martedì 26 gennaio 2016

BOSSI ARCANGELO - PRETE


D. Gio. Alberto Bossi f. D. Francesco f. D. Alberto f. D. Cristoforo f. D. Antonio
f. D. Beltramino f. D. Enrico f. D. Rinello f. D. Bardino f. D. Bossetto.
Notaio 1552.
Sp. Benedetta.
   |
   |--- D. Carlo Bossi
   |     Notaio, causidico 1565.
   |     Sp. Flaminia Trinchetti f. Baldassarre ex tutela 1589.
   |    
   |--- D. Gerolamo Bossi di Cocquio
   |     n. 1544
   |     J.C.C. ex tutela 1565, ex tutela 1589.
   |     Sp[1]. a Cocquio 3.6.1571 D. Maddalena Besozzi f. D. Giacomo e Lucia Rossi
   |     n. 1553
   |
   |--- D. Francesca Bossi
   |     Detiene il patronato della cappellania della Madonna e di S. Giovanni
   |     Evangelista presso l’altare di S. Giovanni Evangelista nella Chiesa di S. Maria
   |     di Azzate, che la assegna al fratello prete Arcangelo.
   |     Sp. Gio. Maria Besozzi. Ex tutela 1565.
   |
   |--- D. Lucio Bossi
   |      J.C.C.
   |
   |--- D. prete Arcangelo Bossi
   |     Cappellano del Beneficio della Madonna e di S. Giovanni Evangelista nella
   |     Parrocchiale di Azzate.
   |     Nel 1592 paga la tassa sul sale rurale di Azzate[2].
   |
   |--- D. Angela Bossi
         Sp. Francesco Bossi f. Lodovico.



Secondo la testimonianza del 1568 di Luigi Daverio, parroco di Azzate, veniamo a sapere che gli ecclesiastici abitanti in case di loro proprietà in paese sono numerosi e quasi tutti appartengono alla nobile famiglia Bossi che, come abbiamo già avuto modo di chiarire, aveva provveduto al loro mantenimento dotandoli di una cappellania.
Uno di questi è il prete Arcangelo Bossi di cui non conosciamo la paternità ma che per la corrispondenza degli anni dovrebbe essere figlio di Gio. Alberto e Benedetta del cosiddetto ramo di Tosabue che si erano trapiantati a Cocquio Trevisago.
Del matrimonio di Gerolamo, fratello di Arcangelo, con la nobile spiantata Maddalena Besozzi ci fa un bel racconto Amerigo Giorgetti che trascriviamo più avanti con il titolo “Un matrimonio per amore ovvero sposarsi con la dote”.

(Per la discendenza di Tosabue vedi File: Beltrami).

Dall’atto di collazione[3] del prete Pietro Angelo Bossi alla Cappellania di S. Antonio di Azzate registrata il 18 giugno 1636 veniamo a sapere che il nuovo investito è succeduto al prete Arcangelo Bossi, ultimo investito.

(Vedi Bossi Giovanni Donato – notaio, pubblicato il 26 gennaio 2016).



[1] Vedi file:Gerolamo9 per la questione del suo matrimonio, raccontata da Amerigo Giorgetti.
[2] Vedi documento n. 957.
[3] Conferimento degli ordini o di un beneficio ecclesiastico.

BOSSI GIOVANNI DONATO - NOTAIO


BOSSI GIOVANNI DONATO – NOTAIO

Francesco Bossi f. Donato.
Vive a Buguggiate.
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   |--- Elisabetta Bossi
   |     Abitante a Varese.
   |     Sposa Gio. Antonio Carabelli.
   |         |
   |         |
   |         |--- Francesco Carabelli
   |
   |--- prete Gio. Paolo Bossi
   |     Curato di Buguggiate, poi canonico di S. Vittore di Varese.
   |
   |--- Gio. Donato Bossi
         Notaio. Le sue abbreviature rogate in Milano dal 1481 al 1534 sono conservate
         presso A.S.Mi. e provengono dalla Curia Arcivescovile.
         Confina con il Bosco detto in Marogna.
         L’Indice Lombardi presso A.S.Mi. registra un rogito del notaio Gio. Ambrogio
         Croce q. Tommaso riguardante una sua investitura livellaria verso Giovanni
         Lombardi, avvenuta in Milano il 28 luglio 1508 sotto il n. 6957 e 6958 e rinuncia
         di ragioni verso Giacomo Incini q. Ottorino sotto il n. 6960 e 6961.
         Nel 1535 è elencato fra “Li gentiluomini qual hanno beni in Cardano et non habiteno
         in la terra suddetta”. Messer Jo. Donato Bossi; Gabriele de Cardano, ambedue
         abitano a Buguggiate.
         Istituisce la Cappellania della Madonna e di S. Giovanni Evangelista presso l’altare
         di S. Giovanni Evangelista nella Chiesa di S. Maria di Azzate.
         Sp. Margherita da Incino.
            |
            |
            |--- Agostino Bossi

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| 1581                                                                                                                        |
| Descrizione de’ Beni, giurisdizioni, fitti e rendite di ragione della Cappellania   |
| di S. Lorenzo di Azzate Pieve di Varese.                                                               |
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4. Item petia una terrae vinaae sita ut supra ubi dicitur ad Crucettam, cui coheret ad una parte eiusdem Cappellae S. Laurentii, a balia heredum quondam Jo. Donati Bossii, a balia similiter et ad alia heredum D. Francisci Bossii dicti de Gasparolo pertica rum duarum vel circa.

5. Item pretia una terrae vineae sita ut supra ubi dicitur ad Crusetum cui coheret ab una parte strata ad alia heredum prefati DS. Johannis Donati Bossii, a balia illorum de Righettis, a balia heredum quondam D. Joannis Bossii dedollae pertica rum quatuor vel circa.

13. Item petia una terrae prati sita un supra ubi dicitur ad Pratum Clausum, cui coheret ab una parte suprascriptorum heredum prefati quondam Domini Johannis dedollae, a balia Magni Georgi de Madiis dicti Premoselli, a balia suprascriptorum heredum prefati quondam Domini Donati Bossii, et ab alia suprascriptorum de Righettis pertica rum decem vel circa.


