Novara 30 novembre 1581[1]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Viene da V.S. illustrissima il dottor Draghetti a
presentarle in breve della
commissione ottenuta contro i Frati Zoccolanti del Sacro
Monte di Varallo
e perché il suddetto dottore afferma che quei frati hanno
usato
molte brutte insolenze (si ben per quelli che sono contro
di me non intendo, che se ne parli) forse questa potrebbe
essere buona occasione di levar i Zoccolanti da quel monte,
e porvi religiosi di migliori esempi, e maggiore frutto;
ma in ogni caso, oltre i suoi ordini, che ella darà per il
governo di quel luogo, sarà anche per mio giudizio spediente
levar il guardiano, che si è di presente con alcuni
altri frati, per la pace, e quiete di quella valle, poiché
oltre a quelli, che mi dicono gli altri, io stesso ho
conosciuto
quel guardiano poco umile, e poco idoneo a quel guardianato,
pure V.S. illustrissima potrà meglio conoscere il tutto,
e determinare quanto sarà più spediente, che io a lei
rimettendomi, le bacio umilmente la mano, e me le raccomando
in grazia.
Di Novara 30 novembre 1581
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 5 dicembre 1581[2]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Resto con infinito obbligo a V.S. illustrissima dell’ufficio
che ha fatto col signor
Governatore[3] per
il signor Egidio mio nipote, e poiché ha … a favorirlo,
la supplico resti servita condurre il negozio a suo fine,
o col parlargli a bocca, come ella si trovi a Milano, o col
scrivergliene di nuovo, o come meglio le parrà, perché
io tengo per certo, non si avrà a pentir di quell’ufficio,
e il signor Egidio le farà onore, avendomene fatto da
molto tempo in qua (oltre quello che io ne so per altro)
buon testimonio il signor presidente e molti senatori, e
a V.S. illustrissima, tutti i miei mi scrivono di continuo
quella grata memoria che si deve.
Ringrazio parimenti V.S. illustrissima dell’ufficio che
promette di fare
perché io sia liberato della visita apostolica sopra di che
non
voglio lasciar di dirlo, che sebbene il peso mi par
gravissimo
specialmente per le mie forze, e desidero che mi sia
imposto, tuttavia mi vien scrupolo ogni volta, che penso
a far opera per fuggir questa fatica, che siccome non mi
par bene di procurare cosa alcuna per mio servizio, e ….
particolare, così anche temo di far errore, e voler
rifiutare questi
carichi, che mi vengono imposti spontaneamente dalla mano
dei
superiori, e perciò supplico V.S. illustrissima che …. santa
mente
si degni farmi quella considerazione, che le parrà
conveniente, e poi procuri che ne segua quanto giudicherà
che sia meglio per servizio di Dio, e salute dell’anima,
che se io mi troverò bene della salute, come voglio pur
sperare
di dover essere almeno a questa primavera, non
mancherò di far l’ubbidienza in tutto quello, che mi sarà
comandato dai superiori, e specialmente da V.S. illustrissima
il cui parere
antepongo sempre a quello di ciascun altro, e al senso mio
proprio.
Lo stato della mia salute si va tuttavia confermando meglio
per
Dio grazia, e spero in breve d’essere libero dalla
debolezza,
e domenica passata cominciai a uscire di casa, e dir
messa in chiesa (che alcuno altre volte l’ha detta nella
cappella
di casa) e comunicai anche molte persone.
Ancor io non mi conosco atto a far orazioni latine, …
questa mia indisposizione …
V.S. illustrissima che mi debba prepararmi a …
Per il concilio prossimo provinciale se mi troverò bene
della
salute, non mancherò di ubbidirla come mi si conviene
e come farò sempre in tutte le cose, mi increscerà
solo, che le funzioni non corrispondano all’animo e alla
volontà.
Mando a V.S. illustrissima copia del breve che mi comanda, e
mi
perdoni se ho tardato sinora a farlo, che il male è stato
cagione di molti miei mancamenti; e per fine le bacio
umilmente la mano, raccomandandola in grazia, e pregandola
dal Signore
Dio l’abbondanza dei suoi doni.
Di Novara 5 dicembre 1581
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Il 5 dicembre 1581
Francesco Bossi ringrazia il cardinale Carlo Borromeo per aver raccomandato il
nipote Egidio presso il governatore di Milano.
Lo ringrazia anche di
averlo esonerato dal compiere la visita apostolica di un non precisato paese
per le sue precarie condizioni di salute, ma che compirà non appena si sarà
ristabilito.
Esprime anche il
desiderio di partecipare al concilio provinciale, salute permettendolo.
Novara 7 dicembre 1581[4]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Il mio vicario scrive lungamente a mons. Galeri sopra il
portamento
di questo inquisitore qua di Novara, il quale alle
congregazioni chiama chi gli pare, senza conferirlo meco,
e pretende che io vada al suo monastero alle congregazioni
sebbene per il passato vennero sempre qua
da me, come credo che sia tenuto di ragione, e le pene
le vuole applicare a suo modo, e cerca tuttavia di
ampliare la sua giurisdizione procedendo anche contro
i miei preti troppo animatamente; perché l’altro giorno
ne fece citar uno mentre era qua nel mio palazzo alla
banca, sotto pretesto che avesse una bibbia volgare
prestata da uno dei suoi frati di S. Domenico, e
contro un altro esaminò testimoni sopra il Signore Dio di
sodomia la onde
parendomi questo suo procedere
molto impertinente, supplico V.S. illustrissima resti
servita con
l’autorità sua farlo mortificare un poco, acciò impari a
procedere meco con più rispetto e se anche fosse levato
da questo ufficio credo sarebbe molto a proposito per
diversi rispetti quali penso siano in buona parte noti a
V.S. illustrissima e io ricevererei soddisfazione,
persuadendomi
che le cose passeranno meglio oltre che malamente
possiamo più trattare insieme, e V.S. illustrissima mi
perdoni
se le do troppo fastidio, con che umilissimamente le bacio
la mano e me la raccomando in grazia, predandola dal Signore
Iddio felice e lunga vita.
