti oggetti di nuovi poteri.
Restano ... i privilegi, di cui i nobili erano orgogliosi detentori, che oggi son nascosti e cangianti, "alla portata di tutti", come il dettame democratico esige. Restano, inoltre, inconfessate aspirazioni di distinzione e di supremazia, prodotte da sordi e cocciuti orgogli che ancora confondono valore personale - che per essere vero esige solo libero riconoscimento da parte dei propri simili - con l'affermazione "sopra agli altri".
E' indubbio però che, oltre tali reperti, l'antico stemma emana ancora un proprio fascino: l'idea della nobiltà, appaiata com'è all'eccellenza, risveglia desideri e nostalgie. "Oh gran bontà de' cavallieri antiqui", verseggiava il sommo poeta Ludovico Ariosto invitandoci a lasciar perdere le storiche e, il più delle volte, misere realizzazioni del mito del cavaliere senza macchia e senza paura, per percepirne, invece, le profonde risonanze di impegno e di responsabilità morale e civile (l'argine della prepotenza, il senso della giustizia, il rispetto delle donne, della fedelt…, dell'amicizia).

(Estratto da: "Calendario 2000 della Banca Popolare di Sondrio, a cura di Massimo Mandelli).


                                     
                                                DELLO STEMMA DEI BOSSI

Presso l'Archivio di Stato di Milano è conservata la dichiarazione di un pittore o mestierante, riportata integralmente più sotto, che aveva riprodotto uno stemma della nobile famiglia Bossi.
In un primo momento avevano pensato che si trattasse di uno stemma esistente nel castello di Azzate (attuale villa Zampolli) perché ci aveva tratto in inganno il fatto che in questa dichiarazione si accenna ad una galleria dei ritratti che effettivamente esiste in villa Zampolli.
Invece, cercando di saperne di più sui proprietari della "casa grande da stabile di abitazione", abbiamo scoperto che questi appartenevano a quel ramo dei Bossi cosiddetti di Milano, di cui esisteva in villa Riva-Cottalorda l'albero genealogico in una bella rappresentazione ad olio su tela.
Nel 1772 la villa era di proprietà di D. Gio. Stefano Bossi, padre dei due fratelli che sono citati nella dichiarazione di cui stiamo trattando. Essa entrava in loro possesso il 4 gennaio 1774, per passare successivamente il 30 giugno 1797 ad uno solo dei due fratelli e precisamente a D. Gio. Battista Bossi.
Se vogliamo fare la stima dei maggiori proprietari di Azzate, quest'ultimo risultava essere con 408 pertiche il secondo proprietario di beni immobili. Il primo in graduatoria era il conte D. Giulio Cesare Bossi con 2.287 pertiche; il secondo D. Pietro Giacomo Alemagna con 402 pertiche; il quarto il marchese D. Galeazzo Bossi con 334 pertiche; il quinto il conte D. Giovanni Castellani-Tettoni con 216 pertiche.
La villa che fino a quel momento comprendeva i mappali n. 840, 841 e 842 del catasto cosiddetto di Maria Teresa, da D. Gio. Battista Bossi passava il 5 luglio 1797 a sua figlia D. Bianca e al marito di questa Pietro Riva, che ne diventava poi unico proprietario il 15 marzo 1809.
Suo figlio D. Gio. Battista Riva la ereditava il 4 agosto 1825 e ingrandiva successivamente il suo patrimonio immobiliare acquistando l'11 luglio 1836 da Angelo Colli il rustico che attualmente  fa triangolo con la Piazza Cairoli e la via che porta alla piazzetta superiore su cui si affaccia l'attuale villa Piana; il 14 gennaio 1850 era la volta del rustico che si estende dalla Piazza Cairoli alla villa Fraschini da Vincenzo Giamberini; quindi il 6 novembre 1819 i rustici di Via Monte Grappa (corte Scarton) e l'attuale villa Mazzocchi da D. Idelfonso Bossi ed infine il 31 ottobre 1846 dal canonico Paolo Mera la Ca' Mera attuale villa Orsi.
La villa Riva-Cottalorda passava poi definitivamente il 2 aprile 1872 al nobile D. Claudio Riva figlio di D. Gio. Battista.
Riferendoci sempre alla descrizione menzionata all'inizio, per meglio chiarire le idee, vogliamo dare qualche cenno sui due fratelli D. Antonio Francesco e D. Gio. Battista Bossi e sul loro padre D. Gio. Stefano.
Dai registri dell'archivio parrocchiale di Azzate abbiamo tratto l'atto di battesimo di quest'ultimo che dice: "Adì 17 genaro 1679. Gioseffo Stefano Nanno Ottavio figlio del signor Stefano Bosso e della signora Livia Bossa, nato adì 15, è stato battezzato da me prete Carlo Fumagallo curato di Azzate. Padrino è stato il signor Gio. Battista Bianchi di Charon, madrina la signora Teresa moglie del signor Pomponio Bosso". (I dati che abbiamo trovato presso la Biblioteca Trivulziana di Milano lo dicono invece nato nel 1688).
D. Gio. Stefano, che aveva il titolo generico di "dottore" (probabilmente in legge), sposava nel 1712 Caterina Vinadi figlia del capitano Luca e, alla morte di questa, avvenuta (dove?) il 20 giugno 1725, si univa di nuovo in matrimonio con Margherita Cattaneo.
Dal primo matrimonio, durato 13 anni, erano nati sette figli; dal secondo 10 figli.
D. Antonio Francesco nasceva ad Azzate il 7 ottobre 1717, quartogenito del primo matrimonio (dei 3 figli precedenti due erano morti bambini, la terza Cristina Benigna nata nel 1716 sposava nel 1740 Michele Tornielli).
Ecco l'atto di battesimo di D. Antonio Francesco: "L'anno 1717 allì 7 d'ottobre. Antonio Francesco Baldassarre figlio del nobile signor dottore Gio. Stefano Bossi e della signora donna Catharina Vinadi iugali nato allì trenta di settembre alle tre hore di notte è stato battezzato da me prete Luigi Buzzi curato d'Azzate. Padrino è stato il signor Tiburtio Besozzo di Besozzo, senza madrina" (Archivio parrocchiale di Azzate).
Lo storico Pompeo Litta dice che D. Antonio Francesco era fisico collegiato, dei 6 Conservatori supremi del Magistrato di Sanità in tutto il dominio di Milano, protettore "colli" e carcerati nel 1757. Sposò Maria Maddalena Bossi e dal loro matrimonio nacquero nel 1742 Stefano, morto l'anno seguente, e Gerolamo nel 1748 col quale si estinse il ramo.
Infatti nel 1797 la villa Riva-Cottalorda passava allo zio D. Gio. Battista Bossi.
Questi, sesto figlio del primo matrimonio di D. Gio. Stefano, era nato ad Azzate l'11 luglio 1720. Ecco il suo atto di battesimo: "L'anno 1720 allì 12 di luglio. Giovanni Battista Gaetano Steffano figlio del signor dottore Gio. Steffano Bosso e della signora donna Catharina Vinadi iugali nato allì 10 suddetto all'hore 19 è stato battezzato da me prete Luigi Buzzi curato d'Azzate. Padrino è stato il molto reverendo prete Ambrogio Orlandi curato di Morazzone con licenza di Monsignor Vicario generale". (Archivio Parrocchiale di Azzate).
D. Gio. Battista Bossi sposò la marchese D. Laura Brusati figlia di D. Giampietro. Dal loro matrimonio nasceva quella D. Bianca che, sposta nel 1757 con D. Pietro Riva, diventava con il marito proprietaria della villa.

(Veder gli altri figli: fare magari un piccolo cenno: sono monache e frati!).


Ed ecco finalmente la descrizione dello stemma dei Bossi, di cui abbiamo parlato all'inizio:
"Attesto io infrascritto anche con mio particolare giuramento di essermi portato così chiamato oggi giorno 24 giugno 1770 in Azzate pive di Varese nella casa grande da stabile di abitazione degli illustrissimi signori Antonio, Francesco Bossi fisico collegiato di Milano e del signor dottor collegiato Gio. Battista giudice attuale al segno del Gallo e quindi a loro richiesta d'aver copiata l'arma nel salone inferiore della quale ne l'ho fatta la qui sopra dipinta copia tale e quale resta espressa in detto salone dipinto con soffitto antico circa l'anno 1607 tutto a figure all'intorno del fregio rappresentanti le quattro stagioni dell'anno intrecciato da scudi d'armamenti militari e detto soffitto è fatto a stellette, pittura a mio giudizio del vecchio Zaviati. Quest'arma Š uguale all'altra che vedo in detta casa nella galleria inferiore de ritratti posta sul quadro rappresentante Gio. Stefano Bossi seniore e di altra arma di pietra posta sulla porta di detta casa, e per essere tale la pura verità ho firmato la presente avanti il signor notaio e causidico collegiato dottor Bartolomeo Isella e degli infrascritti testimoni: Gio. Antonio Caimo, prete Ignazio Andreoli e Pietro Cottta".

Segnature Archivio di Stato di Milano:
Comuni
Val Bodia: 608 (1-18) 1538-1717 parte antica
Azzate e Dobbiate: 66 - 9 (1552-1748) parte antica
Bossi feud. 670-16 (1467-1786) parte antica





                                                    Stemma Bossi - Cavalieri di S. Stefano.






                                   D. Gio. Stefano Bossi
                                   Sp. a) Caterina Vinadi (+20.6.1725); b) Margherita Cattaneo.
                                                 |
                                                 |
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               |                                                                  |
               |                                                                  |
          D. Antonio Francesco Bossi            D. Gio. Battista Bossi
          n. Azzate 7.10.1717                         n. 1720
          Sp. Maria Maddalena Bossi.            Sp. marchesa Laura Brusati.
               |                                                                  |
               |                                                                  |
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    |                                  |                                          |
    |                                  |                                          |
D. Stefano Bossi    D. Gerolamo Bossi     D. Bianca Bossi
n. 1742 + 1743      n. 1748                         Sp. 1757 D. Pietro Riva.
                                                                                |
                                                                                |
                                                                                |
                                                                   D. Gio. Battista Riva
                                                                                |
                                                                                |
                                                                                |
                                                                   D. Claudio Riva




[1] SPETRI VITTORIO, Enciclopedia storico-nobiliare.
[2] TRIBOLATI FELICE, Grammatica araldica.
[3] DI CROLLALANZA GOFFREDO, Enciclopedia araldico-cavalleresca.


STEMMA BOSSI



"Attesto io infrascritto anche con mio particolare giuramento d’essermi portato così chiamato oggi giorno 24 giugno 1770 in Azzate pieve di Varese nella casa grande da stabile di abitazione degli illustrissimi signori don Antonio Francesco Bossi fisico collegiato di Milano e del signor dottore collegiato signor don Gio. Battista Bossi giudice attuale al segnodel Gallo e quivi a loro richiesta d’aver copiata un’arma nel salone inferiore della quale ne ho fatta la qui sopra dipinta copia tale e quale resta espressa in detto salone dipinto con soffitto antico circa l’anno 1607 tutto a figure all’intorno del fregio rappresentante le quattro stagioni dell’anni intrecciato da scudi d’ornamenti militari e detto soffitto è fatto a stellette, pittura a mio giudizio del vecchio Zeviati e detta arma è uguale ad un’altra che vedo in detta …..



                                            Castello di Masino - Stemma Bossi.






Jo. Baptista Bossius in Magistratu Extraodinari Mediolani cancellarii munere diu functus, septuagenarius fere diem claudens ac Jo. Antonius frater hoc marmore fecti extremam expectant tubarum (?).

Certifico io infrascritto qualmente nella chiesa esteriore delle rivende madri di S. Chiara di questo borgo di Castelleone avanti all’altare maggiore ritrovasi il sepolcro antico di giuspatronato dell’illustrissimo signor don Francesco Bossi del fu signor Gio. Antonio con lapide di marmo bianco sopra la quale vi è la seguente iscrizione: Jo. Baptista Bossius in Magistratu Extraodinari Mediolani cancellarii munere diu functus, septuagenarius fere diem claudens ac Jo. Antonius frater hoc marmore fecti extremam expectant tubarum (?).


