INTRODUZIONE
Santino Langé[1] a
pag. 48 della sua opera Ville della
Provincia di Varese delinea il contesto in cui sorgono il Castello di
Frascarolo ed il Castello di Azzate
“Anche la villa Medici a Frascarolo e villa Bossi in
Azzate sorgono al centro di grandi possedimenti come residenza di marchesi e di
conti, e sono espressione di una presenza duratura e stabili di queste famiglie
aristocratiche nell'ambiente locale. Il patrimonio nobiliare appare, in questi
esempi, frutto di una diversa tradizione. (I Medici acquistano il castello di
Frascarolo con i suoi poderi dal Monastero di Ganna nel 1540 ad opera di Gian
Battista, fratello di Gian Angelo, il futuro papa Pio IV; i Bossi sono presenti
in Val Bossa fin dall'epoca feudale. Al
momento del censo sono otto i Bossi che in Azzate risultano proprietari. Tra di
essi, oltre al conte Giulio Cesare, compare anche un marchese, Galeazzo
Fabrizio. Nel loro insieme i Bossi detengono più della metà del territorio di
Azzate. Diverso appare anche il rapporto di queste ville con il borgo, rispetto
al quale sorgono come centri separati, quasi a costituire un mondo a sé ed in
apparenza senza legami con gli insediamenti, come sottolineano sia la
collocazione delle due ville in luoghi elevati, sedi di preesistenti edifici
castellani (per questo le due ville sono chiamate ancora con il nome di
castello di Frascarolo e castello di Azzate, anche se la loro edificazione ha
segnato una radicale trasformazione dei complessi preesistenti), sia l'assenza,
nei due borghi, di residenze o di immobili appartenenti ai rispettivi
proprietari delle ville, ovvero al marchese Carlo Medici e al conte Giulio
Cesare Bossi. Questo dato indica tuttavia due diverse situazioni.
I Medici, dopo aver acquistato dal Monastero di San Gemolo
in Ganna il territorio di Frascarolo, vi avevano edificato l'imponente villa
come frutto della loro elevatissima cultura, in grado tuttavia di inserirsi nel
contesto locale con insospettati legami. E' questa origine del loro possesso a
spiegare l'assenza, nell'insediamento di Induno, di case o di terreni di loro
proprietà. In Azzate invece i Bossi disponevano già di proprie abitazioni,
poiché, come signori della Val Bossa,
essi ereditano attraverso una lunga tradizione di origine feudale la dominanza
della loro casata nel contesto; al di fuori di essi, infatti, non si
rintracciano in Azzate residenti che abbiano un nome di particolare rilievo, ad
eccezione di un Alemagna.
Il primo nucleo di Azzate era costituito da un insieme di
case appartenenti ai Bossi, e perciò era edificato già secondo un gusto ed una
tradizione signorili; mentre il ramo familiare dei Bossi più rilevante dimorava
nel Castello d'Azzate.
Se Bisuschio non conosce altro fenomeno residenziale di rilievo
al di fuori di villa Cicogna, che è perciò il fatto emergente di tutto
l'insediamento, Induno ed Azzate mostrano all'inizio del Settecento
compaginazioni urbanistiche assai originali, quasi del tutto indipendenti
rispetto ai due episodi di cui parliamo. I due borghi sono ricchi della
presenza di altre ville e di residenze di pregio; in Induno la loro
localizzazione si adegua all'ordine dei vari comparti in cui l'insediamento
appare spontaneamente articolato, ed è attorno a tali residenze che s'imposta
la fisionomia rurale del borgo; in Azzate esse si attestano lungo l'unica
strada di attraversamento del borgo e determinano la sua compaginazione, il cui
aspetto mostra solo pochi tratti rurali. (La villa di maggior rilievo è del
marchese Galeazzo Bossi, e viene indicata con due corti e un giardino; ma quasi
altrettanto importanti sono le abitazioni di D. Stefano Bossi e di D. Pietro
Alemagna che, con il marchese, sono i maggiori proprietari terrieri residenti
nel borgo. Altre abitazioni signorili appartengono a un Rev. Giacomo Bossi, a un Visconti, a un
Castellani e a un Rev. Giovanni Crugnola. Sono una quindicina i possessori che
risiedono in case di propria abitazione (ovvero in proprietà), su circa trenta
proprietari di beni urbani.”
VILLA BOSSI-ZAMPOLLI OVVERO IL CASTELLO DI AZZATE
Si è più volte esagerato in passato nell'attribuire ai
castelli funzioni di controllo sulle vie di comunicazione; più che proteggere
le strade, dalle strade ci si doveva proteggere. In realtà per lunghi periodi
il publicum ebbe a disposizione
limitate milizie da stanziare in modo continuo nel territorio sottomesso. La
guarnigione del castello doveva essere fornita dai residenti e la sua
localizzazione rispecchiava gli interessi fondiari o 'feudali' dei singoli
signori e non era certo un disegno prestabilito dall'alto. E poiché mancava un
fine organizzato, sembra anche fasullo il voler individuare una rete
prestabilita di punti di avvistamento e segnalazione. Per le necessità della
guerra si potevano dunque utilizzare le torri (o le alture) sparpagliate un po'
dovunque, senza che un piano preventivo le avesse individuate come visivamente
collegate fra di loro.
In quest'ottica l'aver ipotizzato un nesso tra le torri di
avvistamento di Azzate (attuale Pretorio),
Velate, Sacro Monte e Rodero sembra piuttosto una coincidenza che un frutto di
uno studio preventivo e finalizzato.
...
"Non si possono elencare qui tutti gli stipiti
nobiliari che imperniarono la loro signoria su uno o più castelli e del resto a
qualcuno si è già accennato per il sec.
XI. Ne ricordo qualche altro. I Bossi, feudatari di Azzate sino al XVII
secolo, furono riconosciuti nobili, e quindi filo-viscontei, nella Matricola
degli ordinari del Duomo (1377); i resti del loro castello sono conglobati
nella villa settecentesca posta su un'altura a cavallo fra la strada
Vergiate-Varese e la fenditura valliva a sud del Lago di Varese (detta appunto
Val Bossa). Residuano murature in pietra a vista e una monofora
quattrocentesca; ma le origini del Castello devono essere ricondotte alquanto
indietro. Se la Chiesa
di San Lorenzo al Castello, ora incorporata nella villa, esisteva già del sec.
XIII, nel 1234 è rammentato un "castrum
de Aciate Vegio"; non è azzardato pensare a un primitivo abitato
compreso in esso, al di fuori del quale si sarebbe sviluppata la villa di "Aciate novo".
(TAMBORINI 1981, pp. 101 sg., ZAGNI 1992-1999, ii P. 235).
Ai de Castello de
Bodio appartenne verosimilmente, nel secolo XIII, la torre di Bodio
Lomnago, la quale domina il pendio verso il Lago di Varese e fu poi incorporata
nella villa seicentesca dei predetti Bossi di Azzate, feudatari di quella plaga
nei secoli XIV-XV (come spesso avvenne la torre fu nell'800 adattata al gusto
neo-romantico, con intonaci, apertura di finestre archiacute, coronamento di
merli); sembra di fantasia la descrizione che ne diede il Brambilla:
"vicino a Lomnago, sur un monticello detto il Maggiore, osservansi i ruderi di un antico castello, che era cinto
da doppia mura, e da otto piccole torri".
(TAMBORINI
19841, pp. 170 sg; BRAMBILLA 1874, II p. 34; cfr. ZAGNI 1992-99, II, p. 49.)
(Estratto da: FRIGERIO PIERANGELO, Castelli del territorio
varesino, Macchione Ed., Varese, 2000).
IL CASTELLO DI
AZZATE
VETUS HOC CASTRUM
A THOMA, AURIGALE ET BELTRAMO
COLLEGIATAE CASTRI SEPRII
PRAEPOSITO
GENTILITII PATRONATUS IN
ECCLESIA
S. LAURENTII INSTITUTORE
FRATRIBUS DE BOSSIIS
ANNO MCCCXXIII
A FUNDAMENTIS ERECTUM
A BERNARDO SENIORE
REGIO PHEUDATARIO OGLONAE ET S.
STEPHANI
ANNO MDXXXI
CELLA VINARIA ET PORTICIBUS
AUCTUM
AB AVO COMITE PAULO
ET PATRE JULIO CAESARE
RENOVARI COEPTUM
STATOR MAJOR CLAUDIUS ALOISIUS
ET MARIA THERESIA COMITISSA
LOCATELLI
CONIUGES
ANNO MDCCLXXXIX
SUO ET AMICORUM COMMODO
PERFICIEBANT
Un'iscrizione posta al di sopra della porta d'ingresso
dell'attuale Villa Zampolli attribuisce la costruzione del preesistente
castello a tre fratelli Bossi verso l'anno 1323(1).
La data è dubbia e doveva esserlo anche per quel tale
Francesco Bossi che la trascrisse. E' anche dubbia la circostanza della
costruzione del castello in questo periodo perché risulta da altre fonti che
Rabalio, padre dei tre fratelli, era già possessore del Castello nel 1290.
Rabalio, morto prima del 1329, fu sepolto nella Chiesa di Santa Maria di
Azzate, alla quale il figlio Beltramo legava alcuni beni perché
nell'anniversario della morte del padre si facessero elemosine e preghiere.
Di Rabalio conosciamo anche il nome del padre, Tommasino,
che, relativamente al ramo dei cosiddetti conti Bossi di Azzate, è il
capostipite ed il personaggio più antico di cui abbiamo memoria (escludendo
naturalmente quei personaggi dubbiosi, come San Benigno, che ci riporterebbero
indietro nel tempo di molti secoli).
Comunque, il complesso attuale ci mostra la coesistenza di
tre elementi: l'edificio tardomedievale ad oriente (la cosiddetta Corte del
Barbée), la villa settecentesca coi servizi al centro (Villa Zampolli) ed i
rustici con relativa corte ad oriente.
