giovedì 31 ottobre 2013

Editto del vescovo Francesco Bossi in merito all'obbligo dei curati di visitare gli infermi e confessarli

Gli editti di mons. Francesco Bossi[1], vescovo di Novara, emanati nel 1581 in osservanza della bolla pontificia di Pio V del 1566 a integrazione di una precedente bolla di Innocenzo III, avevano lo scopo di regolamentare l’assistenza spirituale da prestarsi da parte dei curati agli infermi.
Partendo dal presupposto che la salute dell’anima era più importante di quella del corpo si faceva obbligo a tutti i medici di sincerarsi che l’infermo, ancor prima di ricevere le cure mediche, si fosse debitamente confessato.
Essa stabiliva che tutti i medici chiamati per curare infermi che giacevano a letto dovessero avvisarli che avevano l’obbligo di confessarsi e, trascorso il termine di tre giorni senza aver avuto per iscritto la fede dell’adempimento di tale ordinazione da parte del confessore, dovessero sospendere le medicazioni.
Per questo si esortavano anche i parenti dell’ammalato ad avvisare il curato e, insieme, indurlo alla confessione che, comunque, spettava in ordine gerarchico di essere appurata da parte dei medici, comminando ai trasgressori il titolo di infami, la privazione della loro professione, la cancellazione dall’albo dei medici e la pena pecuniaria stabilita dall’Ordinario del luogo dove avevano disubbidito.
A tale scopo ogni Università non avrebbe potuto addottorare in medicina se prima il candidato non avesse prestato giuramento di osservare le prescrizioni papali alla presenza di un notaio e dei testimoni e di tale giuramento si sarebbe fatto riferimento nel diploma di laurea, comminando all’Università in caso di  trasgressione la privazione della facoltà di addottorare.
Comandava Sua Santità a tutti i Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi di dare pubblicità nelle loro diocesi di queste prescrizioni affinché i medici già abilitati alla professione prestassero il dovuto giuramento. Chi non avesse prestato giuramento o fosse andato contro il giuramento prestato sarebbe stato privato della professione e il Vescovo gli avrebbe interdetto persino l’ingresso in chiesa finché non si fosse emendato.
L’editto del vescovo Francesco Bossi entra più nel merito dell’obbligo che hanno i curati di visitare i loro parrocchiani infermi per non far mancare loro i santi Sacramenti e gli altri aiuti spirituali, ordinati da Santa Romana Chiesa come conseguenza della trascuratezza dei parenti nell’avvisare il curato o per diniego dello stesso ammalato.


Stemma del vescovo Francesco Bossi.


[1] FRANCESCO BOSSI. Milanese, nato tra il 1525 e il 1530. Nel 1564 fu governatore di Perugina e il 2 agosto 1568 fu nominato vescovo di Gravina; Il 5 maggio 1574 fu trasferito a Perugia; quindi per volere di Carlo Borromeo il 21 ottobre 1579 fu chiamato alla diocesi di Novara (92° della serie). Durante questo episcopato espletò il mandato di visitatore apostolico a Borgo San Donnino (1580), a Genova 1582, a Lodi (1583). Morì il 18 settembre 1584 e Carlo Borromeo ne tessé l'elogio funebre. Fu sepolto in cattedrale.

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