Tutti conoscono il cognome
Alemagna non fosse altro per il noto panettone; altri lo associano al Viale
Alemagna di Milano, via che attraversa il parco Sempione e dopo essere stata
intitolata all’Italia, fino agli anni Venti, e per breve tempo all’Arte, fu in
seguito giustamente intitolata al conte architetto Emilio Alemagna (Milano 1833
– Barasso 1910) che propugnò il ripristino di aree verdi in una città che già
allora ne scarseggiava.
La nobile famiglia Alemagna
è oriunda di Varese, feudataria di Busnago e Roncello.
Secondo
alcuni genealogisti, in analogia di quanto ipotizzato sulla omonima casata di
Napoli, il cognome sarebbe derivato da Alemagna per ricordarne la terra di
provenienza.
Maria
Teresa imperatrice d’Austria con diploma 21 luglio 1756 investiva il conte
Giuseppe del feudo di Busnago (Milano) per appoggiarvi il titolo, con
trasmissibilità per maschi primogeniti.
Altri
personaggi noti di questa famiglia furono: Alberto, favorevole alle idee
rivoluzionarie e chiamato da Bonaparte quale membro della Congregazione di
Stato; ebbe il proprio cospicuo patrimonio sequestrato dagli austriaci ed il
conte Emilio (1834-1910) famoso architetto, autore di Villa Ponti-Borghi, del
palazzetto Castelbarco-Albani, del parco annesso al castello sforzesco (prima
adibito a piazza d’Armi) in Milano e di altre mirabili realizzazioni quali
l’unione dei Boschetti con i Giardini Pubblici, la Stazione Centrale (come direttore dei lavori). Fu membro della
giuria per il concorso internazionale per la nuova facciata del Duomo (1886) e
la sua opera venne sempre più richiesta dalle famiglie più in vista di Milano.
Attualmente la famiglia risulta estinta per mancata discendenza maschile, ma
continua attraverso gli Aletti-Alemagna, con il conte Carlo Alberto che risiede
nella sontuosa villa di Barasso e porta lo stesso nome del personaggio che
andremo ora a descrivere.
La
letteratura è ricca di opere su questa nobile famiglia per cui rimandiamo ad
esse per saperne di più e accontentiamoci di esaminare il loro stemma poiché lo
ritroveremo affrescato sul camino della
villa di Azzate che comunemente viene denominata Alemagna-Ferrario.
Arma: Partito: a destra d’oro,
all’aquila bicipite coronata spiegata di nero uscente dalla partizione; a
sinistra d’oro a tre bande di rosso.
Gli Alemagna, come altre nobili famiglie, non erano radicate sul territorio azzatese ma vi si impiantarono per ragioni di matrimonio.
E’ quello che capitò a
Carlo Alberto Alemagna che il 27 settembre 1693 prese in moglie la nobile
Isabella Bossi figlia del fu fisico collegiato Ippolito.
L’atto di matrimonio
registrato dal prete Gio. Battista Bossi curato di Azzate dice testualmente:
"Adì 27 settembre 1693 il sig. Carlo Alberto Alemagna
fq. Pietro Antonio del luogo e borgo di Varese ha contratto il matrimonio per
verba de presenti con la sig.ra Isabella Bossa fq. fisico collegiato Hippolito
Bosso alla presenza ed interrogazione di me prete Gio. Battista Bosso curato di
Azzate, essendo presenti per testimoni la sig.ra Giuliana ... vedova q. Pietro
Gerolamo e Margherita Albina q. Andrea. Le pubblicazioni sono state dispensate
dal rev. Aluisio ... vicario generale dell'arcivescovo di Milano". (A.P.A.).
Il matrimonio ce lo immaginiamo celebrato con tutte le solite
fastosità che erano abituali per personaggi del loro rango. Lui era un notaio
del Collegio di Milano mentre lei era la figlia di un fisico (medico)
collegiato di Milano, proprietario di cospicui beni immobili in Azzate, parte
dei quali finirono nella disponibilità di Carlo Alberto come dote della moglie.
Ce lo conferma questa sua dichiarazione: “AL NOME DI DIO. AMEN. Io dottor Carlo
Alberto Alemagna del q. Signor Pietro Antonio d’anni 46 del Borgo di Varese
capo di Pieve notifico possedere nella terra di Azzate pieve di Varese gli
infrascritti beni in pezzi n. 25 confinanti con i Signori Paolo Bossi,
Francesco Bossi di Montonate, Veronica Bossi-Velati, … Bossi, Dottor Cesare e
fratelli Bossi, reverendo Curato Ambrogio Orlandi, Stefano Bossi, Francesco Piccinelli,
Dottor Giovanni Bossi, reverendo prete Giovanni Daverio coadiutore d’Azzate,
Chiesa delle Case Vecchie d’Azzate, Chiesa Parrocchiale d’Azzate, Oratorio di
S. Lorenzo d’Azzate, Giacomo Ballerio, Reverendi Padri Conventuali di S. … di
Varese, beni della Causa Pia Frasconi di Biumo Inferiore, Roggia, strade e
accessi:
- Prati asciutti con alberi p.
32.14
- Aratori asciutti con qualche morone p. 51.
3
- Vigne prative p.
10.-
- Vitate e aratorie con ripe prative e di pascolo p. 51.12
- Boschi di castagne p. 7.17
- Boschi da taglio per legna di fascine con roveri e pioppe p. 18.17
- Ortagli o giardini e siti di case p. 8. 5
----------
p.
275.12
Di più notifico possedere nella terra di Azzate per affitti
di case due, l’uno dalla Signora Maria Daverio-Bossi, l’altro da Gerolamo e
Giuseppe fratelli Macchi per rispettiva porzione di casa da loro goduta lire 50
più un livello che mi pagano annualmente i Signori reverendo Canonico Emilio e
fratelli Grandi sopra beni enunciati nell’istrumento di ricognizione rogato dal
fu notaio Pietro Maria Bernasconi il 10 maggio 1696 di lire 9.
Dichiaro e notifico inoltre che per i suddetti beni sono
stato censito in soldi 12911 ¼ d’estimo per i quali ho pagato di carico alla
terra di Azzate nell’anno 1717 lire 237.14.5 e nell’anno 1718 lire 250.18
compreso il perticato rurale.
Sopra quali beni si paga la solita decima del vino e grano
soliti decimarsi in campagna e in fede questo dì 15 luglio … Carlo Alberto
Alemagna notaio collegiato di Milano notifico come sopra.
E’ dunque da
ritenere che il giureconsulto Carlo Alberto Alemagna abbia lasciato la casa
avita di Varese e si sia trasferito ad Azzate nella villa che fu degli avi di
sua moglie Isabella.
Secondo un'iscrizione posta sulla casa, la costruzione
risalirebbe al 1567 e sarebbe pertanto una delle prime case di Azzate ad
affacciarsi sul ciglio che digrada verso il lago di Varese e percorso
dall'attuale Via Volta. A differenza delle case appartenenti al nucleo della
Ca' Mera, questa villa e le attigue, presentano orientamento ribaltato, con
prospetto principale a settentrione e cortile con giardino a meridione.
Come tutte le case di Azzate, anche questa fu
profondamente trasformata nella seconda metà del XVII secolo, epoca alla quale
si può ascrivere il bel portale d'accesso sul lato destro della facciata; pure
il XVIII secolo lasciò la sua impronta negli splendidi soffitti a passasotto e
nel completamento stilistico delle aperture, con cornici elaborate del tardo
barocco lombardo. (SANTINO LANGE', Ville delle province di Como, Sondrio e
Varese).
Un intervento diretto del dottor Carlo Alberto potrebbe
essere quello di aver fatto affrescare lo stemma Bossi e Alemagna sul camino
del salone principale.
Nella sua casa di Azzate, probabilmente scelta per
l’indubbio prestigio del proprietario, senza trascurare l’effetto scenografico,
il 13 marzo 1712 avviene il sopraluogo per l'apprensione del feudo di Azzate e
Dobbiate che segna un altro punto a sfavore della nobile famiglia Bossi che
perde la giurisdizione feudale acquistata nel lontano 1538 dal senatore Egidio
Bossi e ritorna ora nella disponibilità della Camera di Milano.
Nel 1722 si avviano ad Azzate tutte quelle operazioni
considerate preparatorie al cosiddetto Catasto di Maria Teresa che gli esperti
conoscono come “risposte ai 45 quesiti” e che puntano a conoscere il territorio
dal punto di vista topografico-economico attraverso la qualità e quantità delle
coltivazioni, del prezzo degli affitti delle case e dei terreni, ecc. e così,
veniamo a conoscenza delle entrate del nostro Carlo Alberto, attraverso le sue
dichiarazioni.
