Giuseppe Bossi nasce a Busto Arsizio nella Parrocchia di S.
Giovanni in una casa di Santa Maria in Valle, come ricorda ancora oggi
un’epigrafe, l’11 agosto 1777 da un’antica famiglia bustese.
Egli appartiene al “felice momento lombardo del Foscolo, del
Parini, del Manzoni e del Porta”.
Saggiatore, pensatore, poeta ma soprattutto pittore.
Tra i disegni conservati spiccano Bacco e Arianna, La furia
di Edipo, Nove piccoli schizzi di vario soggetto, Il seppellimento delle ceneri
di Temistocle in terra Attica (1810/15).
Tra i dipinti ad olio un intenso Ritratto virile (1810) e Il
sacrificio di Lucrezia romana.
Famiglia tra le più antiche ed illustri della città.
Esistono numerosi rami che probabilmente appartengono tutti ad uno stesso
ceppo.
Giovanni Alberto nato in Busto nella seconda metà del XVI
secolo, pregiato autore di componimenti poetici latini di cui si conservano
presso la Biblioteca
Ambrosiana , un manoscritto che contiene quattro libri in lode
di S. Michele, una raccolta di inni sacri e di altri carmi diretti ai suoi
amici Bustesi, un epitalamio (canto rivolto a Giovanni Galeazzo sesto duca di
Milano, nella ricorrenza delle nozze con Isabella), un’ode al primo conte di
Busto, un carme sulla bellezza del paesaggio circostante e sulla architettura
della Villa di Cusago eretta da Ludovico il Moro e una lettera a Basilio monaco
di Chiaravalle trattante argomenti teologici-morali. Scrisse infine un’operetta
sulla grammatica stampata nel 1609 a
Venezia.
Alcuni tra i Bossi si dedicarono al commercio della seta e
del cotone ed altri al lavoro della bambagia. In tale attività si distinse
Pietro Francesco che, nel 1776 era il primo tra i negozianti perché pagava la
tassa di lire 175, la più elevata pagata dai commercianti.
L’esponente più illustre di questa famiglia fu Giuseppe
Bossi nato nel 1777, stimato pittore e poeta paragonato al Parini. A 23 anni
venne nominato segretario dell’Accademia di Belle Arti di Brera, quindi
professore della scuola teorica di pittura. Nella propria abitazione accolse i
giovani che apprezzavano l’arte. Le sue opere sono numerose e molto stimate.
Le più conosciute sono la copia del Cenacolo di Leonardo Da
Vinci e il quadro dell’Edipo. I cartoni della scuola del Petrarca e della pace
di Costanza sono squisiti lavori di disegno, nel quale era molto più abile che
nel colore.
Scrisse quattro libri intorno alla vita e alle opere
dell’autore del "Cenacolo", il "discorso sull’utilità politica
delle arti del disegno", un’epistola a Giuseppe Zanoia e le "vite dei
pittori milanesi". Morì nel 1815 alla giovane età di 38 anni. Il Canova
gli scolpì un’immagine, il Berchet lo celebrò in una epistola a Felice Bellotti
e il Porta lo pianse in un sonetto dal quale traspirava il vivo ed il profondo
cordoglio dell’amico.
IN QUESTA CASA
INSEGNO' PITTURA VISSE E MORI'
GIUSEPPE BOSSI
ARTISTA POETA LETTERATO INSIGNE
DALLE OPERE DEI GRANDI MAESTRI
ATTINSE PRECETTI ED ESEMPI
TRASSE IMPULSO A NUOVE PREGIATE CREAZIONI
NACQUE A BUSTO ARSIZIO IL 11-VIII-1777
MORI' IL 9-XI-1815
INSEGNO' PITTURA VISSE E MORI'
GIUSEPPE BOSSI
ARTISTA POETA LETTERATO INSIGNE
DALLE OPERE DEI GRANDI MAESTRI
ATTINSE PRECETTI ED ESEMPI
TRASSE IMPULSO A NUOVE PREGIATE CREAZIONI
NACQUE A BUSTO ARSIZIO IL 11-VIII-1777
MORI' IL 9-XI-1815
La
segreteria di Giuseppe Bossi (1801-1807)
Al rientro a Milano di Napoleone dopo il breve
periodo austro-russo, nel giugno del 1800, la situazione è molto cambiata.
Anzitutto il gusto neoclassico, come si accennava all'inizio, è ormai orientato
verso l'antica Grecia con la tendenza ad un progressivo aumento dell'enfasi
retorica fino al culmine rappresentato dallo Stile Impero. Partito il Piermarini, l'architettura a Milano è
nelle mani del Cagnola (Arco delle Pace) e del Canonica (Arena), per la scultura
ci si riferisce a Canova (statua di Napoleone) e per la pittura all'Appiani
(Fasti di Napoleone nella Sala delle Cariatidi). Nessuno di loro insegna a
Brera, dove troviamo ancora il Franchi e il Traballesi, artisti ormai antiquati
rispetto alle nuove tendenze. La cattedra di architettura è occupata da Giacomo
Albertolli (fratello di Giocondo) aiutato da Carlo Amati, che resterà poi
indiscusso maestro fino alla metà del secolo.
