lunedì 14 ottobre 2013


La pala di Callisto Piazza 
di Gustavo Frizzoni.

Di un’opera pregevole da collocare nel novero degli splendidi prodotti della pittura veneta ci è grato dare ragguaglio in questo luogo, come di altro fra i tesori artistici onde può andare superba la provincia di Como. Il considerarla appartenente alla scuola veneta non vorrà esserci impugnato da alcuno quando sia ammesso che la scuola cui un artista va ascritto non si desume tanto dal luogo di sua nascita, quanto dagli esempi ai quali attinse e ch’egli in massima seguì nella pratica del suo magistero.
La pala di Callisto Piazza nella Parrocchiale di Azzate infatti ci offre chiaramente impresse le note caratteristiche di quella scuola di focosi coloristi che fiorì in Brescia nella prima metà del decimo sesto secolo sotto gli auspici della veneta repubblica.
Ma prima di anticipare ogni altro apprezzamento dobbiamo osservare che il paese di Azzate, comune situato in Val di Bodio, è a sinistra della linea ferroviaria che mette da Gallarate a Varese, a due chilometri circa dalla stazione di Gazzada.
La riguardevole pala d’altare della parrocchiale, larga ben oltre due metri ed alta quasi quattro, venne commessa grazie alla munificenza del senatore Egidio Bossi (appartenete ad una diramazione dell’antica famiglia patrizia dei Bossi di Milano e signora di tutta la Val di Bodio)[1] risultando cioè irrefragabilmente dalla iscrizione dedicatoria appostavi superiormente. “Aegidii Bossii Senatori Munus”.
Il tenore della medesima ci venne gentilmente comunicato dal parroco di Azzate poiché oggidì più non si vede, trovandosi il quadro presentemente ricoverato senza cornice in una stanza parrocchiale mentre vennero praticati dei restauri nella chiesa[2], dove giova sperare abbia a ritrovare quando che non sia un posto degno di tanta opera.
Rappresenta la medesima nel mezzo la Beata Vergine seduta con divin Putto sulle ginocchia in atto di celebrare le mistiche nozze con S. Caterina che se ne sta ritta accanto a lui (presa di tre quarti), ricevendone l’anello.
Dal lato opposto, cioè da destra si presenta del pari ritto in piedi S. Gerolamo che si batte il petto in segno di penitenza.
Sotto la S. Caterina poi vedesi genuflesso di profilo a figura intera, vestito di larga zimarra nera foderata di pelliccia, il devoto Egidio Bossi.
In alto due angioletti reggono una cortina dietro il seggio della Vergine. Il fondo infine è costituito da architettura e da paesaggio, pittoricamente concepiti.
Né trascurò l’autore di apporvi il proprio nome leggibile sopra un fusto di colonna spezzata a piede del S. Gerolamo l’iscrizione: “Calistus faciebat 1542”.
Il dipinto eseguito su tela è, come si disse, di un mirabile splendore. L’effetto delle carni vi spicca per certa straordinaria lucentezza di colorito ch’è tutta sua e del suo vero maestro Gerolamo Romanino.
Nella giovanile S. Caterina si ravvisa il solito suo tipo di sante dalle fattezze regolari e corrette.
La Vergine e i putti a vero dire accusano palesemente l’età meno fresca dell’autore nella quale egli si fa sensibilmente convenzionale e mancante d’intima espressione. Ch’egli invece fosse sempre valente come ritrattista dal vero lo mostra la figura parlante del nobile committente rivolto a mani giunte verso la Vergine. Anche in tale qualità egli si dimostrò degno del maestro come del resto meglio prova il bellissimo ritratto di Lodovico Vistarini, pieno di vigore e di vita che si ammira nella Galleria di Brera.
Ma la figura più magistralmente dipinta nel quadro di Azzate è quella del vecchio S. Gerolamo il cui aspetto venerando ed ascetico gli conferisce tutto ciò che si può immaginare di più confacente agli intendimenti pittorici dell’artista.
Il dipinto nel suo complesso si può dire abbastanza ben conservato, benché del restauro operatovi circa una ventina d’anni or sono[3] veggansi delle tracce, massime nella figura di S. Caterina, che non sono del tutto irreprensibili.
In che relazione avessero poi a trovarsi con la pala due mezze figure di Apostoli dipinte dal medesimo su legno, di limitate dimensioni, ora staccate, non saprei giudicarlo. Certo è peccato ch’esse siano state eccessivamente ritoccate dal restauratore, sicché il loro originario aspetto appare come velato da mano estranea.
Tornando al dipinto principale dobbiamo dire che ciò che gli dà un prestigio speciale ed un interesse storico monumentale è la presenza dell’immagine del committente, dall’aspetto altamente grave e dignitoso. Per quanto grande ed attraente si voglia il valore di un’opera d’arte in sé stessa, è certo che ogni particolare storico che vi si riferisce giova ad aggiungere maggiore rilievo all’interesse ch’essa per avventura suscita in noi. Nel caso nostro sorge spontaneo il desiderio di trovare qualche ragguaglio intorno al devoto senatore da illustrare l’effigie tramandataci dall’ingegnoso pittore.
