mercoledì 1 gennaio 2014

Azzate nella Galleria delle carte geografiche in Vaticano

“Consiglio a tutti gli amici e colleghi che stanno lavorando alla preparazione delle celebrazioni del 2011 per i 150 anni dell’unità d’Italia, di fare una visita alla Galleria delle Carte Geografiche nei Musei Vaticani. Capiranno molte cose. Capiranno, prima di tutto. Che l’Italia era costituita in unità ben prima che Cavour e Garibaldi giocassero il grande azzardo. Univano il Paese non la politica ma la Storia, la Cultura, la bellezza, la religione. Per la prima volta nel catalogo delle arti figurative, nel cuore dei palazzi apostolici, questa idea di unità assume forma consapevole dal rimanere indimenticabile. Per la prima volta viene offerta allo stupore del mondo con gloriosa e allo stesso tempo didattica evidenza. Siamo nel 1581 (è la data che compare nell’epigrafe inaugurale) regnando papa Gregorio XIII Boncompagni, duro e colto campione della Controriforma. Il luogo dove il pontefice “andava a passeggio per l’Italia senza uscire di Palazzo”. (A. Pinelli, in “La Galleria delle Carte Geografiche”, 1994) fu costruito al terzo piano dell’ala di ponente dell’attuale cortile del belvedere, vera e propria via aerea che ha su un lato i Giardini Vaticani e sull’altro il Cortile stesso. Supponendo che l’architetto dei sacri Palazzi Ottaviano Mascherino abbia concluso i lavori edilizi fra il 1578 e il 1580, alla fine del 1581 la decorazione pittorica e plastica del “corridore” doveva essere finita. La “ditta” incaricata dell’impresa era formata da Girolamo Muziano, da Cesare nebbia, da due fratelli fiamminghi Mattia e Paolo Bril, “paesisti” di solida e meritata notorietà, da Giovanni Antonio Vanosino da Varese, specialista in restituzioni cartografiche, e da molti artisti e artigiani i cui nomi a oggi ci sono ignoti. Il responsabile del progetto e il vero regista dell’intiera operazione era il celebre cosmografo e matematico perugino Egnazio Danti. Insegnava a Bologna dove anche il papa aveva tenuto cattedra e non poteva dire di no alla richiesta del “collega” Ugo Boncompagni quando lo chiamò a Roma.
La Galleria delle Carte geografiche è lunga 120 metri, larga 6. Le pareti sono per intero ricoperte dalle rappresentazioni delle regioni d’Italia, La volta decorata a stucchi bianchi e dorati e ad affreschi policromi popolati di figure innumerevoli, di stemmi, di allegorie, di emblemi, è tutto un brulicare ininterrotto atlante di episodi sacri; antologia sterminata di agiografia cattolica, di erudizione ecclesiastica, di simbologia vetero e neo testamentarie. E’ la Chiesa di Roma che con i suoi miracoli e con i suoi santi copre come un salvifico provvidenziale mantello la patria italiana.
Quaranta tavole geografiche sono dislocate lungo le pareti lunghe e su quelle brevi corrispondenti all’ingresso e all’uscita.
Rappresentano le regioni d’Italia con le isole maggiori (Sicilia, Sardegna, Corsica) e quelle minori (Tremiti, Elba ma anche Malta e Corfù). Sono tutte restituite in prospettiva aerea e in scala variabile da regione a regione. (…) Non ci si annoia di certo quando si percorre la Galleria delle Carte geografiche perché ogni valle, ogni montagna, ogni fiume, ogni torrente è riconoscibile. Ogni città maggiore vi è rappresentata in pianta nel suo vero “ritratto”. Ogni villaggio, ogni frazione, quasi ogni parrocchia vi è indicata e nominata. Così che i visitatori italiani stupiscono e sono felici nel vedere il paese di origine della loro famiglia apparire con il nome immutato nella piega di una valle o sulla riva di un piccolo fiume.
E poi c’è il mare, il luminoso azzurrissimo mare italiano increspato di onde leggere, vivo e come rabbrividente al soffio di venti bizzarri che gonfiano le vele di navi dalle fogge più singolari. L’Italia è, fra tutti i paesi del mondo, il “più nobile” intendendo nel termine tutto quello che è Storia, Memoria, Cultura, Varietà, Bellezza. Così pensava Gregorio XIII Bomcompagni. Così sta scritto nei cartigli che sovrastano la carta dell’Italia antica (Commendatur Italica locorum salubritate, coeli temperie, soli ubertate) e quella dell’Italia moderna (Italia artium sudiorumque plena semper est abita). Così, ancora oggi, alla vigilia del centocinquantesimo anniversario del fatale 1861, noi continuiamo a pensare”.

