1375-1390 circa.
Marmo di Condoglia.
cm 80 x 180 x 15
Provenienza: Milano, San Marco, da dopo il 1374 al 1711;
Milano, Fabrizio Benigno (nato nel 1667 – notizie fino al 1719), Simone
(documentato nel 1697) e Carlo Bossi (documentato dal 1630 al 1731), dal 1711
ad almeno il 1731; Belgioioso, Joséphine Melzi d’Eril Barbò (1830-1923), fino al 1923; Belgioioso, Giulia Melzi d’Eril
(nata nel 1852), dal 1923; Belgioioso, Lodovico Melzi d’Eril (1906-1994), fino
al 1994; Belgioioso, Giulio Melzi d’Eril (1946), dal 1994 al 2002; Campione
d’Italia, collezione municipale, in deposito presso il battistero, dal 2002 al 2008; Campione d’Italia, collezione
municipale, Galleria civica, dal 2008.
Con molta probabilità, questa scultura era originariamente
posta sulla sommità del monumento sepolcrale che Vassallino Bossi, figlio di
Giacomo, commissionò come sepoltura della propria famiglia nella chiesa di San
Marco a Milano. Essere più precisi circa la collocazione del monumento non è
molto facile, poiché i pochi testi che menzionano esplicitamente questa lunetta
sono avari di informazioni circa la posizione occupata dal monumento
all’interno della chiesa milanese, e perché le parti del sepolcro furono
consegnate nel 1711 agli eredi della famiglia Bossi (Fabrizio Benigno, Simone e Carlo, membri della famiglia
milanese vissuti tra Sei e Settecento: ODORICI 1878; tav. III), per iniziativa
dell’abate Taddeo Caluschi (Ibidem,
tav. II), probabilmente a causa del rinnovamento della chiesa compiutosi tra il
1690 e il 1714 (alcuni documenti del periodo sono trascritti in PARVIS MARINO 1974, pp. 111-113). Se la data della
restituzione del monumento ai discendenti Bossi è del 1711, non si comprende
appieno il motivo per cui Galeazzo GUALDO
PRIORATO (1666, pp. 100-101), Carlo TORRE (1674, pp. 266-270) e Giuseppe Biffi
(il passo su San Marco contenuto nel manoscritti di Biffi, conservato presso la
Biblioteca Braidense di Milano, è trascritto in BIFFI
1990, pp. 128-130), descrivendo la chiesa milanese, non nominino il
sepolcro di questa famiglia,
soffermandosi invece su quello di Lanfranco Settala e sulla decorazione
pittorica di varie cappelle.
Escludendo l’anonimo visitatore settecentesco segnalato da
Vincenzo FORCELLA (1890, p. 298, il cui punto di riferimento è il Manoscritto Seletti, cart. 13, purtroppo
non rintracciato per la stesura del presente lavoro e quindi difficilmente
databile: è però possibile si tratti di una relazione di quel Seletti, forse
Emilio, col quale Forcella pubblicò, nel 1897, Iscrizioni cristiane in Milano anteriori al IX secolo), che vede
l’epigrafe collocata in una non meglio specificata “parete appena si entra in
chiesa dalla porta maggiore”, il primo testo con trascritta l’epigrafe (anche
se con qualche inesattezza) è un’opera di Giovanni SITONI di Scozia (1706, p. 29), che dovrebbe averla vista all’interno
del monastero di San Marco assieme a tutto il monumento. Anche gli storici che
menzionano il sepolcro negli anni successivi (ARGELATI
1745, p. 215; GIULINI 1771, p. 509; ODORICI
1878, tav. II; FORCELLA 1891, p. 297, epigrafe 419; a questi andrebbe aggiunto
il manoscritti FUSI, Codice Melzi, I,
cart. 47v-48, epigrafe 210, segnalato sempre in FORCELLA 1890, pp. 297-298, ma
anch’esso non rintracciato) citano raramente la lunetta Bossi, limitandosi al
massimo a trascriverne l’iscrizione dal testo di Sitoni (copiandone gli errori)
e addirittura per Diego SANT’AMBROGIO (1902, p. 67) risulterebbe dispersa,
nonostante in quegli anni debba trovarsi già al Castello di Belgioioso.