La vera novità
di questa prima fase dell'epoca napoleonica è rappresentata dall'arrivo di un
giovane quasi sconosciuto a Milano: Giuseppe Bossi. Nato a Busto Arsizio nel
1777, dai 15 ai 18 anni aveva studiato pittura a Brera, poi era andato a Roma
dove aveva frequentato Antonio Canova conquistandosi la sua stima e amicizia.
Nel 1801 ritorna a Milano e ottiene grandi riconoscimenti con il grande quadro
(purtroppo distrutto nel 1943) intitolato "Riconoscenza della Cisalpina a
Napoleone". La sicura fede napoleonica, l'amicizia di Canova, il carattere
intraprendente del giovane convincono le autorità a nominarlo nuovo segretario
dell'Accademia al posto del Bianconi, ormai anziano e considerato di tendenze
antifrancesi. Giuseppe Bossi accetta il posto e divide il proprio stipendio con
l'ex segretario per i pochi mesi nei quali questo è ancora in vita (il Bianconi
muore il 15 agosto 1802).
Grazie al Bossi, l'Accademia vive questi anni come
un periodo di grande fervore di iniziative. Alla fine del 1801 Bossi va ai
Comizi di Lione dove viene elaborata la struttura della nuova Repubblica
Italiana, preludio al prossimo Regno d'Italia. Da Lione va a Parigi dove si
procura numerosi gessi per l'Accademia oltre a libri e incisioni per la futura
biblioteca (fino ad allora c'era soltanto la biblioteca personale del
Bianconi). Durante questo soggiorno il Bossi acquista anche per sé il Cristo morto del Mantegna, che i suoi
eredi lasceranno alla Pinacoteca nel 1824.
Andrea Mantegna, Compianto sul Cristo morto, 1490, Milano, Pinacoteca di Brera. |
L'anno 1803 segna la seconda nascita dell'Accademia.
L'1 settembre vengono approvati gli Statuti che assegnano il governo
dell'istituto a un Corpo Accademico di 30 membri tra docenti e artisti esterni
di chiara fama. Questo consiglio si riunisce una volta al mese eleggendo di
volta in volta il proprio presidente (ci sono dunque ancora residui di
democrazia diretta di stampo giacobino); l'unica carica costante è quella del
segretario. Le materie di insegnamento vengono ampliate in un programma più
ampio di formazione. Sono previste scuole di architettura, pittura, scultura,
prospettiva, ornato, elementi di figura, incisione e anatomia. Elementi di
figura, prospettiva e anatomia sono aggiunte per fornire una più completa
preparazione di base a tutti gli allievi. Gli insegnanti sono ancora gli stessi
del 1776. Si è aggiunto Domenico Aspari per insegnare Elementi di figura.
Rinnovata nello Statuto e nelle materie, comunque, l'Accademia viene riaperta
ufficialmente il 25 ottobre come "Accademia Nazionale".
Oltre all'insegnamento, gli statuti prevedevano per
l'Accademia un'altra importante attività, mirante a sprovincializzare la scuola
e a farla conoscere in tutta Europa: i Premi. Erano previsti premi di prima
classe destinati agli artisti europei che inviavano un loro elaborato
rispondente ai quesiti elaborati dalla commissione. Premi di seconda classe per
gli allievi delle Accademie. Tra il 1803 e il 1806 fervono i preparativi per il
bando e la successiva esposizione dei premi. Oltre alle opere presentate dai
concorrenti si pensa di allestire alcune sale con capolavori di pittura
provenienti dalle chiese e dai conventi soppressi in questi anni. Si iniziano a
strappare gli affreschi da S. Maria della Pace, S. Marta, S. Maria di Brera
(prima il Foppa, poi gli altri).
Tavole e tele dal Quattrocento al Settecento
iniziano ad arrivare a Brera da Milano e da altre città del Regno d'Italia. Una
commissione guidata dall'Appiani decide se devono andare in Francia, restare
nella capitale Milano o essere smistate in altre città o Accademie per ragioni
didattiche o di prestigio. I preparativi per l'esposizione decide di collocare
queste opere al primo piano del cortile d'onore nelle sale situate lungo la via
Brera e la piazzetta che erano utilizzate come aule dell'Accademia. Di fronte
alle carenze di spazio si comincia a pensare ad un utilizzo della chiesa,
dividendola in due piani.
Nel 1805, morto Giacomo Albertolli, la cattedra di
architettura era passata allo Zanoja, mentre la cura del palazzo è assegnata a
Pietro Gilardoni, che seguirà tutte le modifiche di Brera nei prossimi
trent'anni. Il Gilardoni è incaricato di studiare la divisione della chiesa e
la realizzazione dei saloni superiori da adibire ad esposizione. Il Bossi
suggerisce di utilizzare la navata sud per creare un corridoio adibito a mostra
di disegni. Il 1806 segna il culmine della carriera del Bossi all'Accademia,
che pubblica in quest'anno le Notizie delle opere di disegno prima guida
ragionata della futura Pinacoteca.