Senza dubbio gli edifici ad oriente (Corte del Barbée e
proprietà Martin)
sono parte del castello medievale: i portici nel piccolo cortile, le
finestre in cotto, i resti di affreschi alle pareti di pregevole fattura ci
parlano un linguaggio stilistico che si può collocare tra il XIV e XV secolo;
non è però possibile affermare con sicurezza se questi corpi di fabbrica
costituiscano solo una parte o tutto il castello. Essi restano estranei all'attuale
conformazione spaziale della villa(2).
La struttura settecentesca si è inserita prepotentemente,
coi suoi rigidi ordinamenti, nel contesto medievale, di cui assume come spunto,
incorporandolo ed uniformandolo ad esso, il preesistente Oratorio di San
Lorenzo.
(1) In quel periodo vissero
quattro fratelli Bossi, uno dei quali (non sappiamo chi), non partecipò alla
costruzione del castello. Essi sono:
BELTRAMO,
prevosto della Chiesa di San Giovanni di Castelseprio che fondò il 27 maggio
1329 la Chiesa di San
Lorenzo al Castello. Essa doveva essere amministrata in famiglia (ramo dei
conti Bossi di Azzate) e, in loro mancanza, il diritto doveva passare ai
congiunti di Milano.
TOMMASO,
primogenito di Rabalio, fu il primo ad essere investito del patronato del
Beneficio di San Lorenzo. In lui continuò la discendenza del cosiddetto ramo
dei conti Bossi di Azzate fino ai nostri giorni.
AURIGALE,
risulta già morto alla data del 1329.
GASPARE, ebbe
un figlio, Lorenzo, col quale si estinse il ramo.
(2) Sarà bene a questo punto, per non creare confusione, chiarire
che qui si intende per "castello" l'attuale Corte del Barbée e la
proprietà Martin (comunemente in Azzate si intende invece per
"castello" l'attuale Villa Zampolli);
quest'ultima verrà chiamata esplicitamente Villa Zampolli o più
brevemente "villa".
L'entrata del castello si apre in una parete mista di
mattoni e grossi ciottoli, sormontata da un architrave in granito e un archetto
di mattoni. E' facile notare come i laterizi sotto l'architrave costituiscano
un riempimento forse di epoca posteriore. L'imponente architrave e quel
contrafforte costituito da un piano inclinato di grossi blocchi di pietrame ci
fa pensare che questa, se non la porta principale, era un'entrata al castello.
Dal punto di vista architettonico, merita particolare
attenzione la finestra che si apre sopra l'architrave: è ad arco acuto di
chiara impostazione gotica con una cordonatura in cotto che insegue il taglio
d’ombra della finestra, al cui davanzale un'altra lista di gocce aumenta la
grazia della stessa. Non hanno lo stesso carattere le pareti che si affiancano
all'entrata, che ci sembrano posteriori (probabilmente cinquecentesche).
Entrando ci troviamo di fronte un cortile trapezoidale, di
cui è molto facile ammirare la bellezza quanto difficile leggere i moduli
architettonici. Le trasformazioni del cortile avvenute in epoche successive
hanno continuamente mutato spazi, motivi ed elementi.
Sulla parete d'ingresso, dalla parte interna del cortile,
al piano superiore, troviamo un affresco: una natività, o meglio una Madonna in
adorazione del Bambino datata 1493. E' certamente di una bellezza raffinata e
non di carattere provinciale. A sinistra dell'affresco vi è una parete
trecentesca che doveva essere stata alzata contemporaneamente al muro
d'ingresso e ad esso collegata. Le campate ad archi acuti sono tre e nel muro
attuale non vi sono colonne incorporate, bensì pilastri di mattoni.
A ridosso di questa parete successivamente è stato
innestato un portico con loggiato superiore. Il ritmo composto di questo e il
modulo dei rapporti potrebbero essere cinquecenteschi, ma il gusto decorativo
degli affreschi della balconata, che si potevano ammirare fino a qualche anno
fa prima di essere strappati, ne anticipano decisamente la datazione.
Le due colonne al piano terra sono ben proporzionate e
s’innestano su un basamento molto alto per saettare sottili, esitando solo a
livello del capitello, sino all'architrave ligneo il cui nastro continuo segna
il pianerottolo sovrastante. Su questo poggiano le balconate di mattoni
intonacati, con corrimano in legno, ed altre due colonne lignee sorreggono la
copertura, esempio se non unico, senz'altro raro in queste regioni.
I motivi decorativi dell'affresco strappato
rappresentavano scene di caccia con animali quali la lepre, i cani, due figure
di donne e vasi di fiori con garofani. Nello stesso affresco vi erano due
stemmi: uno della famiglia Bossi (il bue) e l'altro dei Visconti (il biscione
ingoiante un fanciullo).
[1] SANTINO LANGE' - FLAVIANO VITALI, Ville della Provincia di Varese,
Lombardia , Rusconi Immagini, Milano, 1984
DECORAZIONE DELLA VILLA BOSSI-ZAMPOLLI
Affreschi.
Azzate, Villa Bossi- Zampolli.
Nell'atrio della villa, nell'affresco a destra
dell'ingresso, su una cassa di merci è scritto: "Giam. Batta. Ronchelli
dipingeva nel 1777".
Si tratta di uno dei cicli ad affresco più importanti del
Ronchelli, che precede di pochi anni quello comasco in Palazzo Giovio
altrettanto famoso e conclusivo della carriera del pittore cabiagliese.
La villa dei Conti Bossi, detta anche Castello Collobiano,
venne ristrutturata nelle forme attuali tra il 1771 ed il 1779; a conferma di
ciò vengono in aiuto alcuni documenti ed una pergamena con la data d'inizio dei
lavori, fatta murare dal conte Luigi Bossi e solo recentemente ritrovata
durante dei restauri: "Alojsius
Comes Bossius Supremus in Novo Comensi Urbe Vigiliarum Praefectus Imperante
Maria Teresia Comotis Juli Caesaris Filius, Mariae Teresiae Comitissae
Locatelli Vienensis Maritus; Francisci et Claudi Pater a Fundamentis erigebat
anno 1771 aetatis suae quinquagesimo primo".
E'
proprio in questo periodo, precisamente nel 1777, che il Ronchelli portò a
termine la decorazione dell'atrio, raffigurando in sei pannelli storie di vita
campestre e marittima. Entrando dalla corte d'onore, sulla sinistra nel primo
quadrone è rappresentato lo scarico di merci provenienti da varie città:
Milano, Ragusa, Trieste; sulla sinistra, accanto ad un arco di un tempio romano
a cui si accede grazie ad alcuni gradini, sono fermi a parlare dei contadini,
mentre una donna allatta il figlio; sulla destra due soldati chiaccherano
animatamente sul molo. Sullo sfondo si staglia una roccaforte. Nel secondo
quadrone invece dei contadini si riposano all'ombra di ruderi di antichi
templi, mentre sullo sfondo appare un castello, forse un'abbazia, presso la
quale scorre un ruscello.
A destra dell'ingresso è raffigurato un porto con vascelli
ancorati al largo ed alcune barche tirate a secca, intorno alle quali lavorano
dei pescatori, che scaricano merci, chiaccherano, fumano la pipa seduti sulle
casse. Proseguendo, nel quarto pannello, si può vedere in primo piano un
colonnato ionico sotto il quale si riposano dei villani, sullo sfondo
s’intravede un paese in riva al lago ed ancora due cavalieri sulla sinistra, in
cui non è escluso che il pittore abbia voluto identificare il committente e
forse anche se stesso, frustino alla mano, tricorno, abito essenziale e severo
come imponeva la moda di provincia.
Da ultimo, nei due pannelli di fronte all'entrata, sono
rappresentati alternativamente una coppia in abiti settecenteschi dietro alla
quale appare una villa che domina il lago, probabilmente la villa stessa dei
Conti Bossi ad Azzate che si affaccia sul lago di Varese. Nell'altro pannello,
una fanciulla prende l'acqua ad una fonte, mentre discorre con un ragazzo
sedutole accanto.
La scelta dei soggetti appare subito come novità per il
Ronchelli, abituato a dipingere immagini a carattere sacro e mitologico,
secondo le esigenze dei committenti; qui il pittore è libero di interpretare
scene tratte dalla vita e dalla storia del suo tempo: si vedono, in tal modo,
figure in abiti settecenteschi, tanto vicine a quelle rappresentate da G.D.
Tiepolo a Villa Valmarana e dal Longhi. Soprattutto considerando gli affreschi
di G.D. Tiepolo nella Foresteria della villa vicentina, rispetto a quelli del
Ronchelli, simile è lo spirito con cui vengono affrontate le immagini
riguardanti brani di quotidianità con scioltezza, eleganza ed umanità; si
osservi l'attenzione nel raffigurare i gruppi di contadini che riposano
all'ombra di rovine di antiche costruzioni, oppure quelli che parlano,
ritornando dai campi ed anche i pescatori che, dopo aver scaricato le casse
dalle galere ancorate al largo, si concedono un momento di riposo, con il volto
scavato, segnato e precocemente invecchiato dalla fatica e dal sole: si tratta
di una serie di ritratti personali però mai portati alla caricatura.
Ancora molto delicata è la figura della donna che allatta
il figlio, immagine d'un mondo contadino che anche G.D. Tiepolo a Villa
Valmarana aveva avvertito nella donna gravida.
In questi dipinti la natura è viva e presente; spiccano i
paesaggi collinosi, tipici del Varesotto, nuova invece è la visione dei porti,
dei vascelli, delle barche ancorate al molo o in riva al mare.