STEMMA DI GIO. MARIA BOSSI DI PORTO


1784 ai 24 settembre in Porto.
Attestiamo noi sottoscritti d’aver veduto nella casata nobile dell’illustrissimo e reverendissimo monsignor don Gio. Maria Bossi prevosto eletto della Basilica Imperiale Maggiore di S. Ambrogio di Milano, in Porto pieve di Arcisate, scolpita in sasso l’arma disegnata a tergo di questo foglio con le presenti cifre o sigle Johan. Mar. Bossi, e più sotto alle suddette cioè ai piedi affatto di detta arma queste altre cifre o sigle A: 1520, e che la predetta casa è sempre stata abitata dal predetto, dal fu signor capitano Gio. Antonio di lui padre, dall’avolo signor Gio. Maria, dal bisavolo signor Sebastiano, dall’arcavolo signor Gio. Maria e così dagli altri di lui antenati.
Attestiamo di più d’aver veduto un sigillo d’argento appartenente al medesimo proprietario della medesima casa e sopra di esso la medesima arma con tre stelle orizzontali sotto la figura del bue e con le sigle P.C.B., cioè prete Camillo Bossi, il quale fu provveduto della Parrocchia di Besano e Porto da Urbano VIII, siccome consta dalle Bolle di essa provvisione.
Ed in fede.


ALTRE CASATE ADOTTARONO IL BUE NELLO STEMMA



"Certifico io sottoscritto che in una cosiddetta piattina di ferro esistente sotto il focolare ed appoggiata al muro posteriore del camino della cucina a pian terreno della casa da villa propria degli illustrissimi signori presidente don Giacomo. Monsignor consigliere don Giovanni e molto reverendo canonico don Francesco fratelli Bovara situata in Malgrate pieve di Garlate ducato di Milano vedesi scolpito ossia rilevato uno stemma gentilizio in tutte le sue parti consimile al come sopra disegnato modello con la sopra marcata data 1689.
Tanto certifico per essere stato il tutto da me visto e riconosciuto di presenza questo giorno 9 marzo 1791.
Ed in fede
Dottor Giuseppe Buttirone notaio collegiato di Milano".




"Certifico io sottoscritto che nella cimasa d’un antiporto antico e molto usato esistente sopra d’un uscio d’altra delle stanze ad uso di seconda sala posta al primo piano superiore della casa da villa propria degli illustrissimi signori presidente don Giacomo. Monsignor consigliere don Giovanni e molto reverendo canonico don Francesco fratelli Bovara situata in Malgrate pieve di Garlate ducato di Milano sta dipinto uno stemma gentilizio con stessi rispettivi colori, campi e fascie in tutto e per tutto consimili al come sopra disegnato modello.
Tanto certifico perché tutto quanto sopra fu da me visto e riconosciuto di presenza questo giorno 9 marzo 1791.
Ed in fede
dottor Giuseppe Buttirone notaio collegiato di Milano".

ANTONIO BOSSI E ANGELA BARZI

Ritratto di Antonio Bossi (+1526) e sua moglie Angela Barzi.

Giovanni Bossi (+1491).

Particolare del ritratto di Giovanni Bossi.

Aloisino Bossi (+1453).

Particolare del ritratto di Aloisino Bossi.




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La Società Storica Lombarda ha pubblicato un manoscritto di sua proprietà con il titolo Alberi genealogici delle case nobili di MilanoEdizioni Orsini De Marzo, da cui abbiamo estratto gli alberi di quattro casate Bossi e più precisamente i Bossi marchesi di Musso, i conti Bossi, i Bossi di Azzate ed i Bossi di Montonate che, come dice il titolo, sono annoverati tra le casate nobili di Milano.
E' un buon inizio per inquadrare una fra le più importanti nobili famiglie milanesi ma, come vedremo, la famiglia affonda le sue radici molto più indietro nel tempo ed i rami che si formarono sono molto più numerosi dei quattro appena ricordati. Basti qui ricordare i Bossi di Bodio, i Bossi di Porto Ceresio, i Bossi del Lodigiano, i Bossi di Besozzo, i Bossi del Canton Ticino, i Bossi-Visconti, i Bossi-Lampugnani, i Bossi-Fedrigotti, i Bossi-Pucci.