Per affitti di case riscuote da Maria Daverio lire 20; da
Giuseppe Macchi lire 15; da Gerolamo Macchi lire 15. Dal canonico Emilio Grandi
per affitto di 4 pertiche di aratorio in Azzate riscuote lire 9. Possiede in
Azzate un torchio da vino. Riscuote in Gazzada per affitti di case lire 91. Riscuote
per livelli in Gazzada lire 52 e per decime 9 stari di frumento, 18 stari di
mistura da Bartolomeo Ravarini.
Riscuote per livelli in Brunello 11 stari di frumento, 17
stari di mistura e lire 8 da Francesco Maria Tamborini; 1/2 brenta di vino, 2
stari di frumento, 7 stari di mistura da Pietro Castelnuovo; lire 6 da Giovanni
Romagnoli; stari 14 di frumento e stari 19 di mistura più lire 15 da Carlo
Francesco Martignoni; lire 12 da Giuseppe Martignoni; stari 8 di frumento e
stari 63 di mistura più lire 10.10 da Carlo Antonio Castelnuovo; lire 10 da
Paolo Faglieta.
Accanto a tante entrate ha, naturalmente, anche delle uscite
e sono rappresentate da lire 100 che paga a Giacomo Tamborini per un livello in
Gazzada.
Ma, se conosciamo le sue entrate fondiarie, non ci sono note
le entrate che provengono dalla sua professione che dovevano essere molto
elevate non sembrandoci quelle appena elencate sufficienti a coprire le spese
di una famiglia che viveva nel lusso e nell’abbondanza.
Il suo matrimonio con la nobile Isabella Bossi sembra sia
stato allietato da una sola nascita, cosa abbastanza inusuale per i tempi, ma
assicurò l’erede maschio al quale fu imposto il nome di Giuseppe.
Nel 1758 viene detto
abitante in Azzate, si suppone nella villa dei genitori.
Nel 1762 è proprietario di un terreno in Castronno che fa
coerenza con la Selva di
Sant'Alessandro. (Vedi doc. n. 598).
Molto più avanti negli anni, succede a norma dell'art. 14
del Reale Decreto 10.2.1809, e come risulta dal pagamento dei Carichi fatto dal
suddetto Giuseppe Alemagna dal 1789 in
avanti, come dai confessi dei Ricevitori Comunali ai consorti Bassani nei
mappali n. 534, 892 e 896. (Vedi il n. 125 delle volture catastali).
L'11 maggio 1810 acquista un’altra porzione del mappale n.
896 da Antonio Bassani nella Cascina di Vegonno.
Occupa alcune strade che portano al lago. (Vedi doc. n.
510).
Possiede nel Castello di Azzate una casa colonica dove è
sito un torchio di cui ne usano
gratuitamente i coloni del conte Giulio Cesare Bossi.
(Vedi doc. n. 2090).
Acquista da Lorenzo Obicini, per cambio fra loro, il
mappale n. 264, come da scrittura privata
del 26.8.1818 firmata dalle parti e testimoni ed
autenticata dal notaio Teodosio Cesare Savini
il 20.11.1818. (Vedi il n. 25 delle volture catastali).
Il conte Giuseppe muore a Milano il 26 settembre 1818
lasciando alcuni figli tra cui il conte Giacomo che gli succede assieme ai
fratelli per disposizione testamentaria del 3 febbraio 1816 stata aperta
davanti all'I.R. Tribunale di Prima Istanza di Milano il 28 settembre 1818 e
dal medesimo fatta da mettere nei rogiti
del dott. Benedetto Cacciatore notaio residente in Milano. (Sono molti mappali
per un totale di pertiche 404).
Dal conte Giacomo nascono quattro figli: Carlo,
Alessandro, Marianna che sposa Baruffini, e Leopolda.
Quello che si mette in maggior rilievo è Alessandro che per
cessione fattagli dai fratelli, ed anche a titolo di acquisto, viene in
possesso di tutta la partita di pertiche 404, come risulta da istrumento di
divisione del 1° maggio 1820 rogato dal dott. Benedetto Cacciatore notaio
residente in Milano.
(Vedi il n. 36 delle volture catastali).
Ma, ahimè, due mesi dopo Alessandro dimostra di non avere
più interesse per Azzate e tutti i suoi beni immobili in zona vengono venduti a
don Antonio Orrigoni fu Tommaso, come da istrumento 27 luglio 1820 rogato dal dott.
Benedetto Cacciatore notaio residente in Milano. (Vedi il n. 38 delle volture catastali).
Sulla villa di Azzate si affaccia un nuovo proprietario!
Gio. Maria Alemagna
"... L'ultimo testamento del 26.10.1630 è di Caterina
Fantona, anch'essa infetta dalla peste probabilmente a causa del suo gesto
generoso verso la cognata Antonia Bossi. Caterina è moglie di Giuseppe Daverio
che si presume morto perché, bandito dal Ducato da 12 anni, non ha più dato
notizia di sé. Ella dispone che sia restituito un prestito li lire 55 fatto a
lei, che vive in comunione di beni col cognato Pietro Francesco Daverio, da
Gio. Maria Alemagna, da restituirsi entro Natale senza interessi".
(Estratto dal testamento di Caterina Fantoni del 26.10.1630).
Gio. Maria Alemagna
|
|
|--- Gio.
Battista Alemagna
Il 28
gennaio 1697 è presente come testimone ad un
istrumento
di vendita. (Vedi doc. n. 2.216).
Domenico Antonio Alemagna
Il 10.9.1765 viene investito da Claudio Luigi Bossi.
(Vedi doc. n. 130-151).
Giuseppe Alemagna.
Giureconsulto. Nel 1697 i suoi beni fanno coerenza da tre
parti con la selva detta il Rogoré in territorio di
Castronno.
(Vedi doc. n. 761).
|
|
|--- Pietro
Giacomo Alemagna
Nel 1722
possiede in Azzate pertiche 402.23 valutate
scudi
2035.5.5
(Il dottor
Carlo Antonio Alemagna fq. Pietro Antonio
di Varese,
che non sappiamo in quale grado di parentela
si trovi
con Pietro Giacomo, nel 1719 dichiara di possedere
in Azzate pertiche
275.12).
|----------------------------------------------------------------------|
| Pietro Giacomo Alemagna q. Giuseppe. |
|----------------------------------------------------------------------|
| 1 |
Pascolo boschivo di legna dolce
|
11.22 |
| 9 |
Palude
| 4. 6 |
| 12 |
Palude
| 4.13 |
| 26 |
Prato liscoso | 16.14 |
| 30 |
Prato liscoso
| 8.11 |
| 38 |
Prato liscoso e sortumoso | 5. 2 |
| 49 |
Prato liscoso con roveri di cima | 4. 7 |
| 50 |
Prato liscoso con salici |
3. 6 |
| 53 |
Prato liscoso con roveretti
|
7.14 |
| 54 |
Prato liscoso
| 8.15 |
| 85 |
Aratorio avidato con moroni e noci
| 10.18 |
| 86 |
Aratorio con salici dolci e roveri di cima | 16.13 |
| 116 | Aratorio
avidato con roveri
| 27. 1 |
| 134 |
Aratorio
| 5.18 |
| 135 | Aratorio
avidato con moroni e noci | 21. 1
|
| 136 | Aratorio
| 7. - |
|--------|------------------------------------------------------|--------|
402.23 |
del
valore di scudi 2035.5.5
N.B. - Questi mappali sono solo dei terreni. Non possiede
alcuna casa. E’ dunque da ritenere che Pietro Giacomo Alemagna non abitasse ad
Azzate e le sue possessioni in paese fossero solo un investimento.
Pietro Antonio Alemagna
|
|
|--- dottor Carlo
Francesco Alberto Alemagna f. Pietro Antonio.
n.
24.8.1672
J.C.C. di
Varese.
Nel 1719
dichiara di possedere in Azzate pertiche 275.12
Il 20
novembre 1760 sottoscrive la supplica per le variazioni
del
sommarione di Azzate.
Pietro
Giacomo Alemagna, che non sappiamo in quale grado
di
parentela si trovi rispetto al dottor Carlo Alberto, dal
catastrino
di Azzate risulta essere proprietario di pertiche
402.23).
Sp.