Il clima politico sta però rapidamente cambiando, la
repubblica è diventata regno, Napoleone è diventato imperatore. Le istanze
democratiche e giacobine dei primi tempi sono ormai apertamente condannate.
Malgrado lo statuto, anche Brera deve adeguarsi al nuovo andamento delle cose e
accettare un presidente dotato di piena autorità. Giuseppe Bossi non accetta la
novità e dà immediatamente (gennaio 1807) le dimissioni, sostituito prontamente
dall'accomodante Zanoja, che pochi anni dopo accetterà altrettanto prontamente
di cantare gli elogi dei rientranti Asburgo. Da allora fino alla morte
prematura (9 dicembre 1815), Giuseppe Bossi si dedicherà agli studi
(soprattutto Leonardo e il Cenacolo), all'insegnamento nella scuola aperta
nella sua casa di via S. Maria Valle e alla pittura. Celebri di quest'ultimo
periodo della sua vita sono l'autoritratto di Brera e la Cameretta Portiana.
Dalla presentazione fatta in occasione della mostra
allestita a Brera dall’11 giugno al 20 settembre 2009 dal titolo “Giuseppe
Bossi. Ritratti e autoritratti di artisti” traiamo queste notizie:
“La raccolta di ritratti e autoritratti di artisti - per la
prima volta compiutamente descritta dal segretario dell'Accademia di Brera e
promotore della Pinacoteca Giuseppe Bossi nella sua Notizia delle opere di
disegno pubblicamente esposte nella Reale Accademia di Milano, pubblicata nel
1806 - fu concepita, secondo la dichiarata intenzione del fondatore, quale
stimolo e incentivo ad una ricognizione storica sugli antichi maestri della
scuola milanese. Bossi la riteneva indispensabile anche e soprattutto in
relazione all'attività didattica svolta nell'Accademia di Brera. Infatti alle
effigi dei maestri antichi si affiancano alcuni ritratti e autoritratti dei
"maestri di Brera" suoi contemporanei e colleghi. Come accade di
consueto in Bossi, nella cui complessa personalità intellettuale si intrecciano
componenti di illuminismo e di romanticismo, nell'impresa convivono
strettamente passione civile, impegno didattico e scrupolo di ricerca storica.
Sono esposti 24 ritratti o autoritratti di artisti del Gabinetto bossiano e per una migliore contestualizzazione un Autoritratto di Giuseppe Bossi.
Sono stati appositamente restaurati per la mostra, grazie al contributo di Pirelli e con la direzione di Mariolina Olivari, dipinti di Pietro Francesco Gianoli, Salomone Adler e Giuseppe Nuvolone. Il Ritratto di giovane donna (Allegoria della musica?) di Simon Vouet è stato restaurato nel Laboratorio della Pinacoteca di Brera da Sara Scatragli”.
Giuseppe Bossi.
Il Gabinetto dei ritratti dei pittori (1806)
a cura di Simonetta
Coppa e Mariolina Olivari
11 giugno – 20
settembre 2009
La raccolta di ritratti e
autoritratti di artisti - per la prima volta compiutamente descritta dal
segretario dell’Accademia di Brera e promotore della Pinacoteca Giuseppe Bossi
nella sua Notizia delle opere di disegno pubblicamente esposte nella Reale
Accademia di Milano, pubblicata nel 1806 - fu concepita, secondo la
dichiarata intenzione del fondatore, quale stimolo e incentivo ad una
ricognizione storica sugli antichi maestri della scuola milanese. Bossi la
riteneva indispensabile anche e soprattutto in relazione all’attività didattica
svolta nell’Accademia di Brera. Infatti alle effigi dei maestri antichi si
affiancano alcuni ritratti e autoritratti dei “maestri di Brera” suoi
contemporanei e colleghi. Come accade di consueto in Bossi, nella cui complessa
personalità intellettuale si intrecciano componenti di illuminismo e di
romanticismo, nell’impresa convivono strettamente passione civile, impegno
didattico e scrupolo di ricerca storica. Alla luce di questo presupposto, si
spiega la caratterizzazione prevalentemente lombarda della raccolta. Dei 34
ritratti o autoritratti che componevano il “Gabinetto” bossiano, ben 25, se ci
si attiene alle attribuzioni e alle identificazioni iconografiche del fondatore
- non sempre condivise dalla storiografia moderna - raffigurano maestri
lombardi o loro familiari.