Di Novara 7 dicembre 1581
Supplico V.S. illustrissima resti servita, se è possibile di
fare offerta a bocca ….
per il signor Egidio mio nipote, acciò abbia comodo altra
città dello Stato e
non si perda restando privo d’ufficio. E non si …. V.S.
illustrissima se le
par troppo inopportuno in queste cose e che io sappia troppo
di carne,
questi sono de frutti ….. per essermi approssimato alla
patria
oltre …. Veramente tengo … farà opera buona se il signor
Egidio sarà impiegato
in ufficio e che se ne avrà onore e contento da tutti quelli
che l’aiutano,
pure mi rimetto sempre a quanto parrà meglio a V.S.
illustrissima.
Novara 1 gennaio 1582
(Non pubblicata).
Novara 5 gennaio 1582[5]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Ritorna costì il dottor Draghetti per il negozio della
fabbrica del Monte di Varallo
coi frati, e sebbene non credo ne faccia bisogno di
raccomandare a V.S. Illustrissima
questo negozio, avendo ella altre volte mostrato averlo a
cuore, per sua bontà,
e per la pace di quel paese, tuttavia glielo raccomando
umilmente e caldamente.
Mi fanno anche sapere gli uomini di Varallo, che
desidererebbero avere prete Francesco
da Morca loro compatriota e curato di Fagnano diocesi di
Milano del quale
altre volte gliene ho parlato, sperando essi ricever molto
servizio dall’opera,
e virtù d’esso, che lo conoscono, e quali intendono che sta
malvolentieri a
Fagnano, dove è stato ferito, e avrebbe caro rimpatriarsi;
onde io che ho molta
carestia di buoni preti in quella valle, riceverei a molto
favore da V.S. illustrissima
quando fossi con sua buona grazia, si degnasse concedere a
detto prete per servizio
di quel luogo, dove io me ne vorrei valere, quando ella
giudicasse facessi
a tal proposito, per beneficio non solo delle anime di
Varallo, ma del seminario
ancora, e di tutta la valle, rimettendomi però sempre a
quanto piacerà
al prudentissimo parere di V.S. illustrissima alla quale per
fine bacio umilmente la mano,
e mi le raccomando in grazia.
Di Novara allì 5 gennaio 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 9 gennaio 1582[6]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Mando da V.S. illustrissima il mio vicario per informarla di
un decreto, che io feci tra
certi della mia riviera, dei quali una parte si è appellata
alla sede
metropolitana e se ben io intendo, che non è solito
d’appellarsi da simili cause
mere laicali al metropolita, specialmente quanto le sentenze
sono date dal vescovo
stesso signore assoluto in quella riviera, e il Bozzo già
cancelliere di questo foro
mi afferma, che altre volte fu anche così risoluto dagli
ufficiali di V.S. illustrissima,
non di meno lasciando per ora a parte questo articolo, ella
intenderà
che in questa causa si è fatta la mera giustizia, e che quei
leonardi, che
si sono appellati sono stati da me ben trattati, e non hanno
punto ragione
di dolersi, e che la causa non è appellabile. E quando bene
fosse lecito
d’appellarsi dalle cause di riviera al metropolita, e che di
ciò si fosse in
quieto e pacifico possesso, non per ciò si potrebbe
appellate dal mio decreto
in questa causa, come meglio potrà intendere V.S.
illustrissima dal suddetto mio vicario
e perciò le raccomando quanto posso la libertà di questa mia
giurisdizione,
e l’onor mio insieme, tanto più che intendo che costoro
vanno sparlando
di me, e dei miei ufficiali fuori d’ogni ragione, essendo
stati benissimo
e cortesemente trattati da me. Bacio umilmente la mano a
V.S. illustrissima
e me le raccomando in grazia.
Di Novara allì 9 gennaio 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 12 gennaio 1582[7]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Perché credo che V.S. illustrissima troverà che la causa
della
quale quei leonardi si sono appellati; non è di ragione
appellabile, né si deve a me rivedere almen da
altri, che da me, o dai miei ufficiali, vengo con la
presente a supplicare V.S. illlustrissima resti servita di
far
repulsa alla parte, e a quel suo procuratore, quale intendo
che dice mille bugie, e che sparla di me, ovvero dei miei
ufficiali, contro ogni decoro. Quanto poi all’articolo, non
licet appelare al metropolita a sententia etiam
lata per episcopum inter riparientes in causis mere
caicalibus; mi duole di non essere in termini di poter
venire
al presente così, per risolvere quel giudizio e parer di
lei,
quanto sia di giustizia, e che possa essere più spediente
per difendersi dagli ufficiali regi, e conservar
insieme la libertà di questa chiesa, e la reputazione del
vescovo con i suoi sacerdoti, e perciò parendole, potrà
differire questo negozio ad un’altra volta, che più
maturamente
si possa determinare; perche io non vorrò mai ne in
questo né in altro, se non quando V.S. illustrissima
giudicherà
più spediente, che io debba volere. Intanto la supplico
a favorirmi per la giustizia e le bacio umilmente la
mano e me le raccomando in grazia, e prego dal Signore Dio
lunga e felice
vita.
Di Novara 12 gennaio 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 17 gennaio 1582[8]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Quando ritornò il messo che il signor Marco Antonio e io
mandammo in Baviera, ci
portò la lettera del signor duca[9],
nelle quali affermava che si sarebbe avuti tre mila
ducati in Napoli a questo dicembre prossimo passato, di che
anche credo, che Sua Eccellenza
ne scriveva a V.S. illustrissima. Ora ella ha da sapere che
i denari non si sono avuti,
dicendo quei mercanti di Napoli di aver ordine di rimettere
tutto il
denaro in Venezia; per il che torno di nuovo a supplicare
V.S. illustrissima resti
servita di replicare a Sua Altezza che si contenti di far
pagare quel denaro
in Napoli o a Venezia conforme all’ordine e promessa già
fatta, che io
tengo certo lo farà subito eseguire.
