Tutte le società che si conoscono hanno dei metodi per
classificare i propri membri, assegnando ad essi un grado diverso di valore
nella scala sociale.
Senza voler fare complicate considerazioni sociologiche,
possibili solo a livello generale e non in un ambito locale, è importante
sottolineare i caratteri di questo fenomeno nella nostra città nella sua
evoluzione storica, non già per fare un saggio approfondito e noioso ma per
avere uno spunto che permetta di parlare della cultura della nostra comunità,
per cercare di capire le origini e le caratteristiche.
La considerazione che occorre fare come premessa
fondamentale è che mentre la società odierna ha oltremodo appiattito le
differenze d classe, nella società di qualche secolo fa, e quindi anche nel
“borgo” Varese, esse erano ben più evidenti, sia nelle forme esteriori, sia nei
criteri assunti per tale classificazione (come vedremo più avanti).
Anche se i cronisti dei secoli scorsi non si dicono molto in
proposito, i loro scritti danno un’idea abbastanza precisa della situazione.
Uno di essi, l’Adamollo, parla di tre categorie ben
distinte: gentiluomini, bottegai e “povera gente” bisognosa di lavoro.
Per capire la consistenza di queste categorie sociali,
occorre rifarsi ai “convocati” o assemblee pubbliche del borgo, come si
apprende da alcuni dati pubblicati dalla “Rivista della Società storica
Varesina”.
In un convocato indetto nel
1570 si segnala, su 259 presenti, una cinquantina di nobili,91 signori,
21 magistri (della cui importanza si parlerà più avanti) e 93 persone senza
indicazione specifica.
I nobili, benché non insigniti di superiore titolo araldico,
si distinguevano nel nome, preceduto dal “nob” o dal “don”, particolare forse
banale ma che sta ad indicare come anche nelle forme esteriori, le distinzioni
fossero precisamente sancite; inoltre, si evidenziavano già alcuni nomi che
appartenevano al ceppo nobile: Bianchi, Bossi, Buzzi, Castiglioni, Orrigoni, Piantanida,
ecc.
Questi nobili cercavano di accaparrarsi soprattutto i centri
più importanti nella vita del borgo.
A Velate, ad esempio, nell’archivio della parrocchia si
conserva un “quinternetto d’oro della nobiltà” locale, un quaderno in pratica,
con nomi e diritti (esenzione da particolari imposte); talvolta il titolo di
nobile spettava poiché legato ad una carica particolare ricoperta; per fare un
altro esempio, i canonici della basilica di San Vittore di Varese, di diritto
erano nobili del Seprio.
Alcuni ceppi nobili varesini si estinse gradatamente o si portarono
altrove, pochi altri sopraggiunsero.
Nel 1600 giungono a Varese a prender dimora stabile, o
quasi, i De Cristoforis ed un Litta (da Milano), gli Alemagna, i Recalcati,
seguiti nel 1700 da altri diversi nobili milanesi che facevano però di Varese solamente
la loro sede di villeggiatura.
Nel ‘700 tuttavia, inizia un processo di lenta
trasformazione all’interno della nobiltà: un convocato del1702 si limita ai
titoli di “Signor” o “Messer”. In quello del 1766 dei 638 convocati, solo 11
risultano nobili, 64 hanno il titolo di Signore, gli altri nomi non sono
preceduti da alcuna indicazione.
La trasformazione della nobiltà del Settecento, di cui ho
parlato pocanzi, andava nel senso di un continuo decadimento; essa era formata
ormai da persone che provenivano dalla classe borghese, elevatasi socialmente
per incarichi o censo; la vecchia nobiltà di origine feudale era in una fase
chiaramente decrescente. Questo, a mio parre, è un particolare di rilievo,
poiché la matrice dello sviluppo economico della nostra zona rispetto ad altre
aree italiane si può ipotizzare risalga proprio a questa struttura sociale che
si andava trasformando in un certo modo, lasciando sempre meno spazio alla
statica nobiltà feudale che, nella sua gestione del potere economico, ha condotto
tante zone italiane, per esempio nell’Italia meridionale, all’immobilità
produttiva e quindi all’arretratezza economica.
Un benessere accentuato, ma sparso e livellata, sarebbe
dunque una caratteristica di Varese che trae origine da fenomeni di alcuni
secoli fa.
Per capire un altro carattere interessante della situazione
sociale del borgo, occorre fare una considerazione di ordine generale: tutte le
società umane presentano fenomeni di stratificazione, ma i caratteri che si
assumono per determinarla variano molto
a seconda della società: possono essere l’età, il gradi di cultura, il
reddito, tanto per dare alcuni esempi.
Nella società di allora, nel borgo Varee, era
particolarmente importante la capacità di esercitare un mestiere, la
professione, si direbbe oggi.
Così, più volte nei convocati, si citano i magistri, che
possiamo considerare la classe media di allora e che sono specificati nelle
loro professioni più disparate: maniscalchi e calzolai, parrucchieri e
falegnami, capomastri e pittori.
Inoltre, la “classe media” era piuttosto articolata ed
interessante: oltre ai magistri vi erano un certo numero di artigiani che
lavoravano il legno, il ferro, il rame, la ceramica, ecc.
Vi era poi un numero indefinibile di “pizzicaroli” o
lavoratori della seta a domicilio, un piccolo gruppo di artisti fra cui si
distinguevano alcuni bravi pittori, i varesini, da gente parsimoniosa,
ricorsero soprattutto alla pittura, meno costosa dell’architettura, per rendere
più ricche le loro case e chiese non vi sono infatti a Varese palazzi notevoli
dal punto di vista architettonico, salvo alcune eccezioni.
Si può riprendere a tal proposito, il discorso fatto in
precedenza: non ci fu a Varese il nobile feudatario straricco o il grande
latifondista che in quell’epoca volle manifestare la propria ricchezza e
potenza con una dimora sontuosa.
A proposito della povera gente le cronache ci offrono scarne
notizie: erano lavoratori generici o stagionali e, sulla loro entità, non si
possono che avanzare ipotesi: nel Seicento dovevano essere circa due-tremila approssimativamente
un terzo dell’intera popolazione varesina.
La società industriale e quella post-industriale ( in cui
secondo alcuni ci troviamo), hanno modificato a tal punto queste situazioni che
le notizie riportate sopra ci appaiono molto lontane dalla realtà attuale.
Nonostante i sociologi affermino che nella piccola città le
esperienze di stratificazione siano più chiaramente percepite rispetto ad una
metropoli, e benché sussistano ancora evidenti differenze di reddito e nello
stile di vita, si può senza dubbio concludere che la struttura sociale oggi sia
completamente diversa con conseguenze sulla mentalità, sulle tradizioni della
comunità collegandomi con questa affermazione a quanto premesso all’inizio.
Un’altra considerazione che mi sembra emerga chiaramente da
quanto detto è che un tempo era più facile identificare i caratteri della
propria cultura locale, riflessi, ad esempio, ed in maniera molto chiara, nella
struttura sociale che ho descritto. E’ più difficile oggi, invece, nella
civiltà delle macchine e delle telecomunicazioni, della televisione e della
burocrazia, in cui le abitudini ed i gusti vengono livellati e stereotipati,
ritrovare il senso di una propria cultura e delle proprie tradizioni.
Alberto
Aliverti
(Estratto da La Prealpina di Sabato 16 aprile 1983 pag. 23)
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