Le Prealpi un poco rocciose e brulle incombono sui laghi,
le ricche sorgenti di acque montane scaturiscono tra boschi di querce e
castagni, le coste marittime appaiono scoscese, gli attracchi difficili, i
golfi stretti ed impossibili per galeoni carichi di merci. Secondo la
tradizione delle vedute di marine di Claude Lorrain e Salvator Rosa lo sfondo
si anima di barche ancorate alla riva, di navi al largo con le vele spiegate od
abbassate ed i remi pronti, di torri di vedetta lungo la costa.
Il paesaggio campestre del Ronchelli si ispira invece
maggiormente a quello di Nicolas Poussin, dilatato, ordinato secondo la
concezione stessa del pittore francese che sentiva la natura come nemica della
confusione; così le figure umane si immedesimano in essa e ne diventano parte
integrante.
Dei pittori del Seicento, però, il Ronchelli colse
solamente gli elementi caratterizzanti il paesaggio, senza l'intensità
cromatica, gli effetti luministici dei tramonti, la profondità spaziale,
l'atmosfera sentimentale e arcaica, specie di Claude Lorrain, che hanno
ispirato gran parte delle pitture dei paesaggisti del Settecento e Ottocento.
Perdono d’importanza quindi i ruderi di edifici antichi, sterili testimonianze
di una classicità troppo formale e stereotipa per poter assurgere ad un valore
di autonomo, fecondo impegno culturale.
La villa dei Conti Bossi presenta una ricchissima
decorazione delle sale interne, tutte probabilmente di mano o della scuola del
Ronchelli; nell'affresco nella volta della sala a destra dell'ingresso della
villa sono raffigurati alcuni amorini che giocano, altri in cielo su un carro simile
a quello del Sole ed ancora che si trastullano, immersi in un paesaggio
rigoglioso e sereno, intrecciando ghirlande di fiori, allegoria forse dell'età
dell'oro, momento in cui gli uomini conducevano un'esistenza serena, lontana
dalle preoccupazioni e dal dolore, piena di ogni bene, in cui la terra dava
frutti da sé e la morte veniva come un profondo sonno. L'affresco presenta
strette analogie con quelli della volta della galleria al primo piano, detta
galleria delle armi; infatti nella volta, in sei medaglioni, è raffigurata
l'allegoria della vita campestre, una sua rappresentazione virgiliana: nel
primo alcuni amorini alati sostengono canestri carichi di carciofi; in altri
due, cesti di frutta e fiori; negli ultimi sono accompagnati da canne da pesca,
archibugi per la caccia e arnie con api che volano intorno.
Tornando nella sala a pian terreno, visibili sono anche
quattro medaglie monocrome con alcuni personaggi storici, sotto ciascuno dei
quali è riportata una scritta: "DIDO FLAMMAS", "CLEOPATRA VENENO",
"M. ANTONIUS PERTINACIA VICTUS", "AENEAS FUGA VICTOR".
Tali ritratti potrebbero essere di G.B. Ronchelli,
soprattutto paragonandoli agli affreschi nella Sala delle Nozze in Palazzo
Giovio a Como raffiguranti dodici poeti illustri.
Risalendo infine al primo piano, nella sala da ballo, si
possono osservare degli affreschi monocromi con la Giustizia incoronata recante la
bilancia ed un'altra figura femminile, ai suoi piedi, con la ruota della
fortuna; Venere e Cupido; la Legge
bendata con ai piedi un amorino appoggiato al Codice Teresiano, simbolo della
legge umana e che in mano tiene la tavola dei dieci comandamenti, simbolo della
legge divina; da ultimo, una figura femminile con un canestro pieno d'oro, che
schiaccia un essere anguicrinito, con il corpo avvolto da un serpente, forse
allegoria dell'abbondanza che sconfigge il male della miseria. Anche queste
pitture sono riconducibili al pennello del cabiagliese, in quanto il Giovio,
nell'elenco delle opere del Ronchelli, dice che egli dipinse "ad Azzate
da' Conti Bossi medaglie e statue" (G.B. GIOVIO, Gli uomini della Comasca
Diocesi illustri, Dizionario ragionato, Modena 1784, pag. 446).
Nella sala adiacente a quella da ballo, in un fregio che
corre in alto, lungo le pareti sono visibili sei scene tratte dai più
conosciuti miti antichi, scene inquadrate in finte architetture decorative,
ancora di gusto barocchetto: Venere e Marte, sotto forma di toro bianco, Selene
ed Endimione, un incontro di innamorati ed Anfitrite che viene portata a
Nettuno in groppa ad un delfino.
Il fregio affrescato è simile, per la scelta dei soggetti
e la disposizione, a quello conservato al Liceo Musicale di Varese, proveniente
dallo scomparso Palazzo Alemagna e attribuibile al Ronchelli benché Santino
Langé sostenga che siano di fattura raffinata forse opera del varesino Magatti
o della sua scuola le fasce ad affresco che coronano i locali (SANTINO LANGE',
Ville delle province di Como, Sondrio e Varese, Sisar Ed., Milano 1968, pag.
224).
Per la datazione di tutti gli affreschi del Castello
Collobiano ad Azzate, si considera l'anno 1777, nel quale sono datati i dipinti
autografi dell'atrio.
(Estratto da: I TELERI DI SAN GIULIANO E L'OPERA DEL
RONCHELLI di Cristina Parravicini, Mario Perotti e Vincenzo Villa,
Tipolitografia Testori & C., Bolzano Novarese, 1993).
RITRATTI BOSSI
NELLA GALLERIA DEL CASTELLO DI AZZATE
GIOVANNI PIETRO BOSSI sposa Barbara Pusterla figlia di
Gio. Battista
n. 21.5.1575 nata il 22.8.1578
|
|
BERNARDO BOSSI *
sposa Anna Cinquevie figlia di Bernardo
+ Milano sett. 1665
nata 11.9.1600 + 1.7.1644
|
|
CLAUDIO BOSSI
sposa 1685 Caterina Gorla figlia di Gio.
n. 22.7.1637
Pietro di Varese, n. 11.4.1638 + 17.5.1709
+ 27.1.1686
|
|
conte PAOLO MARIA BOSSI sposa Maddalena Negri
n. Azzate 15.3.1663
n. 8.5.1674
|
|
conte GIULIO CESARE BOSSI sposa a Induno 2.11.1717 Elena
Buzzi
n. 29.10.1699
n. 5.1.1697
+ 20.11.1774
+ 1727
|
|
conte CLAUDIO LUIGI BOSSI* sposa contessa Maria Teresa
Locatelli
n. 20.12.1720
f. conte Carlo, n. 8.11.1727
+ 31.10.1802
|
|
conte FRANCESCO BOSSI sposa nella Chiesa di San Fedele di
Como
n. 11.4.1757
10.2.1782
Marianna Rossini figlia del conte
+ 13.3.1844
Carlo, n.
8.2.1758
* Non esisteva il suo ritratto nella galleria.
GIORGIO FILIMBERTI, I gelsi all'ingresso della Villa Bossi-Zampolli. |
SANTINO LANGE', Ville
delle province di Como, Sondrio e Varese.
AZZATE - VILLA BOSSI-ZAMPOLLI.
Come
spesso avvenne nel tardo Medioevo, la residenza feudale con funzioni anche
militari non si identificava col centro residenziale, anzi se ne stava un poco
discosta, per godere di maggior libertà d'azione e per conquistare anche
posizioni strategicamente migliori che erano negate all'aggregato urbano per
motivi di disponibilità di spazio, approvvigionamento sufficiente d'acqua,
vicinanza ai poderi rustici. E' il caso del complesso appartenuto per lunghi
secoli ai Bossi, che tenevano casa fortificata, poi divenuta villa, nella
frazione Castello, un poco discosta da Azzate, su un'altura dominante il paese,
la Val Bossa e le pendici digradanti
fino al lago di Varese.
E' questo uno dei poco frequenti casi, nel territorio
di Varese, di una trasformazione delle abitudini residenziali di una famiglia,
ivi insediatasi da lungo tempo, col passaggio dalle tipologie castellane a
quelle delle ville, ma non attraverso modificazione delle strutture
preesistenti, come avvenne a Frascarolo, Masnago o Caidate, bensì con una
giustapposizione di organismi, in un complesso nel quale i resti del castello
conservano attualmente la sola funzione di rustici.
Non è tuttavia molto semplice riconoscere
compiutamente il reciproco rapporto nel tempo tra le vecchie e le nuove
strutture, poiché la presenza continua sul posto della famiglia Bossi, in un
lunghissimo arco di tempo, ha provocato una tale quantità di interventi da
rendere problematica una ricerca per sezioni cronologiche.
I Bossi, ramo collaterale dell'omonima famiglia
milanese, risiedettero ad Azzate, con sicurezza dalla metà circa del XIII
secolo, anche se notizie più incerte tendono ad anticiparne l'esistenza;
parteciparono alle lotte tra Castelseprio e Milano e, avendo in queste
appoggiato con ogni probabilità i Visconti, si trovarono in favorevole
posizione politica dopo la distruzione della capitale del Seprio, tanto che dal
XIV secolo risultarono feudatari del contado di Azzate.
Da quel momento i membri della famiglia si
moltiplicarono ed alcuni tennero casa ad Azzate, mentre il ramo principale
continuò ad abitare il castello come titolare del feudo fino al 1657; poi,
quando quest'ultimo passò agli Alfieri, si servirono del vecchio castello come
casa di campagna, risiedendo per lo più a Como; col mutare dei costumi si
sentì, infine, la necessità di modifiche nella vecchia struttura, finché nel
XVIII secolo anch'essa fu ritenuta tanto angusta da non poter più sopportare
modifiche e si giudicò opportuno pensare ad una villa completamente nuova.
L'analisi del complesso, come si presenta
attualmente, ci mostra una compresenza di tre organismi, coi resti
dell'edificio tardomedioevale ad Oriente; la villa settecentesca con i servizi
al centro; i rustici con relativa corte ad Occidente.
