Tomaso Bossi f. Ambrogio f. Baliolo f. Francesco f. Tommaso
f. Rabalio.
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|--- Margherita
Bossi
| L’Indice Lombardi presso A.S.Mi. registra un rogito del notaio Nicolò Andrei
| q. Marco riguardante un suo pagamento
verso Bartolomeo Medici q. Battista,
| avvenuto in Trezzo il 30 luglio 1516 sotto il n. 133.
| Sposa Ambrogio Del Maino, cavaliere,
consigliere ducale nel 1497[1], conte
| palatino e questore ducale, morto in Arezzo
il 12 novembre 1516. Ambrogio
| era
nel 1493 nel Consiglio Segreto[2].
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| |--- Bianca Del Maino
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Sp. Gerolamo Visconti.
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| |--- Gaspare Del Maino
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| |--- Agnese Del Maino
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| + Milano 13 dicembre 1465.
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Amante di Filippo Maria Visconti duca di Milano.
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| | |--- Bianca Maria Visconti
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| | |--- Caterina Maria Visconti
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| Che morì pochi
giorni dopo la nascita (1426).
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| |--- Lancillotto Del Maino
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Cortigiano e membro del Consiglio ducale[3].
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| |--- Andreotto Del Maino
| Cortigiano e membro del
Consiglio ducale.
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|--- Elisabetta
Bossi
Sp. a) conte
Manfredi de Lando; b) Giacomo Valperga conte di Masino.
Filippo Maria Visconti si sposò
due volte, con Beatrice di Lascaris figlia dell'ultimo conte di Tenda e con Maria di Savoia, ma da entrambe le mogli
non ebbe figli. Per questo motivo, il duca chiese all'imperatore Sigismondo di
Lussemburgo di riconoscere come sua erede la figlia illegittima Bianca Maria.
Nel 1431 madre e figlia furono fatte
alloggiare nel castello di Abbiate, l'attuale Abbiategrasso.
Qui Filippo Maria aveva dato ordine di preparare un appartamento dove la
piccola Bianca potesse crescere con la madre[1].
Dopo molte trattative e
ripensamenti, Filippo Maria promise in sposa al condottiero Francesco Sforza la sua unica figlia. Le nozze ebbero
luogo a Cremona il 25 ottobre del 1441.
Nel 1447 Agnese convinse
Alberico Maletta a restituire la città di Pavia al genero[1] che l'aveva ereditata alla morte di
Filippo Maria[2].
Dal 1450 sua figlia Bianca
Maria, duchessa di Milano dal 1450, la chiamò a corte per aiutarla a crescere i
figli minori[1].
La figura di Agnese del Maino
venne ripresa nel 1833 da Vincenzo Bellini nel suo melodramma Beatrice di Tenda.
(Estratto da Wikipedia).
BIANCA MARIA VISCONTI
SFORZA
Bianca Maria Visconti nacque a Settimo Pavese il 31 marzo
1425. Era la figlia legittimata di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, e di
Agnese Del Maino.
All’età di sei mesi la piccola Bianca Maria venne
trasferita, insieme alla madre Agnese (figlia del conte palatino e questore
ducale Ambrogio Del Maino – probabilmente dama di compagnia di Beatrice di
Lascaris, prima moglie di Filippo Maria), in un’ala appositamente e riccamente
allestita del castello di Abbiate, l’attuale Abbiategrasso.
Nonostante le movimentate vicende politiche e militari e il
secondo matrimonio con Maria di Savoia, il duca trascorse molto tempo ad
Abbiate, mostrandosi intrigato dalla personalità della figlia; quest’ultima
infatti diede mostra fin da piccola di un carattere incline alla ricerca del
consenso, insensibile ai lussi superflui e poco manovrabile.
Filippo Maria Visconti offrì a Francesco Sforza in sposa la
figlia Bianca Maria, che all’epoca aveva solo cinque anni. Inoltre, non è
escluso che il Visconti abbia fatto intravedere allo Sforza la possibilità di
adottare come legittimo erede, e quindi come successore, il consorte della
figlia.