27.9.1693 Isabella Bossi f. Ippolito.
+ Varese
1751.
|
|
|--- conte Giuseppe Alemagna
+ 26.9.1818
|
|
|--- conte Giacomo Alemagna
|
|
|--- Carlo Alemagna
|
|
|--- Alessandro Alemagna
| Per
cessione fattagli dai fratelli, ed anche a titolo
| di acquisto, tutta la partita di pertiche
404 passa
| al solo Alessandro, come risulta da
istrumento di
| divisione dell'1.5.1820 rogato dal dott.
Benedetto
| Cacciatore notaio residente in Milano.
| Tutta la partita di pertiche 404 viene venduta
a
| don Antonio Orrigoni q. Tommaso, come da
| istrumento 27.7.1820 rogato dal dott.
Benedetto
| Cacciatore notaio residente in Milano.
| Il 2.6.1820 acquista dal padre porzione del
| mappale n. 896.
|
|--- Marianna Alemagna
| Sp.
Baruffini.
|
|--- Leopolda Alemagna
Anno 1572. Atto per l'infeudazione ad Anguissola, non
avvenuta.
Si parla di un Battista de Aleto figlio di Giovanni
Antonio della castellanza di Biumo Inferiore. Vi compare anche uno Stefano de
Aleto figlio del fu Clemente di Biumo Inferiore.
Anno 1702. Atto per l'infeudazione al duca Sanpietro, non
avvenuta.
Vi compare un Giovanni Aletto figlio del fu Carlo e un
Giuseppe Aletto figlio del fu Stefano.
Anno 1766. Atto per l'infeudazione al duca d'Este.
Compaiono questi personaggi, tutti della castellanza di
Biumo Inferiore:
Giovanni Battista Aletto
Carlo Martino Aletto
Bellardo Aletto
Giovanni Aletto
Stefano Aletto
Giovanni Maria Aletti (sic)
Francesco Aletto
12.5.1572
Stefano Alemagna
|
|
|--- Laura
| Sp. Antonio Bossi f. Francesco.
|
|--- Angelica
Alemagna
Sp. Francesco
Bossi.
|
|
|---
Gian Maria Bossi
USO GRATUITO DEL TORCHIO DI PROPRIETA' DEL CONTE ALEMAGNA DA PARTE DEI COLONI DEL CONTE GIULIO CESARE BOSSI. N. 2.090
USO GRATUITO DEL TORCHIO DI PROPRIETA' DEL CONTE ALEMAGNA DA PARTE DEI COLONI DEL CONTE GIULIO CESARE BOSSI. N. 2.090
Il conte Giulio Cesare Bossi, in esecuzione dell'eredità
di Donna Veronica Velati, godeva un antico diritto di usare gratuitamente il
torchio da uva sito nella casa colonica del conte Alemagna nel Castello di
Azzate.
Questo torchio andò distrutto verso il 1792, quando la
casa colonica fu acquistata da Giuseppe Luzzi.
Nel 1767 deve essere insorta qualche controversia in
merito all'uso gratuito che di esso ne facevano i coloni del conte Bossi e
possediamo le dichiarazioni sottoscritte da sette coloni, esibite al conte
Alemagna che, molto probabilmente, ne contestava l'uso.
Riassumiamo i punti più interessanti di queste
dichiarazioni:
- si ricordano di essere sempre andati "a caspiare le
uve" nel torchio del conte Alemagna;
- hanno caspiato sia le uve dominicali (quelle che erano
di spettanza del proprietario del fondo) che quelle coloniche;
- non hanno mai pagato una lira al massaro del conte
Alemagna (a quel tempo era certo Carlo Giovanni Guaralda);
- hanno trattenuto per sé le "vinazze". (Esse
erano probabilmente il compenso che si usava pagare al proprietario del
torchio);
- nessuno si è mai opposto all'uso gratuito del torchio
che godevano i coloni del conte Bossi (fra questi vengono annoverati coloni
non solo di Azzate
ma anche di Buguggiate, Montonate e Caidate).
Queste dichiarazioni sono rilasciate dai seguenti coloni
del conte Giulio Cesare Bossi:
- Isabella moglie di Giovanni Mantico, figlia di Francesco
Tamborini detto il Trollo, che godeva in
affitto terre in
Montonate e Caidate da più di tredici anni. (Dichiarazione del 9 settembre
1767);
- Giovanni Battista Ghiringhelli detto il Marchese (per il
quale si sottoscrive Antonio Isella, per
non saper egli
scrivere) che gode il diritto da undici anni. (Dichiarazione del 9 settembre
1767);
- Giacomo Magni (per il quale si sottoscrive Antonio
Francesco Ballerio, per non saper egli scrivere)
subentrato nella
possessione già goduta da Francesco Tamborini detto il Trollo. (Dichiarazione
del
14 settembre
1767);
- Antonio Lozza fu Gioachino che gode in affitto la Molarga e il Ronchetto di Loné dal
1752 al 1757 e
gli subentra
Giovanni Mantico detto il Rolino. (Dichiarazione del 28 settembre 1767);
- Giovanni Mantico detto il Rolino (per il quale si
sottoscrive Antonio Isella, per non saper egli
scrivere).
(Dichiarazione del 29 settembre 1767);
- Antonio Francesco Ballerio che gode in affitto da
vent'anni la possessione detta del Cazago.
(Dichiarazione del
29 settembre 1767);
- Gerolamo Gervasini che gode dal 1762 la possessione
della Molarga e del Ronchetto. (Dichiarazione
del 30 settembre
1767);
Nel 1767, anno delle dichiarazioni, amministrava le
proprietà del conte Alemagna certo Carlo Antonio Bossi.
(Un dato interessante: tre su sette coloni non sanno
scrivere!)
(Riassunto dei lucidi dal n. 19 al n. 25)
Una lettera senza data scritta da Camillo Bossi al conte
Giulio Cesare Bossi ci aiuta a spiegare come il conte Bossi fosse venuto in
possesso del diritto di usare il torchio del conte Alemagna in virtù delle
disposizioni testamentarie di Veronica Velati.
Detta lettera, fra le altre cose, dice: "... Ricordo
che il mio signor padre (che era Carlo Antonio Bossi, come risulta dalla
dichiarazione di Isabella Mantico del 9 settembre 1767) amministrava i beni
della signora donna Veronica Velati da che ho avuto l'uso della ragione e ho
sempre veduto, anzi assistito in persona, a far caspiare non solo la parte dei
massari ma anche la dominicale di tutti i luoghi del territorio di Azzate,
compresa anche la masseria di Montonate a me lasciata per testamento dalla fu
donna Veronica Velati. Di questa verità ne sono così sicuro, sicurissimo che
potrei giurarlo sul mio onore e quel che più conta sull'anima mia".
Di questo Camillo Bossi non conosciamo nulla, ma è
attraverso il suo nome che ci siamo ricollegati a suo nonno, anch'egli di nome
Camillo. Questi aveva sposato nel 1655 Barbara Bossi, figlia di Bernardo (il
feudatario di Oggiona e Santo Stefano) e dal loro matrimonio il 23 settembre
1661 era nata, tra gli altri, Veronica che possiamo senz'altro ritenere la Veronica Velati in
questione.
Da una relazione extra coniugale del predetto Camillo con
Francesca Martignoni nacque Carlo Antonio, che fu legittimato, e che generò a
sua volta un figlio al quale fu dato lo stesso nome del nonno, appunto Camillo.
Dal nonno di Veronica Bossi maritata Velati, cioè Bernardo
Bossi, nacque anche Claudio che generò Paolo Maria dal quale nacque il conte
Giulio Cesare.
LA STORIA
COLLATERALE DEI BOSSI
Così come gli Alemagna, anche il ramo dei Bossi da cui trasse
origine la nostra Isabella si estinse in lei e nelle sue tre sorelle. Esse
nacquero tutte ad Azzate dalla seconda moglie di Don Ippolito cioè Isabella
Maria Bianchi; soltanto Isabella nacque altrove e non conosciamo nemmeno
quando. Se fosse nata dalla prima moglie di Don Ippolito cioè Giulia Quartieri
figlia di Rinaldo e vedova di Gio. Andrea Tettoni, morta ad Azzate il 28
novembre 1654, allora Isabella si sarebbe sposata in età piuttosto avanzata,
come minimo all'età di 39 anni.
A ben considerare questa famiglia fu piuttosto sfortunata.
Infatti il padre don Ippolito sposò una vedova che non sappiamo quanto tempo
dopo morì; si risposò e vide morire anche la seconda moglie.
Miglior sorte non toccò a lui, pover'uomo, che morì per un
incidente il 6 novembre 1681 in
una strada "ammazzato dal proprio cavallo" come registrò il parroco
di Azzate nel registro dei morti, lasciando cinque figlie in tenera età: Paola
Gerolama Prassede di 6 anni, Giulia Ippolita di 5 anni (che sposò il 2 ottobre
1691 Gio. Battista Orrigoni figlio del fu Ottavio di Biumo), Margherita Bona di
3 anni, Clara Isabella di 2 anni e Isabella di cui non conosciamo l'età.