Infatti, un’iscrizione didascalica (“Maestro Campionese
del 1355. La scuola di Giacomo Bossi. Belgioioso, racc. Melzi D’Eril”) sul
retro di una fotografia all’albumina (oggi su supporto cartonato), conservata
al Civico Archivio Fotografico al Castello Sforzesco di Milano (inv. RI17000)
ed eseguita da un anonimo fotografo della seconda metà dell’Ottocento (le uniche indicazioni utili a ipotizzare
una paternità sono due timbri sul retro della fotografia, uno dei quali recante
la scritta “Dellone”, mentre l’altro è un
timbro delle “Galleria delle province lombarde”; cfr. Introduzione, p. 23 nota 36), dimostra come la lunetta (acquistata
in data imprecisata forse direttamente da Alberico XII Barbiano di Belgioioso
d’Este), si trovi in quel periodo già nella dimora pavese. Qualche anno più
tardi, Giulio CAROTTI (1913, pp. 1199, 1231), che vede la scultura “ai piedi
dello scalone” della residenza di Belgioioso, pur senza avanzare esplicite
proposte di datazione (riporta semplicemente il 1355, data di morte di Giacomo
Bossi), sostiene che l’autore del bassorilievo si sia ispirato, nella composizione,
al sepolcro di Lanfranco Settala,
realizzato per la medesima chiesa tra il 1350 e il 1355 e dallo storico
ritenuto opera di Giovanni di Balduccio da Pisa (ma recentemente attribuito
alla bottega del Balduccio: M. L. Casati, P. Strada, in Maestri Campionesi 2000, Scheda 102; GADIA 2005, p. 126). Lucia
BELLONE (1940, p. 192), che concorda parzialmente con Carotti nel ritenere l’autore
della lunetta Bossi influenzato dalla maniera dello scultore pisano (“la prima
scultura in cui si veda veramente l’influenza stilistica di Giovanni di Balduccio
su uno scultore lombardo”), ritiene invece che spazialità, sobria schematicità
dei panneggi, tipo di figure e mancanza di particolari ornamentali spingano più
verso un’origine campionese dell’artista,
ritenendo questa scultura databile a dopo il 1355. Un’interpretazione simile è
data da Pietro TOESCA (1951, p. 388), che inserisce l’attività
dell’autore di questo bassorilievo tra gli immediati seguaci del Balduccio e i campionesi, portatori di un movimento, di una
spazialità e di un vigore nuovi rispetto al già menzionato sepolcro o al
frontale di sarcofago di Salvarino Aliprandi (realizzato tra il 1344 e il 1350
sempre per la chiesa di San Marco, e oggi attribuito al Maestro della lunetta
di Viboldone: M. L. Casati, P. Strada, in Maestri
Campionasi 2000, Scheda 101). Di diverso avviso Costantino BARONI (1944, p.
103; 1955, p.
800), secondo il quale l’autore della lunetta Belgioioso, caratterizzata da una
generale calma e da limpidi ritmi architettonici, si ricollegherebbe al Maestro
di Viboldone per similitudini proprio con il gruppo di sinistra del sepolcro di
Salvarino Aliprandi. Stranamente, per Federica
BARILE TOSCANO (1998, p. 98, nota 149) la scultura risulta dispersa, mentre
Eugenia BIANCHI (2003, p. 7), che studia l’opera in seguito all’acquisto della
stessa da parte del Comune di Campione d’Italia (2002), ne ricorda la passata
presenza nella collezione del principe di Belgioioso. Daniele Pescarmona (in Sculture 2003, p. 21), la cui scheda è
accompagnata dalla revisione dell’intero testo dell’epigrafe a cura di Mario
Mascetti ed Ernesto Calmieri, avanza per primo l’ipotesi di considerare il
monumento come eseguito dopo il 1374 (ultima data rintracciata in cui Giacomo
Magno Bossi risulta ancora vivo) e propone di collocarne la realizzazione “nella stagione segnata dall’egemonia conquistata dalla
bottega di Bonino”.
Infine, nella scheda anonima redatta per la mostra su Claudio Massini (2010, p. 135) si
sottolinea “l’altissima qualità artistica” del pezzo e se ne attesta la
datazione attorno ad un generico Trecento, mentre Philippe DAVERIO (2011, p.
10) cita la scultura tra le cose più meritevoli conservate nella Galleria
civica.
E’ impossibile provare a ricostruire l’aspetto originario
del monumento Bossi, benché non manchino proposte che accostino a questo
sepolcro alcune formelle e frammenti sparsi: infatti, al monumento in questione
è avvicinato, senza basi certe, un
frontale di sarcofago ancora collocato nel transetto meridionale della
chiesa di San Marco.