Senza dubbio gli edifici ad Oriente sono parte del
castello medioevale; i porticati nel piccolo cortile, le finestre in cotto, i
resti di affreschi alle pareti di pregevole fattura, ci parlano un linguaggio
stilistico che si può collocare tra il secolo XIV e XV; non è possibile però
affermare con sicurezza se questi corpi di fabbrica costituissero solo una
parte o rappresentassero tutto il castello, benché quest'ultima ipotesi possa sembrare
la meno probabile poiché nei documenti settecenteschi compare il termine
"renovare" che presuppone una parziale trasformazione e demolizione
di corpi di fabbrica inseriti nella nuova costruzione di cui però non rimane
traccia sicura. Questi corpi di fabbrica, di sicura origine medievale,
restarono comunque pressoché estranei all'attuale conformazione spaziale della
villa.
La struttura settecentesca si è inserita
prepotentemente, coi suoi rigidi ordinamenti, nel contesto medievale, di cui
assume come spunto, incorporandolo ed uniformandosi ad esso, il preesistente
oratorio di San Lorenzo al Castello. A differenza di altri esempi, anche di
poco più antichi, quali Villa Menafoglio o Palazzo Estense a Varese, che
presentano più assi sui quali è organizzata la composizione, qui,
rigorosamente, lo spazio si organizza attorno ad un unico asse longitudinale il
quale inizia con due rustici che si divaricano nella piazzetta privata. Da
questa si stacca, mediante un analogo artificio scenografico, ma capovolto, il
lungo imbuto, fiancheggiato da ambienti di servizio, che immette nel cortile
d'onore. Qui le due ali si allargano, mediante raccordi curvilinei per poi
innestarsi direttamente e bruscamente nell'ala nobile della casa, la più alta,
che costituisce il fondale del cortile; la medesima assialità è ripresa nella
fronte verso il giardino, con le due ali leggermente sporgenti, che
ricostruiscono insolitamente lo schema ad U, e con il doppio scalone di
collegamento coi parterre sistemati all'italiana.
E' veramente difficile trovare esempi in cui le
possibilità di fruizione di un edificio, secondo assi prospettico-scenografici
in funzione di un percorso, siano realizzate con simile esclusiva rigidezza;
anche se tale principio è considerato canone diffuso della villa settecentesca
lombarda, tuttavia interviene sempre qualche elemento a temperare la
schematicità. Il lunghissimo cannocchiale d'ingresso costringe invece nel
nostro caso ad una sola angolazione nella veduta, mentre abitualmente anche in
complessi rigidamente simmetrici con cortile ad U, gli ingressi monumentali si
riducono ad una parete con cancelli che permettono differenti e più libere
prospettive; la villa di Oreno dei Gallarati-Scotti ha una struttura simile, ma
con un più disteso rapporto degli spazi, ed anche la villa Crivelli di Inverigo
pure nata dal rifacimento di un castello, e in pianura, la villa Gnecchi
Ruscone a Inzago.
Evidentemente la realizzazione avvenne di getto,
senza ripensamenti o adattamenti ed infatti alcuni documento, oltre all'analisi
stilistica del complesso, ci confermano che la villa, nella sua forma attuale,
fu iniziata nel 1771, e terminata nel 1779 con qualche intervento minore
protrattosi sino agli inizi dell'Ottocento; la data d'inizio è confermata da una pergamena fatta
murare dal conte Luigi Bossi e ritrovata nei recenti lavori di restauro.
La pergamena era murata sul fronte della villa e
sulle assicelle che la contenevano si legge la data 17 luglio 1771.
ALOJSIUS COMES BOSSIUS
SUPREMUS IN NOVO COMENSIS URBE
VIGILIARUM PRAEFECTUS
IMPERANTE MARIA TERESIA
COMITIS JULI CAESARIS FILIUS
MARIAE TERESIAE COMITISSAE LOCATELLI
VIENNENSIS MARITUS
FRANCSCI ET CLAUDJ PATER
A FUNDAMENTIS ERIGEBAT ANNO 1771
AETATIS SUAE QUINQUAGESIMO PRIMO
Queste date spiegano a sufficienza il carattere di
rigidità che tutto il complesso presenta: pur avendo scelto infatti uno schema
tipicamente barocco, la composizione risente ormai inequivocabilmente
dell'atmosfera neoclassica, per cui un elemento che solitamente serviva a
rendere formalmente mosso e simbolicamente invitante l'accesso, quale il
portico, qui si irrigidisce con l'architrave rettilineo e le colonne spoglie e
massicce, e diventa termine ottico e sbarramento del cortile, più che invito
alla casa.
Tutto
il corpo di fabbrica centrale è realizzato in questi termini, quasi che gli
spazi esterni vi urtino contro, più che esserne organizzati attorno, quasi si
volesse, per contrasto, meglio manifestare le differenze delle funzioni,
secondo principi tipici della trattatistica dell'Illuminismo dal Lodoli al
Milizia.
Anche i percorsi e gli spazi interni della casa
ubbidiscono a questi principi, pur nello schema ancora tardo-barocco, a
cominciare dal severo scalone sistemato secondo una assoluta continuità
spaziale col porticato, di cui ripropone il peso massiccio delle colonne, con
la pesante balaustra in pietra, che già le ville varesine avevano abbandonato
per i più leggeri e rabescati ferri battuti. Pure estremamente semplici sono le
sale a pianterreno e, sopra, la galleria ed il salone da ballo, del tipo già
esaminato a Palazzo Estense, su due piani con balconata per i musici.
Malgrado sia innegabile un intervento di tipo così
schematicamente razionalistico, è necessario tuttavia notare un rispetto di
alcune preesistenze che in parte hanno determinato l'andamento degli spazi
dell'ingresso: anzitutto l'Oratorio di San Lorenzo al Castello, di origine
trecentesca, di cui esistono ampie testimonianze nelle visite pastorali degli
arcivescovi milanesi. Dalle visite di
San Carlo l'oratorio risulta ad aula, con abside semicircolare, volta ad
Oriente; accanto ad esso, a Mezzogiorno, è indicata, con pianta pressoché
quadrata, una casa detta della Chiesina distante 24 cubiti, e corrispondente
all'avancorpo di sinistra della piazzetta privata.
L'Oratorio venne poi rifatto in seguito ad una inversione
nell'orientamento dell'abside, ma sulle fondazioni antiche, rispettando antiche, rispettando quindi dimensioni e inclinazione
del corpo di fabbrica, rispetto alla casa ricordata. con una divergenza
piuttosto accentuata.
L'intervento del Settecento non solo rispettò
l'Oratorio, ma anche la casa annessa, anzi ne trasse motivo per
l'organizzazione degli spazi mediante una ripresa simmetrica degli elementi,
così da formare due imbuti, di cui il primo, divergente dalla strada comune alla
piazzetta privata, mantenne un carattere ancora rustico, mentre il secondo,
formato dalla parete di fondo della chiesa ripetuta sull'altro lato, funge da
pilone d'ingresso e inizia il cannocchiale prospettico verso la casa; tra i due
elementi con funzioni di propilei e il cancello, venne sistemata la piazza, in
leggera salita, che si apre sui due lati, onde permette l'accesso ai rustici.
La cappella fu rimaneggiata internamente negli anni
della costruzione della villa e ad essa intimamente collegata grazie ad un
lungo corridoio che dal cortile conduce, lungo l'ala occidentale del
cannocchiale, ad una tribuna, posta di fronte all'altare, rinnovata dal conte
Luigi Bossi nel 1791, secondo l'iscrizione in essa riportata.
La rigida organizzazione degli spazi d'ingresso e del
cortile trova in parte riscontro nella disposizione del giardino, anche se la
possibilità di veduta panoramica dell'altura che domina il lago e la
sistemazione in parte all'inglese, rende meno evidente la rigida assialità
degli elementi che lo compongono; si passa infatti attraverso una successione
di elementi ben dosati, a partire dal terrazzo chiuso dalle due ali sporgenti,
per scendere al grande parterre, organizzato all'italiana e delimitato da una
balaustra con scalinate, per terminare col giardino all'inglese, in forte
declivio, che si stempera infine con la campagna ed il paesaggio; anche le
opere di collegamento, che iniziano col grande scalone a forma di conchiglia e
la fontana al centro, diventano più semplici nel secondo terrazzo.
E' probabile che l'insieme sia stato realizzato di
getto; ad ogni modo la parte del giardino all'inglese, anche se fatta qualche
anno dopo la fine dei lavori della casa, costituisce un logico completamento
del grande terrazzo con giardino all'italiana, contro cui si scontra,
raccordandosi mediante una serie di grotte artificiali; il contorno
frastagliato e complesso della balaustra, permette però un ideale e reciproco
collegamento, sia nella veduta dal basso, che dall'alto, grazie alle molte
possibilità prospettiche che offrono i suoi spazi articolati a piccoli
belvedere coi quali si organizzano anche le possibili funzioni del giardino,
nulla lasciando al caso, secondo lo spirito con cui venne realizzata tutta la
casa.
Questa attenzione per ogni particolare che il conte
Luigi Bossi dimostra con pergamene ed iscrizioni che ricordano ogni avvenimento
costruttivo, si riflette anche nella sistemazione dei rustici, i più
interessanti e meglio disposti che sia dato vedere nel territorio varesino, coi
fienili, stalle, filande, abitazioni per i contadini raccolti intorno ad un
cortile porticato, di ottima fattura architettonica, sul lato occidentale della
villa, secondo un criterio di complementarità di spazi che non si coglie
immediatamente nei percorsi ufficiali, ma che si ricostruisce ampiamente sul
piano dei percorsi abituali ed intimi della casa, nella sua funzione di centro
economico ed agricolo, oltre che di villeggiatura patrizia.