26[1]. BOSSI GIOVANNI DONATO DI FRANCESCO

† 1534 post marzo 11 - ante maggio 8.
Collocazione archivistica della documentazione: Notarile 3849 - 38703
Estremi cronologici: 1481 - 1534
Attestato negli inventari: NO 1, NO 2 - 1808 (s.d.) e 1824, NO 3, NO 10 (1509 -
1534), NO 12
Immatricolazione: laudatus ad offitium 1479 novembre 16[2].
Prima attestazione come notaio di curia: 1497[3].
Bossi Giovanni Donato di Francesco 39
9
10
1 Notarile 3870.
2 Notarile 3869, si ricava da un transunto di un atto datato 1526 set. 4.
3 Cfr. inoltre MARCORA, Ippolito d’Este, pp. 510-512.
4 Matricole Notai 15.
5 La prima attestazione della qualifica di notaio di curia risale al 15 settembre 1497 (Notarile 3850); negli anni precedenti si sottoscrive solo come notaio imperiale e apostolico (Notarile 3849, 1495 dic. 14), pur rogando già per la curia arcivescovile.
Residenza:
p. N., S. Fedele (1479)[4]
p. N., SS. Cosma e Damiano (1481[5]-1482[6])
p. N., S. Stefano in Nosiggia (1485)[7]
p. O., S. Raffaele (1491[8] - 1493[9])
p. N., S. Eusebio (1495)[10]
p. C., S. Protaso ad Monachos (1497)[11]
p. O., S. Stefano in Nosiggia (1498[12] - 1534[13])
La facultas expletandi i suoi atti è concessa a Francesco Bossi di Giovan Pietro[14] e a Giovanni Ambrogio Bossi[15]
La famiglia del Bossi è originaria dei dintorni di Varese, zona con la quale continua a mantenere un rapporto piuttosto stretto, se è vero che il padre Francesco vive a Buguggiate[16], e che permangono le relazioni, legate anche ad un legame di parentela, con i Bossi di Azzate[17].
È tuttavia a Milano che il nostro svolge la propria attività di notaio, accompagnato in un primo tempo dal fratello Giovan Paolo, che poi intraprenderà la carriera ecclesiastica[18]. Anche il Bossi è attestato come chierico tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento[19], ma evidentemente rinuncia agli ordini sacri, poiché successivamente prende moglie[20]. A parte l’esistenza di una sorella di nome Elisabetta, residente a Varese e sposa di Giovanni Antonio Carabelli[21], non si hanno altre notizie certe sul resto della sua famiglia[22].
Attestato come notaio di curia dal 1497, già da prima tuttavia ne svolge le funzioni, collaborando con i vicari arcivescovili in campo giudiziario (roga atti relativi ai processi discussi davanti a loro e spesso si reca personalmente a consegnare le citazioni in giudizio), e con i vescovi suffraganei e ausiliari, attestando le ordinazioni chiericali e sacerdotali[23]. Anzi, già nel 1492, è definito
pratichans in archiepiscopali audientia Mediolani iam multo tempore elapso, sive in curia metropolitana[24]. È possibile che in un primo tempo si affianchi al notaio Giovanni Gallarati[25], sicuramente dal 1500 ha un proprio banco nella cancelleria arcivescovile[26]. Nel prosieguo della carriera, continua ad occuparsi della stesura di atti concernenti processi, esecuzione di lettere apostoliche e ordinazioni sacre; inoltre, l’attività deve aumentare, visto che assume alcuni
scribi, che poi si avvieranno a loro volta al notariato: primo fra tutti il nipote Francesco Carabelli, e poi Ottorino da Incino[27], Giovanni Antonio de Ursonibus[28], Francesco Bossi e Luigi Medici. Tra gli atti rogati non per il tribunale diocesano la tipologia documentaria che ricorre più spesso è quella della procura, seguita dalla confessio e dalle investiture, atti dunque riguardanti per lo più questioni patrimoniali. La clientela, molto eterogenea, vede costantemente presenti monasteri femminili (soprattutto S. Maria della Stella e SS. Giacomo e Filippo, di Milano[29]) ed enti o persone residenti nel varesotto.
Dagli anni Venti del Cinquecento, si assiste ad un progressivo distacco del B. dall’ambiente della curia arcivescovile, attestato da molteplici indizi: egli roga sempre più spesso nella propria abitazione, cresce nella sua produzione la percentuale di documentazione che non riguarda la curia.... Addirittura, non è chiaro per quale motivo, alla fine del decennio lascia Milano per trasferirsi a Buguggiate, pur non dimenticando i familiari e gli affari che rimangono in città; in particolare, delega a Francesco Carabelli il compito di rappresentarlo e sbrigare le sue faccende in cancelleria arcivescovile, nonché quello, implicito, di prendersi cura della sua casa e della famiglia[30].
Un’ulteriore prova degli interessi che il Bossi ha nella zona del varesotto, dove sceglie di ritornare negli ultimi anni della sua vita, è data da un legato del suo testamento[31], mediante il quale ordina di erigere una cappellania intitolata alla Madonna e a S. Giovanni Evangelista presso l’altare di S. Giovanni Evangelista, nella chiesa di S. Maria di Azzate. Il 18 luglio 1534, i suoi eredi, ossia la vedova e usufruttuaria Margherita da Incino, e il legatario Francesco Bossi, figlio di Giovan Pietro e consanguineus del defunto, si presentano davanti al vicario arcivescovile di Milano per chiedere il permesso di eseguire le volontà del Bossi[32].
La dotazione della cappella fu costituita da diversi beni immobili, campi e vigne siti a Buguggiate, Azzate, Castronno e Gazzada[33], la cui provenienza denota, almeno in parte il desiderio di mantenere unito il patrimonio familiare: infatti, sono stati venduti al Bossi da suo fratello Giovan Paolo. In questo complesso di rendite vengono incluse anche le 10 lire imperiali legate a suo tempo da Donato Bossi, nonno paterno del Bossi, segno evidente di un legame stabile con la chiesa di Azzate. Inoltre, il diritto di patronato sul nuovo beneficio è detenuto da Francesco Bossi, il quale lo assegna al proprio fratello Arcangelo: in questo modo, come è qui ben testimoniato, il Bossi è riuscito ad assicurare ai membri della sua famiglia una possibilità di accesso facilitato alla carriera ecclesiastica, nonché un posto ragguardevole nel contesto sociale della zona circostante Varese. (Patrizia Merati)





“Lo stesso fece nel 1534 Giovanni Donato Bossi (notaio della curia arcivescovile tornato in tarda età a vivere a Buguggiate), che chiamò a succedergli nel controllo della cappella da lui fondata ad Azzate il nipote Francesco (Carabelli): poi il primogenito di lui, quindi il primogenito del primogenito, e così via ad infinitum.
Era infine sempre possibile che – in accoppiata o meno con altri criteri, come quello dell’anzianità – facesse la sua comparsa anche il merito, la personale dignità.
Prevedendo che la linea dei primogeniti si potesse spezzare, l’appena citato Gian Donato Bossi nel suo testamento lasciava scritto che nel caso i diritti sulla cappella di Azzate sarebbero toccati a due “ex dignoribus et senioribus familie Bossie”. (Famiglie e spazi sacri nella Lombardia del Rinascimento, pag. 334).


(Vedi: Bossi Arcangelo – prete, pubblicato il 26 gennaio 2016).