Milano, chiesa di San Marco. Scultore campionese,
frontale di sarcofago ritenuto di
Giacomo Bossi
(particolare), ultimo quarto del XIV secolo.
Non approvata all’unanimità, questa ipotesi, che risale
almeno alla seconda metà dell’Ottocento
(MONGERI 1872, p. 92; PARAVICINI 1873, p. 75; MALVEZZI 1882, P. 63; FORCELLA
1890, p. 298; VENTURINI 1906, p. 580; CAROTTI 1913, p. 1199; MERGAZZI 1937, p.
58; CELADA 1959, p. 29; MEZZANOTTE, BASCAPE’ 1968I) è contestata da Diego SANT’AMBROGIO (1902, p. 67), che ritiene committente
dell’opera un non meglio identificato Gaspare Bossi, da Lucia BELLONE (1940, p.
190), “perché il defunto è rappresentato in abito non da magistrato”, da Costantino
BARONI (1944, p. 118, nota 29) e da Federica BARILE TOSCANO (1998, p. 88; cfr.
inoltre BARILE 1987, p. 25), che propone come committente del sarcofago
“Gabriele Bossi, figlio di Giacomo, che i documenti attestano legato a San
marco, ove fu sepolto” (questa idea prenderebbe spunto dalla rappresentazione
del committente inginocchiato che offre alla Vergine e al Bambino quello che è
ritenuto il modellino di Sant’Ambrogio ad Nemus, il cui rifacimento è stato
voluto e finanziato alla fine del Trecento da Gabriele Bossi). Al monumento
della famiglia Bossi è inoltre ricondotta da Diego SANT’AMBROGIO (1902; 1903, p. 241, nota 1) una lastra raffigurante due defunti presentati
alla Vergine e al Bambino, rinvenuta nella cascina Torchio presso Vicentino
Milanese e conservata per lungo tempo a Milano nel palazzo della famiglia Frova.
(Figura 24).
Ubicazione ignota, già collezione Frova: scultore
campionese, frammento di sarcofago, seconda
metà
del XIV secolo.
Nonostante anche questa ipotesi non sia supportata da un
consenso unanime (CAROTTI 1913, p. 1230, si limita a citare il bassorilievo nel
palazzo Borromeo della famiglia Frova; BELLONE
1940, p. 190, ritiene il bassorilievo più tardo rispetto alla lunetta Bossi), è
comunque appoggiata da diversi storici (VENTURI
1906, p. 580); BARONI 1944, pp. 103-104,106; BARONI 1955, p. 800): oggi il
frammento risulta disperso (D. Pescarmona, in Sculture 2003, p. 21).
Prima di proseguire nella descrizione della scultura, è
necessario qualche chiarimento attorno agli esponenti principali di questo ramo
della famiglia Bossi, utili al fine di avanzare ulteriori ipotesi sul monumento
sepolcrale da cui proviene la presente lunetta. Giacomo (o Giacomino) Bossi fu
uno dei giurisperiti nominati da Luchino Visconti che attesero alla riforma
degli statuti di Milano nel 1348, poi pubblicati nel 1351 (SITONI, 1706, p. 29;
GIULINI 1771, p. 508; COGNASSO 1955b, p. 465). Nato verosimilmente entro
l’ultimo ventennio del Duecento, il primo documento sicuro su questo
personaggio è un registro del 1335, in cui Giacomo risulta membro del Consiglio
dei 900 della città di Milano (PITTONIO 1993,
p. 87); a questo fanno seguito un atto del 13 marzo 1337 (ODORICI 1878, tav.
II) e uno strumento di procura datato 23 ottobre 1340, in cui il Bossi compare
ancora assieme ad un lungo elenco di consiglieri e decurioni di Milano (I registri 1929, registro 18: Sindicorum 1395-1409, pp. 622-625, doc.
88). Passato alla corte dell’imperatore Carlo IV, dove venne nominato giudice
imperiale, il Bossi morì a Milano nel 1355 (GIULINI 1771, pp. 508-509). Fu in
stretti rapporti con alcuni esponenti della famiglia Visconti quali
l’arcivescovo Giovanni, per il quale compì alcune missioni diplomatiche nel 1350
(Repertorio diplomatico visconteo
1931, p. 46, doc. 22; COGNASSO 1955°, p. 335; DURINI 1971, p. 307), e Galeazzo
II, del quale fu testimone alle nozze con Bianca di Savoia nel settembre dello
stesso anno (MURATORE 1907, p. 53, nota 1).