Francesco Sforza accettò la proposta matrimoniale,
probabilmente attratto dall’anticipo della dote che consisteva nelle terre di
Cremona, Castellazzo e Bosco Frugarolo. Il contratto di fidanzamento venne
ratificato il 23 febbraio 1432 presso il castello di Porta Giovia, residenza
milanese dei Visconti; come padrino d’anello di Bianca Maria fu indicato Andrea
Visconti, generale dell’ordine degli Umiliati. La presenza di Bianca Maria e
della madre Agnese alla cerimonia non è accertata; alcune testimonianze
riferiscono anzi che la prima visita di Bianca a Milano abbia avuto luogo
quand’era ormai in età da marito.
Piuttosto indifferente a tutti questi intrighi, Bianca Maria
trascorse l’infanzia e l’adolescenza nel castello di Abbiategrasso con la
madre, in un clima culturale di grande apertura. Qui ricevette, per desiderio
paterno, un’accurata formazione di tipo umanistico. La biblioteca ducale,
inventariata nel 1426, era caratterizzata da una grande varietà di opere: a
fianco dei classici latini si trovavano testi francesi e provenzali di
narrativa ma anche scientifici e didattici, nonché testi in italiano volgare
con largo predominio degli autori toscani.
Padre e figlia non avevano gusti comuni solo nelle lettere;
entrambi erano appassionati di cavalli e sembra che Bianca Maria fosse anche
un’abile cacciatrice.
Le nozze ebbero luogo a Cremona il 25 ottobre 1441 presso
l’abbazia di San Sigismondo, sede scelta dallo stesso Sforza e preferita al più
ovvio duomo della città per motivi di sicurezza. Fino all’ultimo Francesco
diffidò infatti del suo lunatico suocero. I festeggiamenti durarono diversi
giorni e compresero un sontuoso banchetto, diversi tornei, giostre, un palio,
carri allegorici e una riproduzione del Torrazzo di Cremona fatta con il tipico
dolce cremonese. E’ forse da questo episodio che ha origine il nome torrone.
Lo storico Sabadino de li Arienti ci descrive la duchessa
diciassettenne: “bianca de carne et
candida de costumi faceta opportunamente cum dolce et casto riso…, ma de
gravità reverenda”.
Già pochi giorni dopo il matrimonio (7 novembre) le bizze
del duca si fecero sentire sotto forma di decreto che limitava i poteri dei
suoi vassalli, Sforza compreso.
Temendo l’ostilità del suocero, il 23 gennaio 1422 Francesco
riparò nel territorio veneto stabilendosi a Sanguinetto (Verona); per Bianca
Maria inizia allora una nuova fase, dall’ambiente riparato e isolato del
castello alla vita spesso disagevole della moglie del condottiero.
Nel maggio dello stesso anno la coppia fu invitata a
Venezia. Nonostante l’aperta inimicizia nei confronti del padre di lei,
l’accoglienza da parte del doge Francesco Foscari e della dogaressa Marina Nani
fu sontuosa. Al secondo giorno della visita giunse però la notizia che il
Piccinino stava radunando un esercito per minacciare i territori dello Sforza
nella marca anconetana. Questi avrebbe voluto partire subito ma l’intercessione
e le promesse di aiuto da parte del Foscari, unite alle pressioni della moglie,
lo convinsero a restare altri due giorni.
Lasciata Venezia i due si recarono a Jesi, passando prima
per Rimini, dove furono ospiti dell’infido Sigismondo Malatesta, quindi a
Gradara, presso Galeazzo Malatesta.
A jesi cominciò per Bianca Maria un periodo travagliato:
rimasta al castello mentre lo Sforza era alla guida dell’esercito, già nel 1442
venne nominata dal marito reggente della marca: “poniamo a capo di tutta la nostra provincia l’inclita nostra consorte
Bianca Maria (…) le affidiamo tutto il governo della medesima (provincia)
affinché la prudenza, l’equità, la clemenza e la grandezza d0animo, virtù (…)
delle quali la nostra consorte è per natura e per educazione grandemente fornita
(…)”. Può colpire che il condottiero si esprima in toni così elogiativi
della moglie diciassettenne, ma in pochi mesi di matrimonio aveva iniziato ad
apprezzarne le doti caratteriali e aveva condiviso con lei le decisioni
politiche e amministrative. Le cronache del tempo riportano molte occasioni in
cui Bianca Maria intervenne nell’amministrazione e anche nell’attività
diplomatica.