DISCENDENZA DEL CONTE CLAUDIO LUIGI BOSSI E MARIA TERESA LOCATELLI

conte D. Francesco Bossi f. conte D. Claudio Luigi e della contessa Maria Teresa Locatelli.
n. a Como nella Parrocchia di S. Benedetto poi aggregata alla Parrocchia di S. Fedele il 15 maggio 1759[1].
+ Azzate 13.3.1844
Sp. a) 10.2.1782 nella Chiesa di San Benedetto di Como[2]  la nobile Marianna Rossini figlia del conte Carlo di Como; b) Maria Bianchi.
   |
   |
   |--- conte[3] D. Luigi (Carlo Benigno) Bossi.
   |     n. Como S. Fedele 17.7.1783[4].
   |     Dottore di legge[5], Consigliere al Tribunale Criminale    |      di Milano, ora in pensione come Consigliere
   |     d'Appello il 22.2.1848. Nel 1817 era stato nominato
   |     Consigliere del Tribunale Civile, Criminale e
   |     Mercantile di Sondrio. Giudice di pace di prima classe
   |     di Varese nel 1807. Nel 1824 Consigliere del
   |     Tribunale Civile e Criminale di prima istanza in
   |     Bergamo.
   |     Il 15 aprile 1809 acquista assieme a suo zio Claudio
   |     Bossi il mappale n. 886 (Castello di Azzate).
   |     Sp. a Como il 22.10.1804 Rosa Camagni figlia di Giacomo
   |     e Colomba Croci n. Como 2.1.1786
   |       |
   |       |
   |       |--- conte D. Francesco Bossi
   |       |     n. Como 5.7.1805
   |       |     + Azzate 13.3.1844 (errato, non sarà 1884?)
   |       |     Consigliere di prima istanza del Tribunale di
   |       |     Sondrio.
   |       |     Giureconsulto, Pretore a Menaggio indi nel 1855
   |       |     di I classe a Cassano d'Adda.
   |       |     Vice Presidente del Tribunale Civile e
   |       |     Correzionale di Milano.
   |       |     Unitamente al fratello Claudio acquista il
   |       |     15.2.1792 i mappali n. 376, 825, 826 e 827
   |       |     corrispondenti alla Cascina Campo. Il 30.9.1795
   |       |     acquista il mappale n. 890 corrispondente alla
   |       |     parte Est della Corte dei Sessa.
   |       |     Il 18.12.1869 acquista il mappale n. 845
   |       |     corrispondente alla Trattoria Monti.
   |       |     Il 15.2.1792 acquista il mappale n. 891
   |       |     corrispondente alla Corte dei Sessa.
   |       |     Nel 1868 risulta essere patrono della
   |       |     Cappellania di S. Antonio di Arcisate (sic)[6].
   |       |     Sp. a Milano 12.6.1834 Giuseppina Ranza figlia
   |       |     di  Costantino e Cecilia Furlo n. 1803, + Azzate
   |       |     1873.
   |       |       |
   |       |       |
   |       |       |--- conte D. Luigi Bossi
   |       |       |     n. Milano 20.6.1836
   |       |       |     + Azzate 17.4.1903
   |       |       |     Abitante con la sorella in Azzate Piazza
   |       |       |     della Chiesa 3.
   |       |       |     Il 2 giugno 1852 acquista il mappale n.
   |       |       |     845 corrispondente alla Chiesa di
   |       |       |     Sant'Antonio. Lo riacquista il 22 marzo
   |       |       |     1879 unitamente alla sorella Rosa.
   |       |       |
   |       |       |--- D. Rosa Bossi
   |       |            n. Bergamo 16.3.1839
   |       |            + 9.4.1903
   |       |
   |       |--- D. Claudio Bossi
   |       |    n. Varese 6.9.1808
   |       |    Commissario di delegazione di II classe, indi
   |       |    commissario delegatizio di I classe a Brescia.
   |       |    Sposa a Mantova 8.2.1842 Elena dei conti
   |       |    Mazzuchelli f. conte Luigi, maresciallo e
   |       |    generale d'Artiglieria, e Paola de Eydery di Sant
   |       |    Laurent  n. a Graz 15.5.1818
   |       |    Aggiunto Delegato Provinciale a Bergamo nel 1841,
   |       |    segretario luogotenenziale nel 1857[7].
   |       |       |
   |       |       |
   |       |       |--- D. Paola Bossi +
   |       |       |    n. Bergamo 6.4.1850
   |       |       |
   |       |       |--- D. Benigno Luigi Bossi +      
   |       |       |    n. a Bergamo nella Parrocchia di S.
   |       |       |    Alessandro 8.7.1845
   |       |       |    + Milano 22.4.1862
   |       |       |
   |       |       |--- D. Isabella Bossi +
   |       |            n. Bergamo nella Parrocchia di S.
   |       |            Alessandro 7.10.1847
   |       |            + Pavia 24.5.1866
   |       |      
   |       |--- D. Marianna Bossi
   |       |    n. Bumo Superiore (Varese) 15.1.1814  + 8.4.1881
   |       |    Sp. 11.2.1844 generale sardo Giacinto Cottalorda
   |       |    f. Carlo e Gaetana Cantoni n. Torino nella
   |       |    Parrocchia di S. Tomaso 13.7.1786 + Milano
   |       |    13.3.1860.
   |       |         |
   |       |         |
   |       |         |--- cav. don Carlo Cottalorda
   |       |              n. Azzate 27.2.1845 + Milano 27.9.1906
   |       |
   |       |--- D. Giuseppa Bossi
   |       |    n. Varese 1815, + 5.11.1874
   |       |    Sp. comm. Maurizio Laurin, procuratore Generale
   |       |    di Corte d'Appello, figlio di Giuseppe e
   |       |    Anna Amalia Gal de Galchstein, n. Lubiana
   |       |    4.9.1812.
   |       |
   |       |--- D. Gaetano Bossi
   |       |    n. Varese 11.4.1817 + 17.5.1896
   |       |    Ragioniere e computista all'I.R. Prefettura del
   |       |    Monte Lombardo Veneto.
   |       |    Sp. a Torino nella Parrocchia di S. Annunciata
   |       |    Maria Maddalena Caselli f. Giovanni e Giovanna
   |       |    Braghetti n. Vigevano 22.12.1835 + Milano
   |       |    7.7.1900
   |       |    Capo servizio ufficio nel Ministero delle
   |       |    Finanze. Computista di seconda classe presso la
   |       |    Prefettura del Monte Lombardo-Veneto nel 1857.
   |       |    Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro nel 1882.
   |       |    + 17.5.1896
   |       |    Dalle note avute dal conte Arese si vede un
   |       |    Gaetano Bossi nato nel 1784 e morto nel 1815 che
   |       |    lasciò cinque figli[8].
   |       |       |
   |       |       |
   |       |       |--- D. Benigno Raimondo Federico Bossi detto
   |       |       |    Bini e "Ragn"
   |       |            n. Torino 5.11.1868
   |       |            + Azzate 28.2.1943. Sepolto nel cimitero
   |       |            di Azzate (1).
   |       |            Agente di cambio nel 1905.
   |       |            Nel mese di gennaio 1983 la salma è stata
   |       |            riesumata e collocata nella tomba di
   |       |            famiglia.
   |       |            Sp. a Milano 26.1.1903 Elisa Borroni
   |       |            detta Italia f. Luigi e Carolina Prudenza
   |       |            Annoni n. 1877 + Azzate 3.8.1954. Sepolta
   |       |            nel cimitero di Azzate (2).
   |       |            Nel 1926 fa parte del Comitato d'Onore
   |       |            Pro Decorazione Chiesa e Giubileo del
   |       |            Parroco di Azzate. Offre lire 100.
   |       |               |
   |       |               |
   |       |               |--- D.  Luigi Bossi detto "Gigi Ragn"
   |       |                    n. Milano 29.12.1898
   |       |                    + Ispra 1983. Sepolto nel
   |       |                    cimitero di Azzate (3).
   |       |
   |       |--- D. Teresa Bossi +
   |       |    n. Sondrio 1819 + Milano 1840
   |       |    Morta nubile.
   |       |
   |       |--- D. Vitaliano Bossi
   |       |    n. Sondrio 17.4.1821                  
   |       |    Sp. Clemetina Konagi di Closemberg.   
   |       |    In Guardia Nobile a Vienna, dalla quale venne
   |       |    congedato come tenente.
   |       |    Primo tenente dei Carabinieri Reali in Piemonte,
   |       |    ora comandante la luogotenenza di Saluzzo.
   |       |    Dicesi abbia ottenuto la naturalità Sarda.
   |       |    Cavaliere Mauriziano e della Corona d'Italia.
   |       |       |
   |       |       |
   |       |       |--- D. Alessandro Bossi
   |       |       |    n. a Genova.
   |       |       |
   |       |       |--- D. Teresa Bossi
   |       |       |
   |       |       |--- D. Maria Bossi
   |       |
   |       |--- D. Giacomo Bossi
   |       |    n. Bergamo 19.3.1820
   |       |    Cancelliere di Pretura.
   |       |    + Azzate 21.4.1884[9]
   |       |
   |       |--- D. Rabalio Bossi
   |       |
   |       |--- D. Fulvia Bossi
   |       |
   |       |--- D. Carlo Bossi
   |       |
   |       |--- D. Giovanna Bossi
   |       |      
   |       |--- D. Elena Bossi
   |       |
   |       |-?- D. Pietro Bossi
   |       |
   |       |--- D. Antonio Bossi
   |
   |--- D. Giuseppe Bossi +
   |    n. a Como San Donnino 16.5.1786
   |    Morto celibe al Messico. Direttore di miniere. Fu anche
   |    militare sotto Napoleone[10].
   |
   |--- D. Pietro (Vitaliano Benigno) Bossi
   |    n. a Como 13.12.1791 + 24.4.1876. Sepolto nel cimitero di
   |    Azzate (8).              
   |    Il 26.4.1871 riceve il mappale n. 876. Il 9.9.1877 
   |    mappale n. 876 passa al figlio Antonio.   
   |    Sp. Giuditta Colombo.
   |    + 13.5.1878. Sepolta nel cimitero di Azzate (4).             |
   |    Domiciliati a Como.
   |       |
   |       |--- D. Gerolamo Bossi
   |       |    n. Azzate 12.9.1812 + 8.4.1876. Sepolto nel
   |       |    cimitero di Azzate (12).
   |       |    Dottore in medicina e chirurgia in servizio
   |       |    comunale nel 1862.
   |       |    Il 6 aprile 1874 scrive una lettera a suo cugino
   |       |    Gaetano Bossi[11].
   |       |    Sp. donna Isabella Bossi f. Gio. Angelo e
   |       |    Carolina Bianchi n. Bodio 2.10.1816
   |       |    + Milano 24.5.1886. Sepolta nel cimitero di
   |       |    Azzate (15).
   |       |    Il 10 agosto 1886 viene depositano presso il
   |       |    notaio Oscar Jemoli il suo testamento[12].
   |       |         |
   |       |         |
   |       |         |--- Giovanna Angela detta Jenny Bossi
   |       |         |    La parte di disponibile di sua madre
   |       |         |    viene lasciata ai maschi Pietro e
   |       |         |    Rabaglio che si trovano in difficoltà
   |       |         |    economiche.
   |       |         |    Sposa Cesare Saldini di Milano[13].
   |       |         |
   |       |         |--- Pietro Paolo Bossi
   |       |         |    n. Azzate 1.1.1846
   |       |         |    + 25.3.1914. Sepolto nel cimitero di
   |       |         |    Azzate (10).
   |       |         |    Ingegnere. Cavalier ufficiale.
   |       |         |    Trasferito a Como 10 novembre 1891.
   |       |         |    Il 25 settembre 1858 riceve il mappale
   |       |         |    n. 876 di Azzate (Corte dei Bielitt).
   |       |         |    Il 7 dicembre 1882 sua madre donna
   |       |         |    Isabella lo nomina erede con il
   |       |         |    fratello Rabaglio della sua quota di
   |       |         |    disponibile[14].
   |       |         |    Sp. Agata Giuditta Torrani figlia di
   |       |         |    Baldassarre e Maria Michelini n. a
   |       |         |    Sesto Calende il 20 settembre 1851
   |       |         |    + 24.10.1936. Sepolta nel cimitero di
   |       |         |    Azzate (6).
   |       |         |          |
   |       |         |          |
   |       |         |          |--- Gerolamo Bossi +
   |       |         |          |    n. …1.1885 + 19.6.1890.
   |       |         |          |    Sepolto nel cimitero di
   |       |         |          |    Azzate (7).
   |       |         |          |
   |       |         |          |--- Fulvia Bossi +
   |       |         |          |    n. 4.6.1887 + 17.6.1890.
   |       |         |          |    Sepolta nel cimitero di
   |       |         |          |    Azzate (11).
   |       |         |          |
   |       |         |          |--- Cesare Bossi
   |       |         |               n. 30.1.1892
   |       |         |               Valoroso combattente morto
   |       |         |               al fronte sul Carso a S.
   |       |         |               Michele il 29 giugno 1916.
   |       |         |               Sepolto nel cimitero di
   |       |         |               Azzate (9).
   |       |         |
   |       |         |--- Rabaglio Giuseppe Bossi
   |       |         |    n. Azzate 14.6.1848
   |       |         |    + 23.1.1926. Sepolto nel Cimitero di
   |       |         |    Azzate (14).
   |       |         |    Impiegato. Capostazione.
   |       |         |    Il 7 dicembre 1882 sua madre donna
   |       |         |    Isabella lo nomina erede con il
   |       |         |    fratello Pietro della sua quota di
   |       |         |    disponibile[15].
   |       |         |    Sp. Elisa Barsanti figlia di Tito e
   |       |         |    Maria Rosoni n. 20.9.1850 + 19.8.1912
   |       |         |    Sepolta nel Cimitero di Azzate (13).
   |       |         |    Viene nomina come “figlia acquisita”
   |       |         |    nel testamento di sua suocera donna
   |       |         |    Isabella.
   |       |         |    Residenti a Milano in Viale di Porta
   |       |         |    Nuova 2.
   |       |         |       |
   |       |         |       |
   |       |         |       |--- Isabella Bossi
   |       |         |       |      n. Bressana Bottarone
   |       |         |       |      8.5.1875
   |       |         |       |
   |       |         |       |--- Giuditta Cherubina Bossi[16]
   |       |         |       |    n. Bressana Bottarone
   |       |         |       |    29.10.1876
   |       |         |       |
   |       |         |       |--- Pietro Bossi
   |       |         |       |    n. Somma Lombardo 2.11.1878
   |       |         |       |    + 14.6.1942. Sepolto nel
   |       |         |       |    Cimitero di Azzate (5).
   |       |         |       |
   |       |         |       |--- Anita Bossi
   |       |         |       |      m. Somma Lombardo 5.2.1880
   |       |         |       |
   |       |         |       |--- Maria Bossi
   |       |         |       |      n. Chiasso 18.4.1883
   |       |         |       |
   |       |         |       |--- Luigi Bossi +
   |       |         |            n. Chiasso 21.6.1884
   |       |         |            + Pedrinate aprile o maggio
   |       |         |            1885.
   |       |
   |       |--- D. Antonio Bossi
   |            n. Azzate 30.11.1816 + Varese Via Robbioni 2
   |            il 14.11.1886
   |            Dottore in legge, notaio residente in Azzate.
   |            Dimorante a Milno. Notaio residente in
   |            Azzate (1855)[17].
   |            Il 19 settembre 1877 riceve dal padre il mappale
   |            n. 876 di Azzate (Corte dei Bielitt).
   |            Dona il terreno per la costruzione della Chiesa
   |            della Madonnina all’epoca del parroco don Luigi
   |            Redaelli[18].
   |            Il 15 luglio 1883 scrive il suo testamento[19].
   |            Nomina eredi per 2/3 i nipoti Pietro e Rabaglio e
   |            per 1/3 le nipoti Fulvia e Jenny. Alla moglie
   |            lascia l’usufrutto della sua sostanza.
   |            Il 10 agosto 1886 essendo ammalato, incarica
   |            Angelo Besozzi di depositare presso in notaio
   |            Oscar Jemoli il testamento della cognata donna
   |            Isabella Bossi, moglie di suo fratello don
   |            Gerolamo.[20]
   |            Sp. Cherubina Sacconaghi[21] (1838-1913).
   |            Sepolti nel Cimitero di Giubiano.
   |               |
   |               |
   |               |--- Giuditta Bossi (1870-1875) +
   |                     
   |
   |--- D. Giulio Cesare Luigi Bossi +
   |    n. Como 13.7.1793
   |    + Milano 7.2.1880
   |    Dottore di legge. Dispettando l'austriaca servitù si
   |    ridusse a Londra. Maestro colà di lingua italiana,
   |    dettava un'antologia lodata da Ugo Foscolo, amico suo, di
   |    cui raccolse l'ultimo sospiro. Condottosi al Messico,
   |    entrò nella Società delle Miniere. Due lustri dopo rivide
   |    la patria; ma il giogo straniero non era per lui. Fu
   |    quindi a Parigi ed altrove, cercando libertà. In
   |    relazione coi sommi propugnatori della nostra libertà, ne
   |    divideva gli ardimenti e le speranze. Deputato a Varese
   |    nel 1860, accasatosi finalmente a Milano, moriva 
   |    ottantenne il 7.2.1880. Come uomo di lettere, lasciava
   |    ancora in due volumi la traduzione dell'opera di Louis
   |    Blanc, sulla rivoluzione francese pubblicata a Lugano nel
   |    1850: come cittadino intemerata memoria d'anima austera e
   |    tutta amore per la italica indipendenza[22].
   |
   |--- D. Giovanni (Evangelista Claudio Anastasio) Bossi.
   |    n. Como 3.4.1796
   |    Il 17 febbraio 1812 acquista il mappale n. 891 di Azzate.
   |    Sp. D. Giovanna Bianchi.
   |       |
   |       |
   |       |--- D. Giulio Cesare Filippo Felice Bossi
   |       |    n. 21.1.1818
   |       |
   |       |--- D. Luigi Antonio Bossi
   |            n. 10.4.1819
   |
   |--- D. Antonio Bossi
   |    Granatiere nei Veliti italiani, morto in battaglia in
   |    Catalogna.
   |
   |--- D. Maria Bossi
        Sp. Ferdinando De Vecchi.



L'imperatore dei cuochi. Manuale completo di cucina casalinga e di alta cucina del conte Vitaliano Bossi.




D. CLAUDIO BOSSI[23]

Nel 1848 allo scoppiare della rivoluzione, il Bossi si trovava a Bergamo, commissario delegatizio. Fu dei primi che in quella rivolta salutasse la nostra bandiera e che durante il governo provvisorio assumesse compiti gelosi. Fu commissario per la promozione degli ospitali per i feriti in guerra; e incaricato straordinario nella bassa bergamasca per la fusione della Lombardia col Piemonte, vivamente
si adoperava per essa. Né meno provvida fu l'opera sua allorché essendosi mandato per lo stesso motivo nel distretto di Romano (Bergamo), vedendo tutto sollevato a rumor di popolo di Colico contro l'arciprete del luogo, abate Lombardini, avversante la fusione intempestiva, sventava in pericolo di una triste sciagura: perché il popolo furente assembratosi a campana martello, accerchiata la Canonica, voleva passare ad una di quelle sue giustizie che terminano col sangue. Ma persuadendolo il Bossi con forti parole a desistere da un proposito
sconsigliato, procurò che una carrozza involasse intanto il povero prete allo sdegno di quegli ammutinati.
Volta a male la rivoluzione italiana, alla sera del 6 agosto, nello sgomento dell'intera città di Bergamo, nella fuga dei cittadini, dei funzionari compromessi e della forza armata, il conte Oldofredi avvertiva i magistrati municipali del prossimo arrivo degli austriaci, e come già fossero tolte l'armi agli accorrenti per le difese. Nel mattino del giorno 7, volgendo al disordine e all'abbandono, uomini di sinistro aspetto raccogliendosi qua e là, si gettavano al saccheggio ed al tumulto. Il Bossi, radunato subitamente una mano d'autorevoli
personaggi, proponeva si armasse una guardia civica a tutela dell'ordine pubblico, si richiamasse il popolo alla calma ed alla fiducia, si chiudessero per il momento le porte della città.  
Questi ed altri provvedimenti messi in atto, restituivano per le piazze e per le vie, se non la quiete degli animi disperati, coraggio e dignità. 
Entrato il Duranto, generale italiano, con 3.000 uomini, la posizione di Bergamo si faceva molto grave.
Il Bossi fu mandato dal principe di Schwarzenburg, allora di guarnigione, e perorando la causa del popolo che, plaudente all'apparire delle armi italiane, e a stento si tratteneva, perdonasse, diceva al principe, quelle subite manifestazioni ed unendosi all'ordine municipale, si togliessero i pretesti di collisioni fra popolo e soldati dolorosissime. Tutto fu accomodato. 
Gli austriaci furono al momento consegnati a quartiere nella bassa città, e vi rimasero il giorno 13 e la notte del 14. Gli italiani di Durando nell'alta, posti a contribuzione i cittadini per 10.000 franchi, uscivano al mattino dalla città. Nel 1849 fu il Bossi degli oratori mandati a Vaprio incontro al Tazis maresciallo, per sostenere la causa del municipio bergamasco, cui s'era inflitta la multa di 3.000.000
Il conte Bossi ebbe le croci Mauriziane e della italiana corona, quando non era peraltro invalso fra noi lo spreco dell'una e dell'altra.
Giureconsulto, già segretario della Luogotenenza Lombarda (1858-59), fatte libere le terre nostre, lo fu del ministro Vigliani.
Consigliere di governo a Pavia, poi nel 1860 delegato di prefettura a Lecce d'Otranto (a tacere d'altri onorevoli incarichi) nel 1864 crudelmente orbato degli amati suoi figli, coll'anima straziata toglievasi per sempre dalle pubbliche cure.
Nel 1855, mentre il colera desolava la misera Brescia, trovandosi ad un tratto abbandonata dal Delegato, ne assumeva la direzione. 
L'anno dopo, durando l'assenza dell'austriaco Delegato, presiedeva una adunanza della Congregazione provinciale, in cui venne formulato il reclamo contro le austriache esorbitanze, che fu poi pubblicato dal
Boggio, e dalla libera stampa piemontese.
Per scendere ad alcuni particolari di questo episodio, è a sapersi che il deputato Porcelli confidava al Bossi, commissario allora di delegazione, il proposito di una istanza ufficiale contro i tanti balzelli che si aggravavano, ad esempio di quanto s'era fatto nel 48 dalla Centrale Congregazione predisposta  la supplica, d'accordo con Passerini e Averoldi, il vicedelegato, che si era accorto dei loro intenti, ne avvertiva per lettera il delegato. Questi rispondeva doversi ad ogni costo impedire anche il solo trattarne in Consiglio. 
Ma il 6 luglio trovandosi il Bossi presidente del consiglio provvisorio, l'Averoldi fu primo che in proposito pigliasse la parola, e il reclamo fu approvato.
  