Suoi figli furono Giacomo Magno, Vassallino e forse Gabriele
(ODORICI 1878. tav. II: D. Pescarmona. in Sculture
2003, p. 20).
Sul primo, nominato conte palatino il 3 maggio 1355 (assieme
a Vassallino) e ancora vivo nel giugno 1374 (ODORICI 187, tav. II) scarseggiano le notizie, mentre per gli altri due è
stato possibile rintracciare alcune ulteriori informazioni. Dai documenti
pubblicati, infatti, si può notare come Gabriele Bossi, giurisperito e abitante
in “Porta Cumana” (I registri 1929,
registro 13: Provisionum 1385-1388,
pp. 476-481), fosse una figura di una certa importanza nella Milano del tardo
Trecento, in quanto membro della Camera del Comune (Ibidem, p. 471. doc. 88) e dei XII di Provvisione della città dal
10 gennaio 1403 (Ibidem, registro 3: Litterarum ducalium 1041-1403, pp.
146-147, doc. 166), la data più tarda in cui compare questo personaggio.
Il più antico documento su Vassallino, invece, risale al 13
marzo 1337, quando risulta iscritto con il padre al Collegio notarile (ODORICI
1878, tav. II; questa notizia è utile anche per scartare un’ipotesi contenuta
in DURINI 1971, 9. 307, secondo la quale Giacomo Bossi, il padre di Vassallino,
sarebbe nato all’inizio del Trecento). Successivamente è menzionato come notaio
di Bernabò Visconti nel 1367 (ODORICI 1878, tav. II; GIULINI 1856, p. 504;
SANTORO 1976, pp. 168-173, doc. 204), e procuratore dello stesso nel 1371 (Ibidem, pp. 235-237. doc. 297) e nel
1372 (BARILE TOSCANO 1998, p. 116), al
testamento del quale (1397) fu presente nella veste di testimone (ODORICI 1878,
tav. II; D. Pescarmona. in Sculture
2003, p. 20). I rapporti tra il Visconti e Vassallino Bossi, conte palatino,
sono confermati anche da diverse missioni
diplomatiche compiute da queste per conto di Bernabò (ODORICI 1878, tav. II;
COGNASSO 1955, p. 484), non da ultimo il suo
ruolo di ambasciatore visconteo nella città di Bologna alla metà degli anni
Settanta (OSIO 1864, pp. 174-175, docc. CXVII-CXVIII). La data di morte di
Vassallino, padre di Giacomo e Giovanolo (ODORICI 1878, tav. II), è tutt’ora
sconosciuta, e le ultime missioni effettuate per conto di Regina della Scala,
moglie di Bernabò, datano al 13 aprile 1380 (SANTORO
1976, pp. 355-358, doc. 501) e al 18 settembre 1382 (Le pergamene Belgioioso 1997, p. 111,
doc. 274): dopo di che, anche in concomitanza con la morte del suo protettore
(1385), sembra scomparire dagli atti e dai documenti diplomatici. Può però
essere d’aiuto, per definire un termine post
quem per la data di morte del Bossi, un elenco non precisamente datato e
senza specifiche indicazioni (ritenuto però una lista dei membri del Consiglio
generale della città di Milano) conservato all’Archivio di Stato di Milano. In
questo documento, indicativamente redatto tra il 1385 e il 1388, “Vassallino
Bosio” è abitante nella zona di “Porta Cumana”, e quindi ancora in vita (I registri 1929, registro 13: Provisionum
1385-1388, pp. 476-481, doc. 98). Un documento del 14 marzo 1398, nel quale si
ricorda il “quondam Vassallino Bossi” (NOTO, VIVIANO 1980, p. 22, doc. 31),
diventa invece termine temporale oltre il quale non si può ritenere in vita
Vassallino.
Volgendo nuovamente l’attenzione al frammento del monumento
Bossi, questo è composto anzitutto da una lunetta raffigurante una scena di Orazione in cattedra, in cui un
esponente della famiglia (generalmente indicato con Giacomo Bossi) è intento
alla lettura e ascoltato da un gruppo di uditori. Questi, resi con fisionomie e
atteggiamenti vari, hanno quasi tutti gli sguardi orientati verso l’oratore. Lo
sfondo è composto semplicemente da un telo sorretto da due figure poste ai lati
della scena, delle quali quella a sinistra ha un braccio parzialmente rovinato,
mentre il personaggio vicino e completamente mancante del viso almeno dal tardo
Ottocento, come testimonia la fotografia conservata al Civico Archivio Fotografico
di Milano e citata in precedenza.
