martedì 8 ottobre 2013

La storia dei Bossi più vicini a noi.



Il parroco di Azzate don Luigi Redaelli il 24 Aprile 1884 rilascia un confesso per aver ricevuto lire 58 a compenso dei funerali del nobile Giacomo Bossi, deceduto in Azzate tre giorni prima.
Dal registro dei morti del Comune di Azzate ricaviamo questa attestazione: “22 Aprile 1884. Sono comparsi il nobile conte Luigi Bossi di anni 48 pensionato domiciliato ad Azzate e Bossi nobile Gaetano di anni 67 pensionato domiciliato in Azzate i quali mi hanno dichiarato che a ore pomeridiane 8 di ieri nella casa posta in Piazza Sant’Andrea al n. 1 è morto Bossi nob. Giacomo di anni 54[24] pensionato residente in Azzate nato a Bergamo dal fu conte Luigi già pensionato domiciliato in vita ad Azzate e dalla fu Rosa Camagni già agiata domiciliata in vita ad Azzate”.
E’ interessante notare alcuni particolari che emergono da questa attestazione. Il nobile Gaetano Bossi muore nella sua casa posta in Piazza Sant’Andrea al n. 1 che supponiamo sia l’attuale Villa Mazzocchi. Non ci era mai pervenuta la notizia che la piazza della chiesa avesse la denominazione di Piazza Sant’Andrea, probabilmente in onore dell’apostolo che è compatrono della Chiesa Parrocchiale di Azzate, e, a parte i ricordi più vicini a noi (Piazza Renato Colli e poi Piazza Giovanni XXIII), si riteneva che la piazza della chiesa fosse sempre stata chiamata in questo modo, come quando venivano chiamati al suono della campana gli abitanti di Azzate per riunirsi in assemblea pubblica. E anche quando si voleva spiegare il motivo per cui l’attuale Piazza Cairoli era detta Piazza Nuova la si metteva in contrapposizione alla piazza vecchia che era appunto la piazza della chiesa.
Un altro particolare è quello della qualifica di “pensionato” che viene attribuita al conte Luigi Bossi ed al nobile Gaetano Bossi, nonché al defunto nobile Giacomo Bossi, che in epoca antecedente sarebbero stati definiti possidentibenestanti o agiati ma che in questo caso sono qualificati come dipendenti messi a riposo con trattamento di pensione, segno inequivocabile che anche i nobili Bossi non potevano più vivere di rendita ma dovevano integrare le loro entrate con un lavoro dipendente, anche se molto qualificato, come poteva esserlo quello di ragioniere e computista dell’Imperial Regia Prefettura del Monte Lombardo Veneto  o quello di Cancelliere di Pretura.