                                                                                                    Prof. Antonio Paolucci

http://mv.vatican.va/2_IT/pages/z-Info/Opere/MV_Info_Capolavoro01.html

Musei Vaticani - Galleria delle carte geografiche.


Musei Vaticani - L'Italia.


Musei Vaticani - Il Salento.



Musei Vaticani - Particolare del Varesotto.


Particolare del Lago di Varese.

L’emozione di vedere il nome del proprio paese sulle carte geografiche nella galleria dei Musei Vaticani è grande e per qualche istante l’attenzione si fissa su cinque nomi: Cazoaga, Gaia, Bodio, Aza, Cò di lago la cui scrittura, ad eccezione di Bodio, risente molto della dizione dialettale.
Se si osserva attentamente si potrà vedere che i nomi dei paesi sono scritti in modo orizzontale ad eccezione di uno, Bodio, per l’appunto, che è l’unico ad essere scritto in modo obliquo e ad avere la stessa dizione di oggi. Per la verità anche la sequenza dei nomi non è esatta perché Galliate viene rappresentato dopo Cazzago e prima di Bodio mentre nella realtà si colloca tra Bodio ed Azzate.
Capolago poi che, come dice il nome stesso, è a capo del lago viene collocato in una posizione nettamente errata.
Accanto al nome di ogni paese è rappresentato in modo stilizzato un gruppo di case con il campanile o la torre, ma si intuisce subito che sono di pura fantasia ed è inutile andare a cercare qualche elemento che possa corrispondere al vero.
Vale la pena di sottolineare alcuni artifici adottati dall’affrescatore per rompere la monotonia del paesaggio ed evidenziare alcune caratteristiche del suolo e, attraverso dei chiari e scuri, ha cercato di mettere in evidenza la caratteristica collinare del nostro territorio.
Tutto intorno ai due laghi di Varese e di Comabbio, che ai tempi erano uniti da un fosso scolatore, viene affrescata una fascia di colore più chiaro che simbolicamente sta a rappresentare le rive che si presume siano ad una altezza poco più alta del pelo dell’acqua.
L’acqua azzurra dei laghi, con piccoli tocchi di colore più chiaro, è stata mossa per creare delle piccole onde che rompono l’uniformità dello specchio lacustre.
In prossimità di Somma, nella parte bassa di destra, l’affrescatore ha dipinto tre alberi stilizzati che vogliono fare riferimento alla brughiera.
Sopra Velate, l’affrescatore, in modo geniale, con piccole nuvolette, ha voluto rappresentare i capricci del tempo sulla montagna del Campo dei Fiori.

VANOSINO Gian Antonio, pittore.
Varese 1535 - 1593

Nel palazzo Farnese a Caprarola la sala del Mappamondo fu affrescata da Giovanni Antonio da Varese e da Raffaellino da Reggio nel 1574.
L'elemento maggiore è costituito dalle carte geografiche sulle pareti lunghe, dipinte e lumeggiate in oro, dei quattro continenti allora conosciuti
Per la Sala del Mappamondo venne chiamato Antonio Vanosino da Varese su programma di Orazio Trigini de' Marij, ricordato da Egnazio Danti nei commentari al Vignola mentre il resto si deduce chiaramente da una lettera di Fulvio Orsini del 1573 che si incaricò di trovare il programma e il pittore: «Io sto a ordine per venire a Caprarola quando V.S. mi commanderà che io venga, havendole scritto l'altro giorno che non mi moverò prima che V.S. m'ordini s'io havrò da condurre meco quel Giovanni Antonio che dipinse la Cosmographia in Palazzo, col quale, se V.S. si ricorda, fu trattato che dovesse fare quelle della Sala di Caprarola, secondo il disegno che se li darrà da Messere Orazio Mari; et non sarebbe forse hora fuori di proposito che alla presenza di V.S. dessi un occhiata al luogo et che lo compartissi per i cartoni che s'haranno a fare». Nel corso degli anni la villa si accrebbe anche di immensi giardini abbelliti da statue antiche restaurate e da elaborate fontane. Furono creati due giardini privati contigui alla villa, collegati con ponti levatoi. In seguito, il Farnese fece costruire sulla collina un altro giardino adibito ai banchetti e una palazzina che è stata attribuita allo scalpellino Giovanni Antonio Garzoni da Viggiù, il quale fu promosso supervisore del completamento dei lavori della villa alla morte del Vignola (1573).