LA FILANDA A VAPORE DI AZZATE

Si era persa l'esistenza di una filanda in Azzate. C'è voluto l'occhio attento del Signor Francesco Orsi che mi ha segnalato l'inserzione apparsa nel 1848 e che di seguito trascriviamo: 

                    D'AFFITTARSI                                                               
         Per una locazione di uno o più anni        
              ed anche per anni 12.                                  FILANDA A VAPORE DI N. 64 FORNELLI,           
   aumentabili fino a 72, ora totalmente rinnovata  
   sul più moderno e migliore sistema, posta in    
  AZZATE, distante miglia 4 da Varese, e lungo lo   
       stradale postale per Sesto Calende.                  
   E' fornita di amplissimi locali e di acqua pe-     
 renne. Vi è ottima maestranza in luogo, trattan-   
 dosi di Filanda che fu sempre in attività; ed alla 
  sola distanza di un miglio esiste cavo abbondan-  
 tissimo di perfetta torba, con cui potere a grande 
  risparmio di spesa alimentare la stessa Filanda.  
   Ricapito in Milano al sig. GIULIO BOSSI presso   
   la Compagnia di Assicurazione in contrada del    
  Lauro n. 1804, e in Varese e Azzate al sig. PIE-  
  TRO BOSSI.                                        

(Da la "Gazzetta Privilegiata di Milano", N. 21 del 21 gennaio 1848, pag. 84).

I più, da me interpellati in proposito, proponevano la Maino o la sua antenata, la Tessitura Introini, entrambe scomparse (sorgevano sull'area attualmente occupata dal centro commerciale), ma l'inserzione era stata fatta circa cinquant'anni prima e, dunque, questa ipotesi doveva essere scartata.
Mi venne anche in mente una vecchia fotografia di Azzate, non pubblicata sul volume edito dalla Pro Loco "Curiosando nel cassetto della nonna", dove si vede una grossa ciminiera ergersi verso il cielo sopra la Ca' Mera che, sempre attraverso le interviste, avevo scoperto far parte della fabbrica dei parquettes di legno di certo cav. Giovanni Bossi.
Era una struttura piuttosto ampia e si poteva ipotizzare che, in precedenza, avesse ospitato la filanda.
Certo che, chi conosce oggi la Ca' Mera, dopo i saggi restauri operati dal Signor Alessandro Orsi e sua moglie Lidia, genitori del predetto Francesco, fatica non poco ad immaginare che al posto delle sale affrescate e graffite ci fosse una filanda. Ma se si pensa al degrado che aveva subito la villa prima dell'intervento dei Signori Orsi e l'esistenza di un corpo di fabbrica completamente estraneo alla villa, dagli stessi fatto abbattere, l'ipotesi non era poi tanto inverosimile.
Un punto però dell'inserzione e cioè quando si fa riferimento alla presenza di acqua perenne, che non sembrerebbe mai essere stata presente in Ca' Mera, fa nascere il dubbio che essa abbia potuto essere stata in passato la sede della filanda.
E non tragga in inganno anche un altro passo dell'inserzione che dice: "... lungo lo stradate postale per Sesto Calende" che è riferito al paese di Azzate e non alla filanda che, se male interpretato, avrebbe già a priori escluso la Ca' Mera.
Anche la "mente storica" di Azzate, il Signor Agostino Trotti, che pur ha abitato in Ca' Mera, da me interpellato sull'argomento, ha affermato di non averne mai sentito parlare e, se mai, per suscitare maggior "scandalo" la filanda andava collocata nientemeno che al Castello di Azzate.


Il 17.2.1812 acquista il mappale n. 891.
Il 2.1.1833 vende a Lorenzo Obicini i mappali n. 361, 392, 394, 395 e 622, come da scrittura privata. (Vedi il n. 136 delle volture catastali, già di proprietà di suo bisnonno conte D. Giulio Cesare.

|-----------------|------|------------|----------|--------|-------|--------|
| N. di Mappa  | Sub.| Pertiche  | Tavole | Scudi | Lire | Ottav.|
|-----------------|------|------------|----------|--------|-------|--------|
|       891          |        |       1       |      11   |    19   |     4  |     1    |
|-----------------|------|------------|----------|--------|-------|--------|

|-----------------|------|------------|----------|--------|-------|--------|
| N. di Mappa  | Sub.| Pertiche  | Tavole | Scudi | Lire | Ottav.|
|-----------------|------|------------|----------|--------|-------|--------|
|       361          |        |       5       |     17    |     5    |    4   |     2    |
|       392          |        |       3       |     17    |     3    |    4   |     2    |
|       394          |        |      49      |       -     | 367   |    3    |     -    |
|       395          |        |      27      |     12    | 110    |    -    |     -    |
|       622          |        |       2       |       3    |     5    |    1   |     7    |
|-----------------|------|------------|----------|--------|-------|--------|


|-----------|-------------------------|------------------------------------------------|--------|
|       N.    |      Proprietario        |                   Descrizione                          | pert.  |
|-----------|-------------------------|------------------------------------------------|--------|
| 361        | Bossi Paolo        1^ | Zerbo in costa con alberi di cast. da t.    |  5.17 |
| 361.425 | Bossi Paolo             | Zerbo con alb. di cast. da taglio in costa|  5.17 |
| 361        | Bossi conte Giulio  |                                                                 |          |
|               |  Cesare q. Paolo      |                                                                 |  5.17 |
|-----------|-------------------------|-------------------------------------------------|-------|
| 392        | Bossi Paolo        2^ | Zerbo con castagne (cassato pascolo)      | 3.17 |
| 392.426 | Bossi Paolo             | Pascolo                                                     | 3.17 |
| 392        | Bossi conte Giulio  |                                                                   |         |
|               | Cesare q. Paolo       |                                                                   | 3.17 |
|-----------|-------------------------|--------------------------------------------------|-------|
| 394        | Bossi Paolo        3^ | Aratorio avitato con salici e noci              | 49.-  |
| 394.435 | Bossi Paolo             | Aratorio avitato con m., salici e noci        | 49.-  |    
| 394        | Bossi conte Giulio  |                                                                    |         |
|               | Cesare q. Paolo       |                                                                    | 49.-  |
|-----------|-------------------------|---------------------------------------------------|-------|
| 395        | Bossi Paolo        3^ | Prato con legna dolce di cima                    | 27.12 |
| 395.436 | Bossi Paolo             | Prato con salici d. e legna d. di cima         | 27.12 |
| 395        | Bossi conte G.C.     |                                                                    | 27.12 |
|-----------|-------------------------|---------------------------------------------------|--------|
| 622        | Piccinelli G. C.   1^ | Bosco di legna dolce di taglio                   |   2. 3 |
| 622.456 | Piccinelli G. C.        | Bosco di legna dolce di taglio                   |   2. 3 |
| 622        | Bossi conte G.C.      |                                                                   |   2. 3 |
|-----------|--------------------------|--------------------------------------------------|-------|
| 891        | Bossi conte G.C.       | Casa da massaro                                       | 1.11 |
|-----------|--------------------------|--------------------------------------------------|-------|




Al Signor Conte Luigi Bossi
Corso di Porta Orientale
Casa Castiglioni rimpetto al Seminario
Milano

(Nota di pugno del Conte Luigi Bossi: lettera di Giulio che mi riferisce la risposta del Benigno Bossi nostro cugino intorno alle vecchie memorie del Santo di famiglia Benigno arcivescovo).

Genova, 6 dicembre 1853

Mio caro Luigi,
                         Benigno ha risposto subito alla mia lettera ed è prova autenticissima di avere la tua, lagnandosi che gli scrivi troppo di rado.
In quanto al tuo desiderio egli è impegnatissimo a soddisfarlo e se ne occuperà appena arrivato a Genova, cioè alla metà del mese.
Dice che anche suo figlio Arturo è amantissimo dei documenti di famiglia, che gli ha scritto in proposito, ma che è intenzione di dare a te l'originale e una copia autentica a suo figlio.
La difficoltà sta nel trovare ancora quel documento in mano della Carolina sua cognata e di levarglielo. Egli ti scriverà da qui.
Sul mio conto non ho nulla da aggiungere e quanto ti ho detto nell'ultima mia.
Vorrei avere buone nuove dei tuoi ammalati perché sai che la tua famiglia mi sta fermamente a cuore. Cecchino dovrebbe essere a quest'ora alla sua residenza di Minoprio. Quando gli scrivi salutamelo veramente di cuore, come anche sua moglie.
Qui abbiamo un tempo superbo ma eccezionalmente freddo per questo paese e si sente tanto più che le case mancano quasi tutte di camini e sono malissimo guardati come è difetto di tutti i paesi meridionali e di quelli che per il mare godono ordinariamente di una temperatura mite; è strano ma è pur vero che il freddo si sente meno nelle latitudini più fredde.
Dimmi se è vero che anche Raffaele con la moglie, figlia e genero si propongono di trovarsi qui per la metà del mese: sarei ansiosissimo di vederli. Se li vedi salutameli tanto per me.
Tanto Galeazzo quanto nostra sorella e le loro famiglie stanno benissimo.
La Gambini è afflitta perché sua figlia Jenny si è sgravata di una figlia morta. Sta però abbastanza bene e non è in alcun pericolo.
Addio di cuore. Saluta Rosina e i suoi figli e voglimi bene

                                                                                                   tuo aff.mo Giulio






                                                   Claudio Luigi Bossi
                                                                 |
                                                                 |
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                        Francesco                                              Claudio
                            |                                                         Sp. Anna Visconti
                            |                                                                |
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             Giulio                          Luigi                           ........                  Benigno
              + Milano 7.2.1880     Sp. Rosa Camagni     Sp. Carolina             |
                                                     |                                                           |
                                                     |                                                           |
                                                     |                                                           |
                                              Francesco (Cecchino)                            Arturo


All' Eccelsa Imperial Regia Presidenza di Governo di Lombardia in Milano.