Nella parte inferiore della scultura si trova un’epigrafe in
caratteri gotici, che la BELLONI (1940, p. 190) ipotizza fosse in origine
staccata dalla lunetta a causa della presenza di calce tra le due parti della
scultura: uno sguardo ravvicinato, però, esclude tale ipotesi, in quanto non si
vede la calce notata dalla Belloni e il marmo dell’epigrafe forma un tutt’uno
con quello della lunetta. L’iscrizione composta da cinque quartine in esametri
irregolari, rientra nella tipologia delle “iscrizioni funerarie”, in quanto,
come si vedrà, nel testo si ravvisano gli elementi essenziali di questa
categoria: “il nome del, o dei defunti destinati
alla tomba o al sepolcro cui l’iscrizione è annessa. I dedicanti, che si
possono identificare con gli stessi dedicatori (…). Talora note relative
all’attività del defunto o addirittura il suo cursus honorum” (ROSA 2000, p. 253).
Inoltre, è da segnalare come, recuperando una
prassi diffusa soprattutto negli epitaffi metrici dell’epigrafia funeraria
latina, in questa iscrizione si aprano “spazi consistenti per un colloquio (…) tra il defunto e
coloro che sostano davanti alla tomba e all’epitaffio” ( Ibidem, p. 271).
Dettata presumibilmente da Vassallino Bossi, l’iscrizione
(di cui mancano le estremità, tagliate in data imprecisata) recita quanto
segue:
“E’ racchiuso in quest’arca un uomo onesto che l’imperatore
Carlo nominò giudice della sua corte. Oh viandante che passi, osserva di qual
valore sia questo dottore, un conte designato funzionario ufficiale dalla
divina mano del Cesare. Nobile per casato, degnissimo discendente dei Bossi
rese più rinomata di titoli l’illustre stirpe. Il suo nome consono alle leggi,
adatto alla morale: Giacomo, colui che abbatte vizi e contese. Dalla sorte
arrivò una morte degna di una vita onesta: se ne andò vecchio, padre di Giacomo
Magno, magnifico ceppo dal quale una doppia discendenza di figli si distinse
radiosa onorando la famiglia Bossi. L’altro germoglio del padre ancora vive con
successo: Vassallino, conte regio e imperiale, la cui famiglia è celebre in
questa città, uomo famoso per cultura, curatore dell’amministrazione pubblica,
il quale, ponendo in un bel sepolcro le ossa del padre e del fratello, esorta
qualunque persona a ricordare questi uomini. Regni con Cristo sepolto in
codesto sarcofago. Sia suo destino il cielo che il Pastore serba ameno”.
Dall’epigrafe risalta subito come, dopo una prima parte
dedicata alla glorificazione del padre Giacomo, le ultime due quartine siano
sostanzialmente un’autocelebrazione dello stesso Vassallino, definito, tra i
vari epiteti, uomo di elevata cultura.
L’invito a ricordare gli uomini illustri sepolti nel
sarcofago dovrebbe essere quindi interpretato come un’esortazione e celebrare
anche la sua persona nel momento del trapasso: infatti, negli ultimi versi, si
auspica che Vassallino possa regnare nei cieli quando sarà sepolto assieme al
padre e al fratello Giacomo Magno. Di conseguenza, il monumento in questione è
da considerare sepoltura non solo di Giacomo e Giacomo Magno Bossi, come fino
ad ora ipotizzato dalla maggior parte degli storici, ma anche di Vassallino,
come già proposto dal solo Sant’Ambrogio (1903, p. 241, nota 1), cosa che farebbe identificare l’iscrizione con una forma
epigrafica ex testamento, in uso già in antichità, attraverso la cui pratica si
era soliti commissionare da vivi il proprio sepolcro (una variante poteva
essere l’affidamento agli eredi della costruzione o del completamento della
tomba (DI STEFANO MANZELLA 1987, pp. 122-123).