Appare quindi, in modo unitario, la volontà d'ordine
del proprietario conte Luigi Bossi, evidentemente persona molto illuminata e
imbevuta della mentalità razionalista e trasformista dell'epoca, che si
riflette sugli ordinamenti e la conduzione dei poderi e della casa, con rigore
inflessibile, ma che con larghezza di vedute; purtroppo dopo lunghi secoli di
possesso del luogo, la nobile famiglia Bossi godette per poco tempo della nuova
proprietà che nel 1810 fu venduta ed acquistata da un certo Lorenzo Obicini;
attualmente appartiene alla famiglia Zampolli che ne ha curato i restauri, con qualche
integrazione o rifacimento, qual è' quello del timpano sulla fronte Nord,
ridotto da neoclassico a barocchetto e che si presta a qualche discussione: si
tratta comunque di particolari che cedono di fronte all'ottimo stato di
conservazione.
DATE FONDAMENTALI
DELL'EVOLUZIONE DEL CASTELLO DI AZZATE E DELLA VILLA SETTECENTESCA
1290 Il castello di Azzate è già esistente e ne è
proprietario Rabalio Bossi.
Siamo
in piena età viscontea e la famiglia Bossi, come fautrice della Lega della
Motta, è sempre stata
intimamente legata alla famiglia Visconti del cui governo (così come dei
successivi) ricoprì cariche
importanti.
Già nel
1277 la "Matricola di Ottone Visconti" nominava i due rami distinti
dei Bossi di Azzate e dei
Bossi
di Milano.
All'interno del castello, o adiacente ad esso, sorgeva la Chiesa di S. Biagio, censita da
Goffredo da
Bussero 1220-1298). Di questa chiesa non
rimane alcuna traccia ai nostri giorni e non figura nemmeno
nel cosiddetto Catasto di Maria Teresa del
1722. Da alcune osservazioni effettuate durante i recenti
lavori di ristrutturazione della proprietà
Martin sembra di poterla collocare in un quadrilatero, ora
aperto, tra detta proprietà e la portineria della
villa.
1329 Beltramo Bossi, prevosto della Chiesa di S.
Giovanni di Castelseprio (di cui rimangono le rovine,
essendo stata distrutta nel 1287 dai Milanesi)
fonda il Beneficio ecclesiastico di S. Lorenzo al Castello.
La
famiglia Bossi conservò il diritto di juspatronato su questa chiesa fino al
secolo scorso.
(Ne è
attualmente proprietaria la famiglia Stucchi di Lurate Caccivio).
1493 Viene affrescata la Madonna in adorazione del Bambino.
1531 Bernardo Bossi, feudatario di Oggiona S.
Stefano, costruisce nel castello di Azzate la cella vinaria ed i
portici.
1772 Il conte Claudio Luigi Bossi costruisce
l'attuale villa. Il documento ritrovato farebbe pensare ad una
Costruzione "ex novo" della villa,
ma dobbiamo ricordare che nel catasto di Maria Teresa, anteriore di
circa 40 anni, l'impianto del castello è già
quello attuale. Quindi la villa settecentesca è stata
"riedificata" sull'antico castello.
1777 Giovanni Battista Ronchelli, allievo del
Magatti, affresca il salone d'ingresso della villa.
VILLA
BOSSI-ZAMPOLLI
Dipanare le vicende e i protagonisti di una famiglia dalle
origini antichissime e dalle complicate diramazioni come quella dei Bossi
sarebbe impresa titanica e forse vana, se non ci si potesse riferire agli studi
effettuati da due storici: uno del passato, Donato Bossi, autore di una
discussa "Chronica" quattrocentesca ma soprattutto di una corposa
genealogia "bossiana", e uno vivente, Giancarlo Vettore, da anni
cultore di sicura competenza della materia e instancabile frequentatore di
archivi pubblici e privati. Per merito loro siamo in grado di ripercorrere
agevolmente le tappe fondamentali di una stirpe che, annoverando illustri
personaggi (decurioni, senatori, vescovi, letterati, giuristi, ecc.), ha
lasciato di sé un ricordo indelebile anche grazie alla nascita di
aristocratiche residenze e, di conseguenza, di splendidi giardini.
Le origini dei Bossi - ma qui siamo nel campo della
leggenda - risalirebbero addirittura a prima di Cristo, quando un loro membro
pensò di adottare l'insegna vista su una nave egizia, in cui era raffigurato un
bue bianco: animale che poi entrò veramente nei quarti dello stemma nobiliare.
Più sicuro è che un Benigno Bossi fu arcivescovo di Milano (465-472) e diventò
poi santo, come è certo che le fortune della famiglia ebbero inizio in seguito
ai favori ottenuti dal Barbarossa e al suo inserimento nella "Matricula
Nobilium Familiarum" di Ottone Visconti del 1277, che stabilì in modo
netto la distinzione fra i due rami principali, quello milanese e quello dei
Bossi di Azzate, accanto al quale si andarono poi formando anche quelli di
Musso sul lago di Como e di Meleto nel Lodigiano.
Il centro di Azzate, secondo un recente studio del
Vazzoler (1996), era già da tempo abitato dai Bossi, la cui presenza è
attestata da una pergamena risalente al 1173.
Capostipite del ramo nobiliare azzatese fu un certo
Arnaldo, dal cui figlio Rabalio (o Rabaglio) discendono i personaggi che
maggiormente ci interessano ai fini di una ricostruzione storica, almeno
parziale, della magnifica residenza affacciata sul lago di Varese. Vale la pena
soffermarsi su una coppia di Bossi cinquecenteschi perché citati da Bartolomeo
Taegio nel suo celeberrimo trattato "La
Villa " (1559), in cui vengono elencati i proprietari
dei migliori esempi di residenze e giardini del Ducato di Milano. Si tratta di
Marc'Antonio e Girolamo Bossi, padre e figlio, l'uno cavaliere aurato, l'altro
storico e poeta, oltre che insegnante all'Università di Pavia. Del primo il
Taegio dice che "col corpo sta in Melano, e con la mente va filosofando e
poeteggiando per li riposti lochi del suo monte Parnaso di Azzà, terra così
atta à simili studij", mentre del secondo - "fisico eccellentissimo e
poeta rarissimo" - afferma che "non si sa partire dalla solitudine di
quella", cioè della medesima residenza paterna. Viene in tal modo
confermata, almeno sin dall'epoca rinascimentale, la passione dei Bossi non
solo per la loro terra natia, ma anche per la magnificenza del vivere in villa,
circondati da bellezze e ornamenti degni appunto del monte Parnaso. Va anche
precisato che in Azzate vissero ben quattro rami della famiglia: i Bossi di
Azzate, che abitavano nel castello di cui poi diremo; quelli di Milano, che
espressero soprattutto grandi giureconsulti e vivevano nell'attuale villa
Ghiringhelli; poi i Bossi di Musso, un tempo residenti in un edificio oggi
adibito a ristorante; quindi il ramo di Meleto di Lodi, allora proprietari
dell'odierna villa -Benizzi-Castellani.
Un ramo, infine, viveva nel vicino paese di Bodio e da
taluni viene ritenuto addirittura quello che otto secoli or sono diede origine
all'intera stirpe. Anzi, è importante sottolineare che la cosiddetta Val Bodia
(che, per decreto 28 settembre 1717, prese poi il nome di Val Bossa) -
comprendente le località di Daverio, Galliate, Crosio, Brunello, Buguggiate e
Gazzada in pieve di Varese - faceva parte di quel grande feudo che nel 1538 era
stato venduto da Agostino d'Adda al senatore Egidio Bossi, celebrato giureconsulto,
avvocato fiscale e autore di importanti trattati giuridici.
La principale residenza bossiana di questo vasto 'monte
Parnaso' - oggi conosciuta come villa Zampolli, dal nome del suo attuale
proprietario - vanta origini antichissime, tanto che la località stessa in cui
si trova, una sorta di altura dominante il paese e la sottostante conca del
lago di Varese, da tempo immemorabile viene chiamata 'il Castello'. Che i Bossi
possedessero una residenza di tipo feudale con caratteri soprattutto militari
sembra accertato a partire almeno dal 1290, quando il principale rappresentante
della famiglia era il capostipite Rabalio.
All'interno stesso del castello era presente una chiesa
dedicata a San Biagio - censita da Goffredo da Bussero nel XIII secolo e poi
scomparsa - mentre all'esterno un'altra chiesa, dedicata a San Lorenzo, venne
edificata intorno al Mille ed è tuttora presente, anche se più volte
rimaneggiata, accanto all'ingresso dell'attuale villa, tanto che i Bossi ne
mantennero il giuspatronato fino al secolo scorso. Tuttavia, sotto il profilo
politico il periodo di dominio dei Bossi su Azzate incominciò a declinare
intorno alla metà del Seicento, quando il feudo di Azzate con Dobbiate venne
concesso dapprima a Giacomo Maria Alfieri (1657), poi al conte Nicolò Torriani
(1712) e successivamente ai segretari del senato Giulio Antonio Biancani (1737)
e Giampaolo Mollo (1748).
Anche se progressivamente ritiratisi - o estromessi -
dalla vita politica, i Bossi continuarono a risiedere nel loro avito castello,
le cui originarie funzioni feudali e militari nell'arco di qualche secolo
vennero sopraffatte da altre esigenze abitative, così che giustamente il Langé
(Langé-Vitali, 1984) sottolinea la difficoltà di "riconoscere
compiutamente il reciproco rapporto nel tempo tra le vecchie e le nuove
strutture". Lo stesso studioso, comunque, non esita a individuare anche
nell'attuale complesso edilizio settecentesco alcune parti risalenti alle
antiche strutture medievali: "i porticati nel piccolo cortile, le finestre
in cotto, i resti di affreschi", tutti databili intorno al XIV-XV secolo.