[1] Secondo la numerazione attribuita da “I notai della curia arcivescovile di Milano – secoli XIV-XV”.
[2] Matricole Noati 15.
[3] La prima attestazione della qualifica di notaio di curia risale al 15 settembre 1497 (Notarile 3850), negli anni precedenti si sottoscrive solo come notaio imperiale e apostolico (Notarile 3849, 1495 dicembre 14), pur rogando già per la curia arcivescovile.
[4] Matricole Notai 15.
[5] Notarile 3849, l’indicazione della residenza del notaio si trova sul verso della prima carta di un quaderno instrumentorum datato 1481-1483.
[6] Notarile 1282.
[7] Notarile 2367, 1485 agosto 14.
[8] Notarile 1292.
[9] Notarile 3849, 1493 giugno 14.
[10] Notarile 1485 luglio 7.
[11] L’indicazione si trova nell’intestazione di un quaderno instrumentorum datato 1497.
[12] Notarile 3850, 1498 agosto 9.
[13] Negli ultimi anni della sua vita, in realtà il Bossi si trasferisce a Buguggiate, ma continua a sottoscrivere con la residenza di Milano. (cfr. Notarile 3870).
[14] Notarile 3869, indicazione in calce ad un atto datato 1526 set. 4. La facultas expletandiè concessa dal vicario arcivescovile Giovanni Maria Tonsi l’8 maggio 1534 con atto rogato da Giovan Pietro da Bernareggio.
[15] Notarile 3868. L’informazione viene dall’introduzione a un atto datato 1525 lug. 24: in essa si ricorda come le imbreviature del defunto B. si trovino presso il notaio Giovanni Ambrogio Bossi, che ne possiede la facultas expletandi, senza fornire dati più precisi.
[16] Notarile 3850, 1500 mar. 9.
[17] Cfr. per es. Notarile 3852, 1504 dic. 13; Notarile 3864, 1518 mar. 3.
[18] Notarile 3849 e 3850. Successivamente, Giovan Paolo otterrà la rettoria della parrocchiale
di Buguggiate (Notarile 3860) e un canonicato nella chiesa di S. Vi t t o re di Varese (Notarile 3868, 1524 mag. 16).
[19] Cfr. Notarile 3850, 1498 ago. 15, 1500 mag. 30.
[20] Notarile 3869, 1526 giu. 23 e 30.
[21] Notarile 3870, 1530 dicembre 31.
[22] Se pare verosimile che il Bernardino Bossi di Francesco, residente a Milano (porta Orientale, S. Stefano in Nosiggia), che spesso testimonia per gli atti del B. sia un fratello (Notarile 3851), è meno certo fare la stessa ipotesi per Antonio Bossi, fu Francesco, di Buguggiate (Notarile 3852, 1504 nov. 25) e per Battista Bossi, fu Francesco, di Castro Aciate (Azzate, ibid., 1504 dic. 13). Si ha inoltre notizia di una Taddea Bossi, fu Francesco, vedova di Battista Bossi e residente a Varese (Notarile 3869, 1527 mag. 8).
Infine, è possibile che il B. abbia avuto un figlio di nome Agostino, nel 1509 moram trahens in civitate Papie (Notarile 3856, 1509 apr. 17)
[23] Notarile 3849, 3850, 3851.
[24] Notarile 1292, 1491 mar. 31.
[25] Il Gallarati compare spesso fra i testi degli atti rogati dal B. negli ultimi decenni del Quattrocento; inoltre, in Notarile 3849 si trovano molte note relative all’ammontare delle spese processuali, calcolate sempre ed esclusivamente da Giovanni Gallarati.
[26] Notarile 3850, 1500 gen. 15.
[27] È probabile che anche Ottorino da Incino sia un nipote del B., poiché la moglie di quest’ultimo proviene dalla famiglia da Incino.
[28] Notarile 3860, 1514 gen. 28.
[29] Cfr. Notarile 3860, 3861, 3862, 3863, 3864, 3865.
[30] Cfr. Notarile 3869, 3870.
[31] Il testamento è stato rogato da Giovanni Francesco Bossi, fu Alberto, notaio in Milano, l’8 giugno 1532. Purtroppo non c’è traccia di questo notaio negli inventari dell’Archivio di Stato di Milano, ed è quindi impossibile visionare il tenore completo del testamento.
[32] Notarile 4451, 1534 lug. 18.
[33] Non si fa menzione dell’estensione dei vari beni, tuttavia i loro canoni d’affitto ammontano complessivamente a 78 lire imperiali e 4 soldi, a cui si devono aggiungere tutti i pagamenti in natura.

domenica 17 gennaio 2016

BOSSI MARGHERITA


Tomaso Bossi f. Ambrogio f. Baliolo f. Francesco f. Tommaso f. Rabalio.
   |
   |
   |--- Margherita Bossi
   |     L’Indice Lombardi presso A.S.Mi.  registra un rogito del notaio Nicolò Andrei
   |     q. Marco riguardante un suo pagamento verso Bartolomeo Medici q. Battista,
   |     avvenuto in Trezzo il  30 luglio 1516 sotto il n. 133.
   |     Sposa Ambrogio Del Maino, cavaliere, consigliere ducale nel 1497[1], conte
   |     palatino e questore ducale, morto in Arezzo il 12 novembre 1516. Ambrogio
   |     era nel 1493 nel Consiglio Segreto[2].
   |         |
   |         |
   |         |--- Bianca Del Maino
   |         |     Sp. Gerolamo Visconti.
   |         |
   |         |--- Gaspare Del Maino
   |         |
   |         |--- Agnese Del Maino
   |         |      + Milano 13 dicembre 1465.
   |         |      Amante di Filippo Maria Visconti duca di Milano.
   |         |           |
   |         |           |--- Bianca Maria Visconti
   |         |           |     (1425-1468), ultima Visconti milanese e sposa di 
   |         |           |     Francesco Sforza, primo duca Sforza del ducato di Milano;
   |         |           |
   |         |           |--- Caterina Maria Visconti
   |         |           |     Che morì pochi giorni dopo la nascita (1426).
   |         |
   |         |--- Lancillotto Del Maino
   |         |      Cortigiano e membro del Consiglio ducale[3].
   |         |
   |         |--- Andreotto Del Maino
   |               Cortigiano e membro del Consiglio ducale.
   |
   |--- Elisabetta Bossi
          Sp. a) conte Manfredi de Lando; b) Giacomo Valperga conte di Masino.

Filippo Maria Visconti si sposò due volte, con Beatrice di Lascaris figlia dell'ultimo conte di Tenda e con Maria di Savoia, ma da entrambe le mogli non ebbe figli. Per questo motivo, il duca chiese all'imperatore Sigismondo di Lussemburgo di riconoscere come sua erede la figlia illegittima Bianca Maria.
Nel 1431 madre e figlia furono fatte alloggiare nel castello di Abbiate, l'attuale Abbiategrasso. Qui Filippo Maria aveva dato ordine di preparare un appartamento dove la piccola Bianca potesse crescere con la madre[1].
Dopo molte trattative e ripensamenti, Filippo Maria promise in sposa al condottiero Francesco Sforza la sua unica figlia. Le nozze ebbero luogo a Cremona il 25 ottobre del 1441.
Nel 1447 Agnese convinse Alberico Maletta a restituire la città di Pavia al genero[1] che l'aveva ereditata alla morte di Filippo Maria[2].
Dal 1450 sua figlia Bianca Maria, duchessa di Milano dal 1450, la chiamò a corte per aiutarla a crescere i figli minori[1].
La figura di Agnese del Maino venne ripresa nel 1833 da Vincenzo Bellini nel suo melodramma Beatrice di Tenda.