Mi accorgo a questo punto di essere incorso in un
probabile errore. Avrei potuto rifare questo paragrafo senza lasciare traccia
delle errate interpretazioni, ma voglio far partecipe il lettore delle
considerazioni che mi hanno convinto di aver sbagliato, così anch'egli potrà
seguire come è stato messo insieme questo articolo.
La cosa che mi ha messo sul chi va là sono i nomi delle
ultime due figlie di don Ippolito Bossi: Clara Isabella e Isabella.
Bisogna dire che quando veniva amministrato il battesimo
era usanza imporre al neonato due o tre nomi che potevano anche essere di più
per i rampolli delle famiglie più facoltose ed importanti.
Nel nostro caso vediamo che alla primogenita di don
Ippolito Bossi venne imposto il nome di
Paola Gerolama Prassede.
Poiché a quel tempo da un matrimonio nascevano numerosi
figli e la mortalità infantile era molto elevata, avveniva che ad uno dei figli
venisse dato come secondo nome (o anche come primo nome, ma meno
frequentemente) quello di un altro figlio morto in precedenza.
Nel nostro caso avevo ipotizzato:
1) Clara Isabella
2) Isabella.
Stando a quanto appena detto la successione dovrebbe invece
essere ribaltata nel modo seguente:
1) Isabella
2) Clara Isabella
ove si suppone che Isabella sia morta e, alla figlia nata
in seguito, sia stato dato il nome di Clara Isabella.
Ma noi sappiamo che Isabella si sposò con Carlo Alberto
Alemagna e quindi non poteva essere morta e, del resto, è poco probabile che ad
una seconda figlia sia stato dato lo stesso nome della prima.
Consideriamo poi che non sempre, dei due o tre nomi che
venivano imposti, era il primo ad essere effettivamente usato; capitava spesso
che si assumesse per nome abituale il secondo ed è proprio il nostro caso in
cui Clara Isabella assunse il nome abituale di Isabella. Ne consegue che Clara
Isabella e Isabella sono la stessa persona e non due come ipotizzato. Infatti
di Isabella, non ritrovando nei registri parrocchiali di Azzate l'annotazione
del suo battesimo, avevo ipotizzato che fosse nata altrove e fosse stata
generata nel primo matrimonio di don Ippolito con Giulia Quartieri, dal quale
invece non si ebbe prole.
Altra considerazione: c'era da chiedersi come mai Isabella , che reputavo la più
anziana, con i genitori ormai morti (tra l'altro la seconda moglie di don
Ippolito cioè Isabella Maria Bianchi morì proprio di parto dando alla luce
Clara Isabella, che spiega anche il fatto di come sia invalso l'uso del secondo
nome, in memoria della madre) e con tre sorelle in tenera età, si fosse
permessa il lusso di accasarsi così tardi. Invece si sposò quando aveva appena
14 anni e sua sorella Giulia ne aveva 15,
in modo che un marito (tra l'altro facoltoso!) potesse
provvedere loro.
Ecco spiegata anche la dispensa delle pubblicazioni che
avvenne per i due matrimoni, che in un primo momento avevo giustificato come
segno di "distinzione" degli sposi ed invece era piuttosto una
dispensa per la minore età.
Dai testimoni che parteciparono al matrimonio di Giulia e
di Isabella sembra di poter dire che ormai queste poco più che fanciulle non
erano più considerate nel "gioco dei matrimoni" della grande famiglia
o consorteria dei nobili Bossi, la cui politica fu sempre quella di mantenere
in seno alla famiglia il patrimonio con frequenti, per non dire esclusivi,
matrimoni fra Bossi e Bossi. Infatti nel caso dei matrimoni che stiamo
considerando non intervenne alcun rappresentante della nobile famiglia Bossi:
nel primo matrimonio furono testimoni il reverendo Gio. Evangelista Cattaneo,
cappellano dello sposo, ed il chierico Ambrogio Orlandi; nel secondo furono
testimoni una certa Giuliana vedova di un Pietro Gerolamo e Margherita Albini
del fu Andrea.
Tutte queste persone non hanno lasciato traccia in Azzate
e danno l'impressione di essere state messe insieme alla bella e meglio. Ma
ancora più strano è il fatto che queste due sorelle, che pur dovevano essere dotate
di un buon patrimonio, si siano accasate con personaggi fino ad allora
sconosciuti in Azzate, e gli altri Bossi non abbiano cercato di impossessarsi
delle loro ricchezze che comprendevano, tra l'altro, la villa in Azzate.
In questo modo, come già era avvenuto per la sorella del
loro nonno cioè donna Bianca Bossi che aveva sposato Gerolamo Tettoni,
portandosi in dote la villa poi detta Benizzi-Castellani, con il matrimonio di
donna Giulia e donna Isabella entrarono rispettivamente nel patrimonio delle
famiglie Orrigoni ed Alemagna altre due ville di Azzate, che fino ad allora
erano state il segno tangibile della grandezza dei Bossi. (Salvo miglior
controllo, sembra che Giulia si sia portato in dote la villa poi detta
Mazzocchi).
Mi sembra che il discorso sin qui fatto possa essere
maggiormente avvalorato se analizziamo i personaggi che invece intervennero
come padrini ai battesimi delle figlie di don Ippolito Bossi, quando cioè lui
era ancora vivente e manteneva salde relazioni con la grande famiglia Bossi.
Due volte compare come madrina Gerolama che aveva sposato
Gio. Battista Bossi che si collega a donna Bianca Bossi, trisnonna dei neonati;
una volta compare suo marito; tre volte compare Carlo Francesco Bossi figlio di
Pietro Gerolamo, discendente da un ramo collaterale, facente capo al capostipite
Montolo Bossi.
Ma riportiamoci alla data di costruzione della villa e
cioè all'anno 1567. Un anno prima don Ippolito Bossi, discendente da quel
Matteo che aveva riedificato la villa poi detta Benizzi-Castellani, si sposò
con donna Bianca Bossi, discendente dai possessori della villa poi detta
Riva-Cottalorda.
Il 20 aprile 1566 venne stipulato il contratto nuziale tra
il futuro sposo don Ippolito ed i fratelli della futura sposa Don Gio. Antonio
e Don Gio. Battista Bossi e venne stabilita la dote in lire 6.200 imperiali
delle quali: 4.000 sarebbero state pagate subito dopo la celebrazione del
matrimonio e le rimanenti lire 2.200 entro dieci anni con l'interesse del 5%
Lo sposo, da parte sua, avrebbe aumentato la dote di altre
lire 500.
Oltre ai stipulanti si sottoscrissero: il fisico Gio.
Antonio Bossi, il giureconsulto Simone Bossi ed il reverendo Luigi Daverio
curato di Azzate.
Il 30 luglio 1566 venne rogato il formale contratto dal
notaio, il nobile Gio. Battista Buzzi, che nel 1551 si era unito in matrimonio
con un'altra figlia di Stefano Bossi cioè Elisabetta e che quindi, rispetto ai contraenti da parte della
futura sposa e di ella medesima era cognato.
Stefano Bossi Marco Matteo Bossi
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Elisabetta Gio. Antonio Gio. Battista Bianca sp. 1566 Ippolito
Sposa 1551 nob. Gio.
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Battista Buzzi, notaio. | |
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Con questo matrimonio il ramo dei nobili Bossi che
comunemente viene detto "del Lodigiano" si trapiantò definitivamente
in Azzate e diede origine ad un'altra "consorteria" che, però, nel
giro di tre generazioni si estinse. Nel caso specifico avvenne la connessione
tra il ramo Bossi "del Lodigiano" e quello di Milano detto del
"Passerino"", così come già in precedenza era avvenuta una
connessione tra questo ramo ed il ramo dei conti Bossi del Castello di Azzate,
quando Matteo Bossi (fratello del nonno di Don Ippolito) aveva sposato nel 1499
Polissena Bossi figlia di Luigino. Ed è probabilmente proprio in questa
occasione che il ramo Bossi "del Lodigiano", che fino ad allora aveva
avuto interessi a Meleto Lodigiano e a Milano, conobbe il nostro paese e nel
giro dei matrimoni e delle alleanze fece in modo che un suo discendente lo
scegliesse come sua dimora stabile. Si ha l'impressione però che questo ramo si
sia trapiantato ad Azzate più per ragioni economiche contingenti che per
tradizione. Infatti, così come Matteo Bossi sembra sia venuto in possesso di
quello che poi divenne la villa Benizzi-Castellani, togliendola al patrimonio
dei Bossi azzatesi, suo nipote Ippolito venne in possesso di quello che poi
divenne la villa Alemagna-Ferrario, togliendola al patrimonio dell'altro ramo
Bossi cosiddetto di Milano ma con una grande tradizione azzatese.