Desidererei anche di accomodare con questo duca, che è tanto
pio e cattolico, il signor
Polidoro Calchi figliolo di una mia sorella[10],
giovane molto ben creato, modesto
e a bene, ed è quello, per cui V.S. illustrissima promise
più mesi sono di scrivere
al signor Marco Antonio Colonna per accomodarlo seco, ma
questo giovane desidererebbe
più presto di andare in Alemagna, per vedere quel paese, e
imparar la lingua tedesca, e per degni altri rispetti. E di
già il
dottor Dumi favoritissimo dal signor duca, per mezzo del
quale ho cercato
di scoprire se la cosa fosse facilmente per riuscire,
servire, che Sua Altezza
lo piglierà ogni volta, che ne sia pregata da V.S. illustrissima
onde la supplico
a far quest’ufficio, che il giovane, quale è senza vizi, per
quello, che io
ne posso sapere, le farà onore, e il signor duca, se non
m’inganno, si
trovava di lui ben servito, e io aggiungerò quest’obbligo
agli altri
che tengo infiniti alla bontà di V.S. illustrissima alla
quale bacio umilmente
la mano, e me le raccomando in grazia.
Di Novara 17 gennaio 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Il vescovo Francesco
Bossi e suo fratello Marco Antonio avevano mandato un messo al duca di Baviera
per sollecitare il pagamento della dote. Ebbero conferma che sarebbero stati
messi a disposizione 3.000 in Napoli, poi dirottati a Venezia e non ancora
incassati. Supplicano nuovamente il cardinale Carlo Borromeo di sollecitare
quel duca a mantenere le sue promesse.
Nel contempo
supplicano raccomandazioni per il nipote Polidoro Calchi, figlio della loro
sorella Beatrice, che vorrebbe recarsi in Germania per conoscere quei luoghi e
imparare la lingua e potrebbe mettersi al servizio del duca di Baviera.
Novara 18 gennaio 1582[11]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Ringrazio senza fine V.S. illustrissima dell’avviso che mi
ha dato per la visita
di Genova, per la quale ho di già avuto il breve, e mi duole
grandemente
di non avere le forse corrispondenti all’animo, per potermi
mettere
di subito in viaggio; ma sebbene ho recuperato un poco
l’appetito, e le
forse delle gambe, non sono però anche uscito di casa, se
non quando sono
andato non so che volte alla chiesa cattedrale che i medici
me l’hanno
proibito per questi tempi umidi e freddi, onde pensavo di
differire questa andata almeno sin dopo Pasqua, ma se V.S.
illustrissima
giudicherà che io non abbia d’aspettare tanto, mi sforzerà,
non supervenendomi
altro impedimento d’infermità, di far l’obbedienza quanto
prima, tanto più
che il signor cardinale Maffei me ne fa anche molta istanza
con sua lettera,
e spererò con l’aiuto delle orazioni di V.S. illustrissima e
dei ricordi, che si
degnerà di darmi, poter sopportare questo peso, che
veramente parmi
sopra le forze mie, attesa massimamente l’indisposizione del
corpo, in che
mi trovo; starò dunque aspettando quello che V.S.
illustrissima vorrà comandarmi
sopra di ciò, con che le bacio umilmente la mano, e me le
raccomando in grazia.
Di Novara 18 gennaio 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 21 gennaio 1582
Foglio pagina 0001
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Sebbene non pensavo di andare a Genova, se non almeno dopo
Pasqua, come ho scritto
con un’altra mia a V.S. illustrissima non di meno che a lei
pare, che io affretti l’andata
procurerò di incamminarmi a quella volta quanto prima sarà
possibile; ma non
credo già, che fosse proposito l’incominciar visite in tempo
di Carnevale in
quella città deliziosa, per non dire licenziosa assai, per
fuggir ogni pericolo di far
contrario effetto a quello che si desidera, e frattanto
s’accomoderanno un poco i
tempi, e io darò ordine a molte cose per servizio di questa
mia Chiesa, ch’è pur
importante, e piglierò anche alcune risoluzioni da Roma per
la suddetta visita,
e verrò un tratto da V.S. illustrissima perché in modo
alcuno non partirei, senza farle
prima riverenza, e conferir seco quelle cose, dive mi
bisogna l’aiuto e consiglio
di lei, e intender anche tutto quello ch’ella si degnerò
comandarmi, tanto per
la suddetta visita, come per altro, non desiderando io cosa
maggiormente che di
servirla, e fare in tutte le cose il suo santo volere.
Circa al dar la prima tonsura a mio nipote, io non pensavo
di parlarne più ma
poi che V.S. illustrissima di scrivermi ciò, che le fa scrupolo intorno a questo,
non voglio lasciar di dirle, che per dare la prima tonsura
mi credevo che bastasse
che egli avesse le qualità, che ricerca il Concilio di
Trento, quando ben anche non
vi fosse speranza di passar avanti ad altri ordini, che
questa condizione non
mi pare d’averla trovata nel Concilio per chi piglia la
prima tonsura, ma
sebbene gli altri ordini, oltre che avendo egli la prima
tonsura, e incammina dosi
alle cose ecclesiastiche, e vestendo di lungo, avrebbe
schivato le male pratiche,
figgiti molti inconvenienti, che potriano occorrere alla
giornata,e sarebbe a me
stato più ubbidiente, e io avrei tenuto mano, che avesse
inteso di imparare
e a far qualche profitto nelle lettere, e nello spirito. Che
poi abbia dato sospetto
di stolidità, può essere, ma certo per quel poco, che ho
potuto conoscere (che poco
l’ho praticato) e per quello che mi affermano alcuni, che
conversano seco tutto il giorno,
egli è buono figliolo, e sa onestamente suo conto. Credo
anche che sia una
menzogna, che i suoi fratelli disegnino con questa occasione
fargli rinunciare la
sua parte del patrimonio, e anche quando vi fosse questo
pensiero, che non lo credo,
io glielo proibirei, perché se sono avvertito, ma non si
pensa punto a questo che io sappia.