[1] Storia di Milano – dal 1401 al 1425.
[2] Un po’ di storia e tradizione a Cergnago.
(Estratto da Wikipedia).

                                                        Agnese Del Maino.
                                                             
                                        Agnese Del Maino con sua figlia Bianca Maria.                                                             
Bianca Maria Visconti, duchessa di Milano, figlia illegittima di Agnese Del Maino e Filippo Maria Visconti.

BIANCA MARIA VISCONTI SFORZA

Bianca Maria Visconti nacque a Settimo Pavese il 31 marzo 1425. Era la figlia legittimata di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, e di Agnese Del Maino.
All’età di sei mesi la piccola Bianca Maria venne trasferita, insieme alla madre Agnese (figlia del conte palatino e questore ducale Ambrogio Del Maino – probabilmente dama di compagnia di Beatrice di Lascaris, prima moglie di Filippo Maria), in un’ala appositamente e riccamente allestita del castello di Abbiate, l’attuale Abbiategrasso.
Nonostante le movimentate vicende politiche e militari e il secondo matrimonio con Maria di Savoia, il duca trascorse molto tempo ad Abbiate, mostrandosi intrigato dalla personalità della figlia; quest’ultima infatti diede mostra fin da piccola di un carattere incline alla ricerca del consenso, insensibile ai lussi superflui e poco manovrabile.
Filippo Maria Visconti offrì a Francesco Sforza in sposa la figlia Bianca Maria, che all’epoca aveva solo cinque anni. Inoltre, non è escluso che il Visconti abbia fatto intravedere allo Sforza la possibilità di adottare come legittimo erede, e quindi come successore, il consorte della figlia.
Francesco Sforza accettò la proposta matrimoniale, probabilmente attratto dall’anticipo della dote che consisteva nelle terre di Cremona, Castellazzo e Bosco Frugarolo. Il contratto di fidanzamento venne ratificato il 23 febbraio 1432 presso il castello di Porta Giovia, residenza milanese dei Visconti; come padrino d’anello di Bianca Maria fu indicato Andrea Visconti, generale dell’ordine degli Umiliati. La presenza di Bianca Maria e della madre Agnese alla cerimonia non è accertata; alcune testimonianze riferiscono anzi che la prima visita di Bianca a Milano abbia avuto luogo quand’era ormai in età da marito.
Piuttosto indifferente a tutti questi intrighi, Bianca Maria trascorse l’infanzia e l’adolescenza nel castello di Abbiategrasso con la madre, in un clima culturale di grande apertura. Qui ricevette, per desiderio paterno, un’accurata formazione di tipo umanistico. La biblioteca ducale, inventariata nel 1426, era caratterizzata da una grande varietà di opere: a fianco dei classici latini si trovavano testi francesi e provenzali di narrativa ma anche scientifici e didattici, nonché testi in italiano volgare con largo predominio degli autori toscani.
Padre e figlia non avevano gusti comuni solo nelle lettere; entrambi erano appassionati di cavalli e sembra che Bianca Maria fosse anche un’abile cacciatrice.
Le nozze ebbero luogo a Cremona il 25 ottobre 1441 presso l’abbazia di San Sigismondo, sede scelta dallo stesso Sforza e preferita al più ovvio duomo della città per motivi di sicurezza. Fino all’ultimo Francesco diffidò infatti del suo lunatico suocero. I festeggiamenti durarono diversi giorni e compresero un sontuoso banchetto, diversi tornei, giostre, un palio, carri allegorici e una riproduzione del Torrazzo di Cremona fatta con il tipico dolce cremonese. E’ forse da questo episodio che ha origine il nome torrone.
Lo storico Sabadino de li Arienti ci descrive la duchessa diciassettenne: “bianca de carne et candida de costumi faceta opportunamente cum dolce et casto riso…, ma de gravità reverenda”.
Già pochi giorni dopo il matrimonio (7 novembre) le bizze del duca si fecero sentire sotto forma di decreto che limitava i poteri dei suoi vassalli, Sforza compreso.
Temendo l’ostilità del suocero, il 23 gennaio 1422 Francesco riparò nel territorio veneto stabilendosi a Sanguinetto (Verona); per Bianca Maria inizia allora una nuova fase, dall’ambiente riparato e isolato del castello alla vita spesso disagevole della moglie del condottiero.
Nel maggio dello stesso anno la coppia fu invitata a Venezia. Nonostante l’aperta inimicizia nei confronti del padre di lei, l’accoglienza da parte del doge Francesco Foscari e della dogaressa Marina Nani fu sontuosa. Al secondo giorno della visita giunse però la notizia che il Piccinino stava radunando un esercito per minacciare i territori dello Sforza nella marca anconetana. Questi avrebbe voluto partire subito ma l’intercessione e le promesse di aiuto da parte del Foscari, unite alle pressioni della moglie, lo convinsero a restare altri due giorni.
Lasciata Venezia i due si recarono a Jesi, passando prima per Rimini, dove furono ospiti dell’infido Sigismondo Malatesta, quindi a Gradara, presso Galeazzo Malatesta.
A jesi cominciò per Bianca Maria un periodo travagliato: rimasta al castello mentre lo Sforza era alla guida dell’esercito, già nel 1442 venne nominata dal marito reggente della marca: “poniamo a capo di tutta la nostra provincia l’inclita nostra consorte Bianca Maria (…) le affidiamo tutto il governo della medesima (provincia) affinché la prudenza, l’equità, la clemenza e la grandezza d0animo, virtù (…) delle quali la nostra consorte è per natura e per educazione grandemente fornita (…)”. Può colpire che il condottiero si esprima in toni così elogiativi della moglie diciassettenne, ma in pochi mesi di matrimonio aveva iniziato ad apprezzarne le doti caratteriali e aveva condiviso con lei le decisioni politiche e amministrative. Le cronache del tempo riportano molte occasioni in cui Bianca Maria intervenne nell’amministrazione e anche nell’attività diplomatica.
Se il sentimento fra i due fu sicuramente di reciproco rispetto e con ogni probabilità anche di amore, rimaneva senz’altro diversa la concezione della fedeltà coniugale: se per Bianca Maria era un valore assoluto e imprescindibile, per Francesco lo era molto meno; egli si dedicava infatti ai rapporti extraconiugali con assoluta noncuranza.
Nel 1443, in occasione del primo di questi tradimenti, Bianca Maria ebbe un atteggiamento molto dissonante dal suo abituale carattere. Narra il Piccolomini nei suoi Commentarii che Bianca Maria fece  allontanare la sua rivale, che poi fu misteriosamente rapita e uccisa, e impedì a Francesco di vedere Polidoro, il figlio nato da quel rapporto.
I primi anni di vita coniugale coincisero con un lungo periodo turbato dal contrasto fra Filippo Maria Visconti e Francesco Sforza; il primo era impegnato in una contorta politica espansionistica e in un continuo mutamento di alleanze, tanto da affidare le sue armate a Niccolò Piccinino, da sempre rivale dello Sforza: l’altro era coinvolto in un conflitto con il papato che lo portò fino alla scomunica, avvenuta nel 1442: Una posizione sicuramente difficile per Bianca Maria, che da persona di grande lealtà come viene descritta dai suoi biografi si trovava dilaniata fra due fazioni in guerra.