Desiderando il sottoscritto conte Luigi Bossi Imperial Regio Consigliere presso il Tribunale Criminale in Milano di essere ammesso agli onori di Corte nel modo che ne godevano già li suoi Antenati prima dell'anno 1796, avanza analoga rispettosa supplica a codesta Eccelsa Presidenza di Governo corredata dei seguenti opportuni ricapiti originali:

A. Atto d'interinazione presso l'Eccellentissimo Senato di Milano, e di registrazione nel libro dei Titoli, del
     Cesareo Regio Diploma 5 maggio 1731 col quale la Sacra Maestà di Carlo VI Imperatore e Re si è
     degnata concedere a Paolo Bossi, già annoverato fra i Nobili di Milano, proavo del ricorrente, il titolo di
     Conte per sè e suoi discendenti maschi primogeniti, colle altre prerogative speciali che si leggono nel
     Diploma medesimo.
B. Sette fedi parrocchiali che dimostrano e provano la discendenza diretta del ricorrente dal Conte Paolo
    Bossi stato insignito come sopra del titolo di Conte, cioè:
  1. La fede matrimoniale del Conte Giulio Cesare Bossi figlio del Conte Paolo colla Signora Elena Buzzi figlia dell'ill.mo Signor Cosimo Gerolamo della Parrocchia ora soppressa di S. Donnino della Città di Milano.
      2.   La fede di morte del suddetto Conte Giulio Cesare Bossi de fu Conte Paolo.
      3.   La fede di nascita del Conte Luigi Claudio Bossi figlio del suddetto Conte Giulio Cesare Bossi e di
            Donna Elena Buzzi.
      4.   La fede di morte del suddetto Conte Luigi Bossi marito della Contessa Teresa Locatelli.
      5.   La fede di nascita del Conte Francesco Bossi figlio delli suddetti Conte Luigi e Contessa Teresa
            Locatelli.
      6.   La fede di matrimonio del suddetto Conte Francesco Bossi colla Signora Donna Marianna Rossini
            figlia del Conte Carlo.
      7.   La fede di nascita del ricorrente Conte Luigi figlio delli predetti Conte Francesco e Donna Marianna
            Rossini.
C. Lo scritto nuziale fra il Conte Luigi Bossi avo paterno del ricorrente e la Contessa Maria Teresa Locatelli
     figlia del già allora defunto Conte Antonio Locatelli, Tenente Maresciallo di S.M. l'Imperatore Carlo VI e
     Comandante di Esseck in Slavonia; essendo la sposa sotto la tutela di S. Altezza il Signor Giuseppe
     Venceslao Principe di Liechtenstein, e  dell'Ecc.mo Signor Giovanni Giuseppe Conte di Dreuner.
D. Il certificato rilasciato dalla I.R. Direzione Generale degli Archivi in Milano colla autorizzazione dell'I.R.
    Governo, da cui risulta che anche all'epoca del 1750 il Conte Giulio Cesare Bossi Capitano della Milizia
    Urbana, bisavolo del ricorrente era nel novero dei Cavalieri ammesso a godere delle feste di Palazzo che
    si davano dalla I.R. Corte; e che di un tale favore godeva pure il Conte Luigi Bossi Avo del ricorrente
    stesso, giusta il nuovo piano e Regolamento di questa Città dell'anno 1795.
E. Copia autentica del Cesareo Regio Diploma col quale la Sacra Maestà dell'Imperatore e Re Leopoldo II
     insignì del titolo di Conte il Signor Don Carlo Rossini de Bodoni avo materno del ricorrente.
F. Il rescritto dell'I.R. Governo di Lombardia portante la graziosa Sovrana Risoluzione 27 novembre 1817
    comunicatagli dalla (I.R. Commissione Aulica Centrale di organizzazione colla quale S.M.I.R. Francesco
    Primo di gloriosa memoria si è degnata di confermare al Conte Francesco Bossi padre del ricorrente
    l'antica sua Nobiltà col titolo di Conte trasmissibile ai di lui discendenti in linea di primogenitura, e come
    ne godeva la di lui famiglia prima dell'anno 1797.

All'appoggio dei quali titoli il ricorrente chiede rispettosamente a codesta Eccelsa I.R. Presidenza di Governo che voglia degnarsi di impetrargli presso S.A. I.R. il Serenissimo Principe Vice Re l'alto favore di essere ammesso agli onori di Corte come ne godevano i di lui Antenati prima dell'anno 1796.
Si prega della retrocessione a suo tempo dei prodotti e qui annessi ricapiti.

Milano, lì 19 febbraio 1836

                                             Conte Luigi Bossi Consigliere presso il Tribunale Criminale.


Milano, 15 marzo 1838

Non emergendo dai prodotti ricapiti che il postulante fosse all'epoca del 1796 ammesso agli onori di Corte, né che anteriormente alla stessa epoca godesse di questa distinzione il Conte Francesco suo padre, e non venendo provata dai documenti annessi alla petizione la ducentenaria nobiltà della famiglia Bossi, non può allo stato degli atti venir assecondata la domanda.
Dalla Presidenza dell'I.R. Governo.


NOTE SUL CONTE D. FRANCESCO BOSSI figlio del conte D. Claudio Luigi e di D. Maria Teresa dei conti Locatelli.

Libertà. Eguaglianza.
In nome della Repubblica Cisalpina, una ed indivisibile.
Como, lì 17 Frimale anno VII Repubblicano.
La Municipalità di Como al cittadino Francesco Bossi.

Dovendo noi rimpiazzare la carica di Amministratore dell’Ospedale per la rinunzia del cittadino Franci, ed avendo noi riconosciuto in voi il concorso delle qualità che si esigono per disimpegnare con vantaggio del Luogo Pio le relative incombenze, siamo passati a nominare la vostra persona.
Nel parteciparvi la notizia di questa nomina, siamo ad invitarvi perché vi presentiate a questa Municipalità a prestare il giuramento voluto dalle Leggi, onde possiate assumere le vostre funzioni.
Salute e fratellanza.
F.to ….



Libertà. Eguaglianza.
In nome della Repubblica Cisalpina, una ed indivisibile.
Como, lì 26 Frimale anno VII repubblicano.
L’Amministrazione dell’Ospedale al cittadino Francesco Bossi amministratore di detto Luogo Pio.

L’Amministrazione ha delegato e delega il cittadino Amministratore Bossi a portarsi a Milano per procurare l’esigenza dei crediti che tiene questo Luogo Pio per il mantenimento dei Soldati ammalati Francesi e Cisalpini ed a far su di ciò qualunque necessaria transazione e confesso di ricevuta nella più valida forma, approvando la prefata Amministrazione tutto ciò che dal medesimo verrà fatto ed approvato, dandogli a tal effetto ogni ampia e libera facoltà a legalmente il tutto spedire; come pure ad esigere e valersi del denaro esistente presso il cittadino Procuratore Antonio Bollatti.
Salute a fratellanza.
F.to Bernardo Magatti Cancelliere.



Libertà. Eguaglianza.
Repubblica Cisalpina.
Como, lì 10 Nevoso Anno IX repubblicano.
L’Amministrazione Municipale di Como al cittadino Francesco Bossi Amministratore di questo Spedale Maggiore.

Per ordine del Comitato di Governo comunicato a questa Municipalità dal Commissario Governativo con lettera di data 4 and. N. 1159 sono chiamati in funzione i tre Amministratori stati destituiti dagli Austriaci e contemporaneamente dimessi dal cessato Governo.
Ve ne passa pertanto la notizia perché immediatamente possiate assumere la incombenza addossandovi unitamente agli altri vostri due Colleghi ed avvertendovi che i tre ripristinati Amministratori devono tosto proporre a questa Municipalità un soggetto idoneo per rimpiazzare il cittadino dottor fisico Antonio Della Porta che resta dimesso dalla carica di Direttore di detto Spedale.
Salute e Fratellanza.
F.to MainonoPresidente.




CLAUDIO BOSSI NELLA NARRAZIONE DEL LITTA

Nel 1848 allo scoppiare della rivoluzione, il Bossi si trovava a Bergamo, commissario delegatizio. Fu dei primi che in quella rivolta salutasse la nostra bandiera e che durante il governo provvisorio assumesse compiti gelosi. Fu commissario per la promozione degli ospitali per i feriti in guerra; e incaricato straordinario nella bassa bergamasca per la fusione della Lombardia col Piemonte, vivamente adoperavasi per essa. Né meno provvida fu l'opera sua allorché essendosi mandato per lo stesso motivo nel distretto di Romano, vedendo tutto sollevato a rumor di popolo di Colico contro l'arciprete del luogo, abate Lombardini, avversante la fusione intempestiva, sventava
in pericolo di una triste sciagura: perché il popolo furente assembratosi a campana martello, accerchiata la Canonica, voleva passare ad una di quelle sue giustizie che terminano col sangue. Ma
persuadendolo il Bossi con forti parole a desistere da un proposito sconsigliato, procurò che una carrozza involasse intanto il povero prete allo sdegno di quegli ammutinati. Volta a male la rivoluzione italiana, alla sera del 6 agosto, nello sgomento dell'intiera città di Bergamo, nella fuga dei cittadini, dei funzionari compromessi e della forza armata, il conte Oldofredi avvertiva i magistrati municipali del prossimo arrivo degli austriaci, e come già fossero tolte l'armi agli accorrenti per le difese. Nel mattino del giorno 7, volgendo al disordine e all'abbandono, uomini di
sinistro aspetto raccogliendosi qua e là, si gettavano al saccheggio ed al tumulto. Il Bossi, radunato subitamente una mano d'autorevoli personaggi, proponeva si armasse una guardia civica a tutela
dell'ordine pubblico, si richiamasse il popolo alla calma ed alla fiducia, si chiudessero per il momento le porte della città.  
Questi ed altri provvedimenti messi in atto, restituivano per le piazze e per le vie, se non la quiete degli animi disperati, coraggio e dignità. 
Entrato il Duranto, generale italiano, con 3.000 uomini, la posizione di Bergamo si faceva molto grave.
Il Bossi fu mandato dal principe di Schwarzenburg, allora di guarnigione, e perorando la causa del popolo che, plaudente all'apparire delle armi italiane, e a stento si tratteneva, perdonasse, diceva al principe, quelle subite manifestazioni ed unendosi all'ordine municipale, si togliessero i pretesti di
collisioni fra popolo e soldati dolorosissime. Tutto fu accomodato. 
Gli austriaci furono al momento consegnati a quartiere nella bassa città, e vi rimasero il giorno 13 e la notte del 14. Gli italiani di Durando nell'alta, posti a contribuzione i cittadini per 10.000 franchi, uscivano al mattino dalla città. Nel 1849 fu il Bossi degli oratori mandati a Vaprio incontro al Tazis maresciallo, per sostenere la causa del municipio bergamasco, cui s'era inflitta la multa di
3.000.000
Il conte Bossi ebbe le croci Mauriziane e della italiana corona, quando non era peraltro invalso fra noi lo spreco dell'una e dell'altra.
Giureconsulto, già segretario della Luogotenenza Lombarda (1858-59), fatte libere le terre nostre, lo fu del ministro Vigliani.
Consigliere di governo a Pavia, poi nel 1860 delegato di prefettura a Lecce d'Otranto (a tacere d'altri onorevoli incarichi) nel 1864 crudelmente orbato degli amati suoi figli, coll'anima straziata toglievasi per sempre dalle pubbliche cure.
Nel 1855, mentre il colera desolava la misera Brescia, trovandosi ad un tratto abbandonata dal Delegato, ne assumeva la direzione. 
L'anno dopo, durando l'assenza dell'austriaco Delegato, presiedeva una adunanza della Congregazione provinciale, in cui venne formulato il reclamo contro le austriache esorbitanze, che fu poi pubblicato dal Boggio, e dalla libera stampa piemontese.
Per scendere ad alcuni particolari di questo episodio, è a sapersi che il deputato Porcelli confidava al Bossi, commissario allora di delegazione, il proposito di una istanza ufficiale contro i tanti
balzelli che si aggravavano, ad esempio di quanto s'era fatto nel 48 dalla Centrale Congregazione predisposta  la supplica, d'accordo con Passerini e Averoldi, il vicedelegato, che si era accorto dei loro intenti, ne avvertiva per lettera il delegato. Questi rispondeva doversi ad ogni costo impedire anche il solo trattarne in Consiglio. 
Ma il 6 luglio trovandosi il Bossi presidente del consiglio provvisorio, l'Averoldi fu primo che in proposito pigliasse la parola, e il reclamo fu approvato.