Un’ultima considerazione attorno all’iscrizione e alla
famiglia Bossi: nonostante in un’epigrafe del 1389 trascritta da SITONI (1706, p. 36), GIULINI (1771, p. 501),
ODORICI (1878, tav. II) e FORCELLA (1890, pp. 44-45, epigrafe 58), riferita al
rifacimento della chiesa milanese di Sant’Ambrogio ad Nemus voluta e finanziata
da Gabriele a partire dal 1388 (MORIGIA 1592, p. 475), si dica che Gabriele fosse
figlio di Giacomo Bossi (“dominus Gabriel de Bossis legum doctor filius quondam
nobilis militis domini Jacobi de Bossis legum doctoris comisque palatini”), non
si comprende come mai Vassallino non lo nomini nella sua epigrafe, e anzi nella
stessa si sostenga che figli di Giacomo siano solo lui e Giacomo Magno
(“magnifico ceppo dal quale una doppia discendenza di figli (Giacomo Magno e
Vassallino) di distinse radiosa”). E’ normale, a questo punto, dubitare della
diretta parentela tra Gabriele e questo Giacomo Bossi.
Nonostante si sappia che fu eseguito per la chiesa di San Marco di Milano, non si
conosce con precisione quale fosse la collocazione del monumento sepolcrale di
Giacomo, Giacomo Magno e Vassallino Bossi all’interno della chiesa. Qualche
indicazione è comunque data dalla presenza di una seconda iscrizione, ora
perduta, ma segnalata in passato sotto l’altare della terza cappella della
navata sinistra della chiesa, il cui testo sembrerebbe confermare come in
quella cappella fosse sepolto Giacomo Magno Bossi (“in sepulcro hic superius et
besabiacicum D. Iacobi Bossii Magni SS.ti”: FORCELLA 1890, p. 303, epigrafe
426: anche questa iscrizione sarebbe stata recuperata dal Manoscritto Seletti,
cart. 14v). Nel testo dell’epigrafe, purtroppo
frammentario, non è specificato il nome preciso del personaggio lì sepolto,
comunque un “De Bossiis”, ma si parla di un “magistrum intratarum ordinariarum”
attivo nel periodo in cui Galeazzo Maria
Sforza era duca di Milano. In base a questa indicazione temporale, si può
supporre che il defunto in questione fosse Gian Luigi Bossi (figlio del
consigliere ducale Simone Bossi, discendente del ramo familiare di Giacomo e
Vassallino: SITONI 1706, p. 60; ODORICI 1878, tav. II), membro del Consiglio di
Giustizia della città di Milano a partire dal 28 dicembre 1472 e del Consiglio
dei nobili giurisperiti almeno dal 1479, defunto il 16 novembre 1482 e
seppellito, secondo le sue volontà, nella chiesa di San Marco a Milano (Ibidem; PETRUCCI 1971, p. 309). Se la
collocazione di questa epigrafe fosse quella originaria, e non una destinazione
dovuta ad un reimpiego della lastra, allora si potrebbe davvero sostenere che
la cappella appartenesse alla famiglia Bossi e in questa fosse situato il
sepolcro funerario di Giacomo e figli.
Per quanto riguarda stile e probabile anno di esecuzione
della lunetta Bossi, i dettagli stilistici e compositivi della scultura spingono verso datazione all’ultimo
quarto del Trecento proposta da Pescarmona (in Sculture 2003, p. 21). Spazialità,
panneggi e fisionomie sono appunto portatori di un linguaggio successivo a
quello di altri monumenti rappresentanti il medesimo tema dell’Orazione in cattedra ma eseguiti qualche
decennio prima, come il già citato sepolcro di Lanfranco Settala (Figura 25)
Milano, chiesa di San Marco: bottega di Giovanni
di
Balduccio, arca di Lanfranco Settala, 1350-1355 circa.
o il frontale di sarcofago di Martino Aliprandi;
Milano, chiesa di San Marco: scultore campionese,
frontale di sarcofago di Martino
Aliprandi (particolare),
1340-1350 circa.
(la data di realizzazione
oscilla tra il 1340 e il 1350: M. L. Casati, P. Strada, in Maestri Campionesi 2000, scheda 100), benché da questi, anche se in
maniera molto meno evidente, lo scultore della lunetta campionese
abbia ereditato quella gerarchia proporzionale attraverso la quale la figura
più importante della scena, attorno a cui ruota tutta la composizione, è
rappresentata in dimensioni maggiori rispetto alle altre. Personaggio, quindi,
di una certa rilevanza, l’alto rango del Bossi è qui sottolineato anche dalla
toga e dal cappuccio che indossa, lontani dalla moda dei giovani del periodo (cfr.
figg. 13-14) ma che ben si adattano agli abiti indossati in quegli anni da
dotti e letterati, i quali “si tengono fedeli alle fogge tradizionali,
indossando caldi tabarri e cappucci a gote” (LEVI PISETZKI 2005, p. 209).