L’area dei laghi lombardi ha sempre avuto una tradizione di emigrazione artistica, dai Magistri medievali fino agli scalpellini di Viggiù attivi in tutta Europa nell’Ottocento. Anche se le mete erano di volta in volta diverse, sempre uguali, e a ben vedere alquanto ovvie, le motivazioni per la partenza: la scarsità di lavoro in patria e la presenza in altri luoghi di committenti facoltosi e disposti a spendere per maestranze altamente specializzate, soprattutto nel campo della scultura e dell’architettura. Così molti si sono mossi dalla Lombardia verso Roma tra Rinascimento e Barocco, quando la Chiesa da un lato e le grandi famiglie dall’altro facevano a gara nel mecenatismo.
Una specializzazione molto particolare era quella di Giovanni Antonio da Varese, detto il Vanosino. Non abbiamo tracce della sua attività nel nostro territorio ma sappiamo che fu attivo a Roma nei Palazzi Vaticani e poi a Caprarola nella grandiosa villa dei Farnese nella seconda metà del Cinquecento. Il suo campo era infatti la geografia, quella reale che in quegli anni stava allargando le sue conoscenze man mano che giungevano in Europa le notizie della scoperta di nuovi continenti, e quella fantastica, arricchita di mitologia e di leggende. Accanto alla geografia anche la cosmografia e la realizzazione di mappe celesti. Nel 1567 realizzò ad esempio un globo celeste, oggi conservato ai Musei Vaticani, che mostrava le principali costellazioni tolemaiche in rappresentazione convessa. Sempre a Roma, sotto Papa Pio IV lavorò nella galleria delle carte geografiche nella terza loggia vaticana, in collaborazione con il cartografo Etienne du Pérac sotto la direzione del cosmografo, geografo e matematico perugino Egnazio Danti. Sulle pareti della galleria si susseguono quaranta tavole che rappresentano le regioni d’Italia più le isole maggiori e minori in prospettiva aerea e in scala variabile da regione a regione, con una straordinaria ricchezza di dettagli
Il capolavoro del Vanosino si trova però a Caprarola, località del Viterbese dove i Farnese costruirono un’imponente dimora, inizialmente con caratteristiche difensive come testimonia la singolare pianta pentagonale e la posizione assolutamente dominante, poi trasformata in villa chiamando a lavorarvi   i migliori pittori e architetti dell’epoca.  Il Vanosino lavorò nella sala del Mappamondo affrescata tra la fine del 1573 e quella del 1575, quando il pittore, appena quarantenne, era molto noto nei circoli delle grandi famiglie romane. Sappiamo che il progetto era di un esperto studioso di cosmografia, Orazio Trigini de Marii, tanto che qualcuno pensa che il Vanosino fosse un semplice esecutore di idee altrui. Ma il fatto stesso che il committente Alessandro Farnese avesse scelto proprio lui indica che i contemporanei gli riconoscevano un particolare talento in questo campo allora in tumultuosa espansione. Come avveniva normalmente all’epoca con lui collaborarono altri artisti, tra cui probabilmente Raffaellino da Reggio, attivo anche in altre stanze della villa.
Sulle pareti sono rappresentate con grande maestria le terre allora conosciute facendo riferimento alle carte scientificamente più attendibili, come quella di Mercatore. Ma qua e là compaiono dettagli pittoreschi, come le navi e le balene che popolano i mari del sud. Più in alto ci sono i ritratti dei grandi esploratori, in primis Colombo e Magellano. Ma alzando gli occhi al soffitto si vede il cielo blu, punteggiato di stelle e popolato di figure che rappresentano le costellazioni visibili nell’emisfero settentrionale al momento del solstizio d’inverno. Ma se le figure sono un notevole esempio della scatenata fantasia manierista, la disposizione delle costellazioni è astronomicamente corretta, frutto di uno studio accurato e di conoscenze astronomiche approfondite. Questa mescolanza di scienza e immaginazione, di modernità e tradizione, costituisce il fascino più autentico di quest’opera singolare che ancor oggi è in grado di colpire il visitatore, così come un tempo deliziava gli occhi degli ospiti dei Farnese.
Una visita a Caprarola è oggi l’occasione per scoprire una delle tante meraviglie di un’Italia “provinciale” solo geograficamente ed anche di riscoprire un figlio della nostra terra, uno tra i tanti che ha saputo mettere a frutto – seppur altrove – i suoi talenti.
                                                                                                            Paola Viotto

Disegno della zona dei laghi varesini realizzato in occasione della vendita
dei lagji al conte e vescovo Francesco Biglia l'8 giugno 1652.





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