lunedì 21 ottobre 2013

La nobiltà e il mondo rurale


La nobiltà non può venir concepita al di fuori del mondo rurale, e questo in misura forse maggiore che per qualsiasi altro ordine, stato, corpo o classe: senza il mondo rurale essa non esisterebbe; è dal mondo rurale che essa trae la quasi totalità del suo alimento.
La particella, preposizione che unisce il nome vero e proprio, cioè quello di battesimo, al “soprannome”, divenuto successivamente il patronimico, esprime generalmente l’origine geografica della famiglia. (De Ligurnetto, De Luino, De Domiossula, ecc).
Bisogna inoltre sapere che i veri titoli (da quello di barone a quello di duca) appartengono alla terra e non agli uomini, e che può esserne rivestito solo un maschio per ogni generazione. Vero è che certi titolo di convenienza – specie quello di marchese – furono venduti, o quantomeno tollerati per “cortesia”, soprattutto a partire dal regno di Luigi XIV, che a tutto dette un prezzo e che seguì una politica coerentemente antinobiliare.
Nel linguaggio corrente il gran signore era sicuramente persona di antica ed incontestabile nobiltà, agiata e potente. Ma il possesso di una signoria non costituiva giuridicamente, o quantomeno non costituiva più, un segno di nobiltà, dal momento che una signoria poteva venir acquistata con formalità non diverse da quelle che regolavano l’affitto di ogni altro bene. Ciò nonostante, una serie di vivissimi ricordi legavano la nobiltà al possesso di grandi domini su cui essa esercitava diritti di considerevole importanza, quali ad esempio la giustizia. E questa ideologia faceva sì che l’acquisizione di una signoria restasse, per un buon borghese, una delle vie per porsi nei ranghi della nobiltà, o almeno per dar l’impressione di esservi.
Il significato del termine “feudo” appare chiarissimo nei lavori dei medievalisti; ma sotto l’ancien règime esso assume connotazioni di straordinaria nebulosità, che neppure i migliori giuristi riuscivano a dissipare.
Nel linguaggio corrente, feudo è un semplice sinonimo di signoria, pure esprimendo di preferenza la parte centrale della signoria, cioè la riserva, il domaine del signore.
I legami che la nobiltà aveva con la terra, da cui traeva i suoi diversi tipi di rendita, costituiscono uno degli elementi strutturali della sua natura: ma in misura sempre minore, perché come abbiamo visto i nobili si allontano dalla terra e viceversa; ad approfittarne furono spesso padroni o anche signori direttamente provenienti dalla ricca borghesia: Questo rapporto, antico ed ancor vivo, fra nobiltà e terra, non deve dunque suscitare illusioni: non è provato che i nobili fossero signori della maggior parte delle terre, ed è certo che quelle effettivamente in loro possesso non raggiungevano un terzo del totale. La classe terriera per eccellenza – la classe proprietaria di tutti quei fazzoletti di terra che, sommati, sono più che tutte le proprietà nobiliari – resta sempre la classe contadina[1].
La nobiltà è trasmissibile “col ventre” la donna può essere di comune condizione: a rendere nobili i figli basta il marito. Si tratta di un principio costantemente applicato, che renderà estremamente vantaggiose le “concimazioni”, ovvero i matrimoni fra nobili poveri e borghesi dalla ricca dote.
L’antichità della razza rappresenta dunque un fatto essenziale, vuoi per gli stessi nobili, vuoi per la legislazione nel suo complesso. Ma come esibirne le prove? E’ evidente che nessuna famiglia può vantare il possesso di documenti risalenti al tempo dei Franchi, e spesso neppure a quello delle crociate. Per “provare” si distinguono abitualmente tre casi:
  1. certe grandi e potenti famiglie, di numero assai limitato, non ebbero mai la necessità di esibire prove di sorta, essendo la loro nobiltà riconosciuta “da tempo immemorabile”, come si soleva dire.
  2. Certe famiglie meno illustri o meno potenti possono trovarsi nella necessità di “provare”. Queste prove vengono richieste dal re e si rendono necessarie per ottenere una carica riservata ai nobili: a corte, nell’esercito o nell’Ordine di Malta. Si “prova” solo tramite documenti scritti, autentici, emanati da autorità riconosciute. Sentenze giudiziarie, atti notarili, atti reali o atti parrocchiali, che devono di solito abbracciare l’arco di tre generazioni o quello di un secolo. Questi atti devono provare che la famiglia ha vissuto senza derogare alla propria nobiltà, servendo il re ed assumendo sempre gli appellativi nobili propri della provincia. In tal caso la continuità legittima della “razza” nell’arco di un secolo risulta allora accertata.
  3. Il terzo caso è il più semplice, e col tempo diviene il più frequente: la razza è giovane poiché la famiglia è stata creata, con atto del sovrano, che è l’unico a possedere il diritto di fare nuovi nobili. Veniva così a costituirsi una nobiltà che gli antichi giuristi definivano “moderna” in opposizione alla nobiltà che vantava origini lontane ma sconosciute: la nobiltà “antica”




[1] A me non sembra esatto, poiché il secondo grande proprietario di Azzate è la Chiesa!

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