La figlia di Ippolito portò poi in dote nella famiglia
Tettoni di Novara la villa poi detta Benizzi-Castellani, così come le nipoti di
suo figlio portarono nella famiglie Alemagna ed Orrigoni altre due ville.
Si ha l'impressione che questo ramo Bossi si sia insinuato
nella grande compagine Bossi più tipicamente azzatese e ne abbia frantumato e
disperso il grande patrimonio immobiliare. Oppure potrebbe essere che la
famiglia Bossi del castello di Azzate si sia effettivamente
"arroccata" nel castello e abbia poi edificato in paese altre ville
per i rami collaterali.
In effetti la prima impressione che si ha avvicinando i
Bossi è quella di vederli nel loro castello, così come suggeriscono i trattati
di araldica e gli studi genealogici in cui viene riportato: "Bossi, conti,
del castello di Azzate".
Questa tuttavia è una visione limitativa e alla luce di
tutte le testimonianze lasciate dai Bossi lungo diversi secoli in Azzate e
fuori, va allargata.
Un istrumento
rogato dal giureconsulto Ludovico Pusterla il 2 giugno 1600 mi serve poi per chiarire e
convalidare quanto ho sin qui ipotizzato.
Il perno su cui ruotano le mie argomentazioni è Matteo
Bossi figlio di Ippolito (ramo cosiddetto del Lodigiano) e Bianca Bossi (ramo
di Milano).
Matteo sposò nel 1597 Margherita Bossi figlia di Gio.
Battista (ramo di Azzate) e, di conseguenza, abbiamo che nel giro di due
generazioni si incrociano tra loro i tre rami principali della nobile famiglia
Bossi.
Ora avviene che, con l'istrumento appena ricordato, Matteo
Bossi abitante in Azzate fa donazione dei suoi beni mobili ed immobili a sua
madre Bianca Bossi (ramo di Milano).
Stupisce il fatto che Matteo, allora 32enne, sposato da
appena 3 anni, si decida a fare questa donazione che dà l'impressione di voler
riportare il suo patrimonio in seno al ramo Bossi di Milano, stando anche alle
varie disposizioni stabilite dal donatore.
In esso venne infatti disposto che, qualora fosse morta la
prima donataria, ossia la madre Bianca, sarebbero succeduti i figli maschi del
donatore con l'obbligo di disporre di una giusta dote a favore delle figlie
femmine. In loro mancanza, sarebbe succeduta Margherita Bossi, moglie del
donante. In mancanza anche di questa, sarebbe succeduto Gio. Battista Bossi
figlio di Stefano, suo zio materno.
Per cui si ha, come abbiamo appena detto, che nei due casi
estremi la donazione sarebbe andata a profitto del ramo Bossi di Milano. In
realtà le cose andarono in modo che la donazione fu a vantaggio dei suoi figli,
in quanto abbiamo visto che le sue nipoti portarono in dote quella che poi fu la Villa Alemagna e la villa
Mazzocchi.
Un ulteriore contributo nella comprensione del ruolo che
hanno avuto i vari rami della famiglia Bossi ci può venire dalla comparazione
dei quattro rami principali, in un periodo di quattro generazioni, che stanno
in tempi più remoti rispetto ai fatti che stiamo considerando.
Il ramo che espresse i personaggi di maggior spicco fu
quello di Azzate che, quasi certamente, per essere stato il più vicino al
governo dei duchi di Milano riuscì ad ottenere maggiori vantaggi e benefici. Fu
il primo che ottenne feudi e concessioni che andarono ad arricchire il
patrimonio familiare. Azzate fu sotto il loro dominio e Luigino Bossi venne
anche in possesso del feudo di Meleto Lodigiano, che attraverso il matrimonio
della figlia Polissena, passò al ramo da cui discese Matteo Bossi.
In questo modo andrebbe anche corretta la denominazione di
"ramo del Lodigiano" poiché non è nient'altro che una diramazione del
ramo di Azzate.
Il ramo di Montolo espresse personaggi che esercitarono la
professione notarile di padre in figlio. Un personaggio che primeggiò sugli
altri fu Giovanni Bossi padre di Matteo, di cui un epitaffio conservato nella
Chiesa dell'Incoronata di Milano ci dà un buon profilo.
Gli altri due rami (di Milano e di Musso) hanno espresso
personaggi che furono per lo più impiegati nell'amministrazione pubblica con
gradi superiori: ci furono infatti dei decurioni e dei senatori.
Attraverso opportuni e strategici matrimoni (coi Visconti,
coi Besozzi e con i Castiglioni), se non aumentarono, di certo consolidarono la
loro posizione sociale.
In questo quadro di buoni e
nobili personaggi (Simone Bossi ebbe il titolo di conte palatino; i fratelli
Antonio e Stefano Bossi furono riconosciuti nobili milanesi nel 1513) si inserì
il ramo di Azzate che espresse senza dubbio gli uomini di maggior prestigio: un
Francesco vescovo di Como; un altro Francesco vescovo di Novara; un Baliolo
signore di Azzate nel 1416; un Antonio consigliere dei Visconti e degli Sforza;
un Luigino che acquistò il Feudo di Meleto Lodigiano; un Egidio che acquistò nel
1538 il Feudo della Val Bodia; un Marco Antonio cavaliere aureato, conte
palatino, ambasciatore di Filippo II presso gli Svizzeri; un Bernardo che
acquistò il Feudo di Oggiona e S. Stefano in Pieve di Gallarate.
(Vedi doc. n. 2.064 c'è l'albero genealogico di questi
ultimi personaggi, che qui non trascrivo).
SCRITTA SUL CAMINO
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| HOMINEM QUI ME GENUIT SINE ME NON NASCITUR IPSE |
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L'uomo che mi generò senza di me non nasce egli stesso.
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In villa c'era la cappella privata.
Dal conte D. Giuseppe Alemagna q. Pietro Giacomo a Alemagna
conte Giacomo, Carlo, Alessandro, Marianna maritata Baruffini e Leopolda nubile
fratelli e sorelle q. conte Giuseppe,
successi dopo la morte del loro padre conte Giuseppe seguita in Milano il 26
Settembre 1818 e per disposizione testamentaria del 3 febbraio 1816 stata
aperta avanti l’I.R. Tribunale di prima istanza di Milano il 28 Settembre 1818
e dal medesimo fatta deporre nei rogiti del notaio Benedetto Cacciatore
residente in Milano.