NOTE  DEL CONTE LUIGI BOSSI[25]


All'epoca che stesi questa supplica non erano ancora schiariti alcuni punti concernenti la genealogia di mia famiglia, il che ottenni soltanto posteriormente all'appoggio di analoghi recapiti rinvenuti, con che risultarono erronee diverse congetture anteriori, fra cui quella derivata dall'allegato C che forniva una presunzione per ritenere discendenti da stipite comune, cioè da Rabalio i due rami dei conti e dei marchesi Bossi.
Tale presunzione è tolta dai molti riflessi e documenti rinvenuti nel materiale da me disposto ed ordinato per la formazione del mio albero genealogico /dei conti Bossi) dal 1300 in avanti ai quali perciò mi riporto.
Del pari erroneo è la conseguenza dedotta dall'allegato E di detta supplica ad appoggiare la comunione dello stipite fra li conti e li marchesi Bossi, non sussistendo che il magnifico Francesco Bossi che con testamento del 1586 instituì erede il magnifico Gio. Battista Bossi figlio del magnifico fu Bernardo zio del testatore appartenesse al ramo o famiglia dei marchesi Bossi, poiché per lo contrario il testatore suddetto apparteneva alla stessa linea dei Bossi che in seguito ebbe il distintivo di “conti”, siccome quel Francesco che testò nel 1586 era figlio di Gio. Pietro che testò nel 1524, fratello di Bernardo padre dell'erede  istituito, figli poi ambedue di Francesco, i cui ascendenti Baliolo, Francesco e Tomaso lo uniscono in retta linea al capostipite Rabalio.
Ed è perciò che il testatore lo dice suo consanguineo.
Circa poi all'allegato I (J, F ?) veggansi le poche carte che in punto del feudo ho ricavate da un fascicoletto fra le carte concernenti l'Araldica.
E' altresì opportuno a questo proposito l'annotazione che si trova a piedi dell'Arbor Communis di cui si è parlato più sopra.
Avvertesi per ultimo che i recapiti comprovanti i predicati antichi d'onore accennati alle lettere E sino all'O si sono ritornati per la massima parte nella raccolta che documenta l'albero genealogico in due grossi volumi che sono con tale indicazione posti al di fuori, conservati nel mio vestarile (?).
Anche un'altra osservazione si presenta opportuna ad una rettifica intorno all'allegato P quando si è detto e rimarcato sopra l'allegato C, esclude che quel Gerolamo Bossi figlio di Simone del ramo dei marchesi, fosse di stipite comune dei conti Bossi; e quanto poi all'aversi dal medesimo Gerolamo addotto fra le altre prove di antica nobiltà il possesso in famiglia dell'antico castello di Azzate, nonché la fondazione antica del Beneficio ecclesiastico di S. Lorenzo pure in Azzate, sono avvertenze queste allegate in genere per dimostrare la nobiltà della stirpe Bossi, quantunque il castello di Azzate ebbe sempre "ab antiquo" ad appartenere al solo ramo da cui discendono i conti del detto cognome; e sia provato che a questo ramo esclusivamente appartiene il fondatore del Beneficio stesso, il cui giuspatronato si esercita del pure esclusivamente dai conti Bossi, mentre anche i marchesi vi parteciperebbero se fossero nella discendenza dei chiamati dal fondatore stesso.
E' necessario di correggere un errore incorso laddove dissi essere notorio che le due sole antiche nobili e titolate superstiti famiglie Bossi sono quelle dei marchesi e conti di tal cognome.
Invece esiste tutt'ora in Milano (1858) altra nobile famiglia Bossi, li Bossi cioè detti di Porta Vercellina dove anche hanno casa propria, e sono forse i Bossi di Biassono a cui apparteneva l'arcivescovo di Milano S. Ansperto.
Questa famiglia tiene anche un canonicato nel Duomo di Milano di suo giuspatronato.
Non so poi se alla stessa famiglia appartenesse il Consigliere di Stato sotto il cessato Regno d'Italia e storico Cavaliere, anzi conte Luigi Bossi di cui facevo cenno più avanti, e che credo fosse anche canonico del Duomo.


Con la voltura n. 144,145,146,147, 148 e 149 zio e nipoti Bossi si dividono i beni di famiglia.


144. Bossi Claudio, don Luigi e fratelli zio e nipote passa per divisione tra loro fratelli a Bossi Giulio di Francesco, come da relazione dell’ingegner Speroni registrata in Varese il 29 aprile 1809 al n. 603. Diversi mappali di pertiche 250.5 scudi 834.4.-
145. Bossi Claudio, don Luigi e fratelli zio e nipoti passa per divisione tra loro fratelli a Bossi Giovanni di Francesco, come da relazione dell’ingegner Speroni registrata in Varese il 29 aprile 1809 al n. 603. Mappali n. 359, 360, 361, porzione del 362, porzione del 364, 392,394, porzione del 395, 622, 641, 890 e 891 di pertiche 112.23 scudi 727.4.4
146. Bossi Claudio, don Luigi e fratelli zio e nipoti passa per divisione tra loro fratelli a Bossi Giuseppe di Francesco, come da relazione dell’ingegner Speroni registrata in Varese il 29 aprile 1809 al n. 603. Mappale n. 37/1, 44, porzione 45, 357, porzione 395, 621/1, 621/2, 653, 654, 884 e 885 di pertiche 112.19 scudi 549.4.7
147. Bossi Claudio , don Luigi e fratelli zio e nipoti passa per divisione tra loro fratelli a Bossi Pietro di Francesco, come da relazione dell’ingegner Speroni registrata in Varese il 29 aprile 1809 al n. 603. Mappali n. 18, 19, porzione 45, 47, 111/1, 111/2, 323, 353, 521/1, 521/2, 645/1, 658, 658 ½, 878 e 879 di pertiche 181.10 scudi 1010.5.7
148. Bossi Claudio, don Luigi e fratelli zio e nipoti passa per divisione tra loro fratelli ed il loro zio Claudio e ritenuto per ora indiviso fra don Luigi e fratelli. Mappali parziale n. 79, 84 ¼, 142 ½, parziale 241, parziale 321, parziale 530, 585, 14/1, 23/1, 568, 702, parziale 886 e 902 di pertiche 55.23 scudi 323.1.3
149. Bossi Claudio, don Luigi e fratelli zio e nipoti passa per divisione tra loro fratelli a Bossi don Luigi di Francesco, come da relazione dell’ingegner Speroni e registrata in Varese il 28 aprile 1809 al n. 603. Mappali n. parziale 362, 363, parziale 364, 391 e 877 di pertiche 68.8 scudi 688.4.-

Immediatamente dopo, con la voltura n. 150 uno di loro inizia a vendere dei terreni, cui ne seguiranno altri.

150. Bossi Giuseppe di Francesco passa per vendita a Pedoja Gaspare come da istrumento 4 gennaio 1812 rogato dal notaio Giuseppe Baroffio e registrato in Varese il 14 gennaio al n. 74. Mappali n. 37/1, 44 e porzione 45 di pertiche 65.6 scudi 206.4.
152. Bossi Claudio q. conte Luigi passa per vendita a Bianchi Giuseppe Amabile q. Gaspare, come da istrumento del 24 settembre 1812 rogato dal notaio Gio. Battista Perabò e registrato in Varese il 26 settembre 1812 al n. 592. Parziale mappale n. 505 di pertiche –.15 scudi 5.1.-
153. Bossi Claudio q. conte Luigi passa per vendita a Bianchi Giuseppe Amabile q. Gaspare, come da istrumento 2 novembre 1812 rogato dal notaio Gio. Battista Perabò e registrato a Varese il 3 novembre al n. 1766. Mappale n. 596 di pertiche 3.14 scudi 16.-.6
159. Bossi Pietro di Francesco passa per vendita a Bardelli prete Gerolamo q. Giovanni, come da istrumento 30 giugno 1813 rogato dal notaio Cesare Savini e registrato in Varese al n. 1074. Parziale mappale n. 45, 47, 111/1 e 111/2 di pertiche 39.1 scudi 218.-.4
163. Bossi Giulio di Francesco per acquisto fatto all’asta pubblica tenutasi avanti il Tribunale di prima Istanza in Varese il 30 dicembre 1813 registrato in Varese il 14 febbraio 1813 al n. 17 passa a Pigna Giuseppe q. Bernardo. Mappali n. 137/1, 137/2, 143, 143 ½ e 906/1 di pertiche 29.7 scudi 189.5.4
165. Bossi don Luigi e fratelli di Francesco indivisi passa per acquisto come da istrumento 24 marzo 1814 rogato dal notaio Giuseppe Baroffio registrato il 29 marzo al n. 267 a Colli Giuseppe q. Carlo Antonio. Parziale mappale n. 366 di pertiche 19.3 scudi 165.4.2
170. Bossi Giulio di Francesco per acquisto come da istrumento 5 settembre 1814 rogato dal notaio Giuseppe Baroffio passa a Lotterio don Giovanni q. Felice. Mappale n. 67 di pertiche 10.18 scudi 43.
172. Bossi Pietro di Francesco per acquisto come da istrumento 29 novembre 1814 rogato dal notaio Giuseppe Baroffio di Varese passa a Riva Pietro usufruttuario ed erede di Gio. Battista di lui figlio. Mappale n. 18 e 19 di pertiche 37.14 scudi 117.-.4
19. Bossi don Luigi e fratelli di Francesco indivisi passa per acquisto come sopra  a Calcagni ingegner Giuseppe q. Giovanni per persona da dichiararsi. Mappali  parziale n. 79 e 142 ½ di pertiche 22.6 scudi 170.2.5
Bossi Giulio di Francesco passa a Calcagni ingegner Giuseppe per persona da dichiararsi. Mappali n. 6 e 33 di pertiche 31.6 scudi 63.4.4
180. Bossi don Luigi[26] e fratelli di Francesco indivisi per vendita fatta dai contro scritti passa a Pellegrini Robbioni Giovanni q. Vittore. Parziale mappale n. 241 di pertiche 5.6 scudi 14.3.2
183. Bossi don Luigi e fratelli di Francesco indivisi per correzione d’errore d’intestazione seguita nella petizione 17 febbraio 1812 riconosciuta sul luogo dalle parti passa a Bossi don Claudio q. conte Luigi. Mappale n. 902 di pertiche –.16 scudi 9.
185. Bossi Claudio q. conte Luigi per acquisto come da istrumento 6 settembre 1815 rogato dal notaio Giorgio Sauli di Milano passa a Obicini Lorenzo q. Gio. Battista. Molti mappali di pertiche 1040.7 scudi 5970.2.3
Bossi Claudio q. conte Luigi livellario alla Chiesa di S. Maria di Azzate. Mappali n. 103, 106, 107, 108 e 109 di pertiche 18.23 scudi 115.1.7
185/bis. Bossi Claudio q. conte Luigi per correzione si ritorna il minor estimo calcolato su detto mappale con la petizione 17 febbraio 1812 n. 148. Scudi 1.1.2
186. Bossi Giulio di Francesco per acquisto come da istrumento 2 agosto 1815 rogato dal notaio Giuseppe Baroffio passa a Ballerio Giuseppe q. Giacomo. Parziali mappali n. 11, 27 e 28 di pertiche 28.22 scudi 82.2.4
189. Bossi Giuseppe di Francesco per acquisto come da istrumento 10 novembre 1815 rogato dal notaio Giorgio Sauli di Milano passa a Obicini Lorenzo q. Gio. Battista. Mappali n. 357, parziale 395, 621/1, 621/2, 653, 654, parziale 884 e parziale 885 di pertiche 47.13 scudi 343.-.3
191. Bossi Pietro di Francesco per acquisto come da istrumento del 16 dicembre 1815 rogato dal notaio Giorgio Sacchi di Milano. Mappali n. 521/1, 521/2, 658 e 6581/2 di pertiche 39.18 scudi 204.3.4

Non è estraneo a questa operazione di alienazione dei beni nemmeno il marchese don Benigno Bossi fu marchese Galeazzo che il 25 aprile 1814 vende pertiche 317.10 a Gaetano Landriani q. Federico.