Questi infatti non mancano: e noi professiamo qui la nostra riconoscenza a chi volle liberamente darcene indicazione, vale a dire al dottissimo cav. Federico Odorici, il continuatore dell’ingente impresa del Litta intorno alle “Celebri famiglie italiane”. Egli sta preparando per le stampe la storia genealogica della famiglia Bossi.
Nella tavola che si riferisce ai conti Bossi di Azzate fa menzione del nostro Egidio mercè le notizie fornite da parecchi scrittori, in ispecie dal Mazzuchelli nella storia intitolata “Gli scrittori d’Italia”[4].
(…) Di certo il Nessi s’inganna se crede di ravvisare nel ritratto di Azzate del celebre bergamasco Gio. Battista Moroni, che sarebbe quasi un innesto sopra una pittura del Piazza.
Anzitutto è più che probabile che fra i due pittori non abbia esistito alcun rapporto, dovendosi ammettere una notevole differenza di età fra l’uno e l’altro cioè ritenere il Moroni di un quarto di secolo circa più giovane di Callisto; di più è ad ogni modo incontrovertibile essere la figura del devoto nel noto dipinto eseguita dalla stessa mano che fece tutto il resto, Infine giova notare che mentre nel 1542, data del quadro, il Piazza si trovava da circa venti anni inoltrato nella pratica dell’arte, non ve ne è alcuna del Moroni che accenna ad epoca per lui così precoce.
Del pittore lodigiano abbiamo a dire ch’egli, nato approsimativamente attorno al 1500, si recò giovinetto a Brescia e vi si fece il più valente discepolo di Gerolamo Romanino, come dimostrano parecchie sue opere in quella città, e fra le altre uno stendardo ora nella Comunale Tosi che si distingue per bellissimi ritratti di devoti. (nella Galleria Tosi in Brescia vi è pure di lui una tela a tempera con una Natività assai graziosa datata 1524 e tutta nella maniera del maestro).
Per le chiese della Val Camonica egli ebbe ad eseguire di poi parecchie pale.
Morto il padre nel 1539, fece ritorno a Lodi e vi stette parecchi anni dipingendo nella Chiesa di S. Bassiano e in quella dell’Incoronata tavole e tele che meritano encomio per il colore e la vivezza delle tinte[5].
Nei suoi ultimi anni noi lo troviamo a Milano occupato in vasta impresa di pittura, quali furono la parziale decorazione interna della classica Chiesa del Monastero Maggiore, per parte sua iniziata fino dal 1544 e l’esteso affresco del refettorio del convento di S. Ambrogio, rappresentante la cena di Cana che vedesi ora trasportato sopra una parete dello scalone della Biblioteca di Brera.
I tre quadri di lui che stanno esposti nella Galleria di Brera appartengono all’età più fresca, in ispecie il già lodato ritratto Vistarini e la tavola della Madonna coi S. Gerolamo e Giovanni battista e con un putto bellissimo che sta seduto per terra a suonare il mandolino.
Crediamo poi dovergli rivendicare qui una tela nella sala X n. 422 del catalogo di Brera attribuita al cremasco Carlo Urbino. Vi è rappresentato il battesimo di Cristo nel Giordano, con vasto fondo di paesaggio. Tutto vi accusa i suoi tratti individuali come pittore, mostrandone tanto i pregi quanto i difetti, cioè un certo rigore di disegno non comune pel tempo relativamente avanzato unito al lucente colorito, che ha tuttavia qualcosa di eccessivo negli effetti delle tinte rossastre delle quali egli suole spesso abusare.
Ben più debole e mancante di stile è l’Urbino, come può vedersi a Crema nelle sue opere autentiche.
Ma di ciò basti in questo luogo; volendo noi precipuamente dedurre dalle cose suesposte a qual periodo della vita del pittore appartenga il quadro di Azzate.
Crediamo pertanto aversi a ritenere commesso dal Bossi al sullodato artista al tempo di una comune loro dimora a Milano, che avrà dato ad essi l’occasione di conoscersi e d’intendersi in proposito, non essendo cosa insolita neanche a quei tempi che venissero spediti ragguardevoli dipinti (principalmente tele) anche a maggiori distanze di quanto importi quella da Milano ad Azzate.
E con ciò eccoci chiarita la grata sorpresa arrecata dalla presenza in territorio varesino di un’opera riflettente in modo così distinto le splendide tradizioni dell’arte veneta.
Noi facciamo voti perché il vanto di possederla sia serbato sempre al campestre paesello pel quale dall’origine fu destinata, sperando che anche colà non vengano meno interamente gli animo capaci di apprezzare beni superiori a quelli del materiale interesse.
Nello stesso tempo però ci sta a cuore che coloro cui è affidata la cura del monumento prezioso non pecchino per eccessivo zelo con voler per avventura sottoporlo alla prova di ulteriori restauri, che mentre non ci sembrano necessari per la conservazione del dipinto, ove venga collocato in luogo ben acconcio, potrebbe invece facilmente recare maggiore danno alla sua primitiva costituzione, inconveniente che purtroppo verificasi già consumato in si gran numero di opere di pittura, in specie di scuola veneta, che come ognuno sa si è la più delicata e la più difficile ad uscire illesa dalla mani dei restauratori.
                             Gustavo Frizzoni[6]