Precedente importante del
gabinetto bossiano fu il “Museo milanese” di Francesco Antonio Albuzzi,
segretario dell’Accademia di Brera prima di lui. Il “Museo Milanese”, datato
1775, era un album di 43 disegni al tratto raffiguranti “ritratti di pittori
scultori e architetti milanesi”, accompagnati da indicazioni sulla collezione
di appartenenza dei dipinti da cui erano stati “cavati” i disegni. Per una
parte non indifferente si trattava di opere appartenenti a collezioni storiche
lombarde (d’Adda, Litta, Arese, Trivulzio, Archinto); in misura maggiore erano
presenti opere dell’Accademia Ambrosiana, titolare di una raccolta più antica
ma per molti aspetti parallela di quella bossiana.
Precoce è
la sfortuna critica e museografica occorsa alla raccolta di Bossi. Già nel
catalogo della Pinacoteca di Brera del 1816 il “Gabinetto” non è più registrato
come nucleo autonomo. Spesso dimenticati con funzione di arredo in depositi
esterni presso uffici pubblici, e solo ultimamente divenuti oggetto di studio e
catalogazione scientifica, i ritratti erano stati non di rado in passato
vittime di confusioni attributive e iconografiche.
La mostra è a cura di Simonetta Coppa e
Mariolina Olivari; si deve l’allestimento all’architetto Corrado Anselmi.
Sono esposti 24 ritratti o
autoritratti di artisti del Gabinetto bossiano e per una migliore
contestualizzazione un Autoritratto di Giuseppe Bossi.
Sono stati appositamente
restaurati per la mostra, grazie al contributo di Pirelli e con la direzione di
Mariolina Olivari, dipinti di Pietro Francesco Gianoli, Salomone Adler e
Giuseppe Nuvolone. Il Ritratto di giovane donna (Allegoria della
musica ?) di Simon Vouet è stato restaurato nel Laboratorio della
Pinacoteca di Brera da Sara Scatragli.
Il catalogo comprende saggi di
Simonetta Coppa (Gli Accademici Ambrosiani, il Museo Milanese di Francesco
Albuzzi, il “Gabinetto dei ritratti dei pittori” di Giuseppe Bossi. Raccolte
iconografiche di artisti a Milano: tracce per una storia), di Francesca
Valli (Giuseppe Bossi, segretario di Brera) e di Daniele Pescarmona su
una seconda versione del celebre Ritratto della famiglia del pittore di
Carlo Francesco Nuvolone, gemma del “Gabinetto” bossiano dallo studioso
rintracciata presso l’Azienda Sanitaria Locale di Como (“Dei diversi
Nuvolone”: una seconda versione del Ritratto di famiglia in concerto), la
trascrizione del testo di Bossi sul “Gabinetto” edito nel 1806 entro la sua Notizia
delle opere di disegno pubblicamente esposte nella Reale Accademia di Milano,
infine le biografie degli artisti (autori e ritrattati) a cura di Eugenia
Bianchi.
Tra i più significativi ritrovamenti avvenuti in occasione
della catalogazione e della mostra, sono da segnalare l’autoritratto di Carlo
Francesco Nuvolone con la famiglia, ritrovato da Daniele Pescarmona negli
uffici dell’Asl di Como (si tratta della variante di bottega di una delle opere
più note e discusse del pittore cremonese oggi a Brera).
Letterato e pittore riputatissimo, nato a Busto Arsizio l’11
agosto 1777, nella prima sua giovinezza trattò la poesia, poscia attese alle
arti del disegno, ed in Roma stette 6 anni studiando le opere dei grandi
maestri: provveduto di molto sapere, e di privato censo, raccolse una preziosa
collezione di libri, di disegni, ed altre cose, che divenne meravigliosa a
chiunque la vide, e fu stimata degna poi di aggiungere ornamento all’Accademia
delle Belle Arti di Venezia.
Tornato in patria, lasciando in dubbio chiunque lo conosceva
se in lui più fosse grande la scienza o l’arte, fu posto al governo
dell’Accademia milanese, che molto incremento e decoro ebbe dalle sue
infaticabili cure. Tornato appena da Roma aveva ottenuto il premio nel concorso
per un gran quadro allegorico. Dato sesto alle cose dell’Accademia, volle
tornare in Roma a fare altri studi sulle opere di Michelangelo, e quando si
ridusse nuovamente a Milano, il viceré principe Eugenio, gli allogò un’opera
che tornava in grande onore all’artista eletto non meno a che lo eleggeva: fu
questa la copia del Cenacolo di
Leonardo da Vinci, per essere poi trasportata in mosaico. Su quest’opera il
Bossi fece dottissimi studi e li consegnò in un grosso volume pieno di
peregrina erudizione e di sana critica. Tirati sempre dal naturale istinti
dell’utile altrui, aperse la sua casa a scuola di pittura ammaestrandovi i
giovani nella dottrina dell’arte, e nella maniera del comporre, parti certo le
più sublimi e più degne; logorato però dall’assidue fatiche, morì quando l’età
e la fama in lui meglio fiorivano, nel 1815, di soli anni 38.
Solenni esequie, un elogio funebre, un busto rizzatogli in
Brera, furono gli onori debitamente resi a questo insigne artista.
(Estratto dal “Dizionario Biografico Universale).