Se il sentimento fra i due fu sicuramente di reciproco
rispetto e con ogni probabilità anche di amore, rimaneva senz’altro diversa la
concezione della fedeltà coniugale: se per Bianca Maria era un valore assoluto
e imprescindibile, per Francesco lo era molto meno; egli si dedicava infatti ai
rapporti extraconiugali con assoluta noncuranza.
Nel 1443, in occasione del primo di questi tradimenti,
Bianca Maria ebbe un atteggiamento molto dissonante dal suo abituale carattere.
Narra il Piccolomini nei suoi Commentarii
che Bianca Maria fece allontanare la
sua rivale, che poi fu misteriosamente rapita e uccisa, e impedì a Francesco di
vedere Polidoro, il figlio nato da quel rapporto.
I primi anni di vita coniugale coincisero con un lungo
periodo turbato dal contrasto fra Filippo Maria Visconti e Francesco Sforza; il
primo era impegnato in una contorta politica espansionistica e in un continuo
mutamento di alleanze, tanto da affidare le sue armate a Niccolò Piccinino, da
sempre rivale dello Sforza: l’altro era coinvolto in un conflitto con il papato
che lo portò fino alla scomunica, avvenuta nel 1442: Una posizione sicuramente
difficile per Bianca Maria, che da persona di grande lealtà come viene
descritta dai suoi biografi si trovava dilaniata fra due fazioni in guerra.
Nel 1446 il duca, ormai malato e indebolito, opera un
tentativo di riavvicinamento con lo Sforza; nonostante l’insistenza di Bianca
Maria, questi rimase diffidente e preferì dare priorità alla difesa dei suoi
territori insidiati dalle truppe papali.
Nel marzo del 1447 il condottiero si sentì abbastanza sicuro
e accettò la carica di “ducale
luogotenente” ma ancora una volta il Visconti cambiò idea, insospettito e
ingelosito per la gioia manifestata dalla fazione sforzesca residente a Milano.
Ciò avveniva nello stesso momento in cui il nuovo papa, Niccolò V, pretese
dallo Sforza la restituzione di Jesi.
Per la coppia fu il momento peggiore ulteriormente funestato
dalla morte di Costanza, moglie di Alessandro Sforza, che aveva condiviso con
Bianca Maria gli anni precedenti.
Francesco Sforza accettò la cessione di Jesi al papa per
35.000 fiorini e si mise in marcia con la moglie per raggiungere Milano. Il viaggiò fu però rallentato da alcune tappe
necessarie per consolidare future alleanze e la notizia del decesso del
Visconti, avvenuto tra il 13 e il 14 agosto 1447 raggiunse la coppia a
Cotignola, nell’antica residenza di famiglia; Bianca Maria accolse con rabbia e
sgomento le notizie dei saccheggi e della distruzione delle proprietà viscontee
a Milano.
Bianca e Francesco, accompagnati da 4.000 cavalieri e 2.000
fanti, erano in marcia verso Cremona quando la neonata Aurea Repubblica
Ambrosiana, minacciata da Venezia, offrì allo Sforza il titolo di capitano
generale. Furiosa con Milano, Bianca avrebbe voluto un rifiuto sdegnato ma il
lungimirante marito accettò il titolo, dando inizio a un triennio di lotte
senza scrupoli per difendere ciò che rimaneva del ducato e riconquistare le
città che se ne erano staccate.
Nel maggio 1448, mentre lo Sforza stava consolidando la
riconquista di Pavia, che gli aveva offerto il titolo di conte in cambio del
mantenimento di alcuni privilegi municipali, avvenne un episodio molto esaltato
dalla cronache. I veneziani approfittarono dell’assenza dello Sforza per
attaccare Cremona e in particolare per attraversarne il ponte e raggiungere
Pavia. Bianca Maria indossò l’armatura da parata e si precipitò, seguita dal
popolo e dalle truppe, verso il ponte armata di una lancia e partecipando
attivamente alla battaglia che durò fino a sera. Quest’episodio, che rimase
unico nella vita di Bianca Maria, fu in seguito sfruttato per descriverla
ingiustamente come dnna guerriera e spericolata.