Quanto per tenerlo presso di me per tre anni, questo è
quello che appunto vorrebbe
il signor Marco Antonio, ma io sono risoluto di non voler
alcun parente presso di me
per diversi buoni e degni rispetti, come so benissimo V.S.
illustrissima che è spediente
ad ogni vescovo di fare, e se questo mio nipote non potrà
essere chierico avrà
pazienza, come l’ho anch’io, che di tutto mi rimetto al
volere di Dio e di V.S. illustrissima
qual se ne sarà inspirata da Dio, o se giudicherà essere di farlo, sono certo
che farà volentieri questa carità, della quale per mio
giudizio (che però può
errare facilmente) non ne risulterebbe se non bene.
Ho ricevuto il libro del reverendo prete Alessandro
Archerota insieme con la lettera
di V.S. illustrissima del 7 e ne le ringrazio senza fine. E
le bacio umilmente
la mano racco mandole in grazia.
Di Novara 21 gennaio 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 22 gennaio 1582[12]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Ringrazio grandemente V.S. illustrissima dell’ufficio che
fece a dì
passati per causa di quell’inquisitore di Novara, ma perché
l’Agente mio di Roma mi scrisse con quell’ordine ch’egli
si aiuta molto, e mi parrebbe di lasciarci troppo delle
onoranze, se non ci facessi quale risentimento contro
di lui, essendosi governato meco si male, come ha fatto,
e non mi mostrando segno alcuno di pentimento, la supplico
quanto posso resti servita di replicare due parole,
acciò sia rimosso di qua quanto prima e mortificato in
qualche maniera, per castigo suo, che certo lo merita
per il mal procedere che ha tenuto meco, e per esempio
d’altri, acciò si governino meglio con i suoi vescovi
e mi resterò con molto obbligo a V.S. illustrissima alla
quale bacio
umilissimamente la mano, e mi le raccomando in grazia.
Di Novara 22 gennaio 1582
Supplico V.S. illustrissima umilissimamente mi faccia sapere
se le par espediente che io
mandi uomo apposta dal signor Doge di Genova per il negozio
della visita, o
basterà che io gli scriva, oppure non occorrerà che faccia
né l’uno né l’altro.
Umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Milano 8 febbraio 1582
Non è visibile.
Novara 22 febbraio 1582[13]
Non visibile.
Novara 24 febbraio 1582[14]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Ho visto quanto mi scrive V.S. illustrissima con la sua del
17 di questo circa al particolare
del mio Vicario, sopra di che non m’occorre a dirla che in
tutte le visite
dove sono stato per il passato, ho sempre menato meco
qualche buon dottore,
per pigliare informazioni, fare processi criminali e per
molti altri bisogni che occorrono,
come ella sa benissimo, e se mai mi pare necessario di
condor meco un buon dottore
lo giudico a questa visita di Genova. E per la qualità della
città, e anche per
l’indisposizione mia, che non posso né studiare, e neppur
leggere, come sarebbe
bisogno, e desiderio mio, e qua in Novara non ce ne ho
alcuno al proposito
per menar meco, onde supplico V.S. illustrissima si contenti
con sua buona grazia
possa condor a Genova questo mio Vicario, perché altrimenti
non saprei come
potervi andare. E qua resterà il Boniperti, e un altro
docente, che attenderanno
all’ufficio in modo che non sarà che se ne possa
ragionevolmente dolere. E Dio
perdoni all’agente di V.S. illustrissima questo ufficio che
ha fatto in aver messo in considerazione
per tal conto la causa che si ha con il Besozzi, perché in
sei mesi che è qua
questi Vicario forestiero non si è fatta cosa alcuna nella
suddetta causa e il
Boniperti ne è informatissimo e vi attenderà e farà tutto
quello, che bastasse
a far alcun altro tanto per servizio della mente di V.S.
illustrissima, come in esecuzione
della giustizia. E mons. Belvisio, che mi ha confessato
d’aver fatto ufficio
con V.S. illustrissima perché restasse il Vicario sotto
pretesto d’averne a ragionare
da due che andavano per la via, e non sa chi si siano, mi ha
fatto meraviglia
parendomi ciò non troppo conveniente alla prudenza sua, ne
anche alla carità,
poiché egli, che è di Vercelli ha esercitato l’ufficio di
Vicario in Vercelli venti
anni, e sa molto bene, che io non ho altro di cui mi possa
valere per la visita
di Genova, oltre la spesa che mi converrebbe fare,
mantenendo Vicario
forestiero qua in Novara, e preziando che venisse meco alla
visita,
il che mi tornerebbe molto incomodo di presente per i debiti
che tengo,
essendo il vivere qua carissimo, le spese straordinarie, e
molte, e continue,
ed essendomi bisognato di fornir la casa di tutto punto, non
avendo trovato
qua cosa alcuna, nonostante la bolla di Pio V, con tutto ciò
non intendo
di far cosa alcuna, che non sia con buona grazia di V.S.
illustrissima e se ella
mi volesse concedere mons. Seneca, o qualche altro simile a
lui per la visita
lo piglierei volentieri, e lascerei il Vicario a Novara, e
seppur V.S. illustrissima
si contenterà, che io meni il Vicario meco, procurerò di
spedirmi presto della
visita di Genova e sua diocesi, che altro non mi è commesso
di presente,
e se pur avessi a fermarmi lungamente fuori di casa, o
rimanderò il Vicario o
prenderò in altro modo al servizio di questa Chiesa, come
parrà meglio a V.S. illustrissima.