166. Bossi marchese don Benigno q. marchese Galeazzo per acquisto fatto con istrumento del 25 aprile 1814 rogato dal notaio Giuseppe Carozzi di Milano passa a Landriani Gaetano q. Federico. Diversi mappali di pertiche 317.10 scudi 2076.1.4







[1] "Attesto io infrascritto come il cittadino Francesco Bossi figlio di Claudio Luigi e di Maria Teresa Locatelli legittimi consorti della Parrocchia soppressa di San Benedetto è nato e battezzato il 15 maggio 1759 come consta dai libri battesimali di detta Parrocchia, ora aggregati a quelli di San Fedele e per fede. Como, 4 febbraio 1798 prete Giovanni Mandelli Vice Prevosto di San Fedele".
[2] “La fede di matrimonio del conte Francesco Bossi colla signora Donna Marianna Rossini seguito in Como il 10 febbraio 1782 sotto la Parrocchia di S. Benedetto, in seguito stata soppressa, mi fu rilasciata dalla Parrocchia di S. Fedele l’11 dicembre 1815, che ritirò i libri della suddetta Parrocchia di S. Benedetto, la cui popolazione o circondario le fu aggregata. Questa fede si leva oggi 19 aprile 1852 per unirla ai recapiti che devono documentare una causa da introdursi contro il marchese Medici per le rivendicazioni di un giuspatronato di famiglia sopra una cappellania o legato di messe quotidiane in Induno distretto di Arcisate provincia di Como”.
[3] Il titolo di conte compete al solo primogenito. La famiglia è patrizia di Milano.
[4] “La fede di nascita di Luigi Bossi figlio del conte Francesco e Marianna Rossini nato il 17 luglio 1783 in Como sotto la Parrocchia di S. Donnino, e rilasciata l’8 gennaio 1837, con autenticazione del Podestà, la levo oggi 19 aprile 1852 per unirla ai recapiti della causa da introdursi contro il marchese Medici di Marignano per la rivendicazione di un giuspatronato di famiglia istituito da un Buzzi per una messa quotidiana o cappellania in Induno distretto di Varese”.
[5] Laureato a Pavia nel 1807.
[6] Vedi documento n. 131.
[7] Vedi il racconto che di lui fa Pompeo Litta.
[8] Vedi documento n. 2.020.
[9] Dal registro dei morti del Comune di Azzate:”22 Aprile 1884. Sono comparsi il nob. Conte Luigi Bossi di anni 48 pensionato domiciliato ad Azzate e Bossi nob. Gaetano di anni 67 pensionato domiciliato in Azzate i quali mi hanno dichiarato che a ore pomeridiane 8 di ieri nella casa posta in Piazza Sant’Andrea al n. 1 è morto Bossi nob. Giacomo di anni 54 (leggi 64) pensionato residente in Azzate nato a Bergamo dal fu conte Luigi già pensionato domiciliato in vita ad Azzate e dalla fu Rosa Camagni già agiata domiciliata in vita ad Azzate.
"Azzate 24 Aprile 1884. Confesso io sottoscritto di aver ricevuto L. 58 (diconsi cinquantotto) pei funerali del nob. Bossi D. Giacomo defunto il 21 del corrente mese. F.to prete Redaelli Luigi Parroco".

[10] Pompeo Litta.
[11] Vedi documento n. 5.036.
[12] Vedi documento n. 1.082.
[13] Vedi in fondo l’articolo apparso sulla Prealpina il 21 marzo 1912.
[14] Vedi il n. 1.082 di repertorio.
[15] Vedi il n. 1082 di repertorio.
[16] Nel 1926 fa parte del Comitato d’Onore Pro Decorazione Chiesa e Giubileo del Parroco di Azzate. Offre lire 100.
[17] Sabato 30 gennaio 1886. Aratorio detto Colodra in mappa nuova al n. 967; aratorio detto Colodra in mappa nuova al n. 1061. Ugo Scuri fu Gaetano di Busto Arsizio procuratore generale delle nobili signore Brugstok Giuseppina fu Giuseppe vedova De Valmagini possidente nata  e domiciliata in Vienna e la di lei figlia De Valmagini Antonietta fu cav. Giulio Cesare possidente per mandato 25.7.1885 n. 1185/7917 di repertorio a rogito del notaio di Varese nob. fu Antonio Bossi, procuratore generale dei nobili signori  Giuseppe, Giulia ved. De Pfiffer e Marianna fratello e sorelle De Valmagini fu cav. Giulio Cesare possidenti nati e domiciliati in Vienna. (Note avute da Mario Broggi - Cantello).
[18] Vedi documento n. 2.127.
[19] Vedi il n. 1095 di repertorio.
[20] Vedi il n. 2127 di repertorio.
[21] Cherubina sacconaghi, varesina e moglie del dottor Antonio dei nobili Bossi di Azzate, notaio in Varese e cittadino benemerito. Rimasta vedova, ad onorare la memoria del perduto consorte, che fu anche presidente della Congregazione di Carità, donava alla stessa lire 5.000 perché le rendite venissero erogate a scopo di beneficenza e particolarmente per i bisogni dell’Ospedale. Offriva poi anche il ritratto del compianto marito, opera del pittore Giuseppe Colombo, esprimendo il desiderio che venisse sempre compreso nell’annuale esposizione dei quadri dei benefattori del Nosocomio. (Estratto da G. BAGAINI, L’Ospedale di Varese dalle origini alla costituzione in ospedale di Circolo, Officine Grafiche Esperia, Milano, 1960 (?).
[22] Pompeo Litta.
[23] Nel racconto di Pompeo Litta.
[24] Leggi anni 64.
[25] Vedi documento n. 199.
[26] Dalla sua sottoscrizione sulla voltura si rileva la stessa calligrafia della “mano nota” che si ritrova in molti appunti dell’Archivio Bossi.





ARCA DI GIACOMO BOSSI


Milano. Chiesa di S. Marco. Arca di Giacomo Bossi.


Nel dettaglio della tomba del giureconsulto Giacomo Bossi (+ 1355), con tre scomparti a rilievo, posta nel transetto destro della Chiesa di S. Marco di Milano si vede in quello centrale Giacomo Bossi che dedica la cappella di famiglia alla Vergine. Dietro di lui, Sant’Ambrogio e San Giovanni Battista. Le sculture che l’adornano sono attribuite alla scuola del cosiddetto “Maestro di Viboldone”.

Particolare destro.dell'arca.
Dallo stemma è stato scalpellato lo stemma dei Bossi.


E’ probabile che il senatore Egidio Bossi abbia visto l’arca di Giacomo Bossi e abbia scatenato in lui, per spirito di emulazione, il desiderio di rendere manifesta la sua devozione alla Madre di Dio.
La fama che Callisto Piazza si era procurato operando nella Chiesa di S. Celso, quale esecutore dello spirito di riforma del dominio spagnolo cui il senatore era intimamente legato, fece in modo che i due si conoscessero e si giunse alla commissione della pala d’altare per la Chiesa di S. Maria di Azzate. Sapeva bene il senatore che anche la sua fama era maggiormente consolidata a Milano, dove svolgeva la sua attività di giudice, ma l’acquisto nel 1538 del Feudo della Val Bodia, aveva sancito il suo legame con Azzate, sede storica dei suoi antenati, ed è appunto in questo paese che  doveva essere palese a tutti il suo dominio e la sua potenza.


Particolare sinistro.


ARCA DI ANTONIO BOSSI

Antonio Bossi genuflesso davanti alla Madonna.
Arca di Antonio Bossi. Formella centrale.