Nel 1446 il duca, ormai malato e indebolito, opera un tentativo di riavvicinamento con lo Sforza; nonostante l’insistenza di Bianca Maria, questi rimase diffidente e preferì dare priorità alla difesa dei suoi territori insidiati dalle truppe papali.
Nel marzo del 1447 il condottiero si sentì abbastanza sicuro e accettò la carica di “ducale luogotenente” ma ancora una volta il Visconti cambiò idea, insospettito e ingelosito per la gioia manifestata dalla fazione sforzesca residente a Milano. Ciò avveniva nello stesso momento in cui il nuovo papa, Niccolò V, pretese dallo Sforza la restituzione di Jesi.
Per la coppia fu il momento peggiore ulteriormente funestato dalla morte di Costanza, moglie di Alessandro Sforza, che aveva condiviso con Bianca Maria gli anni precedenti.
Francesco Sforza accettò la cessione di Jesi al papa per 35.000 fiorini e si mise in marcia con la moglie per raggiungere Milano.  Il viaggiò fu però rallentato da alcune tappe necessarie per consolidare future alleanze e la notizia del decesso del Visconti, avvenuto tra il 13 e il 14 agosto 1447 raggiunse la coppia a Cotignola, nell’antica residenza di famiglia; Bianca Maria accolse con rabbia e sgomento le notizie dei saccheggi e della distruzione delle proprietà viscontee a Milano.
Bianca e Francesco, accompagnati da 4.000 cavalieri e 2.000 fanti, erano in marcia verso Cremona quando la neonata Aurea Repubblica Ambrosiana, minacciata da Venezia, offrì allo Sforza il titolo di capitano generale. Furiosa con Milano, Bianca avrebbe voluto un rifiuto sdegnato ma il lungimirante marito accettò il titolo, dando inizio a un triennio di lotte senza scrupoli per difendere ciò che rimaneva del ducato e riconquistare le città che se ne erano staccate.
Nel maggio 1448, mentre lo Sforza stava consolidando la riconquista di Pavia, che gli aveva offerto il titolo di conte in cambio del mantenimento di alcuni privilegi municipali, avvenne un episodio molto esaltato dalla cronache. I veneziani approfittarono dell’assenza dello Sforza per attaccare Cremona e in particolare per attraversarne il ponte e raggiungere Pavia. Bianca Maria indossò l’armatura da parata e si precipitò, seguita dal popolo e dalle truppe, verso il ponte armata di una lancia e partecipando attivamente alla battaglia che durò fino a sera. Quest’episodio, che rimase unico nella vita di Bianca Maria, fu in seguito sfruttato per descriverla ingiustamente come dnna guerriera e spericolata.
Scongiurato il pericolo veneziano, si trasferì a Pavia e si insediò nel castello visconteo circondata da un vasto gruppo di famigliari suoi e del marito e di parenti della madre. Da Pavia, in attesa del terzo figlio, si occupò della famiglia ma allacciò anche una folta rete di relazioni con i vari membri dei rami della famiglia Visconti e con i feudatari locali procurando al marito nuovi appoggi e trattando per ottenere prestiti e fendi. Le difficoltà finanziarie che già avevano perseguitato la coppia in passato continueranno infatti anche nel periodo del ducato.
Il 24 febbraio 1450 a Milano scoppiarono dei tumulti. Venne ucciso l’ambasciatore di Venezia, città ritenuta responsabile della carestia che affliggeva la città, e un’adunanza di notabili, nobili e cittadini, su consiglio di Gaspare da Vimercate, chiamò lo Sforza a reggere la città. Milano, come puntualizzarono molti storici dell’epoca, si consegnò “per fame e non per amore”.
Nei prini anni di reggenza di Francesco Sforza ebbero luogo la venuta in Italia dell’imperatore Federico III e una nuova campagna di Venezia contro Milano.
Rimasta a Milano in assenza del marito impegnato in operazioni militari, Bianca si dedicò all’attività amministrativa e diplomatica, seguì i numerosi intrighi e tradimenti di vari personaggi che gravitavano intorno alla corte ducale e si occupò della vita quotidiana come testimonia un ampio carteggio (custodito in parte presso l’Archivio di Stato di Milano) fra lei e il marito, ricco di notizie sull’educazione dei figli, sull’amministrazione dello stato, sulle costanti difficoltà finanziarie e sui dettagli della vita quotidiana.
Il Sabadino narra “ch’ella de note, privatissimamente, scalza, andava a fare reverentia al tempio de Santa Maria de l’Hospitale novo, et a quello de Santa Maria de San Celso fuori di Milano, scalza del mese di novembre”.
Teneva assai all’abbigliamento e “vestiva cum tal pompa e magnificenza che a quelli tempi non avea pari”.
Alla nascita del quarto figlio Bianca scrive al marito pregandolo “da pensare de metergli uno bello nome adciò supplisca in parte alla figura del puto che mi è piuttosto sozo (brutto) di tuti gli altri” (descrivendo colui che diventerà noto come Ludovico il Moro).
Dai carteggi fra i due emerge costantemente da un lato il rispetto dello Sforza per “Madonna Bianca” e dall’altro il carattere determinato di Bianca che, pur seguendo le indicazioni del consorte, non ha remore a esprimere le sue opinioni quando dissentono da quelle del marito: “io in tute le cose son disposta a fare tuto quelo che ve sia in piacimento (…) ma questa cosa ad farla me pare tanto grave (…) et per più et più ragioni non me par bene che (…)sia facta per mi”.
Nei carteggi non mancano toni aspri e sfuriate in seguito alle avventure extra-coniugali dello Sforza, “Madonna Biancha mi ha dicto quelle cose che le donne dicono ali mariti”, spiegava rassegnato.
Altro ampio carteggio è quello tra Agnese Del Maino e Francesco Sforza, ricco di dettagli scherzosi e nel quale la nonna tesse le doti dei nipoti e in particolare di quello che appare il suo preferito. Galeazzo maria, entusiasmo che il padre non condivide in pieno avendo già modo di rendersi conto del carattere prepotente dell’erede.
Nel 1452 fu Bianca ad occuparsi di ricevere e ospitare a Pavia Renato d’Angiò, diretto a Cremona per unirsi allo Sforza con il suo esercito. Il breve soggiorno è caratterizzato dalle intemperanze della truppa francese a Pavia e da una visita a sorpresa di Renato a Milano, dove Bianca lo riceve nuovamente (lamentandosene però col marito perché colta alla “sprovveduta”) e gli mostra il cantiere del Castello Sforzesco, opera fortemente voluta dallo Sforza.
Negli anni da duchessa, soprattutto in quelli pacifici seguiti alla pace di Lodi, non furono solo l’attività diplomatica  e quella quotidiana a impegnare Bianca Maria. Ella si dedicò infatti al restauro ed abbellimento delle residenze ducali, all’organizzazione di ricevimenti e banchetti ma anche alla costruzione di opere di pubblica utilità e di aiutare le fasce di popolazione pià povere, in particolare le donne. Vi sono numerose testimonianze di donne maltrattate che si rivolsero a lei per trovare rimedio. Bianca Maria e Francesco Sforza, su incoraggiamento di monsignor Gabriele Sforza e frate Michele Carcano, fecero inoltre erigere un grande ospedale per i poveri, l’Ospedale Maggiore.