I mappali sono i seguenti:
n. 1 di pertiche 11.22
n. 9 di pertiche 4.6
n. 12 di pertiche 4.13
n. 26 di pertiche 12.-
n. 26 ½ di pertiche 4.14
n. 30 di pertiche 8.11
n. 38 di pertiche 4.6
n. 49 di pertiche 4.7
n. 50 di pertiche 3.6
n. 53 di pertiche 7.14
n. 54 di pertiche 8.15
n. 85/1 di pertiche 6.18
n. 85/2 di pertiche 4.-
n. 86/1 di pertiche 8.1
n. 86/2 di pertiche 7.-
n. 86/3 di pertiche 1.12
n. 116 di pertiche 1.18
n. 134 di pertiche 5.18
n. 135/1 di pertiche 12.1
n. 135/2 di pertiche 9.-
n. 136 di pertiche 7.-
n. 142/1 di pertiche 4.-
n. 142/2 di pertiche 3.22
n. 142/3 di pertiche 1.-
n. 144 di pertiche 8.16
n. 166 di pertiche 4.18
n. 168/1 di pertiche 4.6
n. 168/2 di pertiche 1.-
n. 168 ½ di pertiche 0.18
n. 170/1 di pertiche 8.-
n. 170/2 di pertiche 5.-
n. 170/3 di pertiche 5.-
n. 170/4 di pertiche 1.8
n. 188 di pertiche 2.9
n. 191 di pertiche 6.18
n. 191 ½ di pertiche 4.4
n. 191 ¼/1 di pertiche 3.14
n. 191 ¼/2 di pertiche 3.14
n. 249 di pertiche 16.3
n. 250 di pertiche 3.12
n. 251 di pertiche 4.19
n. 252 di pertiche 14.18
n. 257 di pertiche 12.12
porzione del n. 264 di pertiche 1.15
n. 283 di pertiche 2.13
n. 309 di pertiche 3.1
n. 319 di pertiche 5.6
n. 358/1 di pertiche 5.4
n. 358/2 di pertiche 2.16
n. 455 di pertiche 1.5
n. 470 di pertiche 3.4
n. 471 di pertiche 1.14
n. 472 di pertiche 2.2
n. 473 di pertiche 8.3
n.474 di pertiche 2.3
n. 475 di pertiche 8.19
n. 479/1 di pertiche 6.12
n. 479/2 di pertiche 0.12
n. 483/1 di pertiche 9.5
n. 483/2 di pertiche 0.18
n. 489/1 di pertiche 3.13
n.489/2 di pertiche 3.13
n. 490/1 di pertiche 6.14
n. 490/2 di pertiche 0.12
n. 502 di pertiche 10.18
n. 508 di pertiche 1.15
n. 514 di pertiche 0.13
n. 516 di pertiche 13.10
porzione del n. 534 di pertiche 0.4
n. 553 di pertiche 2.2
n. 555 di pertiche 2.1
n. 562 di pertiche 4.3
n. 564 di pertiche 3.11
n. 566 di pertiche 2.15
n. 567 di pertiche 5.19
n. 578 di pertiche 2.1
n. 598 di pertiche 3.18
n. 601 di pertiche 1.22
n. 655 di pertiche 3.5
n. 691 di pertiche 3.12
n. 701 di pertiche 0.21
n. 848 di pertiche 0.18 (Casa Michelin-Eusebio)
n. 868 di pertiche 3.8 (Villa Alemagna-Ferrario)
n. 869 di pertiche 1.16
n. 889 di pertiche 1.- (Corte Tesser vecchia Casa
Bernasconi)
porzione del n. 892 di pertiche 0.2 1/6
porzione del n. 896 di pertiche 0.1 (Vegonno)
n. 906/2 di pertiche 0.19 (Cascina Fiori)
per un totale di pertiche 404.21 1/6
Il solo D. Alessandro acquista tutta la partita di pertiche
404.21 1/6 per cessione fattagli dai fratelli ed anche a titolo di acquisto
come risulta da istrumento di divisione 1° Maggio 1820 del notaio Benedetto
Cacciatore residente in Milano.
Tutta la partita di pertiche 404.21 1/6 da Alemagna D.
Alessandro q. Conte Giuseppe[4] passa
a Orrigoni D. Antonio q. Tomaso, per
acquisto come da istrumento 27 Luglio 1820 del notaio Benedetto Cacciatore
residente in Milano.
Alemagna di Varese, conti. Vedi albero genealogico al n.
10.028 da "Almanacco della famiglie nobili" vedi il n. 5.034
ERSILIA BAVASSANO VEDOVA BAFFI
Molti se la ricorderanno come quella distinta signora con
i capelli bianchi sempre molto curati che assisteva alle funzioni religiose in
chiesa parrocchiale ad Azzate con una particolare devozione.
Percorreva quel poco tratto di strada che separava la
Villa Ferrario dalla chiesa parrocchiale in compagnia della sua dama di
compagnia, Lidia Giamberini , appoggiandosi su un bastone che, anziché denotare
la sua deficienza ambulatoria, le conferiva maggior alure.
Fu soltanto dopo la sua morte che, grazie
all’interessamento di Ezio Giamberini, nipote della dama di compagnia, potei
visitare il suo appartamento che era stato ricavato al primo piano della vasta
Villa Ferrario e scattare qualche fotografia degli affreschi che ornavano le
sue pareti. Si dice che fossero opera del pittore Giovanni Battista Del Sole.
Nella ristrutturazione di due locali annessi alla villa
sono venuti alla luce alcuni affreschi e soffitti a cassettoni che dimostrano
chiaramente essere stati in passato parte integrante della villa stessa.
DEL SOLE
GIOVANNI BATTISTA
Figlio di Pietro,
anch'egli pittore, nacque a Milano o nel Ducato milanese, intorno al 1615 1625.
Apprese dal padre i primi insegnamenti pittorici; nulla si conosce sulla sua
successiva formazione, ma con certezza si può asserire che essa non si svolse
all'Accademia ambrosiana di Milano (che, fra l'altro, era stata chiusa nel 1630
a causa della peste e che fu riaperta solo nel 1669).
La sua
attività artistica è documentata per trenta anni, dal 1644 circa, in campo sia
pittorico sia incisorio, con una produzione certamente più cospicua rispetto a
quanto oggi si conosce. Delle sue opere attualmente note la maggior parte può
essere sistemata in una convincente ordinazione cronologica; per altre, invece,
mancano dati sufficienti.
La prima opera attribuibile con certezza al
Del Sole è databile al 1644 ed è una serie di ventuno acqueforti eseguite in
collaborazione con G.P. Bianchi, su disegni di C. Storer, per il volume Racconto delle sontuose esequie
fatte alla Serenissima Isabella Reina di Spagna..., edito a Milano
nel 1645, che descrive ed illustra gli apparati allestiti in duomo. Al 1649
risale invece la Battaglia di Azio, un soggetto che l'artista dipinse
per uno dei pannelli allestiti in occasione delle feste in onore di Anna d'Austria
e posti dentro ad archi celebrativi costruiti intorno a Porta Romana; il
medesimo soggetto venne poi inciso dall'artista anche in un'acquaforte,
inserita nel volume La pompa della solenne entrata fatta dalla Serenissima Maria Anna
Austriaca... (Milano 1651), che contiene anche incisioni di C.
Storer, G. Cotta e G. Quadrio.
Di un'attività pittorica del Del Sole in
questo periodo apparentemente non si hanno notizie, anche se essa è
ipotizzabile. In base alle date conosciute, sembrerebbe che abbia assunto una
certa consistenza solo più tardi; le prime commissioni a noi note risalgono
intorno al sesto decennio. Infatti la sua presenza come pittore in S. Eustorgio
a Milano è documentata in un periodo compreso fra il 1653-1657: nel 1653 è da
ritenere infatti che egli abbia eseguito un affresco oggi perduto, posto sul
pulpito in. pietra eretto davanti alla chiesa e raffigurante un Miracolo di s. Pietro da Verona,
mentre agli anni seguenti è riconducibile la decorazione ad affresco nella
cappella Torelli, nella stessa chiesa, con un ciclo di Storie di s. Domenico.
A questo periodo, e più precisamente al
1656, risale l'acquaforte, datata, ritraente il Sepolcro di Enrico Settala,
che si trovava nella chiesa di S. Francesco a Milano, andata distrutta nel
1807. Dalla scritta presente in tale stampa si ricava la notizia che il Del
Sole aveva eseguito un dipinto sul sepolcro, con una scena di battaglia che si
riferiva alla crociata cui aveva partecipato il Settala. Di tale dipinto,
malamente riprodotto nella stessa acquaforte, parla anche il Torre (1674, p.
201).
Dopo questa prima attività milanese
l'artista ricevette commissioni prima a Varese (qui nel 1658 dipinse la volta
dell'oratorio di S. Giuseppe: l'opera è datata e firmata, con alcune figure di
angeli e puttini) e poi in provincia di Pavia. Nel 1661 infatti stipulò un
accordo con i responsabili della chiesa di S. Pietro Apostolo a Broni (Pavia)
per sei quadri raffiguranti la Storia di s. Contardo, da collocarsi nell'omonima cappella;
l'accordo venne negli anni seguenti modificato ed aumentò il numero dei dipinti
commissionati. Di questa decorazione, che copriva in pratica tutta la cappella,
si conservano solo gli affreschi della parete sinistra.
Il ritorno a Milano avvenne intorno al
1663, probabilmente al termine della commissione di Broni. Nel capoluogo
lombardo il Del Sole eseguì sette dipinti su lapislazzulo, oggi perduti, per il
museo di Manfredo Settala: di due soli, raffiguranti Galeone e Galea e un Porto di mare, è
noto il soggetto dalle descrizioni del Terzago (1664).
Qualche anno più tardi, probabilmente nel
1669 o nel 1670, il D. lavorava per il convento di S. Angelo a Milano,
compiendovi un olio su tela raffigurante S. Pietro d'Alcantara, la cui canonizzazione era avvenuta
nel 1669; quest'opera, tuttora in loco, è stata in passato attribuita, per confusioni
di nomi, al bolognese Giovan Gioseffò Dal Sole, ma senza alcun fondamento. Per
lo stesso convento, nel secondo chiostro della chiesa, il D. compì forse un
affresco con Storie di s. Francesco ,
ricordato anche in una fonte manoscritta conservata all'Archivio storico di
Milano (Annotazioni, post 1746); tale chiostro e i dipinti in esso
contenuti sono andati distrutti durante il secondo conflitto mondiale.
