mercoledì 1 gennaio 2014

Bossi Rosa - la contrabbandiera

“Lungo il confine italo-svizzero numerosi vagabondi, uomini e donne senza fissa dimora, ticinesi e lombardi, vivevano di espedienti e dei proventi del piccolo contrabbando. Conosciuti dalle Guardie doganali e dalle autorità di entrambi i paesi, periodicamente ne visitavano le carceri dove, pur con tutti gli inconvenienti immaginabili, potevano dormire con un tetto sopra la testa. Solo dopo una lunga serie di arresti venivano diffidati dal rientrare nell’uno o nell’altro Paese.
Rosa Bossi era fra questi vagabondi: 39 anni, nata il 15 maggio 1852 in Bruzella (Mendrisio) ed ivi domiciliata, contadina e per la sua provenienza soprannominata Brucella, era nota nel Circondario di Varese e nei dintorni di Como come girovaga, contrabbandiera e prostituta. Pur avendo ricevuto ordine di non mettere più piede in Italia, Rosa continuava a Bazzicare i territori di confine e a frodare l’Erario italiano offrendosi come trasportatrice di piccole quantità di merce di illecita provenienza. I contrabbandieri del luogo, sapendo che Brucella era disposta a offrire i suoi servigi pur di guadagnare qualcosa, la sfruttavano saltuariamente ricompensandola con una misera mancia.
Le Guardie di Ponte Tresa l’avevano fermata diverse volte mentre tentava di contrabbandare merce svizzera, ma l’avevano lasciata andare dopo averle sequestrato quei pochi etti di zucchero o di caffè che si era nascosta fra i sudici indumenti: Brucella, tutto sommato, doveva suscitare una certa compassione per lo stato di povertà estrema in cui si trovava e per l’ingenuità di certi suoi comportamenti che palesavano problemi di tipo psichico.
Il 19 dicembre 1889 le Guardie di servizio alla Dogana di Ponte Tresa la videro passeggiare come suo solito nei pressi della frontiera, ma, diversamente dalle altre volte, vi restò con fare sospetto per tutta la giornata. Verso le dieci di sera Brucella, convinta di non essere vista, si avvicinò al confine, ma non appena l’ebbe oltrepassato portandosi sul suolo italiano venne fermata dalla Guardia di turno: Rosa tentò di scappare, spaventata, ma fu subito raggiunta dal doganiere che la portò in Caserma per la perquisizione. Come previsto, le si rinvennero addosso, nascosti fra gli indumenti, quattro pacchetti di sigari tipo “Virginia”. Interrogata in proposito, Rosa disse che la sera prima era stata contattata da un individuo di Ponte Tresa Svizzera, un certo Giorgio, il quale l’aveva incaricata di consegnare quei pacchetti ad un suo conoscente di Ponte Tresa Italiana. Il compenso era allettante: 4 lire per quella poca merce.
Spinta dalla fame e dal bisogno di guadagnare qualche soldo, aveva accettato volentieri la proposta dello sconosciuto, senza farsi troppi scrupoli. “Nascosti sulla persona e cioè sotto le mutande i detti pacchetti, mi avviai sul Ponte della Tresa” – raccontò la donna.
“La sentinella mi chiese se avessi generi soggetti al dazio. Io risposi negativamente, ma quella Guardia non persuasa con una mano mi toccò l’estremità delle gambe e mi levò due di quei pacchetti”. Vistasi scoperta, Rosa aveva consegnati anche gli altri due. “Quando seppe ch’io era di nazionalità svizzera, il Ricevitore mi dichiarò che bisognava pagare la contravvenzione, altrimenti riteneva in arresto”. Rosa non era certo in grado di sborsare i soldi della multa, quindi venne trattenuta in Caserma e il giorno successivo accompagnata alle carceri di Arcisate. Il Pretore, vedendola arrivare, capì immediatamente che si era cacciata nei guai un’altra volta: stante l’esiguità della merce contrabbandata tentò di evitarle il carcere. Chiese quindi un dettagliato rapporto alla Luogotenenza di Ponte Tresa circa le motivazioni dell’arresto: “La legge sulle Privative dice chiaramente che si deve procedere all’arresto personale del contravventore quando non dia idonea cauzione del pagamento della multa: E il Ministero a questo proposito ha dichiarato che gli stranieri che non siano in grado di prestare cauzione per la contravvenzione accertata a loro pregiudizio debbano essere posti in arresto, salvo nel caso in cui la merce sequestrata sia sufficiente a garantire il massimo della multa e del dazio”.
Il Pretore si vide dunque costretto a procedere nei suoi confronti.
Interrogata, Brucella confessò la sua colpa: “Sapevo che è punita l’introduzione in Italia di tabacco estero senza pagare il dazio, e che quindi io entrando in Italia con quel pacchetto di sigari nascosto sulla persona commettevo una contravvenzione, ma ripeto, io mi sono arrischiata a ciò fare per guadagnare qualche quattrino e perché spinta dal bisogno”.
Fu richiesta, come da prassi, la fedina penale della donna alla Cancelleria del Tribunale di Varese: Rosa era stata processata più volte per oziosità e vagabondaggio ed esercizio clandestino della prostituzione. Insieme all’attestato penale venne trasmesso il decreto emesso l’11 luglio 1874 dal Tribunale Distrettuale di Mendrisio con il quale Rosa Bossi era stata dichiarata “interdetta per idiotismo e prodigalità”.
Con simili trascorsi alle spalle, Rosa si veniva a trovare in una posizione delicata: rischiava una pesante condanna per pochi etti di sigari.
Il Pretore di Arcisate dovette informare dell’accaduto il Procuratore del re, che fu a sua volta costretto a porre sotto processo, per l’ennesima volta, la povera Brucella.
Rosa Bossi venne scarcerata il 7 gennaio 1890 dietro la promessa di ripresentarsi alla chiamata della Giustizia italiana. Arrivò il giorno del processo e Rosa, come previsto, non si fece vedere.
Il Tribunale dovette provvedere n contumacia dell’imputata: la dichiarò colpevole di contrabbando e la condannò al pagamento di una multa di lire 71, commutabile in 8 giorni di carcere.
Inoltre, riconosciuta colpevole di aver contravvenuto all’art. 91 della legge di Pubblica Sicurezza, le inflisse 6 mesi di carcere, scomputandole la detenzione sofferta dal 19 dicembre 1889 al 7 gennaio 1890, fermo restando la diffida fattale di non entrare mai più nei Regi Stati.
Rosa Bossi fu ricercata per la notifica della condanna, ma senza successo. Non risulta che abbia scontato la pena, né che abbia pagato la multa”.

(Capitolo tratto, per gentile concessione dell'autrice e dell'editore, dal volume di Roberta Lucato, Contrabbandiere mi voglio fare, Macchione Editore, 1998).


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