In merito alla sua collocazione non abbiamo trovato alcuna notizia precisa, ma sembra fuori discussione che fosse stata commissionata per un altare dell’Oratorio di S. Antonio di cui i Bossi erano i patroni.
A rigore di logica non doveva essere stata destinata per l’altare principale, in quanto l’intera abside era affrescata e un quadro di tali dimensioni ne avrebbe notevolmente ridotto la vista. Quindi si suppone che dovesse ornare un altare secondario, probabilmente situato nella parte destra dell’oratorio, e questo sembra essere suffragato dal fatto che una trentina di anni fa si scorgevano ancora i resti di esso, poi scomparsi dopo la diversa destinazione che subì l’oratorio[7].
Il Frizzoni afferma essere la pala d’altare larga più di due metri ed alta quasi quattro, mentre le attuali misure sono di 1.60 x 3.40
Tutto fa supporre che durante il restauro l’opera sia stata ridotta. Infatti nella parte superiore è scomparsa la dedica e in basso a destra manca un pezzo della zimarra del senatore Egidio Bossi.
Detto restauro deve essere stato eseguito prima del 1881 in quanto in una litografia di Pasquale Moroni pubblicata dal Bizzozero nel volume “bellezze artistiche nel territorio Varesino” la pala ci appare nelle dimensioni attuali, quantunque nella descrizione sia riportato, non si capisce perché, che le dimensioni sono di oltre due metri per quattro.
Non si può pensare che tali misure si riferiscano a tutto un insieme che racchiudesse anche due tavole degli Apostoli, dato che il Frizzoni ne prese visione quando il dipinto era senza cornice e lui stesso affermi non sapersi spiegare in che relazione esse fossero con la pala.
Nel volume su citato è pure riportata la litografia dell’Angelo musico del Morazzone, del quale gli Azzatesi si sono sempre sentiti fieri; ma la sua paternità sembra ora essere messa in dubbio. Infatti nel catalogo della mostra del Morazzone tenutasi a Varese bel 1962 l’opera viene classificata tra quelle “erroneamente attribuite” e vi si dice essere di uno scolaro.
A proposito delle due tavole degli Apostoli, poi, come riuscisse ad affermare l’allora parroco di Azzate don …. nel Cronico che si trattasse di due dipinti ad olio su tela in cornici antiche, rimane ancora da spiegare. La cornice che ora racchiude la pala, evidentemente, non è quella originaria ed è opera di …