Disperse risultano inoltre altre quattro
opere milanesi eseguite in questo stesso periodo: un altro S. Pietro d'Alcantara e un Cristo morto,
realizzati per l'oratorio di S. Francesco nella chiesa di S. Maria della Pace,
soppressa nel 1805; una Erodiade,
realizzata per la chiesa di S. Giovanni alle Case Rotte; e infine un gruppo di
affreschi nelle sale del palazzo ducale, probabilmente compiuti nel 1665,
anch'essi oggi non più esistenti.
Entro il 1671 deve essere collocata
l'esecuzione di un olio su tela, La morte del giusto, per la cappella del Suffragio dei
morti, nella chiesa di S. Biagio a Caprino Bergamasco (oggi conservata nella
sacrestia della medesima chiesa), poiché di tale dipinto si fa menzione in una
relazione redatta appunto nel 1671 da G. B. Natali, curato di Caprino
Bergarnasco.
L'anno seguente il D. ricevette l'incarico
per un grande dipinto (350 × 800 cm) raffigurante La battaglia di Lepanto,
per la cappella del collegio "Ghislieri" a Pavia. L'attribuzione di
tale opera, oggi conservata nella sala Pio V del medesimo collegio, è stata in
passato controversa, volendola alcuni assegnare a G. G. Dal Sole, ma il
ritrovamento del manoscritto con la descrizione della visita pastorale del 1673
(conservato al collegio) permette di assegnare con certezza al Del Sole
l'esecuzione del dipinto, stabilendone anche i pagamenti.
Per un'altra Battaglia di Lepanto,
di minori dimensioni, conservata a Broni (Pavia), nella cappella del Rosario
nella chiesa di S. Pietro Apostolo l'assegnazione è da considerarsi possibile,
ma non suffragata al momento da alcun obiettivo documento, salvo labili
assonanze stilistiche, che non escludono che l'esecuzione di questo dipinto
possa essere opera di qualche imitatore della Battaglia del collegio "Ghislieri".
A probabilmente da collocare durante questo
soggiorno pavese anche l'acquaforte Ildiacono Liutprando alla
presenza dell'imperatore d'Oriente, il cui soggetto è legato ad
avvenimenti storici riferentesi alla città, della quale la stampa mostra anche
un'ampia veduta.
L'ultima opera in ordine di tempo (intorno
al 1680) attribuibile al D. è Le Marie al sepolcro, un affresco nella cappella di S.
Marta in S. Vittore a Varese, che taluni vorrebbero di mano di Pietro Del Sole,
padre del D. ma che una critica più recente tende a restituire a Giovanni
Battista.
Oltre alle opere fin qui descritte, sono da
citare alcune acqueforti, per le quali apparentemente non vi sono elementi
utili per una datazione, come la S. Famiglia, desunta da un soggetto di F. Perrier, e una Allegoria della Chiesa,
firmata e indicante Milano come luogo di esecuzione. A queste si può aggiungere
un'altra incisione solo dubitativamente riferibile all'artista: un Frontespizio con l'incontro
della contessa Matilde.
Numerose sono, anche in campo pittorico, le
opere di cui si hanno solo notizie frammentarie dalle fonti, come i due
dipinti, citati genericamente nell'inventario manoscritto della famiglia
Mazenta del 1672 (pubblicato dal Verga, 1918, p. 281), o un Angelo, un tempo conservato a Treviso nella raccolta
degli eredi Corniani degli Algarotti-Peruzzolo. Va ricusata per motivi
cronologici l'attribuzione al D. degli affreschi della cappella di S. Tommaso
nella chiesa di S. Angelo a Milano, eseguiti intorno al 1620-1630; mentre la Presentazione al tempio (Vaduz, collezione dei principi di
Liechtenstein) è opera plausibilmente di G. G. Dal Sole.
Per quanto concerne i disegni, poco o nulla
si può dire con certezza. Alcuni sono conservati all'Ambrosiana di Milano, ma
la loro attribuzione appare quanto meno discutibile. Per la restante attività
in questo settore è possibile avere solo notizie indirette, o dalle iscrizioni
presenti in talune sue incisioni, o da acqueforti eseguite da altri artisti con
soggetti tratti da suoi disegni: in questo senso si conosce un Ritratto maschile,
inciso da G. B. Bonacina, e si ha notizia dal Füssli (1819) di altri soggetti,
di cui uno inciso da H. Winstanley.
Nessuna notizia precisa si ha sulla data di
morte del Del Sole: certo essa non è avvenuta, come sostiene P. Zani, nel 1719,
confondendosi con quella di G. G. Dal Sole; rispetto ad essa deve essere
verosimilmente anticipata, e comunque collocata dopo il 1673, ultimo anno nel
quale è documentata con certezza l'attività dell'artista.
(Estratto da Wikipedia).
GIOVANNI BATTISTA DEL SOLE E LA CAPPELLA D. S. MARTA IN S.
VITTORE A VARESE
di Laura Basso
(da: TRACCE, Edizioni Victor, n. 4, 1988).
La cappella dedicata a S. Marta, che conclude il braccio
destro del transetto in S. Vittore a Varese, fu eretta tra il 1583 e il 1604.
La cappella fu sede dell'omonima confraternita, titolata anche a S. Giovanni
Decollato, che sovvenzionò i lavori per la costruzione dell'altare, documentati
tra il 1627 e il 1630. Non conosciamo invece l'anno in cui venne collocata la
pala dell'altare, copia della Deposizione di Cristo (Milano, S. Fedele) dipinta
da Simone Peterzano prima del 1591. I documenti d'archivio tacciono sugli
stucchi, peraltro databili al pieno seicento per l'esuberanza dei motivi
decorativi, festoni di frutta, girali, ecc., che arricchiscono le cornici,
colmando ogni spazio. Non è possibile però precisare se la loro realizzazione
sia coeva alla decorazione a fresco considerando la differenza tra il numero
delle scene, commissionate nel 1670, e quello delle cornici.
L'insieme di questi dati porta a constatare che l'impegno
assunto dalla confraternita di S. Marta per la propria sede si concretizzò in
due momenti: il primo entro il 1630, data fatidica per la storia dell'arte
lombarda; il secondo entro l'ottavo decennio del seicento.
E' ora possibile documentare questa seconda fase avendo
ritrovato il contratto steso nel 1670 tra i confratelli di S. Marta e i pittori
Giovanni Battista Del Sole e Federico Bianchi che si impegnavano a dipingere a
fresco la cappella entro il mese di luglio del 1671.
Il documento, già considerato perduto, ha un valore
innanzitutto iconografico perché elenca e descrive diciannove scene, che
corrispondono esattamente alle pitture oggi visibili, attraverso le quali i
committenti intendevano illustrare i fatti principali delle sante Maria
Maddalena e Marta con particolare riferimento a quest'ultima e ai miracoli
compiuti dopo il suo arrivo in Provenza. In questo senso ho creduto opportuno
trascrivere in appendice questa parte del contratto che ha un certo interesse
anche sotto il profilo giuridico - per l'elenco degli obblighi e dei diritti
delle parti contraenti - oltreché essere indicativo del gusto dei committenti.
Il documento inoltre permesse di sciogliere i problemi relativi alla data di
esecuzione, già indicata tra il 1680-82, e soprattutto quello dell'identità di
uno dei pittori, quel Giovanni Battista Del Sole, inizialmente identificato nel
padre Pietro.
Anche per questo motivo, in questo articolo ho voluto
esaminare l'attività pittorica di Giovanni Battista Del Sole, dedicandogli uno
spazio maggiore rispetto a quello dato a Federico Bianchi, al fine di
attribuire ai due pittori le parti rispettivamente affrescate; un'impresa
pittorica che per ora niente ci vieta di pensare effettivamente realizzata
entro il 1671.
L'elenco delle opere fino ad oggi reperite di Del Sole
inizia con due soggetti celebrativi che Marco Bona Castellotti ha dissepolto
dall'anonimato, al quale erano iscritte negli inventari dell'Accademia di
Brera, datandole al 1650.
Le due vaste tele, rappresentanti forse Episodi
dell'ingresso di Maria Anna d'Austria - avvenuta a Milano nel 1649, - esprimono
un linguaggio ormai maturo, caratterizzato da cadenze veneziane e, in
particolare, da accenti di memoria veronesiana nel modo di campeggiare le
figure, riprese con punti di vista ribassati contro gli ampi spazi del cielo.