Restami ora di supplicarla, come faccio caldamente, si degni
aver raccomandato il signor
Marco Antonio mio fratello per conto dell’eredità di messer
Gabriele nostro cugino, che morì questi
mesi passati, lasciando erede come si dice il Monastero di
S. Maria al Monte, poiché
si vede dalla lettura stessa del testamento, che quella
istituzione non è nata da
buon zelo, ma dall’umor melanconico che egli pativa, e
secondo il detto di
S. Agostino non per ragionevole il privar i suoi per
lasciare erede la Chiesa,
specialmente essendo che il signor Marco Antonio povero
gentiluomo secondo la condizione sua,
e carico di cinque figlioli maschi e due femmine, de quale
che una è maritata,
resta d’avere buona parte della dote, e altra è quasi in
essere da marito, onde
torno di nuovo a raccomandarlo a V.S. illustrissima in
quello, che ella potrà con onor suo, e senza
detrimento della giustizia perché il tutto sarà collocato a
beneficio dei poveri
gentiluomini, com’è detto, ma antichi, e particolari
servitori di V.S. illustrissima come
sono tutti di casa nostra, che non cedendo di questa parte
ad altri, che …, e
sia pur chi si voglia, e a V.S. illustrissima bacio umilmente
la mano e me le raccomando
in grazia.
Di Novara 24 febbraio 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Francesco Bossi sta
per approntare la visita apostolica di Genova e comunica al cardinale Carlo
Borromeo che porterà con sé il suo vicario che è un bravo avvocato per
risolvere le questioni giuridiche.
Si lamenta delle
numerose spese che ha dovuto sostenere per ammobiliare il vescovato di Novara,
ritrovato spoglio.
Infine esterna al porporato
il suo disappunto per aver appreso che dal testamento di suo cugino Gabriele
Bossi risultava erede universale il Monastero di S. Maria del Monte sopra
Varese, quando suo fratello Marco Antonio aveva tanto bisogno di mezzi
finanziari per portare avanti i suoi cinque figli maschi e le due femmine,
delle quali una era in età da marito e si doveva provvedere alla sua dote.
Richiama il monito di
S. Agostino che afferma non essere ragionevole privare i propri familiari per
donare alla Chiesa, e invoca dal cardinale un suo intervento risolutore.
Orta (Novara) 14 marzo 1582[15]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo
Co altre mie ho scritto più giorni sono a V.S. illustrissima
quanto mi occorreva
Intorno al menar il mio vicario alla visita di Genova; e
giustamente
la pregavo a favorirmi di farmi avere quel prete che è
uscito dalla
Compagnia del Gesù, e si trova ora a servitù di V.S.
illustrissima e tanto
maggiormente mi cresce ora il desiderio d’averlo, quanto che
il
generale dei gesuiti mi scrisse di non potermi concedere
alcuno
dei suoi padri per quella visita per differenze occorse tra
il suo
collegio in quella città e molti genovesi; e sebbene io gli
ho
replicato, temo perciò che non si renda tuttavia difficile a
compiacermi, onde supplico umilmente V.S. illustrissima a
concedermi
il suddetto prete per questo ufficio della visita, e per
…. in Novara, che ne spero molto servizio di Dio
e io le ne terrò obbligo grandissimo.
Io non mi sono messo in cammino per Genova, trattenuto da
questi venti al tutto contrari ai miei occhi, e alla mia
indisposizione, oltre che io ho tenuto ordinatamente nelle
quattro
tempora passate, da che credo sarà riuscito servizio a molte
chiese di questa mia diocesi, e salute ….
io mi metterò in cammino e penso con l’aiuto del Signore Dio
esser in Genova la settimana prossima che segue. Intanto
starò aspettando lettere di V.S. illustrissima e quanto la
si degnerà
di comandarmi, alla quale per fine bacio umilmente la
mano e me la raccomando in grazia.
Di isola d’Orta 14 marzo 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 16 marzo 1582[16]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Domenica e lunedì, piacendo a Dio, partirò per Genova,
che prima non ho potuto, parto per l’ordinazione che
mi è stato necessario di tenere, a beneficio di questa mia
chiesa, e parto, per i venti grandi, che sono corsi
tutti questi giorni addietro. Ora mando il presente mio
a far umilissima riverenza a V.S. illustrissima e a
supplicarla si degni darmi la sua santa benedizione, e
accompagnare questa mia grave impresa con la sua
santa orazione, quali desidero tanto maggiormente, quanto
più in esse confido, e quanto meno mi conosco per
modesto atto a tanto peso; e supplico anche V.S.
illustrissima
resti servita di comandarmi, quanto le occorra, che
faccia, che lo riceverò a molta grazia da V.S. illustrissima
alla
quale umilmente bacio la mano e me la raccomando in grazia.
Di Novara 16 marzo 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 18 marzo 1582
Non visibile.
Genova 7 aprile 1582[17]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Sono venuto a Genova, e sebbene nell’entrare in questo
dominio, mi assalì
la febbre, che poi mi è ritornata alcune altre volte, non di
meno
volli seguire il mio viaggio, e il male mi lasciò assai
presto
e ho cantato messa pontificale, e predicato in pulpito, con
l’assistenza della signoria, e con gran concorso del popolo,
e con soddisfazione universale, per quanto si è riscontrato.
Ora vado seguendo la visita, con la diligenza, e miglior
modo, che so e posso; così particolarmente ne darò
avviso a V.S. Illustrissima secondo che occorrerà alla
giornata.
Intanto la supplico a non mancarmi dei suoi ricordi,
consigli
E aiuti, specialmente con le sue orazioni, nei
Quali confido infinitamente, e baciando umilmente la mano
A V.S. illustrissima nella sua buona grazia mi raccomando e la
prego
Dal Signore Dio lunga e felice vita.
Di Genova 7 aprile 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Genova 14 aprile 1582
Foglio pagina 0151
E’ visibile solo l’indirizzo.
Genova 7 maggio 1582
Foglio pagina 0152
E’ visibile solo la parte finale.