Dalle schede personali dell’Anagrafe del Comune di Azzate estraiamo da quella del nobile Benigno Raimondo Federico Bossi figlio del fu Gaetano e della fu Maddalena Caselli altre curiose circostanze che ci aiutano a capire che la barca della nobile famiglia Bossi stava facendo acqua da tutte le parti.
Già il luogo di nascita del penultimo rampollo della casata azzatese ci mette in allarme. Non è l’antica Azzate e nemmeno l’ultima arrivata Como ma bensì Torino che con i Bossi non ha nulla da spartire. Fortunatamente il nostro don Benigno, che familiarmente era detto “Bini”, e successivamente in Azzate fu denominato “ragn” (ragno), probabilmente a causa della sua professione di agente di cambio che agli occhi della povera gente lo faceva apparire come un usuraio dal carattere arcigno, poco prima del Natale 1912 e precisamente il 20 dicembre, quando aveva la non più tenera età di 56 anni, venne iscritto nel registro della popolazione di Azzate, proveniente da Milano, dove rimase fino alla sua morte avvenuta il 28 febbraio 1943, nel bel mezzo del secondo conflitto mondiale, causata da insufficienza renale (uremia).
Ma la sua abitazione non era il Castello di Azzate, che sappiamo benissimo essere stato alienato dai suoi antenati nel 1832 e nemmeno quella che poi divenne la Villa Sala, una dimora più modesta ma ancora abbastanza decorosa, e nemmeno l’attuale Villa Mazzocchi, ma una semplice casa sulla strada che portava a Gazzada, quando ancora non era stata costruita l’attuale strada provinciale n. 17 (Via Piave), che venne schedata come n. 6 della Via per Varese e successivamente n. 1 di Via Isonzo.
Il nostro povero Benigno, che si faceva chiamare conte anche se non ne aveva diritto  poiché il titolo spettava solo al primogenito e lui, invece, era figlio di un cadetto, si era infatti invaghito di una ballerina, certa Elisa Borroni, che non fu mai accettata dalla famiglia, e quando questi dichiarò la sua intenzione di volerla sposare fu “liquidato” ed estromesso dalla famiglia, che provvide a fargli costruire una casa alla periferia del paese.
Il figliol prodigo non fece mai più ritorno alla casa paterna e le sue nozze furono allietate dalla nascita di un figlio al quale fu imposto il nome di Luigi e che si rivelò subito succube della madre poiché dotato di scarsa personalità se non addirittura poco dotato mentalmente. Questa sua caratteristica fu subito notata dagli azzatesi i quali non gli risparmiavano lazzi gratuiti e battute di ogni genere, anche perché lui si vantava di essere il figlio del conte Bossi, titolo che come abbiamo detto non gli competeva, mentre assunse a pieno diritto lo stesso soprannome del padre e fu detto Gigi ragn. A questi atti buffoneschi partecipò anche il noto poeta dialettale Paolo Magni il quale riferisce che il poverello si scherniva e diceva che “avrebbe riferito tutto alla sua mammina”.
Si sa che i giovani di allora, per dimostrare di essere veramente uomini, erano soliti frequentare le case di tolleranza e quando il Magni invitava il Gigi ragn dicendogli: “Andiamo a donne”, lui si scherniva e rispondeva: “Non posso, devo andare dalle mie zie”, alludendo alle signorine Cottalorda.
Finché vissero i genitori egli fu tenuto nel suo mondo ovattato e protetto e anche se il padre, dati i tempi, con la sua professione di agente di cambio, non poteva certo garantire alla moglie e al figlio la vita agiata cui erano abituati i suoi antenati, conduceva una vita dignitosa in compagnia dei nuovi personaggi facoltosi di Azzatesi che si erano affacciati sulla vita del paese come i Cottalorda, i Castellani ed i Collobiano.
Conserviamo alcune fotografie che ritraggono tutti questi personaggi sulla pineta fatta costruire sulla sommità del Colle di S. Quirico e una in particolare che ritrae don Benigno in compagnia del conte Filiberto Avogadro di Collobiano, nuovo proprietario del Castello di Azzate, che tengono fra le mani il piccolo Lino Ballerio detto “Cuntin”.
Don Benigno, anche se messo in ombra dalla famiglia, che ormai aveva interessi per altri luoghi, partecipò attivamente alla vita azzatese e nel 1926 fece parte del Comitato d’Onore Pro Decorazione Chiesa e Giubileo del Parroco di Azzate e offrì la somma ragguardevole di lire 100.
Il legame con il parroco don Angelo Cremona, che aveva preso possesso della parrocchia nel 1938, fu sempre molto cordiale con la famiglia Bossi ed era addirittura coetaneo con il povero (nel vero senso della parola) Gigi ragn essendo nati entrambi nel 1898.
L’ultimo dei Bossi di Azzate ottenne una piccola pensione di guerra e fu ricoverato presso l’Istituto dei Combattenti di Limbiate (?) Parabiago (?) dove don Angelo andava a prenderlo per portarlo ad Azzate e festeggiare alla Trattoria Monti, dove c’era anche il Natalino Daverio, i coscritti con un pranzo.
Fu proprio in una di queste occasioni (quindi prima del 1983) che ebbi l’opportunità di incontrarmi con lui ma la sua mente era già molto offuscata e non ebbi da lui alcuna informazione sulla sua nobile famiglia.
Il prevosto di Azzate don Angelo Cremona era stato nominato tutore di don Benigno Bossi e allo stesso era stata affidato quello che rimaneva dell’archivio di famiglia. Leggiamo infatti una sua dichiarazione in tal senso: “….


Abitavano in una casa di proprietà di una sorella di Elisa di Cassano Magnago in Via Isonzo-Via Piave con giardino che arrivava fino alla punta ove ora sorge la Cartoleria Negri. In seguito si trasferirono in Via C. Battisti in locali di proprietà della Parrocchia, accanto alla sagrestia vecchia.
Don Benigno si vantava ed era fiero di essere discendente dei conti Bossi. Marito e moglie erano attivisti del Partito Fascista e per alcuni loro atteggiamenti erano invisi ad alcune persone di Azzate.
Rimasto solo, don Luigi, dopo la morte della madre Elisa, in mancanza di parenti, per le poche cose che aveva (mobilio) venne dato incarico dal Comune (sindaco era allora il signor Magister) al Comandante delle Guardie Notturne di Varese per la vendita. (Perché non sono intervenuti i Bossi-Lampugnani?).
La sorella di Elisa Borroni disponeva di mezzi e, quando si trattò di ricoverare don Luigi Bossi, la somma necessaria venne fornita da lei (o dagli eredi). Alla sua morte il patrimonio di lei passò ad un suo nipote coll’impegno di devolverlo alla chiesa (?).
Don Luigi, in questo ricovero per ex combattenti, era assistito da una specie di attendente che lo accompagnava, per esempio, quando veniva ad Azzate a trovare i morti al Cimitero. Poi, col cambio di guardia della direzione dell’ospizio, e anche per l’aggravarsi delle sue condizioni, don Luigi venne trasferito a Mombello.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita all’Istituto Don Guanella di Barza nei pressi di Ispra.


Fu sepolto per mio interessamento nella tomba grande di famiglia, assieme al padre Benigno e alla madre Elisa che, invece, erano stati sepolti in due luoghi separati. Avendo lasciato liberi questi due posti, fu possibile al Comune di Azzate di provvedere alle spese del funerale di don Luigi e alla traslazione dei genitori nella tomba di famiglia, in modo che anche gli ultimi rappresentanti del nobile ramo dei Bossi di Azzate riposano insieme agli altri congiunti. Tutto ciò fu fatto con il benestare della famiglia Stucchi di Lurate Caccivio, eredi testamentari, degli ultimi Bossi.

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