Ma la consonanza con l'area veneta insiste soprattutto nella scelta cromatica e
nelle lumeggiature che percorrono i due quadri.
In uno di questi, l'ampia scena raffigurante L'assedio di
una città assume particolare interesse quale punto di riferimento con le
numerose opere di anonimi "pittori di battaglie", un genere da
approfondire in area lombarda e di cui il Del Sole ha lasciato altre
testimonianze sia come frescante sia come incisore.
A mio parere le tele dell'Accademia di Brera sono
prossime, per taglio compositivo e per impostazione spaziale, ai due affreschi
raffiguranti Episodi della vita di S. Domenico posti nell'omonima cappella
(Milano, S. Eustorgio). Di questi sappiamo che erano già compiuti entro il
1674; poco dopo Federico Bianchi avrebbe completato la volta della stessa
cappella, iniziata da Carlo Cornara.
Benché non siano in buono stato di conservazione, questi
affreschi sono ancora leggibili nella struttura compositiva, insistita sul
piano orizzontale e nettamente distinta in due zone. Così, come nelle tele di
Brera, l'affollamento dei personaggi disposti quasi a parata acquista maggior
evidenza rispetto alla zona superiore dove ampie distese di cielo sono limitate
da ideali e complesse architetture.
Anche se di maggior impegno composito, l'intervento di
Giovanni Battista Del Sole in S. Eustorgio si presta senz'altro ad un confronto
con quello in S. Vittore. La medesima tecnica ad affresco permette di rilevare
la stessa scelta cromatica dei toni rossicci dove spiccano i bianchi gessosi e
la stessa esecuzione sciolta, spesso sfumata, quasi affrettata nelle parti
secondarie; caratteri stilistici che si osservano agevolmente in tutti i
pannelli della parete sinistra della cappella varesina, compreso le Marie al
sepolcro e, a mio parere, in gran parte di quelli della volta. Infine si annota
nella scena raffigurante S. Marta vince il drago Tarasque - lesena sinistra -
la scelta di ambientare l'episodio contro una fantastica quinta architettonica.
A Varese, Giovanni Battista Del Sole aveva già lavorato
dipingendo a fresco, nel 1658, la volta della chiesa di S. Giuseppe; qui è
interessante mettere a confronto gli affreschi con Scene della vita di David,
interpretate da Melchiorre Gherardini nei toni chiari di una favola serena, con
l'opera di Del Sole impegnato a non scadere nella ripetizione raffigurando
sessanta angiolotti, oltre il riquadro centrale con l'Eterno Padre, che per
tipologia, volumi e scelta cromatica ben si legano alle pesanti cornici di
stucco e all'apparato ligneo della chiesa, espressione tra le più coerenti e
meglio conservate del '600 varesino.
Tra il 1661-63, Giovanni Battista Del Sole è impegnato in
un ciclo di affreschi che narrano, con immagini semplici, essenziali, di genere
quasi devoto, La vita di S. Contardo (Broni, Basilica di S. Pietro Apostolo). E' utile il confronto tra le figure
secondarie di questo ciclo con quelle che appaiono nelle scene raffiguranti
Marta sanata da Cristo o Il popolo di Marsiglia invoca S. Marta (parte sinistra
della cappella) per notare quanto poco variasse il repertorio del pittore a
distanza di un decennio.
Anche nell'interpretazione di nuovi personaggi, come La
gloria di S. Pietro d'Alcantara (Milano, S. Angelo dei Frati Minori) effigiato
poco dopo la sua canonizzazione avvenuta nel 1669, il Del Sole appare legato ad
uno schema sorpassato e ormai generico, mancante inoltre di quella compartecipazione
emotiva propria della precedente generazione di pittori legati alla
controriforma, di cui nella stessa di S. Angelo, il Del Sole aveva una vivida
testimonianza nell'Estasi di S. Carlo del Morazzone.
La tela raffigurante La morte del giusto (Caprino
Bergamasco, chiesa di S. Biagio), documentata al 1671, si avvale ancora di un
repertorio manieristico nelle figure dei comprimari in primo piano, di cui
all'estrema destra di profilo ritorna tale e quale nel riquadro Gesù in casa di
Marta e Maddalena (parete sinistra della cappella). Anche in questo caso i
contatti con l'area veneta tornano puntuali, anzi con alcune concessioni al
tardo Quattrocento, come l'apertura paesaggistica inquadrata dalla finestra
sullo sfondo.
L'elenco delle opere fino ad oggi note si conclude con la
grande tela, ennesima celebrazione della Battaglia di Lepanto (Pavia, Collegio
Ghislieri), documentata al 1673, per la quale Franco Maria Pesenti indica una
stretta dipendenza, non solo iconografica, con il Tintoretto.
L'attività di Giovanni Battista Del Sole, puntualmente e
fortunatamente documentata e datata a differenza di quelle di tanti altri
artisti, emerge dunque dall'oblio e si presenta oggi con esiti convincenti
specialmente nelle tematiche celebrative profane, inquadrata e allineata con
l'ambiente artistico della capitale lombarda impegnata, a partire dal quarto
decennio, nel rinnovamento in chiave "barocca" delle dimore pubbliche
e private e degli edifici di culto.
In questo contesto il pittore si dimostra discretamente svincolato
dalla formazione della generazione controriformista, ed a quanto la scuola di
Ercole Procaccini il Giovane continuava a produrre, in stretto collegamento con
Cristoforo Storer e con Giuseppe Nuvolone.
Per concludere, la presenza a Varese di Giovanni Battista
Del Sole, rappresentante di una pittura "d'effetto", si lega con
quella di Giovanni Ghisolfi, che assieme a Bernardo Racchetti affrescò nel 1675
il presbiterio, e di bernardo Castelli che eseguì tra il 1675 e il 1690 i
pulpiti e le cantorie: un insieme di artisti chiamati negli ultimi decenni del
'600 ad aggiornare in chiave "barocca" l'interno di S. Vittore.
Il contratto steso tra i confratelli di S. Marta e i due
pittori non dà indicazioni sulla distribuzione dell'incarico; l'esame delle
opere sopra descritte mi induce ad assegnare a Giovanni Battista Del Sole
l'esecuzione della parete sinistra ed anche i riquadri della volta, tranne
quelli relativi all'Estasi di S. Marta e alla Morte di S. Marta che, assieme
alle scene della parete destra, sono opera di Federico Bianchi.
I due pittori inoltre affrescarono le pareti esterne delle
lesene, non contemplate nel contratto: a sinistra, Giovanni Battista Del Sole
l'Erodiade con la testa di S. Giovanni Battista e S. Agostino (?); a destra,
Federico Bianchi S. Giovanni Evangelista e S. Gerolamo (?). Resta infine
sospesa l'attribuzione dei numerosi angiolotti dai caratteri formali generici,
dipinti per colmare gli spazi restanti.
L'intervento a due mani nella decorazione a fresco appare
discordante e ciò si coglie innanzitutto nella scelta cromatica; calda sui toni
rossicci quella operata da Del Sole, che impiega una pennellata sciolta e
sfumata, a volte sfrangiata, con "rialzi" di colore nei particolari
d'effetto. Sui toni chiari, spesso freddi quella di Federico Bianchi, che usa
invece riempire ampie campiture con colori compatti.
Ma nei due artisti vi è soprattutto una diversa
sensibilità nell'affrontare i soggetti. La
Pittura di Del Sole tende a stupire e si compiace dei
particolari; quella di Bianchi ha un'interpretazione più contenuta e sobria che
si avvale sempre di una formazione manieristica ma emendata e corretta in
chiave di composto atteggiamento: Come esempio si possono citare i due grandi
pannelli centrali, ma ancor più calzante, per l'identità del soggetto, è il
pannello raffigurante S. Marta vince il drago Tarasque.
Nella cappella di S. Marta, le prove migliori di Federico
Bianchi sono da vedere, a mio avviso, nella scena del Miracolo dell'annegato e
nei due pannelli della volta già citati, caratterizzati dall'essenzialità
dell'impaginazione e dalla sapiente costruzione degli scorci. Oltre a ciò,
l'eleganza delle figure e la grazia e delicatezza dei volti, costanti che
connotano la vasta produzione di questo artista, hanno un riferimento preciso
nella scena della Resurrezione di Cristo,
tipologicamente identico a quello dipinto nell'Apparizione di Cristo ai
SS. Teresa e Giovanni della Croce (Milano, S. Maria del Carmine).
Secondo il prof Silvano Colombo gli affreschi della Villa
Bossi-Alemagna (appartamento della Signora Ida Pinardi) sono di Go. Battista
Del Sole.
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