Genova 29 maggio 1582[18]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Pensavo di governarmi alla visita delle monache con questo
deputati della signoria
nel modo che V.S. illustrissima mi scrive di aver servato in
Proscia; ma la signoria con l’esempio
di Venezia, e ….di certi suoi privilegi fa istanza presso a
Nostro Signore che non
siano visitati i suoi monasteri, il che, quando succedesse,
oltre alla poca reputazione
che porterebbe alla visita apostolica, credo, che sarebbe
anche di molto pregiudizio
al servizio di Dio, e buon governo dei monasteri, e inoltre
la …. è anche ….
in pensiero che non s’abbiamo a visitare né scuole di
disciplinati, né ospedali,
Né altri luoghi pii, sotto pretesto che non siano veramente
luoghi pii, ma laicali,
e che non siano mai stati visitati per il passato; ma il
principale oggetto credo
che sia di non voler essere inferiori in questa parte a
Venezia; e di voler che
i laici governino tutte le cose, e restringere tuttavia più
sempre l’autorità
ecclesiastica: Io non posso far capaci queste genti in molte
cose della ragione; tanto
più che temono che con l’esempio mio si apra la strada
all’arcivescovo
di poter visitare e far il medesimo che faccio io, onde sarà
necessario che tutte
queste risoluzioni vengano da Roma e da Nostro Signore dopo
che essi saranno
stati uditi; perché credo certo che si acquieteranno a tutto
quello, che sarà
determinato da Sua Santità e non lo facendo, io non mancherò
d’eseguire
l’ufficio mio, e di provvedere ad censuras et poenas,
secondo che mi sarà
ordinato; nel che, se a V.S. Illustrissima parresse di far
alche ufficio a Roma,
io mi rimetto all’infinita sua prudenza.
Sono più giorni che scrissi a V.S. illustrissima lungamente
di diversi abusi che avevo
di già scoperto in questa visita, supplicandola di consiglio
e aiuto per potervi
meglio provvedere; e perché ora dovranno essere rimosse le
continue fatiche
del sinodo provinciale e della traslazione di corpi santi
sebbene so, che
altre non le dovranno mancare di continuo, la supplico di
nuovo a farmi
grazia d’avvisarmi, come prima potrà, con suo comodo, di
quanto le occorrerà
nei suddetti casi, che il tutto tornerà a maggior servizio
di Dio, e io
l’aggiungerò agli altri obblighi, che tengo infiniti a V.S.
illustrissima alla quale
umilissimamente baciando la mano, me le raccomando in
grazia, pregandola dal Signore Dio
lunga e felice vita.
Di Genova 29 maggio 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Genova 6 giugno 1582
Non è visibile.
Genova 6 giugno 1582[19]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Mandai a Napoli la lettera del signor duca di Baviera, che
ebbi a dì passati col
favore di V.S. illustrissima per recuperare quei denari del
signor Marco Antonio mio fratello
e quando aspettavo che se ne facesse lo sborso, mi vien
riscritto del mercante
che aveva ordine di pagare, che ha avuto commissione dagli
agenti del signor
duca, che sono a Venezia, acciò ritardino questo pagamento,
e rimettano
i denari a Venezia, onde mi sono risoluto replicare a Sua
Altezza per
onorare una nuova e risoluta commissione; e ancor che non mi
dia
l’animo di fastidire V.S. illustrissima per nuovo favore,
che troppo molesto
le sono stato in questo soggetto; tuttavia il bisogno della
casa del
signor Marco Antonio mi … e muove a compassione, onde quando
fosse
servita di scrivere due righe al signor duca, lo riceverò
per molta
grazia da lei, rimettendomi però a quanto parrà meglio al
prudentissimo
giudizio di V.S. illustrissima alla quale per fine bacio
umilmente la mano,
e la prego dal Signore Dio abbondanza della sua santa
grazia.
Di Genova 6 giugno 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 19 giugno 1582
Non visibile.
Genova 20 luglio 1582
Non è visibile.
Sestri (Genova) 20 agosto 1582[20]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Ebbi la lettera di V.S. illustrissima del 3 di questo
trovandomi fuori nella
visita della diocesi di Genova, dove poco dopo mi venne a
trovare mons. Botero la cui presenza mi consolò assai, e
spero ricevere molto servizio in questa visita, e se io
torno
a Milano glielo rimanderò come comanda V.S. illustrissima la
qual … ringrazio infinitamente di questo favore, e della
copia che mi manda di quello che è stato risposto da Roma
intorno
ad alcuni capi concernenti a questa visita; dei quali e
altro
ancora mi riservo a
ragionarne con V.S. illustrissima quando verrò
a farle riverenza, Intanto la supplico umilmente si degni
farmi sapere il tempo della sua partita e le bacio la
mano riverentemente, raccomandandomela in grazia,
Di Sestri 20 agosto 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Sturla (Genova) 8 settembre 1582[21]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Il prete Botero[22] è
venuto qua da me, come ho scritto,con un’altra mia
A V.S. illustrissima e l’opera sua mi è di molto utile, e di
molta soddisfazione
E ne ringrazio senza fine V.S. illustrissima e se io verrò a
farle riverenza
Roma, che parta per Roma (come sommamente desidero) lo
menerò in
ogni modo meco, come ella mi ha comandato; ma caso, che non
potessi
venire, o per indisposizione, o per qualche altro legittimo
impedimento,
supplico V.S. illustrissima con ogni umiltà e affetto
dell’animo mio, resti
servita di concedermelo anche per il rimanete di questa
visita,
comandando quanto prima al suddetto prete Botero, che si
voglia fermare
meco sin al fine della visita di queste altre chiese dello
Stato
di Genova, o almeno si che ella, dopo che sarà tornata da
Roma,
l’avviserà di quello, che avrà da fare, e si astenga V.S.
illustrissima che oltre all’utile, che ne seguirà a questa
visita, e per conseguirli
al servizio di Dio, e di queste anime, lasciandomelo sino al
fine
delle mie visite, V.S. illustrissima (se io non mi inganno)
ne resterà anche
per altro soddisfatta, e quando ritornerà da lei, tengo per
certo
che non sentirà danno; di questa cortesia e carità grande
che si sarà degnata usar meco in questo mio gran bisogno, io
ne resterò con obbligo d’eterna memoria a V.S.
illustrissima, aggiungendola
agli altri infiniti che le tengo; e aspettando quanto prima
il suddetto
ordine, a V.S. illustrissima bacio umilmente la mano e me le
raccomando in grazia, pregandola dal Signore Dio lunga e
felice vita.