Un tentativo di ricostruire, sia pure sommariamente, la storia dell'edificio e
del giardino attuali deve comunque iniziare da una lettura delle tavole e dei
registri del Catasto di Maria Teresa. La mappa di Azzate - elaborata fra il
maggio e ilo luglio del 1722 - raffigura al n. 886 una "Casa di propria
abitazione, compreso l'Orto in mappa al n. 356 ed anche compreso un Torchio da
Nus per proprio uso", della superficie complessiva di 8 pertiche e 9
tavole. La configurazione della casa ricorda molto da vicino le strutture
tipicamente castellane, imperniate su un cortile centrale racchiuso fra quattro
corpi di fabbrica, di cui quello orientale si prolunga a sud, fin quasi a
toccare la "Cappella o sia Oratorio di S, Lorenzo in Castello
d'Azzate". La collocazione e la pianta stessa di questo edificio farebbero
ritenere che la successiva 'ricostruzione' settecentesca sia avvenuta in un
certo senso inglobando, anche se parzialmente demolendoli o trasformandoli
'prepotentemente' (Langé- Vitali, 1984), gli ambienti preesistenti. Per ciò che
concerne gli spazi ornamentali a verde, va sottolineata la scarsa affidabilità
del Catasto settecentesco in questo settore, poiché non pare credibile che
quello che fino a poco tempo prima era considerato un 'monte Parnaso' sia ora
del tutto privo di un pur modesto giardino. Probabili esigenze di natura
fiscale devono aver fatto passare il terreno n. 356, con vista sul lago di
Varese, per un 'orto' di vaste dimensioni, quando sul fronte della casa già
esisteva un'altra area adibita ad orto (n. 357).
Intestataria di questi beni era la persona del conte
Giulio Cesare Bossi fu Paolo, che era proprietario di beni azzatesi per una
superficie totale di 2287 pertiche, mentre a un suo parente, Vespasiano Bossi
fu Francesco, che risiedeva nella casa n. 883 strettamente annessa all'ala
orientale del castello, erano intestate poco più di 118 pertiche. La morte
colse il conte Giulio Cesare Bossi nel novembre del 1774, ma la sua eredità,
consistente in 2397 pertiche, venne trasmessa al figlio Luigi nell'agosto del
1780, quando ormai da tempo questi aveva dato il via alla riedificazione del
castello, sotto forma di villa impostata su uno schema tardo-barocco, che però
non poteva sottrarsi alle coeve influenze neoclassiche (Langé-Vitali, 1984).
Riguardo ai tempi relativi a questi lavori si hanno date
sicure, poiché alcuni anni or sono, durante opere di restauro dell'edificio, fu
rinvenuta una pergamena fatta murare dallo stesso conte Luigi, in cui si
confermava non solo la sua committenza, ma anche la data di inizio (1771)
dell'erezione della villa "a fundamentis": i lavori terminarono poi
nel 1779, anche se alcuni interventi di minore portata si protrassero fino agli
inizi dell'Ottocento.
Nel frattempo, le vicende connesse alla proprietà dei beni
lasciati da Giulio Cesare si complicarono, poiché dopo la morte di Luigi
(1802), la partita ereditaria passò in un primo momento ai figli di Francesco e
Claudio e poi, dopo la morte di Francesco, anche al figlio maggiore di
quest'ultimo, Luigi, e ai suoi fratelli. La proprietà del patrimonio azzatese
bossiano subì una divisione nel 1812, seguita però da una parziale
riunificazione quando i vari eredi Bossi, nel 1815, vendettero la villa e altri
immobili a un certo Lorenzo Obicini fu Giovanni Battista. Questi, nel corso di
una quindicina d'anni, ampliò ulteriormente la proprietà sino a toccare le 1521
pertiche, ma il 7 giugno 1833 vendette l'intera partita a un'acquirente
d'eccezione, Maria Cristina di Borbone, "nata Infante delle Due Sicilie,
Regina di Sardegna, Vedova di S.M. Re Carlo Felice", che era morto da due
anni. Quali ragioni potessero aver indotto una donna ricca, potente e dal
casato illustre come Maria Cristina ad acquistare una villa come quella
azzatese è difficile oggi scoprire. Certo è che la regina non fu estranea alla
vita di questa sua nuova proprietà, tanto è vero che fu per suo volere che dal
vicino colle di San Quirico, sulla strada che porta a Brunello, vennero
effettuate le opere per captare l'acqua necessaria a irrigare il grande
giardino. Qualche perplessità potrebbe invece nascere dal fatto che la
proprietà azzatese di Maria Cristina andò per intero, nel 1849, al conte
Filiberto Avogadro di Collobiano fu Ottavio, "gran Maestro della Casa di
Savoia", che era stato primo segretario di gabinetto di Carlo Felice e poi
gentiluomo di camera fino alla morte del re. Si sa invece che Maria Cristina
aveva ottimi motivi per manifestare la propria gratitudine all'Avogadro se si pensa
che questi, dopo la salita al trono di Carlo Alberto, era stato allontanato
bruscamente dalla corte, diventando però sovrintendente generale della stessa
regina, una cui dama di corte egli aveva sposato nel 1829.
Alla sua morte, la villa che fu dei Bossi andò dapprima al
figlio Vittorio (1868), quindi ad altri proprietari fino a pervenire ai nostri
tempi alla famiglia Zampolli, l'impegno della quale per la conservazione di
villa e giardino è davvero eccezionale e meritorio.
L'ingresso alla villa, sulla destra dell'Oratorio di San
Lorenzo, è imponente e principesco, con due alti corpi d'invito su cui
campeggiano gli stemmi delle famiglie che hanno qui dato vita a uno dei
migliori esempi di giardini dell'intera provincia di Varese. Al di là di uno
splendido cancello in ferro battuto - dopo un lungo vialetto a imbuto definito
non solo dai muri di fabbricati di servizio, ma anche da basse siepi di
ligustro e da rampicanti (Parthenocissus tricuspidata) - si apre il solenne
cortile d'onore, interamente racchiuso dai corpi di fabbrica dell'edificio a
mo' di corte castellana. Il suo arredo vegetale viene assicurato da un solo
esemplare di magnolia sempreverde (Magnolia grandiflora), posto al centro e
dotato di un bel portamento, attorno al quale prospettano il porticato
settentrionale, le finestre interne e i festoni dipinti in stile settecentesco
con graziosi e delicati trompe-l'oeil. Tutta la composizione si distribuisce ai
lati di un solo e lungo asse che,
partendo esternamente da una piazzetta privata, attraversa l'ingresso a invito,
il cortile con la magnolia, il porticato, l'ala nobile dell'edificio ed esce a
settentrione sul fronte verso il giardino, dove separa anche il doppio scalone
che scende nell'ampio parterre formale.
Per accedere al giardino si passa usualmente lungo il fianco destro
della villa: in pochi passi si presenta alla vista, in un quadro ambientale di
grande suggestività, il vasto parterre rivolto a settentrione. Sulla destra è
radicato un enorme esemplare di "Cedrus deodara", purtroppo parzialmente
troncato da un fulmine, che funge da elemento di raccordo fra il vastissimo
ripiano all'italiana, posto a nord della
villa, e il grande parco romantico che si sviluppa alla base di quest'ultimo.
Il parterre all'italiana, davvero solenne nella sua rigorosa severità formale,
in perfetta consonanza con le linee architettoniche settecentesche
dell'edificio, si presenta come un vero e proprio balcone di grandi
proporzioni, aggettante sul non lontano bacino del lago di Varese in un arco
racchiuso a est dai monti della Valganna e a ovest dai paesi della vicina Val
Bossa. Questa funzione di grande poggiolo è tanto palesemente voluta e
ricercata che per almeno metà della sua superficie (in particolare il tratto
terminale, a forma di esedra) lo spazio pianeggiante si presenta come un
terrazzo sostenuto a valle da muri, arcate, grotte e pilastri, tutti appoggiati
sul sottostante declivio. Il suo disegno e il suo corredo vegetale appaiono
netti e semplicissimi, in accordo con i migliori esempi lombardi di arte dei giardini
nel secolo dei Lumi. Quasi a ridosso della facciata della villa si stende un
comparto centrale erboso, avente ai lati due enormi esemplari di
"Osmanthus fragrans" - unica concessione 'romantica' all'area,
trattandosi di una specie presente in Italia a partire dal 1801 -, cui fanno
seguito altri due spazi a prato, ornati con un paio di bossi potati a palla,
che precedono il terrazzino terminale. Tutto il parterre è delimitato da una
bassa balaustra in pietra, sulla quale sono disposte statue di putti che
rappresentano arti e mestieri e fruttiere pure in pietra, mentre la decorazione
vegetale è affidata a un severo ma efficacissimo rivestimento di edera. La
connessione fra il vasto ripiano e l'edificio storico è assicurata da una
doppia scalinata ricurva a forma di conchiglia che - partendo da una terrazza
inserita fra le due ali a U della villa, con putti in tutto simili a quelli del
parterre - scende verso il basso abbracciando a tenaglia una grande vasca con
mascherone. Sul lato ovest dell'imponente balconata, tramite un'apertura si
imbocca una seconda scalinata - assai più piccola, ma graziosamente decorata
con statue e vasi - che consente di scendere a un altro parterre laterale, la
cui 'estraneità' alle simmetrie formali all'italiana, a dispetto di una
balaustra analoga a quelle già descritte, viene sottolineata dalla presenza di
essenze tipicamente romantiche di grandi dimensioni, tra le quali sono da
notare un'alta "Magnolia grandiflora" e un enorme "Osmanthus x
fortunei". Da questo punto si può osservare come tutta la fascia bassa
della villa, e così quella dell'intero corpo di fabbrica occidentale - che un
tempo ospitava le serre e i rustici - sono totalmente ricoperte di edera,
vecchissima e ben regolata. Percorrendo il largo viale che costeggia l'edificio
sul versante occidentale, si ha modo di addentrarsi nella zona romantica del
grande giardino, come testimonia non solo lo sviluppo dei sentieri - ora non
più rettilinei ma ampiamente sinuosi - ma anche la varietà di essenze vegetali
esotiche. Un primo impatto si ha con una macchia di tassi e di ligustri
cino-giapponesi ("Ligustrum lucidum"), seguiti da gruppi di bossi e
di laurocerasi ormai vetusti e di grandi dimensioni. Quindi, là dove il
sentiero piega nuovamente in direzione nord-est dopo aver lasciato alle spalle
conifere e sempreverdi (camelie e nespoli giapponesi), a un bivio si può scegliere se proseguire a metà costa
ritornando così sotto la grande terrazza all'italiana o scendere alla quota più
bassa del giardino, lungo il confine con vasti campi coltivati. In questo
secondo caso si osserva come qui abbia inizio una lunghissima teoria di alberi
caducifogli, alcuni dei quali di notevole altezza: primo fra tutti un vecchio
tiglio (Tilia platyphyllos), poi aceri, faggi, "Liquidambar", ai bordi
del grande declivio prativo, e invece querce ("Quercus robur") e noci
americani (Junglans nigra) sia pure in alternanza con conifere (Picea abies) e sempreverdi (Prunus lusitanica) lungo il sottostante
confine del giardino. Seguono altri tigli e agrifogli, cui si contrappongono,
nel prato, arbusti ornamentali da fiore e da
foglia (Malus, Prunus, Weigela, Corylus, Magnolia). Si incontra poi un
piccolo spiazzo adattato a sito di riposo, con una statua e sedili in pietra,
dominato da grossi ippocastani e da giovani aceri giapponesi dalle foglie
rosse. Un sentiero risale, sulla destra, per raggiungere quello che corre
trasversalmente a metà costa, mentre, proseguendo in direzione est lungo il
viale basso, la scena è dominata da grandi macchie boschive costituite
prevalentemente da enormi tigli e aceri che formano una barriera quasi
impenetrabile alla vista di chi si trovi fuori del giardino. Un gigantesco
platano è poi accompagnato da ippocastani altissimi e, in questo punto, il
sentiero riprende a salire verso l'alto lasciando sulla destra altre
caducifoglie, come aceri campestri, farnie e carpini. Il grande prato
sottostante alla terrazza all'italiana ospita pochi alberi, tra i quali, nella
parte alta, un acero himalayano (Cedrus deodara) e un faggio, lungo il sentiero
trasversale un alto cedro (Cedrus atlantica 'Glauca?) e una grossa quercia
esotica (Quercus palustris), e infine alcune betulle poste accanto a una
quercia americana (Quercus rubra), sul limite orientale. Rapidamente il
sentiero, fra gruppi di conifere (tassi, tuie, pini silvestri, cipressi,
ginepri cinesi, Chamaecyparis) arriva nuovamente al grande Cedrus deodara posto
a lato del terrazzo formale all'italiana.