                                       CALISTO PIAZZA

Figlio di Martino (nato nel 1500 circa) fu addestrato nella pittura da maestri bresciani: le sue prime opere cioè la Visitazione (1521) e la Natività (1524) si trovano a Brescia in S. Maria Calchera e nella Galleria Tosio e sentono qualche influsso del Moretto; ma il suo vero e diretto maestro fu il Romanino; con esso Calisto frescò le chiese della Val Camonica a Breno ed Esino (1527) e dipinse una pala a Cividate con la Vergine in trono; tornato in patria assunse l’incarico di completare il trittico di S. Bovo in duomo, lasciato incompiuto dallo zio Albertino (1529); l’anno dopo iniziò la Cappella di S. Giovanni Battista nell’Incoronata facendovi la tela centrale ed i quattro quadri laterali, una delle opere più belle di Calisto; del 1533 è la tela dell’Assunzione nella Chiesa Maggiore di Codogno; nel 1534 intraprendeva nell’Incoronata quattro tavole e la grande tela della Cappella del Crocefisso, opera meno corretta della precedente e nel 1535 la tela colla Madonna ed i Santi nella Chiesa della Trinità in Crema e, tra il 35 ed il 42, tre altre tele dello stesso soggetto: una per l’altare Leccami in Lodi, una per la Chiesa di Azzate e la terza per quello di Abbadia Cerreto.
Calisto fu più abile e slanciato negli affreschi: suoi sono quelli ornamentali dell’Incoronata e della Chiesa di S. Celso in Milano; la vastissima scena delle nozze di Cana, compiuta nel 1545, ora sullo scalone della Braidense; gli affreschi nella Chiesa di Dovera; negli ultimi anni l’opera di Calisto è alquanto trasandata come dimostrano la cappella di S. Antonio nell’Incoronata di Lodi, una gran tela compiuta nel 1550 per la cattedrale di Alessandria con S. Pietro in trono, la conversione di S. Paolo (Incoronata di Lodi) del 1552; di Calisto è pure il ritratto del veneto cardinale Grimani che orna la grande pinacoteca di Torino.
Calisto morì nel 1561 o 62.



                     

Questa pala d’altare di scuola veneta, dipinta nel 1542 da Callisto Piazza da Lodi, attualmente conservata nella Chiesa Parrocchiale della Natività di Maria Vergine di Azzate, ci dà lo spunto per una trattazione che farà riferimento a due entità strettamente collegate fra di loro; un paese in provincia di Varese ed una famiglia che in esso abitò: AZZATE e i BOSSI.
Assumeremo il XVI secolo come punto di riferimento della nostra trattazione, poiché esso si trova a metà strada di quell’arco di storia che siamo riusciti a ricostruire.
La pala che ora si presenta larga ben oltre due metri ed alta quasi quattro, venne commissionata grazie alla munificenza del senatore Egidio Bossi che vediamo ritratto nella stessa in basso a destra, di profilo, con le mani giunte ed inginocchiato.
Purtroppo l’iscrizione dedicatoria che era apposta nella parte superiore della pala Aegidii Bossii senatori munus è andata persa in seguito ad un restauro che ne ha diminuito le dimensioni.
Al centro è rappresentata la Vergine col Bambino sulle ginocchia in atto  di celebrare le mistiche nozze con S. Caterina d’Alessandria che se ne sta ritta accanto a lui, presa di tre quarti, ricevendone l’anello.