Nato a Busto nel 1777, fu poeta in lingua e vernacolo,
erudito, bibliofilo: qualche sua nota poesia ispirò famose strofe del Porta.
Fu pittore neoclassico, di non molta ispirazione. Gli si
deve una apprezzata copia del Cenacolo vinciano,
sul quale scrisse anche un’opera di grande erudizione, attraverso la quale
conobbe il celebre affresco di Leonardo.
Il Bossi ebbe notevolissima parte nella vita culturale
milanese del primo Ottocento e fu in relazione coi maggiori letterati
dell’epoca, fra cui il Manzoni, il Monti ed il Foscolo.
Fu segretario dell’Accademia di Brera che fece rifiorire ed
arricchì di statue e di calci che poté avere col favore di Napoleone.
Fu fondatore con Andrea Appiani della celebre Pinacoteca di
Brera di Milano.
Morì a Milano il 7 settembre 1815 nel compianto degli amici,
tra i quali il Canova che il Bossi più volte ospitò nella sua casa di Milano e
che scolpì, si dice, piangendo un suo busto che si trova ora sugli scaloni
della Biblioteca Ambrosiana.
Se come artista fu neo-classico, nell’animo era un
romantico: basterebbero a dimostrarlo questi due suoi versi in cui reclama per
sé:
“Licenza de podé scriv e descor
Quel che se gha in del coeur senza pommpomm”.
Anche il Porta, che al Bossi deve l’ispirazione della sua
“Ninetta del Verzée”, ne pianse la morte. In una poesia vernacola del tempo
così lo si esalta:
“Giusepp Boss
Quel coloss
L’è mort a trent’ott’ann
Già grand fra tutti i Grand
Vivend anch mò
vint’ann
El sariss staa
‘lpu Grand
“Enciclop” de la
lista
Che gloria i « vottcentista ! »
ERBA (Como)
… Si sale alla Villa Amalia (visita a richiesta
all’Amministrazione Provinciale), sorta su un convento di Riformati del 1488 e
trasformata da Leopoldo Pollack dal 1799
in chiave neoclassica, con atrio tetrastilo ionico, per
Rocco Marliani, che vi ospitò Ugo Foscolo e Vincenzo Monti, negli ambienti
interni, pitture di Giuseppe Bossi (circa 1805) e decori e arredi di Luigi
Scrosati.
Dall'ingresso si passa nella sala Impero, detta anche
"salone della Aurora": e' l'unico ambiente pressoche' intatto dell'
arredamento originale; da' nome alla sala la famosa "Aurora", tela
dipinta da Giuseppe Bossi e incastonata sul soffitto in luogo del tradizionale
affresco. Dal salone dell'Aurora si diramano a destra i salotti giallo, rosso e
il salottino d'angolo di gusto orientaleggiante, a sinistra la sala di lettura
e la sala da pranzo. Sempre dal salone dell'Aurora si accede al parco, ricco di
pregiate essenze arbore, dal quale e' possibile ammirare la facciata con
pronao, che e' l'elemento piu' suggestivo dell'intera villa.
BELLAGIO (Como)
I giardini di Villa Melzi (visita:marzo-ottobre ore
9-18.30), disposti a Sud dell’abitato tra la strada costiera per Como e il
lago, sono stati creati con notevoli opere di modifica del terreno e con la
realizzazione di imponenti muri di sostegno; si articolano in varie parti
dotate di caratteri distinti e adorne di diverse sculture antiche. A sinistra
dell’ingresso, nella grotta, urna cineraria estrusca del III sec. A.C.,
proveniente dai sepolcri degli Scipioni a Roma; più avanti, presso il laghetto
delle Ninfee, due sculture egizie della XVIII e XIX dinastia (XIV e XIII a.C.)
raffiguranti la dea-leonessa Kekhmet in balsalto e una statua-cubo.
Un giardinetto giapponese, il monumento a dante e Beatrice di
G.B. Comolli e la scalinata delle Azalee anticipano la Villa
Melzi , bella dimora neoclassica preceduta da una vasta
terrazza semicircolare (ornata dalle statue di Meleagro e di Apollo di
Guglielmo della Porta) comunicante con il lago attraverso un sistema di scale.
Costruita nel 1808-10, su disegno di Giacomo Albertolli, per Francesco Melzi
d’Eril, vicepresidente della Repubblica Cisalpina, è oggi proprietà dei
Gallarati-Scotti. L’interno (non visitabile) è impreziosito da affreschi,
raccolte di quadri, sculture e arredi; al primo piano la volta del salone
d’onore è decorata da dipinti di Giuseppe
Bossi, e le pareti da stucchi su disegni dell’Albertolli; nella biblioteca,
decorazioni a soggetti mitologici di Andrea Appiani e di Giuseppe Bossi.