Elementi, questi, estremamente utili per sostenere un’esecuzione del monumento
verso gli ultimi decenni del Trecento: se infatti è indiscutibile che toga e
cappucci a becchetto lungo (portati nella lunetta Bossi da diversi personaggi)
si possano rintracciare anche nei rilievi Aliprandi e Settala, è altrettanto
indubbio che l’aderentissimo cappuccio indossato dal Bossi, diffusosi più o
meno dagli anni Sessanta del secolo, sia assente nelle altre opere,
caratterizzate da copricapo più ampi e larghi. In una tavola di Giovanni da
Milano oggi al Mertropolitan Museum of Art di New York (Rogers Fund, inv,
07.200), eseguita alla fine degli anni Sessanta del Trecento, e in un affresco
di Andrea Bonaiuti nel cappellone degli
Spagnoli (1366-1368) in Santa Maria Novella a Firenze, è possibile
notare il graduale affermarsi di questo tipo di cappuccio stretto.
Firenze, chiesa di Santa Maria Novella,
cappellone degli
Spagnoli: Andrea Bonaiuti, “Allegoria” (particolare),
1366-1368.
Dunque, come dimostrano anche i documenti riguardanti la
famiglia Bossi esposti in precedenza, si può sostenere che il monumento
sepolcrale di Giacomo, Giacomo Magno e
Vassallino Bossi fu verosimilmente commissionato tra la metà degli anni
Settanta del Trecento e il decennio successivo. Infatti, nonostante non si
conosca con precisione la data di morte di Giacomo Magno, si è a conoscenza del
fatto che fosse ancora vivo nel 1374: di conseguenza, poiché nell’epigrafe è
chiaro che Giacomo Magno fosse già morto, è ovvio che la sepoltura fu
commissionata dopo quell’anno. Di Vassallino, invece, si è proposta una data di
morte compresa tra il 1388 e il 1398, sottolineando come diventi irreperibile
negli atti diplomatici in concomitanza con la morte di Bernabò Visconti (1385):
quindi, siccome l’iscrizione sostiene che Vassallino Bossi, nel momento in cui
commissiona il sepolcro, “ancora vive con successo”, la fine degli anni Ottanta
rappresenta il termine massimo in cui considerare eseguito il monumento
familiare.
Un’ulteriore testimonianza per la
datazione proposta proviene da un atto del 1372, anno in cui Vassallino Bossi è
documentato in San Marco nel ruolo di procuratore di Bernabò Visconti, donatore
di una ingente somma di denaro al fine di apportare importanti migliorie alla
chiesa milanese negli anni a venire (con la campagna del 1372 si prolungò il
corpo della basilicale e si eresse la facciata), testimoniati da altri lavori
nel 1375, nel 1381 e nel 1384, finanziati dallo stesso Visconti (MONGERI 1872,
p. 83; BARILE TOSCANO 1998, p. 116). E’ plausibile che la commissione del
sepolcro della propria famiglia sia stata effettuata da Vassallino in
concomitanza con i lavori di ingrandimento di San Marco, probabilmente rivolgendosi, dato il
suo alto rango, a Bonino da Campione o a uno degli artisti che lavorarono con
lui al monumento di Bernabò Visconti qualche anno prima (realizzato per la
chiesa milanese di San Giovanni in Conca, ma oggi al Museo d’arte antica del Castello
Sforzesco, inv. 773 bis: VERGANI 2001b, pp.
154-156), come dimostrano le analogie stilistiche e fisionomiche tra i tratti
somatici dei personaggi scolpiti nella lunetta Bossi e quelli dei rilievi del
sepolcro visconteo.
Mirko
Moizi
(Scheda 5, in Galleria civica San Zenone, Campione d’Italia. Catalogo delle sculture,
a cura di M. Moizi, Campione d’Italia 2011, pp. 67-84)
Per gli alberi genealogici vedi: "Ramo comune di Arnoldo Bossi" pubblicato il 13 gennaio 2016.
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