Dal lato opposto è rappresentato S. Gerolamo che si batte il petto in segno di penitenza.
In alto due angioletti reggono una cortina dietro il seggio della Vergine, mentre il fondo è costituito da architettura e da paesaggio pittoricamente concepiti.


                                              
Sul fusto di colonna spezzata ai piedi del S. Gerolamo, l’autore dipinse il suo nome e la data Calistus faciebat 1542.


                                           
Nella giovanile S. Caterina si ravvisa la solita tipologia di sante dell’artista lodigiano con fattezze regolati e corrette.

La Vergine ed i putti, invece, accusano palesemente l’età meno fresca dell’autore nella quale egli si fa sensibilmente convenzionale r mancante d’intima espressione.

Ch’egli, invece, fosse sempre valente come ritrattista dal vero lo mostra la figura parlante del nobile committente – il senatore Egidio Bossi – dimostrandosi degno del suo maestro Gerolamo Romanino.
Ma la figura più magistralmente dipinta è quella del vecchio S. Gerolamo il cui aspetto venerando ed ascetico gli conferisce tutto ciò che si può immaginare di più confacente agli intendimenti pittorici dell’artista e l’effetto delle carni vi spicca per certa straordinaria lucentezza di colorito che è tutta del Piazza e del Romanino.




Azzate da un buon esempio per la conservazione di opere d’arte[8].


Uno dei più importanti dipinti che ornano le chiese del varesotto è certamente la tela di Calisto Piazza da Lodi raffigurante lo Sposalizio di S. Caterina davanti ad un delizioso sfondo di paesaggio.
Il dipinto, firmato dall’insigne maestro, che fu illustre allievo del Tiziano, porta la data del 1542 e venne eseguito per incarico della nobile famiglia Bossi e destinato alla chiesa di Azzate ove ancora trovasi in condizioni tutt’altro che buone.
Sia per l’umidità sofferta in tempi passati, sia per difetti d’origine, sia per ripuliture mal eseguite, il colore si stacca e cade in piccole particelle lasciando scoperta la tela con evidente danno che trascurato può diventare, in futuro, irreparabile. Di fronte a così grande ed imminente pericolo, il parroco di Azzate don Enrico Baggioli, coadiuvato anche dalla Fabbriceria, con una decisione che altamente lo onora, ha pensato di nominare una Commissione composta dai maggiorenti del paese, affinché provvedesse al delicato ufficio di restaurare coscienziosamente il prezioso quadro.
La Commissione, a quanto ci consta, si accingerà tosto all’opera, ed oltre al quadro del Piazza, farà rivivere nel loro primitivo splendore anche il S. Gerolamo del Salvator Rosa e la bella pittura che rappresenta il paese di Azzate protetto da S. Carlo e S. Andrea, dipinto di una importanza speciale per la riproduzione ben definita del vecchio paese. La notizia dei progettati restauri sarà accolta con piacere da quanti amano conservare il patrimonio artistico della regione varesina, ed auguriamo che l’esempio di Azzate abbia a trovare molti imitatori specialmente fra le Fabbricerie le quali avendo sovente in custodia importanti opere d’arte, devono degnamente conservarle all’ammirazione nostra.






[1] Cfr. MORIGGIA, Historia dell’antichità di Milano, pag. 476.
[2] Si riferisce all’ampliamento delle due navate laterali?
[3] Si riferisce ai restauri per i quali si richiede un pubblico contributo?
[4] Vedi volume II pagina 1849.
[5] Vedi Hystory of painting in North Italy, volume II pagina 434).
[6] Se ne conserva copia anche presso L’Archivio Parrocchiale di Azzate. Un riassunto del Frizioni viene fatto dal Bizzozero nel suo “Patrimonio artistico della provincia di Varese”.
[7] Laboratorio di falegnameria.
[8]  Estratto da: La Cronaca Prealpina del 21 aprile 1911.

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