Anche se l'epoca in cui avvennero le decisive
trasformazioni del sito per volere di Luigi Bossi e immediati successori
potrebbe teoricamente aver consentito un'impostazione del giardino simile
all'attuale, siamo invece portati a ritenere che in quel momento venisse
realizzata esclusivamente l'area formale all'italiana e che solo in seguito,
nella seconda metà dell'Ottocento, si passasse alla sistemazione del grande
parco romantico. Un conforto a tale tesi verrebbe dalla mappa del sito presente
nel cosiddetto Cessato Catasto (1862), che riproduce un giardino formale (n.
147) corrispondente a quello odierno anche nelle linee che definiscono la lunga
balaustrata, mentre i sottostanti terreni continuano a essere chiamati con i
nomi di 'prato' (nn. 144, 146, 148), 'aratorio' (n., 145) e 'aratorio vitato'
(n. 143). Se ciò corrispondesse a verità, si dovrebbe dare atto agli Avogadro
di Collobiano di non aver tentato di frodare il fisco.
(da "Giardini del territorio Varesino - La
provincia" di Paolo Cottini, Edizioni Lativa, Varese, 1997).
“Moltissimi paesi manifestano anche nel toponimo la distinzione
alto/basso: per limitarci ai paesi confinanti al nostro, Bodio e Lomnago,
Inarco e Casale Litta, Cassinetta e Biandronno. Si potrebbe proseguire con
località più famose, ma sempre trovando questa contrapposizione, che non è
semplicemente di carattere locale, ma anche di carattere etnico e culturale, Il
termine castello fin dal Medioevo è
usato, oltre che per indicare una fortificazione, anche nel senso di parte alta
del paese. L’incastellamento vero e proprio è un fenomeno studiato su
amplissimo raggio storico-geografico. Nella nostra zona “un bell’esempio di
castello è rappresentato dalla Rocca di Angera, già fortificazione romana, poi
barbaro longobarda e, dal 1449, di proprietà dei Borromeo, casato di San Carlo.
Nel 1160 i Milanesi distrussero un grosso castello sopra Lomnago
(Bodio-Lomnago), mentre un Castello Vedro
esisteva a Biandronno, distrutto nel 1161 da Gozolino, creato conte del Seprio
dal Barbarossa.” (CROSTA, pag. 65).
Nella parte alta risiedono le famiglie feudali con la loro
servitù personale, mentre più in basso si possono trovare gli insediamenti di
fortuna o dei servi dei guerrieri (spesso le popolazioni autoctone conquistate)
o dei gruppi marginali, che riescono a sopravvivere nonostante tutto,
mantenendo antichissime abitudini di vita, come le palafitte nelle zone
frequentemente inondate della costa bassa del lago di Varese da Capolago a
Bardello. C’è anzi chi osa supporre “che le palafitte, evidentemente fatte e
rifatte nel corso di tanti anni, venissero ancora usate nei periodi ormai
appartenenti alla storia scritta, delle invasioni etrusche, celtiche e romane,
come punto di appoggio per i pescatori, discendenti diretti dei lacustri
palafitticoli. Così, mentre adiacenti alle rive del lago resistevano le capanne
dei pescatori, sui poggi circostanti di Azzate, Galliate, Bodio, Lomnago,
Cazzago, Biandronno, Gavirate, erano ormai sorti gruppi di case di legno,
mattoni e pietra con le relative infrastrutture, soprattutto strade per i
legami fra i vari nuclei di popolazioni indigene e immigrate, dedite ormai
esclusivamente all’agricoltura, e per i numerosi scambi commerciali. (CROSTA,
pag. 29).
Lo storico paesano, anche in questo caso, osa supporre, perché vede chiaramente la
cosa, ma non ha nessuna pezza giustificativa”.
(Estratto da: AMERIGO GIORGETTI, Viaggio al centro del
paese, 1996, pag. 79).
A.C.A.
Cartella 1, Categoria 4, Classe 2, Fascicolo 10, Anno 1950
APERTURA
DI UNA CASA DI CURA PER MALATTIE POLMONARI IN FRAZIONE CASTELLO
Il Consiglio Comunale di Azzate.
1. Vista
la domanda in data 12 Maggio 1950 presentata dalla S.E.S. Srl – “Sanitas” Esercizi Sanitari – con sede sociale in
Milano Via Savona n. 7, Direzione e Amministrazione Pavia Via Frank n. 3 - con la quale si chiede il parere
dell’Amministrazione Comunale circa l’utilizzazione, previa trasformazione, del
Castello dei Conti di Collobiano, in casa di cura per malattie polmonari per
gli assistiti dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale, capace di ospitare n.
200 ammalati;
2. Considerato
che l’apertura di una casa di cura sarebbe vantaggiosa per tutta la popolazione
di Azzate;
3. Dato
atto che il locale ufficiale sanitario Dottor Angelo Zocchi, appositamente
interpellato dal Sindaco, ha espresso verbale parere favorevole;
4. Ritenuta
la richiesta della SES meritevole di accoglimento;
delibera di esprimere parere
favorevole, per quanto di suo competenza, a che il Castello dei Conti di
Collobiano, sito in frazione Castello, venga utilizzato in casa di cura per
malattie polmonari per gli assistiti dell’Istituto Nazionale della Previdenza
Sociale, così come esprime parere favorevole a che nella Frazione suddetta
venga aperta una casa di cura per malattie polmonari.
(Marino Sessa mi riferisce che nel 1975 erano già stati
piantati nel terreno i paletti sotto i terreni del Castello per la costruzione
di una Casa di Cura. Furono rimossi e non se ne fece nulla!).
In questa fotografia è ben visibile
la beola inserita nell’acciottolato che era il punto massimo che i ragazzi non
dovevano superare nei loro giochi per non incorrere nelle severe rimostranze
del custode del castello, in quanto quello era il limite superato il quale si
sconfinava nella proprietà privata.
Altra curiosità popolare non rispondente a verità è quella
che i tre monti rappresentati nello stemma di Maria Teresa Locatelli stiano a
rappresentare i tre punti di eminenti di Azzate ossia Vegonno, Castello ed
Erbamolle.
Partita n. 1 del
Catasto urbano.
Avogadro di Collobiano cav. Vittorio fu conte Filiberto.
Mappale n. 149 Via Castello 64 casa di villeggiatura[1] piani
3 vani 48.
Mappale n. 150/1 Via Castello 65 casa ad uso di filanda[2] piani
3 vani 67.
Mappale n. 57 Via S. Antonio 37 casa ad uso di filanda[3] piani
2 vani 5.
Da una successiva rettifica diventa:
Mappale n. 149 Via Castello 64 casa di villeggiatura piani 3
vani 61.
Mappale n. 149 Via Castello 65 porzione di casa abitata dal
fattore[4] piani
2 vani 6.
Mappale n. 150/1 Via Castello 69 casa d’affitto piani 2 vani
5.
Revisione generale del 1890:
Mappale n. 149 Via Castello 89 casa di villeggiatura piani 3
vani 61.
Mappale n. 149 Via Castello 90 porzione di casa abitata dal
fattore piani 2 vani 6.