Di Sturla 8 settembre 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara
Genova 19 settembre 1582[23]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Mi è rincresciuta grandemente la morte dell’illustrissima
signora principessa[24]
di Molfetta, che sia in gloria per la perdita comune che
hanno … tutti di una signora sì pia, e così buona come
ella era da che si può così molta ragione sperare, che
si trovi i luogo di salute, dove piaccia al Signore Dio
concedere a noi, che la possiamo vedere, e seguire quando
sia di questo voler di Sua Divina Maestà.
Veramente avrei desiderato di far riverenza di persona
A V.S. illustrissima prima, che partisse per Roma, e a
questo fine avevo già chiesto licenza a Nostro Signore
d’arrivare un tratto sin alla mia chiesa, ma poi che è
piaciuto al Signore Dio che non la veda, e … di presenza
per adesso, vengo a baciarle la mano col mezzo di
questa, e me ne resterò a … questa visita, e
supplirò al bisogno della mia chiesa, e delle visite
con lettere com’ella comanda. Intanto le rimando
mons. Botero, quale avrei ritenuto volentieri per mio
utile, ma facendomi ella sapere la sua volontà gli ho
detto che venga subito, come egli fa volentieri, e
intanto ringrazio umilmente V.S. illustrissima per il tempo
ch me
l’ha accordato, che mi ha soddisfatto grandemente e le bacio
umilmente la mano, e me la raccomando in grazia e pregandola
dal Signore Dio felice viaggio, e il colmo d’ogni vero bene.
Di Genova 19 settembre 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
LETTERA DEL VESCOVO
DI NOVARA AL VICARIO GENERALE DI MILANO[25]
Genova 27 settembre 1582[26]
Copia.
Intendo che certi di Galardi
hanno ricorso da V.S. in pregiudizio della mia giurisdizione di Orta, e perché
io non sono in questo si pretendono, prego V.S. quanto posso a non fare ….
alcuno, o altro, che possa portare danno o pregiudizio alle ragioni mie e al
processo in che mi trovo avvisandola che l’anno passato ottenni un breve da
Roma che rinnovava quello che aveva ottenuto il procuratore Galardo e rimetteva
la causa a me, e se mi darà tempo glielo faccio vedere, se cos’ vorrà, che dove
esser queste le mie spettanze a Novazza, e perché mi ritrovo qua in tante
fatiche per la Sede Apostolica non vorrei già ritenere così …. Provveduto da
cotesto tribunale, nel quale più di ogni altro confido e che mi dovrebbe
principalmente e difendere in tutte le cose, ovvero abbandonerò la visita e
venir costì a difendermi. Prego dunque V.S. con tutto l’animo a non innovare
cosa alcuna, né far altro in causa laicale della mia giurisdizione temporale,
perché me ne sentirei troppo offeso, ma se alcuno pretende di avere ricevuto
torto dai miei ufficiali ricorra da me che si darà giudizio non sospetto che
farà la giustizia compiutamente, e questo lo dovrà bastare senza metterli in
altri meno che specialmente. E questo gli dovrò bastare senza mettersi in
questo campo che essendo io assente … causa non si dovrebbe procedere in alcuna
causa dove si tratta dell’interesse e provvedimento mio. Starò dunque
aspettando che V.S. mi liberi da questo travaglio per giustizia, e per bontà
sua e io gliene resterò anche infinitamente tenuto, soffrendomi a servarla di
continuo. E il Signore Dio le doni abbondanza della sua santa grazia.
Di Genova 27 settembre 1582.
Genova 28 settembre 1582[27]
Illustrissimo e reverendissimo signore a padrone mio
colendissimo.
Al 19 di questo ebbi la lettera di V.S. illustrissima del 12
nella quale m’avvisata dell’andata sua a Guastalla[28],
di che presi gran dispiacere, e per la morte della
signora principessa (che sia in gloria) e perché mi
vedevo levata del tutto l’occasione da me grandemente
desiderata di poter essere con V.S. illustrissima
prima che partisse per Roma; ma perché nella suddetta
lettera mi comandava che le rimandassi mons. Botero,
con anche diceva di scriverne a lui, sebbene mons.
Botero non aveva avuto di ciò alcun avviso, io non
di meno gli mostrai la lettera di V.S. illustrissima, e gli
diedi comodità
perché potesse partire subito, come fece il giorno
seguente, che fu al 20, incamminandosi alla volta di
Milano, il che veramente è stato di grandissimo
incomodo e pregiudizio a questa mia visita, perché egli
vi si andava accomodando molto bene, e mi era di
grande utile e di soddisfazione insieme, ma con
tutto ciò vuolsi (com’era mio debito), anteporre il
comandamento
di V.S. illustrissima ad ogni mio interesse: ben
la supplico con tutto l’animo per la gran carità, che è
in lei, e per la cognizione che tiene dell’importanza, e
bisogni
di queste visite, resti servita di mandarmi quanto
prima il medesimo mons. Botero, o non potendosi ciò fare
per qualche rispetto, almeno si degni concedermi qualche
altro che abbia talento, potermi aiutare, acciò me ne farà
servizio in queste visite secondo che sarà di bisogno, che
per ventura tornasse anche a qualche servizio della chiesa
di V.S. illustrissima la confermazione d’alcune cose fatte
da mons. vescovo di Brugnato[29] con
buona intenzione
e senza interesse, anzi con qualche sua spesa per il gran
bisogno che vedeva dei ministri nella sua chiesa, ..
egli quand’era in
memori bus ha servito V.S. illustrissima ella potrà
anche meglio risolvere quanto le parrà meglio nel
particolare, che si contiene nell’incluso foglio.