L’esponente più illustre di questa famiglia fu Giuseppe
Bossi nato nel 1777, stimato pittore e poeta paragonato al Parini. A 23 anni
venne nominato segretario dell’Accademia di belle Arti di Brera, quindi
professore della scuola teorica di pittura. Nella propria abitazione accolse i
giovani che apprezzavano l’arte. Le sue opere sono numerose e molto stimate. Le
più conosciute sono la copia del Cenacolo
di Leonardo Da Vinci e il quadro dell’Edipo. I cartoni della scuola del
Petrarca e della pace di Costanza sono squisiti lavori di disegno, nel quale
era molto più abile che nel colore.
Scrisse quattro libri intorno alla vita e alle opere
dell’autore del Cenacolo, il
“Discorso sull’utilità politica delle arti del disegno”, un’epistola a Giuseppe
Zanoia e le “Vite dei pittori milanesi”.
Morì nel 1815 alla giovine età di 38 anni. Il Canova gli
scolpì un’immagine, il Berchet lo celebrò in una epistola a Felice Bellotti e
il Porta lo pianse in un sonetto dal quale traspira il vivo ed il profondo
cordoglio dell’amico.
CONTRO
IL PITTORE GIUSEPPE BOSSI di Ugo Foscolo.
Se come fredde son le tue pitture
Fosser le tue censure,
O come calde son le tue censure
Fosser le tue pitture,
Saresti buon censore,
E forse buon pittore.
Se come fredde son le tue pitture
Fosser le tue censure,
O come calde son le tue censure
Fosser le tue pitture,
Saresti buon censore,
E forse buon pittore.
La pinacoteca (sull'omonima via
Brera, nell'edificio completato dal 1774 da Giuseppe Piermarini, l'architetto
neoclassico della Scala), nacque come "collezione di opere esemplari"
con finalità didattiche. Era destinata agli studenti, a fianco dell'Accademia
di Belle Arti, voluta nel 1776 da Maria Teresa d'Austria insieme ad altri
istituti culturali. Il primo serbatoio di opere fu quello dei dipinti delle
chiese e conventi soppressi in Lombardia, ma il vero colpo d'ali fu la
decisione di Napoleone, conquistatore d'Italia, di farne, come il Louvre, il
"museo imperiale" di quella che nel 1805 era diventata la capitale
del regno. Come tale doveva presentare i dipinti più importanti delle chiese e
conventi delle regioni "liberate": Emilia-Romagna, Marche, Umbria,
Veneto. Anche smembrando i complessi come il "Polittico di valle
Romita" di Gentile da Fabriano. La pinacoteca non ha quindi alle spalle le
collezioni dei principi rinascimentali, delle grandi famiglie, dei mecenati, ma
le razzie dello Stato. Questo "spiega la prevalenza dei dipinti sacri,
spesso di grande formato e conferisce al museo una fisionomia particolare, solo
in parte attenuata dalle successive acquisizioni". Condotte soprattutto da
Giuseppe Bossi (dal 1801 al 1807 segretario dell'accademia) e in parte da
Andrea Appiani, pittore ufficiale di Napoleone.
Giuseppe Bossi (Busto Arsizio,
11 agosto
1777 – Milano, 9 dicembre
1815) è stato un pittore
italiano.
Fu uno dei principali protagonisti del neoclassicismo
milanese accanto a Ugo Foscolo, Giuseppe Parini,
Alessandro Manzoni e Carlo Porta.
Nonostante fosse anche letterato, poeta e disegnatore di rilievo, viene
soprattutto ricordato per le sue opere pittoriche.
Dopo aver frequentato l'Accademia di Belle Arti di Brera, una
borsa di studio a Roma
gli permise di venire a contatto con i grandi modelli della pittura
rinascimentale e della statuaria classica frequentando artisti come Antonio Canova,
Felice Giani
e Angelika Kauffmann.
Rientrato a Milano,
nel 1801 fu
nominato segretario dell'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Nel 1802 compì un viaggio a
Parigi insieme all'incisore monzese Giuseppe Longhi
e vi frequentò l'ambiente artistico. Tornato in Italia, nel 1803 curò la redazione del
nuovo Statuto di Brera introducendo
sostanziali riforme e novità nell'insegnamento accademico e portando in breve
questo istituto ad avere un ruolo preminente nella determinazione del gusto del
tempo in Italia settentrionale.
Con lo stesso Statuto fu dato grande impulso alla Pinacoteca di Brera, che venne dotata del suo
primo nucleo di opere. Ricoprì tale incarico fino al 1807 anno in cui, con sua
grande amarezza, rassegnò le dimissioni.
Ed è proprio dal 1807
che Bossi inizia a scrivere le sue Memorie sotto forma di diario della
propria vita, attività che sospenderà soltanto pochi giorni prima di morire nel
1815.
Insieme ad altri artisti di tendenze neoclassiche,
effettua le decorazioni degli interni della Villa Melzi d'Eril a Bellagio.
