Nacque a Milano
probabilmente agli inizi del secolo XIV. La prima notizia sicura su lui risale
al 1341, quando compare tra i membri del Consiglio generale di Milano riunitosi
nel palazzo maggiore per conferire a Guidoaldo di Benedetto di Calice la procura
a trattare con il pontefice Benedetto XII, che aveva comminato l'interdetto
alla città lombarda.
Giurista di una certa fama e giudice
dell'aula imperiale, legato alla famiglia Visconti, il Bossi è soprattutto noto
per l'attività di riformatore degli statuti cittadini svolta nel 1348. In
quell'anno Luchino Visconti fece eleggere dal Consiglio delle provvisioni una
commissione di cinque giuristi con il compito di rivedere e modificare gli
statuti del 1330: il Bossi, "iuris utriusque peritus", ne fece parte.
La commissione redasse il nuovo testo degli statuti diviso in otto libri. Tale
testo venne pubblicato nel Consiglio generale del Comune, ma un successivo
intervento di Luchino ne sospese l'applicazione; soltanto nel 1351, alla morte
di Luchino, i nuovi statuti poterono essere pubblicati per ordine
dell'arcivescovo Giovanni Visconti (al riguardo, cfr. A. Lattes, Sugli antichi statuti di Milano che si credevano perduti, in Rend. del R. Istituto lombardo di scienze lettere ed arti, s. 2, XXIX [1896], pp. 1057-1062).
L'attività
di riformatore degli statuti procurò al B. la cooptazione nel Collegio dei
dottori giureconsulti di Milano, ove fu chiamato nello stesso 1348.
Nell'estate
del 1350 il Bossi venne inviato da Giovanni Visconti, insieme con Giovanni
Besozzaro, presso il conte Astorgio di Durafort, nipote di Clemente VI, con
l'incarico di ottenere la liberazione di Giovanni Pepoli, signore di Bologna,
che il Durafort aveva proditoriamente catturato e teneva prigioniero. La
missione del Bossi, però, non ebbe risultati positivi. Sempre nel 1350, nel
mese di settembre, accompagnò in Savoia Galeazzo II Visconti che vi si recava
per prendere gli accordi definitivi in merito al proprio matrimonio con Bianca
di Savoia. Il Bossi è testimone all'atto con il quale Galeazzo, il 27
settembre, dichiarava di voler rispettare gli impegni assunti a suo nome in
Savoia dai propri procuratori.
Dopo
questa data mancano altre notizie sull'attività del Bossi, che morì a Milano
nel 1355 e fu sepolto in S. Marco.
Fonti e Bibl.: Mon. hist. patriae, XVI, Leges municipales, II, a cura di G. Adriani, Augustae
Taurinorum 1876, col. 983; I Registri dell'Ufficio di provvisione e dell'Ufficio dei
sindacisotto la dominazione viscontea, a cura di C. Santoro, Milano 1929, p.
624; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, col. 214; G. M.
Mazzuchelli, Gli Scrittorid'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1860; V.
Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano, Milano 1890, IV, pp. 297 s.; D.
Sant'ambrogio, Un presumibile resto scultoreo del disperso sarcofago al
giureconsulto G. B. del 1355 in S. Marcodi Milano,Milano 1902; D.
Muratore, Biancadi Savoia e le sue nozze con Galeazzo II Visconti, in Arch. stor. lomb., XXIV
(1907), pp. 53 n. 1, 86 s.
(Estratto
da Dizionario Biografico
degli Italiani - Volume 13 (1971) di Giovanni Diurni).
“ Le voci della presenza di sua figlia a Bologna allarmarono Bernabò Visconti, non tanto perché non fosse sicuro del fatto suo, ma perché temeva che il Suardo - suo ottimo alleato - si sentisse preso in giro, tanto più che si era risposato. Don Giacomo Bossi, prevosto di S. Maria Nuova alle Case Rotte, che all'epoca dei fatti aveva solo 17 anni[1], doveva prestare servizio presso Bernabò perché rilasciò questa testimonianza molto intima.
All'arrivo della lettera da Bologna, Bernabò gettò con stizza la missiva sul suo letto e fece chiamare Bianco Limoni, che aveva scortato Bernarda alla Rocchetta e ne era stato per cinque lunghi mesi il custode. "Bianco, prendi questa lettera e leggila". Bianco, che poteva vedere i fulmini dell'imminente tempesta concentrati pericolosamente sul capo del suo signore e non desiderava che si scaricassero su di lui, sostenne con tranquilla fermezza che Bernarda era morta e sepolta a S. Giacomo, per cui la missiva conteneva un mucchio di sciocchezze.
Fu la volta di Antoniolo de Medici ad avvertire il fuoco sotto i piedi quando venne prelevato dalla guardia di Bernabò per tradurlo al suo cospetto: "Tu mi hai detto che Bernarda era morta e che l'avevi fatta seppellire; ora dimmi, com'è che ho notizia che essa vive a Bologna?" Antoniolo sostenne coraggiosamente lo sguardo alterato del signore, passando al contrattacco: "Ditemi chi sono quelli che vogliono farvi credere il contrario di quanto vi ho dichiarato; non mancano testimoni che possono dire la verità e che furono presenti alla morte e alla sepoltura". Superarono tutti la prova senza un'incrinatura nella voce”.
(Estratto da
Internet:Storia di Milano).
La "Madonna della Scala", affresco di pittore anonimo del XV secolo proveniente dalla distrutta Chiesa di S. Maria alla Scala, oggi conservata presso la Chiesa di S. Fedele di Milano.
Il reverendo sacerdote D.
Giacomo Bossi dell’età di 65 anni, prevosto di Santa Maria Nuova alle Case
Rotte detta della Scala in Porta Nuova, conobbe Bernabò Visconti e l’amante di
lui Giovandola, nonché la figlia Bernarda perché frequentava quotidianamente la
Corte e mentre conferma che lo Zotta era un bellissimo giovane e che giostrava
assai bene, e che fu sospeso per la gola per aver commesso adulterio colla
Bernarda non ci fornisce nelle sue deposizioni altro di interessante che la
parte che riguarda la sedicente Bernarda di Bologna. Egli narra che Bernabò,
tostoché ebbe letta la partecipazione della comparsa di una Bernarda in Bologna,
gettò quella lettera sul suo letto e fece chiamare Bianco Limoni, che aveva
accompagnato la Berarda alla rocchetta di Porta Nuova e così gli favello:
“Bianco prendi questa lettera e leggila. Il Bianco la lesse, poi disse a
Bernabò che non volesse credere quanto eravi annunciato essendoché la Bernarda
era morta e seppellita nella Chiesa di San Giacomo. Correva l’anno 1367[2].
Nell’estate dell’anno 1350
l 'arcivescovo di Milano Giovanni Visconti invia Giovanni
da Bileggio con Giacomo Bossi presso
il rettore pontificio Astorgio di Durafort per intimargli la liberazione di
Giovanni Pepoli, catturato a tradimento al campo di Solarolo.
(Estratto da Internet:Condottieri di ventura).
[1] Il documento che segue
dice che il prevosto Giacomo Bossi aveva 65 anni e non 17.
[2] Dunque Giacomo Bossi,
prevosto di S. Maria Nuova alle Case Rotte detta della Scala di Porta Nuova,
era nato nel 1302.
Nessun commento:
Posta un commento