Scongiurato il pericolo veneziano, si trasferì a Pavia e si
insediò nel castello visconteo circondata da un vasto gruppo di famigliari suoi
e del marito e di parenti della madre. Da Pavia, in attesa del terzo figlio, si
occupò della famiglia ma allacciò anche una folta rete di relazioni con i vari
membri dei rami della famiglia Visconti e con i feudatari locali procurando al
marito nuovi appoggi e trattando per ottenere prestiti e fendi. Le difficoltà
finanziarie che già avevano perseguitato la coppia in passato continueranno
infatti anche nel periodo del ducato.
Il 24 febbraio 1450 a Milano scoppiarono dei tumulti. Venne
ucciso l’ambasciatore di Venezia, città ritenuta responsabile della carestia
che affliggeva la città, e un’adunanza di notabili, nobili e cittadini, su
consiglio di Gaspare da Vimercate, chiamò lo Sforza a reggere la città. Milano,
come puntualizzarono molti storici dell’epoca, si consegnò “per fame e non per amore”.
Nei prini anni di reggenza di Francesco Sforza ebbero luogo
la venuta in Italia dell’imperatore Federico III e una nuova campagna di
Venezia contro Milano.
Rimasta a Milano in assenza del marito impegnato in
operazioni militari, Bianca si dedicò all’attività amministrativa e
diplomatica, seguì i numerosi intrighi e tradimenti di vari personaggi che
gravitavano intorno alla corte ducale e si occupò della vita quotidiana come
testimonia un ampio carteggio (custodito in parte presso l’Archivio di Stato di
Milano) fra lei e il marito, ricco di notizie sull’educazione dei figli,
sull’amministrazione dello stato, sulle costanti difficoltà finanziarie e sui
dettagli della vita quotidiana.
Il Sabadino narra “ch’ella
de note, privatissimamente, scalza, andava a fare reverentia al tempio de Santa
Maria de l’Hospitale novo, et a quello de Santa Maria de San Celso fuori di
Milano, scalza del mese di novembre”.
Teneva assai all’abbigliamento e “vestiva cum tal pompa e magnificenza che a quelli tempi non avea pari”.
Alla nascita del quarto figlio Bianca scrive al marito
pregandolo “da pensare de metergli uno
bello nome adciò supplisca in parte alla figura del puto che mi è piuttosto
sozo (brutto) di tuti gli altri” (descrivendo colui che diventerà noto come
Ludovico il Moro).
Dai carteggi fra i due emerge costantemente da un lato il
rispetto dello Sforza per “Madonna Bianca”
e dall’altro il carattere determinato di Bianca che, pur seguendo le
indicazioni del consorte, non ha remore a esprimere le sue opinioni quando
dissentono da quelle del marito: “io in
tute le cose son disposta a fare tuto quelo che ve sia in piacimento (…) ma
questa cosa ad farla me pare tanto grave (…) et per più et più ragioni non me
par bene che (…)sia facta per mi”.
Nei carteggi non mancano toni aspri e sfuriate in seguito
alle avventure extra-coniugali dello Sforza, “Madonna Biancha mi ha dicto quelle cose che le donne dicono ali mariti”,
spiegava rassegnato.
Altro ampio carteggio è quello tra Agnese Del Maino e
Francesco Sforza, ricco di dettagli scherzosi e nel quale la nonna tesse le
doti dei nipoti e in particolare di quello che appare il suo preferito.
Galeazzo maria, entusiasmo che il padre non condivide in pieno avendo già modo
di rendersi conto del carattere prepotente dell’erede.
Nel 1452 fu Bianca ad occuparsi di ricevere e ospitare a
Pavia Renato d’Angiò, diretto a Cremona per unirsi allo Sforza con il suo
esercito. Il breve soggiorno è caratterizzato dalle intemperanze della truppa
francese a Pavia e da una visita a sorpresa di Renato a Milano, dove Bianca lo
riceve nuovamente (lamentandosene però col marito perché colta alla
“sprovveduta”) e gli mostra il cantiere del Castello Sforzesco, opera
fortemente voluta dallo Sforza.