Il pittore Giulio Durini
di Monza vive nel palazzo che ospitò anche Giuseppe Bossi e Antonio Canova
Quelli dipinti, che t’inseguono con lo sguardo, appesi alle pareti e
appoggiati in ogni dove, quelli scolpiti, in biancogesso o nerobronzo che sia,
quelli riflessi negli specchi argentati delle porte e quelli degli spiriti che
aleggiano nell’aria (qui abitarono Giuseppe Bossi e Antonio Canova, e uno
srotolarsi d’ospiti e antenati, in una fiumana lunga sei secoli): tutti insieme,
questi occhi ti osservano mentre giri fra le sale.
FOTO La casa in cui abitò Canova
Siamo nelle stanze private del conte di Monza e principe di Fabbrica, ritrattista ufficiale dello Stato e presidente della Fondazione Durini, il pittore Giulio Durini. Un raffinato guscio color calce, quello delle pareti con pigmenti naturali, insegue le nuances di un pavimento di cemento e colla: «Mi piacciono i colori sporchi, alla Tiziano, solo seta e damasco sono belli in ogni versione. Comunque il troppo pieno, tappeti, tessuti sulle pareti… non lo concepisco più, volevo creare un contrasto».
Così neutro, più contemporaneo che mai, il monocromo calcecemento accoglie secoli di storia, in senso tecnico. Del Quattrocento l’edificio, del Cinquecento il letto dorato in cui riposa il conte, del Seicento la maggior parte di quadri e sedie, il baule da viaggio e il tavolo da lavoro/pranzo, del Settecento le porte in specchio argentato, dell’Ottocento letti con baldacchino e busti in bronzo, del Novecento? «Forse i divani. E i libri. Comunque non so, Novecento e 2000 li confondo».
Non dobbiamo farci confondere noi, da questa risposta, sintesi dell’odierno Durini di Monza, pittore dall’anima divisa in due, come il suo abitare. Da un lato, intrisa di storia, cresciuta nella casa rigurgitante d’antenati, c’è l’anima del bambino che a soli quattro anni sfogliavala Guida al mobile antico per prendere sonno. Dall’altra, quella
di Giulio con casa a San Paolo, che per mesi fugge nel mondo più nuovo e più
giovane possibile, per ripartire da zero, privo di passato. Sono i suoi quadri,
già intimisti e d’estetica seicentesca, soggetti ritratti in interni in tinta polvere
in compagnia della propria ombra, quei nudi ora invece usciti all’aria aperta,
inondati del sole delle spiagge tropicali, a raccontarci di lui, più di ogni
altra cosa: «I corpi in primo piano sono ancora baroccheggianti nella
composizione, e all’interno nessuno si parla, non c’è comunicazione. In realtà,
continuo a lavorare sulla solitudine».
Bizzarro complesso, da sviluppare in un luogo così affollato, basti l’attuale viavai di gente legato alla Fondazione… «In questa casa non c’è mai stato niente di definitivo, tutto si sposta, entra, esce, viene restaurato.. ho sempre avuto la sensazione di abitare in un deposito. Passo le giornate fra due stanze, lo studio e gli uffici della Fondazione: la vivo come un centro operativo, più che come una casa». Solitudine come punto fermo, nello scorrere di secoli interi, intorno a lui.
Troneggia un computer sopra il tavolo barocco, sfidano i confini del dandismo sedie e luci tutte diverse tra loro, sfilano i busti dei Durini in un salone che miscela il bello e nutre i contrasti. A partire dall’astratto contenitore, incolore come certe tele antiche, che ospita arredi che hanno visto passare principesse, regine, sovrani e zar, e poi i marmi del Bambaia ora al Castello Sforzesco, i reperti archeologici ora nel Museo di corso Magenta, il Cristo del Mantegna ora a Brera, i disegni di Leonardo ora all’Ambrosiana.
Molto si concentrava nel salone con soffitti 1740, quello in cui ci si trova ora mentre il pittore racconta, e confessa: «Tutto questo pieno crea responsabilità, e tutto sommato pesa». Soprattutto sulla sua vena ultramoderna, scatenata nella stanza accanto, quella in cui dipinge, su parquet d’impatto industriale e sotto luci al neon. Vena che asseconda fuggendo dall’altra parte del mondo, nel vuoto della casa di San Paolo, muri bianchi e un materasso per terra come alternativa al barocco delle notti milanesi. Che effetto fa questa doppia vita? «Ogni volta che mi sposto è uno shock, e dura almeno una settimana”. Il classico jet lag, qui di genere culturale: a confondere l’anima, più che l’ora dei pasti.
FOTO La casa in cui abitò Canova
Siamo nelle stanze private del conte di Monza e principe di Fabbrica, ritrattista ufficiale dello Stato e presidente della Fondazione Durini, il pittore Giulio Durini. Un raffinato guscio color calce, quello delle pareti con pigmenti naturali, insegue le nuances di un pavimento di cemento e colla: «Mi piacciono i colori sporchi, alla Tiziano, solo seta e damasco sono belli in ogni versione. Comunque il troppo pieno, tappeti, tessuti sulle pareti… non lo concepisco più, volevo creare un contrasto».