La devozione di Bianca Maria si manifestò anche nel 1459 quando Pio II convocò il Concilio di Mantova nella speranza di organizzare una crociata contro i turchi. Bianca offrì un contingente di 300 fanti e Francesco, giunto a Mantova in un momento successivo, si offrì di condurre la crociata. La crociata non si fece ma la coppia tonò a Milano con le bolle di indulgenza in favore del Duomo di Milanoi e dell’Ospedale Maggiore. Di questo evento, così come della coppia ducale, il Piccolomini fece una dettagliata descrizione nei suoi Commetarii.
Nel 1462 Francesco Sforza, da tempo sofferente di gota e idropisia, attraversò breve periodo di grave malattia: In questa circostanza fu solo l’intensa attività epistolare di Bianca Maria che impedì ,o sfascio dello stato; la notizia dell’indisposizione dello Sforza aveva infatti alimentato una serie di ribellioni, in parte fomentate da Venezia che era pronta ad intervenire per opporsi alla coalizione fra Milano, Firenze e Napoli voluta dallo Sforza: Vi fu addirittura un riavvicinamento con Jacopo Piccinino, figlio di Niccolò, che espresse una forte stima per Bianca Maria, tanto che venne organizzato il matrimonio con Drusiana, figlia naturale di Francesco.
D’altra parte non cessarono le preoccupazioni per il figlio Galeazzo; oltre alle caratteristiche caratteriali inquietanti mostrate dal giovane, vi fu anche la rottura del fidanzamento con Dorotea Gonzaga, un contratto che era stato stipulato in un momento in cui l’appoggio dei Gonzaga era vitale per il ducato; lo stesso matrimonio venne però in seguito considerato troppo poco prestigioso dallo Sforza: La rottura del parentado fu uno dei contrasti che turbarono l’armonia della coppia ducale: l’orgogliosa Bianca Maria non avrebbe voluto infrangere la parola data mentre per Francesco prevalse la ragion di stato. Tra l’altro Bianca Maria era legata a Barbara Gonzaga, marchesa di Mantova e madre di Dorotea, da un intenso e duraturo rapporto di amicizia.
Forse conscio della fine imminente, Francesco coinvolse sempre di più Bianca Maria nel governo del ducato tanto che i castellani prestarono anche a lei giuramento di fedeltà, ufficializzandone la co-reggenza.
All’alba del 1465, in un periodo di pace e mentre la fama di abile diplomatico e politico accorto del marito era all’apice, tre dei suoi figli lasciarono Milano: Galeazzo partì per la Francia a capo di una spedizione militare in aiuto del re Luigi XI, mentre Ippolita e Sforza Maria si recarono a Napoli per sposare rispettivamente Alfonso ed Eleonora d’Aragona. Nello stesso periodo anche la loro sorellastra Drusiana si recò nella città partenopea per raggiungere il marito Jacopo Piccinino.
Oltre alle preoccupazioni per le condizioni di salute di Francesco e per i crescenti contrasti tra questi e il figlio primogenito, Bianca Maria venne colpita da un’altra grave perdita: il 13 dicembre 1465 morì infatti la madre Agnese.
La morte di Francesco seguì invece pochi mesi dopo, l’8 marzo 1466.
Dopo essersi abbandonata per alcuni giorni al dolore, la vedova prese rapidamente in mano le redini del ducato, fece richiamare il figlio primogenito e organizzò i preparativi per la successione.
L’atteggiamento iniziale di Galeazzo fu di riconoscenza e deferenza nei confronti della madre, che mise tutto il suo impegno nel guidarlo verso il proseguimento delle idee politiche paterne. Ma non appena si sentì più sicuro nel ruolo, il nuovo duca incominciò a fare di testa propria con l’avidità, la prepotenza e l’incostanza che da sempre lo caratterizzavano. Ben presto lo scontro con la madre divenne aspro, tanto che gran parte della corte, per ovvi motivi di opportunità, prese le parti di Galeazzo.
Nel 1467, con la morte di Dorotea Gonzaga, si spianò la strada per il matrimonio tra Galeazzo Sforza e Bona di Savoia. Il nuovo duca manovrò sempre più per relegare la madre in un ruolo secondario: minacciò gli ultimi cortigiani che le erano rimasti fedeli, ne violò la corrispondenza e infine le ordinò di lasciare la città, tanto che in seguito Antonio da Trezzo, ambasciatore degli Sforza a Napoli, rivelò che Bianca Maria aveva pensato di “presentarsi in piazza a chiedere l’aiuto del popolo”. L’oggetto della contesa divenne in particolare la città di Cremona, da sempre cara a Bianca in quanto sua città  dotale, tanto che decise infine di trasferirvisi per mantenerne l’indipendenza. Vi sono testimonianze dell’epoca che affermano che Bianca Maria aveva in mente di lasciare il dominio della città a Venezia, e nello stesso periodo sono attestati frequenti contatti tra Bianca Maria e Ferdinando, re di Napoli, favorevole ad un rovesciamento di Galeazzo.
Nonostante il parere contrario di tutti coloro che le erano vicini, Bianca Maria decise si assistere al matrimonio del suo primogenito, che si tenne il 9 maggio 1468; al termine dei festeggiamenti accompagnò la figlia Ippolita fino a Serravalle per poi fare ritorno a Cremona. E’ incerto il motivo della sua tappa a Melegnano, dove giunse il 18 agosto, ma qui dopo pochi giorni venne colpita da un forte malessere con febbre alta che la obbligò a trascorrervi tutto il mese di agosto e quello di settembre. In questo periodo vi fu ancora un intenso traffico di corrispondenza, ma all’inizio di ottobre le sue condizioni subirono un brusco peggioramento.
Al suo letto di morte accorse, il 19 ottobre, Galeazzo al quale disse queste parole che sono degne di una grande madre: “Io ti recomando li miei Milanesi e tutti li altri nostri subditi”.
Fu sepolta nel Duomo di Milano a fianco del marito dopo una solenne cerimonia. L’orazione funebre, commissionata da Galeazzo, fu scritta dal poeta e umanista Francesco Filelfo.
Galeazzo Maria fu apertamente accusato, tra gli altri anche dal Colleoni, di aver avvelenato la madre.
Bernardino Corio affermò che Bianca Maria “più de veneno che di naturale egretudine fusse morta”. Nelle settimane di infermità a Melegnano vi fu in effetti un intenso via vai di emissari del figlio; e tra questi figurano anche personaggi ambigui che in seguito furono implicati in altri casi di avvelenamento. L’ipotesi del matricidio da parte di Galeazzo, pur non essendo provata, è dunque plausibile.
Dal matrimonio con Francesco Sforza nacquero otto figli: Galeazzo Maria, Ippolita Maria (che sposò Alfonso d’Aragona), Filippo Maria, Sforza Maria, Ludovico Maria detto 2il Moro”, Ascanio Maria (che fu vescovo di Pavia), Elisabetta Maria e Ottaviano Maria.
Secondo alcune fonti, altri due figli morirono dopo la nascita.


(Estratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera, di P. Misciatelli, Personaggi del Quattrocento italiano, Gaetano Garzoni provenzali Editore, Roma 1914).

                                    Francesco I Sforza e Bianca Maria Visconti.


[1] Sitoni .
[2] Santoro.
[3] Nadia Covini, Il ducato sforzesco in rete, users unimi.it
[4] Storia di Milano – dal 1401 al 1425.
[5] Un po’ di storia e tradizione a Cergnago.

sabato 16 gennaio 2016

BOSSI ERCOLE E VISCONTI ANNA


Nel 1601 viene costituita la dote di Anna Visconti moglie di Ercole Bossi.
Nel 1653 viene redatto il testamento di Ercole Bossi marito di Anna Visconti.
Dal 1655 al 1658 conti e atti riguardanti l'eredità dei coniugi Ercole Bossi e Anna Visconti.
Nel 1656 viene redatto l'inventario dell'eredità di Ercole Bossi.
Nel 1656 avviene l'aumento di dote di Anna Visconti sposa di Ercole Bossi.
Nel 1657 viene redatto il testamento di Anna Visconti.
Nel 1661 si fa l'elenco della dote di Anna Visconti sposa di Ercole Bossi.

RAMO DI CARLO MARIA BOSSI


Carlo Maria Bossi
   |
   |
   |--- Giuseppe Bossi
   |
   |--- Domenico Antonio Bossi
         n. 1667
           |
           |
           |--- Gio. Benigno Bossi
                 Notaio.                        
                 Le sue abbreviature rogate in Milano dal 1731 al 1778 sono presso
                A.S.Mi.            
                     |
                     |
                     |--- Ercole Bossi
                           Notaio. Le sue abbreviature rogate in Milano dal 1762 al 1818
                           sono presso A.S. Mi.






N. 60
AL NOME DI DIO. AMEN.

Io Domenico e Giuseppe fratelli Bossi fq. Carlo Maria d'anni 52 della Città di Milano notifico possedere nella terra di Azzate pieve di Varese gli infrascritti beni in pezzi n. 1 confinanti con il Sig. D. Carlo Cesare Bosso, Sig. Abate Nesi e strada:

- Prati asciutti con pochi moroni                            p.  4.-
- Aratori asciutti con pochi moroni                        p.  4.-
                                                                                -------
                                                                                p.  8.-

per i quali ho pagato di carico alla terra di Azzate nell'anno 1717 lire 4.5.9 e nell'anno 1718 lire 4.14.3 compreso il perticato rurale.

Io Domenico Bosso anche a nome di mio fratello Giuseppe con cui vivo in comunione notifico con mio giuramento come sopra.


BOSSI DOMENICO DA CAMPIONE

Nella Certosa di Pavia vennero poste non una ma quattro pietre, scolpite per l'occasione da Domenico Bossi da Campione; ve le collocarono il duca (Giovanni Galeazzo Visconti, conte di Virtu, primo duca di Milano) , i figli Giovanni Maria e Gabriele Maria e, in rappresentanza del terzo, Filippo Maria, il consigliere ducale Barbavara. (La Lombardia paese per paese: Certosa di Pavia, pag. 87).

"28 settembre 1396. A Domenico Bossi da Campione in pagamento di 4 lapidi di marmo da lui date e da lui lavorate con certe lettere scolpite in esse, che furono poste in opera nel primo fondamento incominciato solennemente dal prefato signore e dagli illustri di lui figli i signori Giovan Maria, Filippo Maria e Gabriele nel giorno 27 agosto". (I maestri comacini: Storia artistica di mille duecento anni - 600/1800 - di Giuseppe Merzario, cap. XIII, pag. 365).

venerdì 15 gennaio 2016

BOSSI DI BUGUGGIATE

Uberto Bossi
   |
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   |--- Enrico Bossi di Buguggiate
         Canonico di S. Vittore di Varese.
       

Molto interessante l'istrumento notarile del 2 maggio 1257 che ci fa conoscere i più antichi personaggi Bossi di Buguggiate.
Il primo personaggio è un certo Vassallo Bossi di Buguggiate che viene detto nientemeno console di giustizia e con un suo ordine (precetto) conferisce ad un altro Bossi di Buguggiate, certo Enrico, il possesso di 33 pertiche di terreno in territorio di Gallarate, che confinano con il torrente Arno in località Rona, già di proprietà della famiglia Dolcebuoni.
A questo istrumento intervengono come testimoni Albertazzo figlio di Guglielmo da Castronno e Uberto figlio del fu Giovanni Pozzi di Morazzone.
Dieci anni prima, e precisamente l'8 aprile 1247, lo stesso Enrico Bossi di Buguggiate era intervenuto come testimone in un altro istrumento e viene detto canonico di S. Vittore di Varese, figlio di Uberto.
Bel colpo questi due documenti che fanno uscire dall'anonimato due Bossi di Buguggiate, che non avrebbero destato particolare interessamento se fossero stati di Azzate, ma che invece testimoniano anche nel paese vicino personaggi di una certa importanza quali un console di giustizia ed un canonico di S. Vittore di Varese.
(BARONI PERELLI CIPPO, Gli atti del Comune di Milano nel sec. XIII, vol. II, parteI, pag. 211).