LE ORIGINI DELLA NOBILTA’ EUROPEA

Nei membri della nobiltà la società europea di antico regime ebbe protagonisti di primo piano che mantennero in questa epoca una preminenza indiscutibile essenzialmente per due ragioni: in primo luogo una base materiale costituita da ingenti possessi fondiari, con intuibili effetti a livello di disponibilità economica e potere sociale; in secondo luogo contava moltissimo la nascita entro una famiglia che potesse vantare tradizioni illustri ed una forte autorità, la quale in origine era l’effetto della disponibilità di una forza militare autonoma: per questo la famiglia nobile venne dotata dai sovrani dei beni materiali appena citati.
Queste tradizioni illustri, infatti, hanno spesso la propria origine nell’epoca a cui la nobiltà faceva risalire i propri natali, l’età medievale nel corso della quale alcuni uomini dotati di una adeguata forza militare propria erano stati cooptati dai sovrani che teoricamente estendevano la propria autorità su vasti territori (le odierne Francia, Spagna, Inghilterra) ma erano privi di un esercito proprio. I futuri nobili erano stati coinvolti nella politica dei sovrani al fine di collaborare con loro ad azioni difensive o espansive. In cambio ricevettero il riconoscimento di un titolo e ampi possessi fondiari, che divennero la base della loro forza economica; su di essi ebbero modo di esercitare un controllo giurisdizionale e fiscale imponente, e inoltre acquisirono la facoltà di trasmettere titoli e possessi nell’ambito di una successione famigliare patrilineare, cioè in linea maschile.
Dunque, la nobiltà sorge, per così dire, per eterogenesi e si afferma per autogenesi: sono i servizi resi al sovrano di turno che creano la nobiltà europea, la quale ai suoi albori è il prodotto di un’autorità politico-territoriale e non si autogenera. Essa, tuttavia, si autonomizza nel corso degli anni e dei secoli attraverso l’edificazione di un proprio fondamento di tipo genealogico e territoriale; e sulle terre, che progressivamente più delle armi diventano il vero fondamento del potere sociale, il nobile esercita una proprio signoria.
Sintetizzando questi aspetti, lo storico inglese Kamen sottolinea come “guerra, terra e giurisdizione erano tradizionalmente associate alla nobiltà”, per quanto fossero condizioni solo originarie e necessarie e non sufficienti della sua esistenza. Infatti, la gerarchia sociale strutturata dalla nobiltà “poggiava su riconoscimenti di dipendenze e di protezioni, che si ricevevano di padre in figlio, mantenute, anzi rinnovate da ordinamenti giuridici stabili e vitali”. In età moderna, tuttavia, l’eterogenesi della nobiltà non si interruppe, visto che necessità economiche e amministrative e spinte sociali di grande impatto spinsero i monarchi ad attuare nobilitazioni di non aristocratici in numero presumibilmente consistente, tanto da dare origine alla nota distinzione tra una “nobiltà di spada”, di antica tradizione militare e una “nobiltà di toga”, effetto delle nobilitazioni, e questo non senza disappunto, per non dire peggio, della prima, impegnata da allora a salvaguardare la propria “natura” e il proprio prestigio dovuto al “sangue”.
La famiglia, “forziere” della nobiltà.
I diversi significati delle parole che cambiano secondo una caratteristica propria delle epoche storiche, fanno sì che preliminarmente si chiarisca come il termine “famiglia” l’ancien règime intendesse “il complesso degli individui che vivevano sotto lo stesso tetto: padre, madre, figli legittimi e non, eventuali altri parenti, servitori fedeli del capo famiglia. La forza di un lignaggio risultava dall’estensione della famiglia”, secondo la definizione di Oscar di Simplicio.
Al di là di tale concetto più ampio, la famiglia che possiamo chiamare “nucleo famigliare” in senso moderno è, tuttavia, il vero forziere che presiede al mantenimento dei requisiti della condizione nobiliare: grazie ad essa lignaggio e patrimonio vengono conservati e trasmessi secondo un meccanismo patrilineare, primogeniturale e patriarcale. In sostanza ciò significa che i titoli paterni venivano ereditati per lo più in linea maschile dal primogenito e che il paterfamilias comandava sulla propria famiglia in maniera quasi “assolutistica”. Per il mantenimento del lignaggio e del patrimonio, o per il possibile accrescimento di quest’ultimo, diventò via via sempre più essenziale una accorta politica matrimoniale, anche a costo di uscire dai limiti dell’aristocrazia. Proprio queste essenziali esigenze patrimoniali fecero quindi in modo che nessuna casata aristocratica europea di valore si sottraesse ad un conveniente matrimonio d’interesse che riguardasse (significativamente) donne non nobili, ma facoltose, in grado di portare una dote cospicua come “biglietto d’ingresso” nella classe superiore.
Ma l’idea, e in alcuni casi l’ossessione di quella che con un termine usato dagli spagnoli, tra i più rigorosi “guardiani del lignaggio”, per la purezza religiosa possiamo chiamare limpieza de sangre (limpidezza del sangue) in senso sociale, fece sì che i nobili, preoccupati di conservare intatta la propria diversità ed eccellenza messa in pericolo dalla mescolanza con il rango inferiore, tendessero a prediligere una sostanziale “endogamia di classe”, dunque preferissero matrimoni solo con loro pari.
Guerra, terra e giurisdizione. Il monopolio (declinante) della violenza.
Passando a considerare le condizioni che abbiamo definito originarie e necessarie, è bene in primo luogo approfondire la “guerra” e l’uso delle armi e della forza, che costituiscono certamente la ragione d’essere e il tratto originario, necessario e sufficiente dell’esistenza della nobiltà sorta in età medievale. Anche in parte dell’Era Moderna, almeno fino alla prima metà del XVII secolo, i nobili furono in grado di mantenere milizie private e di porle al servizio del sovrano impegnato in conflitti, confermando in tal modo la sostanza originaria del loro essere.
Così nonostante la formazione intorno al XVI secolo dei primi eserciti radunati direttamente dai sovrani, “eserciti nazionali”, di fatto importanti campagne belliche furono condotte dai sovrani stessi sia con eserciti nazionali, sia, contemporaneamente, con l’attivo e necessario apporto di truppe raccolte da aristocratici su base feudale. I nobili occuperanno, altresì, i gradi più elevati anche nei nuovi eserciti, per quanto si possa individuare una certa diminuzione della preminenza nobiliare in questi ruoli, soprattutto allorché anche l’aristocrazia dell’esercito, costituita dagli ufficiali di gradi medio-alto, diventò oggetto di compravendite da parte dei sovrani, come le nobilitazioni in generale, a componenti della borghesia più facoltosa e ricca; conseguenza importante di questo processo di imborghesimento delle armi fu che la nobiltà medio-bassa trovò nell’esercito, suo tradizionale luogo di sbocco sociale ed economico, sempre minore spazio. Questo senza contare la professionalizzazione degli eserciti e l’affermarsi di una fedeltà dei soldati non più al singolo “signore”, bensì al re e allo stato.
Ma la di là della guerra vera e propria, i nobili simboleggiavano a livello sociale la forza proprio in virtù della propria genesi e delle prerogative loro assegnate, prerogative che sono state sinteticamente indicate da alcuni storici con il termine di “monopolio della violenza”, essendo gli aristocratici gli unici autorizzati a portare armi nella prima età moderna.
L’uso della forza, va da sé, poteva spesso dare origine a violenze individuali determinate da lotte tra gruppi imperniati su nobili casate, lotte che nascevano spesso avendo alla base un concetto fondante, molto sentito, spesso malinteso come quello di “onore”, ossia la consapevolezza, su cui non era possibile transigere nella mentalità aristocratica, della propria posizione nello spazio sociale; una posizione da difendere con la violenza impiegata nei confronti dei membri delle classi inferiori, oppure con un altro tipo di violenza, per così dire trasformata in un “rito” regolato da regole.
Questa violenza ritualizzata e regolata trova la sua manifestazione unica e molto diffusa nel duello, una pratica esercitata soprattutto nei confronti di che essendo lui pure nobile, attenta alla posizione occupata sa un suo simile nello spazio sociale. Tuttavia il noto episodio narrato da Manzoni nei Promessi sposi, il duello nato da futili motivi di precedenza stradale tra il ricco borghese Lodovico, futuro padre Cristoforo, e un aristocratico suo concittadino, ci testimonia come in piena Età Moderna il duello fosse anche una pratica per ribadire una precisa gerarchia sociale messa in discussione dal primo elevarsi della borghesia più ricca.
Un aspetto altrettanto importante rispetto all’uso della forza era che quest’ulòtimo si configurava spesso come l’espressione non di una “potenza”, ma di una vera e propria “prepotenza” verso gli inferiori. Progressivamente, tuttavia, l’azione politica dei sovrani e il concreto sviluppo economico e sociale ridussero notevolmente le degenerazioni di questo monopolio della forza: da una parte i monarchi occidentali imposero con maggior decisione il rispetto delle leggi vigenti in materia di esercizio abusivo della forza; dall’altra le condizioni economiche sfavorevoli, cioè l’aumento dei costi delle armi e degli uomini, resero più difficile alle famiglie nobili il mantenimento di milizia armate private. Per risolvere le proprie contese private anche i nobili si “rassegnarono” ad affrontare altri tipi di conflitti, quelli regolati dalle leggi scritte di fronte ai tribunali, il cui potere effettivo crebbe in età moderna.
Tuttavia un residuo quasi inestirpabile delle vecchie lotte d’onore, sopravvisse con il costume del duello, dichiarato illegale ma praticato con discreta intensità.
“Signoria fondiaria” e attività nobiliari.
Il possesso fondiario era la fonte del benessere materiale del nobile che ne garantiva anche il mantenimento dello status di eccellenza sociale. Ma questa base materiale determinava compiti che andavano al di là della semplice conservazione (o possibile allargamento) del patrimonio fondiario: il concetto–chiave è quello di “signoria fondiaria”, nella quale il nobile proprietario diventa un poliedrico attore sociale nelle proprie terre nei confronti di chi le lavora e le abita: il nobile amministra la bassa giustizia; spesso funge da protettore o patrono dei suoi coloni; rimane una imprescindibile e impositiva figura di riferimento per affittuari e coloni. La famiglia del signore (nel significato ampio esposto sopra), le terre e la comunità rurale trovano nella signoria fondiaria il proprio vertice. Centrale in questa poliedricità era il ruolo di giudice, in quanto “la giustizia alta e bassa, relativa a questioni di confine, ai furti campestri, alle liti tra coloni, garantivano il pagamento delle rendite conferendo un illimitato potere d’intervento. Ma anche i compiti di protezione avevano un’importanza da non sottovalutare: il nobile non si preoccupava soltanto dell’impiego di tutti i contadini del villaggio, ma si dedicava spesso a curare la sanità morale dei suoi sottoposti, e si preoccupava dell’alleviamento della povertà con iniziative di tipo caritativo, in una sorta di mutuo scambio rendita-protezione non sempre presente, ma dotato di un peso non irrilevante. I coloni avevano oneri economici verso il signore, canoni d’affitto e “diritti signorili”, ma tentavano molto spesso in tutto il continente europeo di rendere le terre in uso un loro possesso assoluto provocando numerosi conflitti sociali dagli esiti alterni, ma spesso sostanzialmente favorevoli alla signoria.
Si tratta di una tendenza inevitabile visto che in sostanza l’unico carattere peculiare della nobiltà era la ricchezza e dunque i nobili non potevano certo lasciarsi sfuggire una delle due fonti di denaro liquido più importanti, gli affitti di terre che furono pagati prevalentemente in denaro soprattutto dal XVII secolo in poi,; ma sulla formazione delle ricchezze pesavano altrettanto le concessioni regie, regalie, pensioni, e diritti esclusivi di sfruttamento di beni che erano prerogativa regia. Quest’ultima risorsa economica era effetto del peso politico costantemente crescente delle monarchie e faceva sì che gli aristocratici avessero un forte interesse a trascorrere una parte considerevole del proprio tempo alle corti, (Lontra, Vienna, Parigi e Madrid le più importanti) sedi del potere e soprattutto, della protezione regia: i sovrani concedevano, talvolta vendevano, terre, cariche ufficiali lucrose, privilegi commerciali, appalti di riscossione d’imposte, per cui era conveniente al nobile assentarsi dalle proprie terre per catturare le buone occasioni che si presentassero durante la permanenza a corte.
I possessi fondiari sfruttarono inoltre anche le attività possibili per l’aristocrazia: al di là del fatto che “sporcarsi le mani” con i lavori agricoli non fosse ritenuto disonorevole per un nobile, l’interesse di coloro, ed erano numerosi, che all’epoca si occupavano delle attività degne o indegne dell’uomo nobile, si incentrò sul commercio e sulle attività imprenditoriali non agricole. Soprattutto queste ultime suscitarono un forte interesse da parte di nobili che nelle proprie terre potevano contare su risorse come legname, metalli e vari tipi di miniere, che potevano meritare investimenti dai quali ricavare un adeguato ritorno economico. La questione del commercio fu invece molto più difficile da affrontare a causa dei radicati e spesso insopprimibili pregiudizi relativi alla “mercatura”, che era considerata, soprattutto in area mediterranea, nella prima età moderna un’attività indegna di un uomo di alto lignaggio, che rischiava la derogeance, ovvero la perdita di status nobiliare.
Tuttavia, come sottolineano diversi studiosi ad abbattere i pregiudizi anche verso le attività commerciali contribuirono soprattutto due fattori. Il primo e più importante fu il vivo desiderio dei nuovi nobili, arricchitisi attraverso il libero mercato, di continuare a dedicarsi ai traffici anche dopo aver ottenuto il titolo; il secondo fu l’interesse dello Stato a indirizzare verso il commercio e l’industria le ingenti risorse dell’aristocrazia, spesso immobilizzate e quindi incapaci di produrre ulteriore ricchezza a meno che non fossero state instradate verso l’impiego produttivo o i traffici commerciali. Di fatto, dedicarsi al commercio per gli aristocratici non fu più considerato un disonore, e nella pionieristica Inghilterra i nobili sfruttarono le miniere presenti nelle proprie terre come imprenditori, sia, spesso contestualmente, come grandi organizzatori di traffici commerciali. Questo fermo restando che dappertutto in Europa il vero fondamento del patrimonio nobiliare rimase il bene immobile.
Essere nobili: incertezze e costi.
Si è accennato sopra ai nuovi nobili, che i re crearono con motivazioni diverse, necessità economiche o bisogno di adeguati sostegni politici, e in questo caso la nobilitazione avveniva per mezzo di patenti. Spesso, tuttavia, la nobilitazione fu la conseguenza automatica della prestazione di servizi statali di tipo perlopiù amministrativo e finanziario. Di fronte a questa nobiltà di ultimi arrivati e “di toga”, l’aristocrazia eterogenica di origine medievale reagì ribadendo che la fera e nobiltà era un fatto di sangue, non di nobilitazione: “il re poteva creare un nobile, non un gentiluomo”, secondo un’affermazione diffusa nella mentalità aristocratica del XVI secolo e nella pubblicistica nobiliare, allora molto diffusa.
I problemi della nobiltà “di stirpe” non restavano soltanto nelle questioni “genetiche”, ma erano anche di natura meramente economica. Essere nobili comportava una serie di consumi di “status”, per cui “l’apparire” nobili era altrettanto importante che esserlo in effetti: avere una servitù ed un seguito “clientelare” consistenti, dare feste e ricevimenti all’altezza, allestire carrozze lussuose e costruire residenze degne comportava spese ingenti, che assorbivano parti importanti del patrimonio.
Quest’ultimo, come esposto sopra, trovava la propria origine nella proprietà fondiaria, ed è ovvio come dai suoi rendimenti e dagli affitti dipendesse la vita e l’ostentazione di status degli aristocratici. Tra Cinquecento e Seicento l’aumento dei costi dei beni primari e di quelli che possiamo definire “ostentativi”, cioè capaci di evidenziare la condizione nobiliare, un aumento dovuto all’inflazione, mise in serie difficoltà l’aristocrazia, soprattutto nel  momento in cui la proprietà diretta, la cosiddetta riserva signorile, e le terre affittate non riuscivano a compensare adeguatamente uscite sempre più rilevanti: sia la grande nobiltà, sia quella minore (la distinzione riguarda essenzialmente la quantità della proprietà fondiaria e del potere sociale detenuto) furono coinvolte in fenomeni quali l’indebitamente e, fatto simbolicamente ed economicamente importante, la vendita di terre.
Ad approfittarne furono talvolta la borghesia manifatturiera e mercantile, che aspirava a conquistare uno status “aristocratico”, come in Italia; talvolta, invece, acquisì importanza la piccola nobiltà di campagna come la gentry inglese, una classe sociale particolarissima che ebbe un ruolo molto incisivo nello sviluppo civile ed economico che fece dell’Inghilterra la superpotenza mondiale dei secoli dal XVII al XIX.
In conclusione possiamo affermare come la nobiltà, in generale, nel corso dei secoli dal XVI al XVIII vide diminuire la sua incisività politica e allargarsi i propri confini sociali, ma senza perdere la sua rilevanza sociale. I monarchi impegnati ad affermare il proprio potere ridussero l’importanza militare dell’aristocrazia formando eserciti nazionali a cui trasferire “il monopolio della violenza”, e nei quali comunque la presenza di aristocratici fu rilevante.
La costruzione di una burocrazia di stato da parte dei sovrani, decisi ad avere un controllo più ristretto e capillare di persone e territori delegando sempre meno il potere, vide l’assunzione nei ranghi amministrativi di non nobili, esperti di diritto e vincolati da maggiore fedeltà al sovrano ed allo stato. Questo non avvenne senza resistenze nobiliari, come dimostrò emblematicamente il movimento della “Fronda” in Francia (metà del Seicento, durante il governo di Mazzarino). Tuttavia, elemento da non sottovalutare, la nobilitazione era la condizione inevitabile per accedere alle cariche più alte, e questo perché esse comportavano una rilevante assunzione di autorità: Infine, con gradualità i nobili dovettero adeguarsi all’obbedienza delle leggi, per quanto in pratica la legalità poteva essere rispettata solo se i nobili si adattavano psicologicamente alla crescente autorità della corona.
Per quanto resistenze all’accentramento dei poteri vi fossero, l’istinto di sopravvivenza della nobiltà di fronte all’afferMarsi del potere regio fece in modo che si verificasse un modus vivendi soddisfacente, per l’adattamento alla fedeltà al sovrano dei nobili venne compensata adeguatamente dal primo: con la tutela dello status nobiliare, che poteva essere creato solo dal sovrano, tanto che in Francia e Spagna gli usurpatori di titoli vennero fortemente puniti; con la concessione di pensioni per i nobili a rischio di povertà; con la tutela giuridica della proprietà nobiliare, che sovente godette do esenzione fiscale. In sostanza, nobiltà e autorità continuarono ad essere concetti coincidenti.

(Estratto da: “La nobiltà nell’età moderna: strutture, privilegi e poteri” di Giorgio Scudeletti).