Così neutro, più contemporaneo che mai, il monocromo calcecemento accoglie secoli di storia, in senso tecnico. Del Quattrocento l’edificio, del Cinquecento il letto dorato in cui riposa il conte, del Seicento la maggior parte di quadri e sedie, il baule da viaggio e il tavolo da lavoro/pranzo, del Settecento le porte in specchio argentato, dell’Ottocento letti con baldacchino e busti in bronzo, del Novecento? «Forse i divani. E i libri. Comunque non so, Novecento e 2000 li confondo».
Non dobbiamo farci confondere noi, da questa risposta, sintesi dell’odierno Durini di Monza, pittore dall’anima divisa in due, come il suo abitare. Da un lato, intrisa di storia, cresciuta nella casa rigurgitante d’antenati, c’è l’anima del bambino che a soli quattro anni sfogliava
Bizzarro complesso, da sviluppare in un luogo così affollato, basti l’attuale viavai di gente legato alla Fondazione… «In questa casa non c’è mai stato niente di definitivo, tutto si sposta, entra, esce, viene restaurato.. ho sempre avuto la sensazione di abitare in un deposito. Passo le giornate fra due stanze, lo studio e gli uffici della Fondazione: la vivo come un centro operativo, più che come una casa». Solitudine come punto fermo, nello scorrere di secoli interi, intorno a lui.
Troneggia un computer sopra il tavolo barocco, sfidano i confini del dandismo sedie e luci tutte diverse tra loro, sfilano i busti dei Durini in un salone che miscela il bello e nutre i contrasti. A partire dall’astratto contenitore, incolore come certe tele antiche, che ospita arredi che hanno visto passare principesse, regine, sovrani e zar, e poi i marmi del Bambaia ora al Castello Sforzesco, i reperti archeologici ora nel Museo di corso Magenta, il Cristo del Mantegna ora a Brera, i disegni di Leonardo ora all’Ambrosiana.
Molto si concentrava nel salone con soffitti 1740, quello in cui ci si trova ora mentre il pittore racconta, e confessa: «Tutto questo pieno crea responsabilità, e tutto sommato pesa». Soprattutto sulla sua vena ultramoderna, scatenata nella stanza accanto, quella in cui dipinge, su parquet d’impatto industriale e sotto luci al neon. Vena che asseconda fuggendo dall’altra parte del mondo, nel vuoto della casa di San Paolo, muri bianchi e un materasso per terra come alternativa al barocco delle notti milanesi. Che effetto fa questa doppia vita? «Ogni volta che mi sposto è uno shock, e dura almeno una settimana”. Il classico jet lag, qui di genere culturale: a confondere l’anima, più che l’ora dei pasti.
Quando sul finire del 1807
Giuseppe Bossi inizia a tenere un diario della propria vita, che interromperà
solo a pochi giorni dalla morte nel 1815, ha da poco compiuto i trent'anni, ma è già molto forte la
coscienza che ha di sè; e del proprio ruolo di artista, in una Milano capitale
del Regno d'Italia e pervasa dall'ideologia napoleonica. Dopo i primi
insegnamenti appresi nelle aule dell'Accademia di Belle Arti di Brera, una
borsa di studio a Roma gli aveva permesso di avvicinare dal vero i grandi
modelli della pittura rinascimentale e della statuaria classica, e di
frequentare quella fucina del neoclassicismo internazionale che furono gli
studi di Antonio Canova, Felice Giani, Angelika Kauffmann.
PER LA MORT DEL BRAVISSEM PITTOR E LETTERATO GIUSEPPE BOSSI
(1815) di Carlo Porta.
L’è morte el pittor Boss! Esus per
lu!
Selammen, e passen, i fedel cristian;
I pretocch vicciuritt freghen i man,
E disen:
Mej! On candirott de pu.
Quij del mestee, ch’el veden in di
pu,
Goden de vess tant manch intorna al pan;
I ricch ozios ghe dan del barbagian
A vèsses bolgiraa per la virtù.
I malign, che hin pu spess che i
galantomm,
O de riff o de raff, o indrizz o stort,
Cerehen, se ponn, de spiscinigh el nomm;
E mi, per consolamm, del mè magon,
Ghe dighi a sto grand’omm che, se lè mort,
L’è puranch foeura d’on grand mond cojon.
Giuseppe Bossi, ritratto di Felice Bellotti. |
Giuseppe Bossi, Saffo canta in casa di Eutichio. |
Giuseppe Bossi, sepoltura delle ceneri di Temistocle. |
Giuseppe Bossi, storie di Saffo. |
Giuseppe Bossi, Giove sotto le sembianze di Diana che seduce Callisto (1810). |
Giuseppe Bossi, Edipo a Colono. |
Giuseppe Bossi, profilo di testa femminile. |
Giuseppe Bossi, ritratto del pittore Gaspare Landi. |
Giuseppe Bossi, ritratto del pittore Giusepe Landi. |
Nessun commento:
Posta un commento