Mappale n. 150/1 Via Castello 90 casa d’affitto piani 2 vani
10.
Mappale n. 57 Via S. Antonio 37 casa piani 2 vani 7.
Nuovo accertamento 2 agosto 1898:
Mappale n. 149 Via Castello 90 grande porticato con
superiore galletti era piani 2 vani 2.
Mappale n. 149 Via Castello 90 casa del giardiniere piani 2
vani 4.
Mappale n. 147 serre e aranciera piani 1 vani 3.
Mappale n. 57 Via S. Antonio 37 poi Via Umberto I° 44 casa
piani 2 vani 10 passa a Baroffio Giuseppe fu Gaetano proprietario e Ferrari
Livia fu Gio. Battista ved. Baroffio usufruttuaria, per acquisto 18 giugno
1898.
Partita n. 404 del
Catasto urbano.
Avogadro di Collobiano Filiberto, Ferdinando, Annibale,
Maria in De Sonnaz e Rita maritata Leone di Tavagnasco fratelli e sorelle fu
conte Vittorio.
Mappale n. 149 Via Castello n. 89 casa di villeggiatura
piani 3 vani 61.
Via Castello n. 90 porzione di casa abitata dal fattore
piani 2 vani 6.
Mappale n. 150/1 e 652 Via Castello n. 87 casa d’affitto
piani 2 vani 10.
Mappale n. 150/3 Via Castello 90 grande portico con
superiore galletti era piani 2 vani 2.
Mappale n. 150/4 Via Castello n. 90 casa del giardiniere
piani 2 vani 4.
Mappale n. 150/2 e 1497 Via Castello n. 90 serre e
aranciera piani 1 vani 3.
Partita n. 406.
Avogadro di Collobiano conte Filiberto, Ferdinando ed
Annibale fratelli fu Vittorio per nota n. 12 del 17 aprile 1923 di cessione di
quote ereditarie come da atto 10 luglio 1915
a rogito dottor Oreste Costa notaio di Torino registrato
a Torino il 30 luglio 1915 al n. 433.
Successione apertasi il 18 gennaio 1929 in morte di Avogadro conte
Annibale fu Vittorio. Testamento olografo in data 20 novembre 1926 registrato a
Torino il 25 gennaio 1929 al n. 7682.
Partita n. 492.
Avogadro di Collobiano conte Vittorio ed Elena fu Annibale
proprietari e Solaroli di Briona Cristina fu Davide vedova Avogadro e conte
Filiberto usufruttuari in parte.
Divisione di eredità 10 luglio 1940 nota n. 2 come da
istrumento 7 novembre 1939 n. 8731/4698 del dottor Masenti notaio in Torino
registrato a Torino il 24 novembre 1939 al n. 5086.
Partita n. 513.
Avogadro di Collobiano conte Vittorio fu Annibale
proprietario e Solaroli di Briona contessa Cristina fu Davide vedova Avogadro
usufruttuaria in parte.
Partita n. 90.
Zampolli Egidio e Giovanni di Angelo Via Aurelio Saffi n.
16 Milano.
Per nota 3 del 54/55 come da istrumento 8 novembre 1952 n.
141579 del dottor Suniderle registrata a Milano il 26 novembre 1952 al n. 13414
volume 999. Ottiene esenzione venticinquennale dal 18 novembre 1953 al 17
novembre 1978. Mappale n. 149 casa piani 3 vani 61.
Casa del fattore piani 2 vani 6.
Mappale n. 150/1 e 652 casa piani 2 vani 10.
Mappale n. 150/3 portico piani 2 vani 2.
Mappale n. 150/4 casa del giardiniere piani 2 vani 4.
Mappale n. 150/2 e 1497 serra e aranciera pani 1 vani 3.
Mappale n. 150/3 e
150/4 abitazione piani 1 vani 26.
(esente).
150/2 area.
1497.
[1] Villa Bossi-Zampolli.
[2] Dovrebbe essere il cosiddetto
“Borgo”.
[3] Dovrebbe essere la Corte
Piccoli.
[4] Dovrebbe essere
l’abitazione di Alessandro Ballerio, giardiniere
IL CASTELLO DEL CONTE
GIULIO CESARE BOSSI
Il conte Giulio Cesare Bossi, secondo conte dei Bossi del
Castello di Azzate, figlio del conte Paolo, primo conte dello stesso ramo, vive
tranquillamente nella sua dimora, il castello di Azzate, immerso in un grande
parco, tutto circondato da un possente muro di cinta, che lo protegge da
sguardi indiscreti ma soprattutto da intrusi malintenzionati che, ai quei
tempi, certo non mancavano.
La sua non è indubbiamente la sontuosa villa che noi siamo
abituati a considerare oggi il Castello di Azzate, che verrà fatto costruire da
suo figlio conte Claudio Luigi, terzo conte dei Bossi del Castello di Azzate, a
partire dal 1771 per giungere a compimento del 1779.
Era comunque una grande casa che si distingueva dalle altre
per le sue mura possenti e la sua conformazione che chiunque avrebbe definito
la casa di un signore. Il titolo di signore gli competeva per more vivendi, come si diceva allora, e
per investitura imperiale che aveva concesso il titolo comitale a suo padre
Paolo.
Tutto intono al muro di cinta del parco correva una comoda
strada che dava accesso ai vari poderi del conte, lavorati dai suoi fedeli
contadini, che portavano i raccolti nei capaci depositi annessi alla casa del
padrone.
Da questo particolare del cosiddetto Catasto di Maria Teresa
d’Austria del 1732 si vede come quasi tutti i terreni intorno al castello
(sembra questo il termine più appropriato per definire la grande casa) erano di
proprietà del conte Giulio Cesare.
Il mappale n. 886 corrisponde al Castello di Azzate. Tutti gli altri mappali intorno al muro di cinta sono di proprietà del conte Giulio Cesare Bossi. |
Accanto alla grande casa del conte sorgeva il vecchio
castello dei Bossi, dove erano vissuti i suoi antenati e il capostipite dei
quali era stato Rabalio Bossi, vissuto intorno all’anno 1290. Questi viene
detto signore del borgo e castello di Azzate per cui è da ritenere che fosse
proprietario di tutta Azzate. Pian pianino si insinuarono poi altri proprietari
per ragioni di matrimonio, di regalie alla Chiesa o anche per vendite.
Fatto sta che il nostro conte Giulio Cesare non era l’unico
proprietario di quella che oggi consideriamola frazione Castello e infatti
figurano anche il conte Alemagna che viveva nella sua bella villa nel centro
storico del paese ma aveva qui una casa colonica (contrassegnata con il n. 889
di mappa) alla quale era annesso anche il mappale n. 358. Questo era l’unico
terreno incluso nel muro di cinta che non fosse proprietà del conte Bossi e per
scongiurare altre intromissioni venne escluso dal muro cinta il mappale n. 322
che apparteneva ad un altro nobile personaggio di Casa Bossi, certo Vespasiano
Bossi, ……..
Questo mappale era all’interno di quell’anello che
descriveva la strada confinante per buona parte del suo percorso con la mura di
cinta e se ne distaccò proprio in corrispondenza del mappale n. 322 per fare in
modo che un altro estraneo non vi fosse incluso.
Il muro di cinta venne dunque costruito al confine del
mappale n. 321 e 322, escludendo quest’ultimo.
CASTELLO VECCHIO DI
AZZATE
Sui muri esterni del vecchio castello di Azzate sono ancora
ben visibili alcuni fori circolari, residui delle buche pontaie per la
travatura del ponteggio di costruzione.
Ancora nel 1841, quando l’ingegner Paolo Ponti, redigeva la
relazione per la manutenzione delle strade interne di Azzate, denominava
l’attuale Piazza Collobiano come la
Piazzetta della Casa del Castello di Azzate con chiaro
riferimento ai fabbricati che costituivano il vecchio castello di Azzate.
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Nel 1290 Rabalio Bossi aveva ormai consolidato la sua
signoria sul borgo di Azzate e il suo castello.
Discendeva costui da una antica e nobile famiglia che si era
stanziata a Milano e, nella lotta per il potere sulla città, scoppiata in seno
alla famiglia dei Torriani e dei Visconti, aveva parteggiato per questi ultimi,
ottenendo in cambio notevoli favori. Si pensa che anche la signoria su Azzate
rientri tra le concessioni che i Bossi ottennero dai duchi di Milano in cambio
della loro fedeltà. A ricordo di questo sudditanza, che poi si rivelò positiva
e vantaggiosa, è rimasto lo stemma del biscione visconteo sulla parte più alta
del complesso di case prospicienti sulla Piazza Cairoli.
Piazza Cairoli. Dopo i restauri. Nella parte alta del fabbricato è visibile lo stemma della famiglia Visconti |
Lo stesso stemma dei visconti era raffigurato ad affresco
sul parapetto della loggia che si affacciava sul cortile del vecchio castello
dei Bossi, purtroppo strappato intorno agli anni ’60.
Cortile interno del vecchio castello di Azzate. Sul parapetto del poggiolo erano affrescate scene di caccia con lo stemma dei Visconti e dei Bossi. |
In quella che conosciamo come la casa Magni in Via Nazario
Sauro è tutt’ora visibile un altro stemma a graffito nella grande sala del
primo piano, da poco restaurata.
Rabalio Bossi è considerato il capostipite del cosiddetto
ramo dei conti Bossi del castello di Azzate ma non mancano personaggi vissuti
anche in secoli precedenti dei quali, però, abbiamo soltanto notizie frammentarie.
Citeremo per esempio Prevede Bossi che il 7 marzo 1260
confessa di essere livellario della Chiesa di Sant’Ambrogio di Barasso.
(Inserire altri esempi).
Una trattazione a parte meritano altri due personaggi che
hanno dato particolare lustro alla nobile famiglia Bossi: San Benigno Bossi e
Ansperto Bossi, entrambi arcivescovi di Milano.
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