Negli anni da duchessa, soprattutto in quelli pacifici
seguiti alla pace di Lodi, non furono solo l’attività diplomatica e quella quotidiana a impegnare Bianca Maria.
Ella si dedicò infatti al restauro ed abbellimento delle residenze ducali,
all’organizzazione di ricevimenti e banchetti ma anche alla costruzione di
opere di pubblica utilità e di aiutare le fasce di popolazione pià povere, in
particolare le donne. Vi sono numerose testimonianze di donne maltrattate che
si rivolsero a lei per trovare rimedio. Bianca Maria e Francesco Sforza, su
incoraggiamento di monsignor Gabriele Sforza e frate Michele Carcano, fecero
inoltre erigere un grande ospedale per i poveri, l’Ospedale Maggiore.
La devozione di Bianca Maria si manifestò anche nel 1459
quando Pio II convocò il Concilio di Mantova nella speranza di organizzare una
crociata contro i turchi. Bianca offrì un contingente di 300 fanti e Francesco,
giunto a Mantova in un momento successivo, si offrì di condurre la crociata. La
crociata non si fece ma la coppia tonò a Milano con le bolle di indulgenza in
favore del Duomo di Milanoi e dell’Ospedale Maggiore. Di questo evento, così
come della coppia ducale, il Piccolomini fece una dettagliata descrizione nei
suoi Commetarii.
Nel 1462 Francesco Sforza, da tempo sofferente di gota e
idropisia, attraversò breve periodo di grave malattia: In questa circostanza fu
solo l’intensa attività epistolare di Bianca Maria che impedì ,o sfascio dello
stato; la notizia dell’indisposizione dello Sforza aveva infatti alimentato una
serie di ribellioni, in parte fomentate da Venezia che era pronta ad
intervenire per opporsi alla coalizione fra Milano, Firenze e Napoli voluta
dallo Sforza: Vi fu addirittura un riavvicinamento con Jacopo Piccinino, figlio
di Niccolò, che espresse una forte stima per Bianca Maria, tanto che venne
organizzato il matrimonio con Drusiana, figlia naturale di Francesco.
D’altra parte non cessarono le preoccupazioni per il figlio
Galeazzo; oltre alle caratteristiche caratteriali inquietanti mostrate dal
giovane, vi fu anche la rottura del fidanzamento con Dorotea Gonzaga, un
contratto che era stato stipulato in un momento in cui l’appoggio dei Gonzaga
era vitale per il ducato; lo stesso matrimonio venne però in seguito
considerato troppo poco prestigioso dallo Sforza: La rottura del parentado fu
uno dei contrasti che turbarono l’armonia della coppia ducale: l’orgogliosa
Bianca Maria non avrebbe voluto infrangere la parola data mentre per Francesco
prevalse la ragion di stato. Tra l’altro Bianca Maria era legata a Barbara
Gonzaga, marchesa di Mantova e madre di Dorotea, da un intenso e duraturo
rapporto di amicizia.
Forse conscio della fine imminente, Francesco coinvolse
sempre di più Bianca Maria nel governo del ducato tanto che i castellani
prestarono anche a lei giuramento di fedeltà, ufficializzandone la co-reggenza.
All’alba del 1465, in un periodo di pace e mentre la fama di
abile diplomatico e politico accorto del marito era all’apice, tre dei suoi
figli lasciarono Milano: Galeazzo partì per la Francia a capo di una spedizione
militare in aiuto del re Luigi XI, mentre Ippolita e Sforza Maria si recarono a
Napoli per sposare rispettivamente Alfonso ed Eleonora d’Aragona. Nello stesso
periodo anche la loro sorellastra Drusiana si recò nella città partenopea per
raggiungere il marito Jacopo Piccinino.
Oltre alle preoccupazioni per le condizioni di salute di
Francesco e per i crescenti contrasti tra questi e il figlio primogenito,
Bianca Maria venne colpita da un’altra grave perdita: il 13 dicembre 1465 morì
infatti la madre Agnese.
La morte di Francesco seguì invece pochi mesi dopo, l’8
marzo 1466.