BOSSI GIACOMO


Nacque a Milano probabilmente agli inizi del secolo XIV. La prima notizia sicura su lui risale al 1341, quando compare tra i membri del Consiglio generale di Milano riunitosi nel palazzo maggiore per conferire a Guidoaldo di Benedetto di Calice la procura a trattare con il pontefice Benedetto XII, che aveva comminato l'interdetto alla città lombarda.
Giurista di una certa fama e giudice dell'aula imperiale, legato alla famiglia Visconti, il Bossi è soprattutto noto per l'attività di riformatore degli statuti cittadini svolta nel 1348. In quell'anno Luchino Visconti fece eleggere dal Consiglio delle provvisioni una commissione di cinque giuristi con il compito di rivedere e modificare gli statuti del 1330: il Bossi, "iuris utriusque peritus", ne fece parte. La commissione redasse il nuovo testo degli statuti diviso in otto libri. Tale testo venne pubblicato nel Consiglio generale del Comune, ma un successivo intervento di Luchino ne sospese l'applicazione; soltanto nel 1351, alla morte di Luchino, i nuovi statuti poterono essere pubblicati per ordine dell'arcivescovo Giovanni Visconti (al riguardo, cfr. A. Lattes, Sugli antichi statuti di Milano che si credevano perduti, in Rend. del R. Istituto lombardo di scienze lettere ed arti, s. 2, XXIX [1896], pp. 1057-1062).
L'attività di riformatore degli statuti procurò al B. la cooptazione nel Collegio dei dottori giureconsulti di Milano, ove fu chiamato nello stesso 1348.
Nell'estate del 1350 il Bossi venne inviato da Giovanni Visconti, insieme con Giovanni Besozzaro, presso il conte Astorgio di Durafort, nipote di Clemente VI, con l'incarico di ottenere la liberazione di Giovanni Pepoli, signore di Bologna, che il Durafort aveva proditoriamente catturato e teneva prigioniero. La missione del Bossi, però, non ebbe risultati positivi. Sempre nel 1350, nel mese di settembre, accompagnò in Savoia Galeazzo II Visconti che vi si recava per prendere gli accordi definitivi in merito al proprio matrimonio con Bianca di Savoia. Il Bossi è testimone all'atto con il quale Galeazzo, il 27 settembre, dichiarava di voler rispettare gli impegni assunti a suo nome in Savoia dai propri procuratori.
Dopo questa data mancano altre notizie sull'attività del Bossi, che morì a Milano nel 1355 e fu sepolto in S. Marco.
Fonti e Bibl.: Mon. hist. patriae, XVI, Leges municipales, II, a cura di G. Adriani, Augustae Taurinorum 1876, col. 983; I Registri dell'Ufficio di provvisione e dell'Ufficio dei sindacisotto la dominazione viscontea, a cura di C. Santoro, Milano 1929, p. 624; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, col. 214; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittorid'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1860; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano, Milano 1890, IV, pp. 297 s.; D. Sant'ambrogio, Un presumibile resto scultoreo del disperso sarcofago al giureconsulto G. B. del 1355 in S. Marcodi Milano,Milano 1902; D. Muratore, Biancadi Savoia e le sue nozze con Galeazzo II Visconti, in Arch. stor. lomb., XXIV (1907), pp. 53 n. 1, 86 s.

(Estratto da Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971) di Giovanni Diurni).

 

“ Le voci della presenza di sua figlia a Bologna allarmarono Bernabò Visconti, non tanto perché non fosse sicuro del fatto suo, ma perché temeva che il Suardo - suo ottimo alleato - si sentisse preso in giro, tanto più che si era risposato. Don Giacomo Bossi, prevosto di S. Maria Nuova alle Case Rotte, che all'epoca dei fatti aveva solo 17 anni[1], doveva prestare servizio presso Bernabò perché rilasciò questa testimonianza molto intima.
All'arrivo della lettera da Bologna, Bernabò gettò con stizza la missiva sul suo letto e fece chiamare Bianco Limoni, che aveva scortato Bernarda alla Rocchetta e ne era stato per cinque lunghi mesi il custode. "Bianco, prendi questa lettera e leggila". Bianco, che poteva vedere i fulmini dell'imminente tempesta concentrati pericolosamente sul capo del suo signore e non desiderava che si scaricassero su di lui, sostenne con tranquilla fermezza che Bernarda era morta e sepolta a S. Giacomo, per cui la missiva conteneva un mucchio di sciocchezze.
Fu la volta di Antoniolo de Medici ad avvertire il fuoco sotto i piedi quando venne prelevato dalla guardia di Bernabò per tradurlo al suo cospetto: "Tu mi hai detto che Bernarda era morta e che l'avevi fatta seppellire; ora dimmi, com'è che ho notizia che essa vive a Bologna?" Antoniolo sostenne coraggiosamente lo sguardo alterato del signore, passando al contrattacco: "Ditemi chi sono quelli che vogliono farvi credere il contrario di quanto vi ho dichiarato; non mancano testimoni che possono dire la verità e che furono presenti alla morte e alla sepoltura". Superarono tutti la prova senza un'incrinatura nella voce”.
 (Estratto da Internet:Storia di Milano).


La "Madonna della Scala", affresco di pittore anonimo del XV secolo proveniente dalla distrutta Chiesa di S. Maria alla Scala, oggi conservata presso la Chiesa di S. Fedele di Milano.



Marc'Antonio Dal Re (1697-1766), Santa Maria della Scala Collegiata Regia. Questa incisione è la n. 71 di una serie di 88 Vedute di Milano pubblicata dal Dal re attorno al 1745. Mostra la chiesa gotica demolita per costruire il celebre Teatro alla Scala, che da essa ha preso il nome. 

Il reverendo sacerdote D. Giacomo Bossi dell’età di 65 anni, prevosto di Santa Maria Nuova alle Case Rotte detta della Scala in Porta Nuova, conobbe Bernabò Visconti e l’amante di lui Giovandola, nonché la figlia Bernarda perché frequentava quotidianamente la Corte e mentre conferma che lo Zotta era un bellissimo giovane e che giostrava assai bene, e che fu sospeso per la gola per aver commesso adulterio colla Bernarda non ci fornisce nelle sue deposizioni altro di interessante che la parte che riguarda la sedicente Bernarda di Bologna. Egli narra che Bernabò, tostoché ebbe letta la partecipazione della comparsa di una Bernarda in Bologna, gettò quella lettera sul suo letto e fece chiamare Bianco Limoni, che aveva accompagnato la Berarda alla rocchetta di Porta Nuova e così gli favello: “Bianco prendi questa lettera e leggila. Il Bianco la lesse, poi disse a Bernabò che non volesse credere quanto eravi annunciato essendoché la Bernarda era morta e seppellita nella Chiesa di San Giacomo. Correva l’anno 1367[2].


Nell’estate dell’anno 1350 l'arcivescovo di Milano Giovanni Visconti invia Giovanni da Bileggio con Giacomo Bossi presso il rettore pontificio Astorgio di Durafort per intimargli la liberazione di Giovanni Pepoli, catturato a tradimento al campo di Solarolo.

(Estratto da Internet:Condottieri di ventura).




[1] Il documento che segue dice che il prevosto Giacomo Bossi aveva 65 anni e non 17.
[2] Dunque Giacomo Bossi, prevosto di S. Maria Nuova alle Case Rotte detta della Scala di Porta Nuova, era nato nel 1302.