Dopo essersi abbandonata per alcuni giorni al dolore, la
vedova prese rapidamente in mano le redini del ducato, fece richiamare il
figlio primogenito e organizzò i preparativi per la successione.
L’atteggiamento iniziale di Galeazzo fu di riconoscenza e
deferenza nei confronti della madre, che mise tutto il suo impegno nel guidarlo
verso il proseguimento delle idee politiche paterne. Ma non appena si sentì più
sicuro nel ruolo, il nuovo duca incominciò a fare di testa propria con
l’avidità, la prepotenza e l’incostanza che da sempre lo caratterizzavano. Ben
presto lo scontro con la madre divenne aspro, tanto che gran parte della corte,
per ovvi motivi di opportunità, prese le parti di Galeazzo.
Nel 1467, con la morte di Dorotea Gonzaga, si spianò la
strada per il matrimonio tra Galeazzo Sforza e Bona di Savoia. Il nuovo duca
manovrò sempre più per relegare la madre in un ruolo secondario: minacciò gli
ultimi cortigiani che le erano rimasti fedeli, ne violò la corrispondenza e
infine le ordinò di lasciare la città, tanto che in seguito Antonio da Trezzo,
ambasciatore degli Sforza a Napoli, rivelò che Bianca Maria aveva pensato di
“presentarsi in piazza a chiedere l’aiuto del popolo”. L’oggetto della contesa
divenne in particolare la città di Cremona, da sempre cara a Bianca in quanto
sua città dotale, tanto che decise infine
di trasferirvisi per mantenerne l’indipendenza. Vi sono testimonianze
dell’epoca che affermano che Bianca Maria aveva in mente di lasciare il dominio
della città a Venezia, e nello stesso periodo sono attestati frequenti contatti
tra Bianca Maria e Ferdinando, re di Napoli, favorevole ad un rovesciamento di
Galeazzo.
Nonostante il parere contrario di tutti coloro che le erano
vicini, Bianca Maria decise si assistere al matrimonio del suo primogenito, che
si tenne il 9 maggio 1468; al termine dei festeggiamenti accompagnò la figlia
Ippolita fino a Serravalle per poi fare ritorno a Cremona. E’ incerto il motivo
della sua tappa a Melegnano, dove giunse il 18 agosto, ma qui dopo pochi giorni
venne colpita da un forte malessere con febbre alta che la obbligò a
trascorrervi tutto il mese di agosto e quello di settembre. In questo periodo
vi fu ancora un intenso traffico di corrispondenza, ma all’inizio di ottobre le
sue condizioni subirono un brusco peggioramento.
Al suo letto di morte accorse, il 19 ottobre, Galeazzo al
quale disse queste parole che sono degne di una grande madre: “Io ti recomando li miei Milanesi e tutti li
altri nostri subditi”.
Fu sepolta nel Duomo di Milano a fianco del marito dopo una
solenne cerimonia. L’orazione funebre, commissionata da Galeazzo, fu scritta
dal poeta e umanista Francesco Filelfo.
Galeazzo Maria fu apertamente accusato, tra gli altri anche
dal Colleoni, di aver avvelenato la madre.
Bernardino Corio affermò che Bianca Maria “più de veneno che di naturale egretudine
fusse morta”. Nelle settimane di infermità a Melegnano vi fu in effetti un
intenso via vai di emissari del figlio; e tra questi figurano anche personaggi
ambigui che in seguito furono implicati in altri casi di avvelenamento.
L’ipotesi del matricidio da parte di Galeazzo, pur non essendo provata, è
dunque plausibile.
Dal matrimonio con Francesco Sforza nacquero otto figli:
Galeazzo Maria, Ippolita Maria (che sposò Alfonso d’Aragona), Filippo Maria,
Sforza Maria, Ludovico Maria detto 2il Moro”, Ascanio Maria (che fu vescovo di
Pavia), Elisabetta Maria e Ottaviano Maria.
Secondo alcune fonti, altri due figli morirono dopo la
nascita.
(Estratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera, di P.
Misciatelli, Personaggi del Quattrocento italiano, Gaetano Garzoni provenzali
Editore, Roma 1914).
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