Messer Pietro Campori
agente mio ragionerà a V.S. illustrissima
di alcune cose, che mi parrebbero bene, tanto per servizio
di questa chiesa di Genova, come della mia di Novara
la supplico sia servita ad udirlo volentieri, in favorire
come suole il servizio di Dio, e di queste chiese, nel
mons. arcivescovo di Genova, oltre l’età che tiene di 73
anni, è anche
… a tale per le sue infermità, che ha quasi perduto
del tutto il discorso, e la memoria, onde non par più abile
a portare un peso così grosso come è quello della sua
chiesa, onde sarebbe bisogno che egli la rinunciasse
o se desidera un coadiutore o vicario apostolico acciò con
la
bontà sua naturale, e facilità che tiene di compiacere
a tutti, non guastasse quello che fosse ordinato da un
vicario, che dipendesse da lui, come ben spero anche di
presente; e sebbene ha dato più volte intenzione di
lasciare la chiesa, con qualche onesto partito, o di
provvedere in altro modo al bisogno di essa, non di meno non
si sa risolvere di venir all’effetto, lasciandosi facilmente
…. da parenti e altri interessati nei maneggi dell’arcivescovato.
Ma per mantenersi un coadiutore o vicario apostolico vi
sarebbe malamente il modo per esser l’arcivescovo povero,
che
non può far mantenere l’arcivescovo poi degnamente, onde
si andava pensando sopra il vescovo di Brugnato, il
quale ha il suo vescovato piccolo, e intrigato per la
maggior
parte con la diocesi di Genova; per il che stando in
Genova con autorità potrebbe attendere alla sua chiesa
Non meno che se stesse a Brugnato, e avendo le
spese dall’arcivescovo per sé, e due servitori, potrebbe
mantenersi assai onoratamente in Genova con i frutti
del suo vitalizio, e gli si conterebbe di farlo, e
l’arcivescovo non dovrebbe gravarsi di questa spesa, perché
la fa medesimamente al suo vicario, e alle volte i suoi …
domestici, si sono lasciati intendere, che l’arcivescovo
l’avrebbe fatto volentieri, ma poi non hanno in proposito
né vogliono venire al alcuna certa risoluzione
scansandosi sopra la …. del padrone. Ma è d’avvertire
che mons. di Brugnato per troppo debole per tanto
peso, e non è anche in troppa grazia del Senato di Genova
per alcuni dispiaceri, che sono nati fra di loro, perché
il vescovo voleva … alcuni laici a pagare …
contro il solito e anche aveva proibito il ballare e altre
cose simili nei giorni di festa; onde facilmente il Senato
potrebbe avere a male che servisse in Genova a tal
ufficio e con l’arcivescovo non si può trattare né questo né
altro amorevolmente, per le ragioni dette di sopra, onde
bisognerà che V.S. illustrissima o la congregazione vi
piglino qualche
provvisione, come giudicheranno che sia meglio.
Per levar la gran familiarità e i spessi ragionamenti che
sono
nelle chiese tra gli uomini e le donne ancor quando
si celebrano i divini uffici sarebbe necessario usare i
tramezzi
nelle chiese per il lungo o almeno a traverso, come
se ne vedono ancora molte di pietra, a traverso delle
chiese della diocesi di Genova, ma che fosse con autorità
e consenso di Sua Devozione ovvero della Congregazione acciò
facendone rumor in Roma non s’avesse a guastar
con indegnità l’ordine già dato.
che giudicherà più conveniente, che io le ne resterò in
obbligo
d’eterna memoria. Con che bacio la mano umilmente a
V.S. illustrissima e me le raccomando in grazia.
Di Genova 28 settembre 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
Umilissimo e obbligatissimo
Servitore Francesco
Vescovo di Novara.
Milano 17 novembre 1582[30]
Illustrissimo e reverendissimo signor e padrone mio
colendissimo.
Scrissi da Genova a V.S. illustrissima la subita partita mia
per la nuova, che avevo avuto
del signor Marco Antonio di felice memoria ora ella saprà,
che giunto a Milano trovai,
che avendo presi tutti sacramenti, e fatte molte
dimostrazioni di un animo
ben disposto, e rassegnato in Dio ne n’era morto, lasciando
la moglie con cinque figlioli maschi, e due femmine, delle quali ve ne è una da
marito,
tutti afflitti, e mal condotti, poiché oltre al resto, vi è
poca roba, e molti debiti
atteso che non rubava nell’ufficio, ed era gran spenditore,
intanto,che
non so se i figlioli si vorranno pur chiamare eredi del
padre. Ma perché
tra essi come sa V.S. illustrissima, vi è il signore Egidio
dottore già quattordici anni,
che è bell’ingegno, e buone lettere, e si è portato bene
negli uffici,
che ha esercitato dando di sé buona soddisfazione al Senato,
e agli altri, e
il signor governatore di Milano l’ha nominato all’ufficio
del Magistrato Straordinario
che aveva il padre, sono sforzato per la pietà che tengo a
questi miei
nipoti, e per la rovina, che viene a questa casa, se non è
in qualche
modo aiutata, di ricorrere alla benignità di V.S.
illustrissima dalla quale
tutti dipendiamo, e che ci ha sempre tanto favoriti, che si
degni
esser servita per buona sua, di impetrare la Nostro Signore
che voglia favorire
il signor Egidio, acciò abbia questo luogo di magistrato
straordinario, che era del padre,
che se per altro non lo meritasse (che pur ne è degno per le
sue proprie qualità) ne
dovrebbe ottenere la grazia per i meriti del signor Egidio
suo avo, e degli altri nostri
maggiori, che tutti hanno servito fedelmente Sua Maestà e
l’imperatore suo padre,
che sia in gloria; onde concorrendo tutte queste qualità
spero che col mezzo
di V.S. illustrissima e favore di Sua Beatitudine si dovrà
facilmente ottenere questo luogo
col quale si potrà per un poco mantenere la casa in piedi.
E perché io mi trovo qua molto intricato in diverse cose per
questa morte così
Subitanea e inaspettata di mio fratello, bisogna domi
provvedere a molte cose, e operare
che non venghino i miei nipoti in rottura tra di loro, e che
si accomodi la moglie
con i figli e dar recapito a quella, che è da marito, e
pigliar provvisione in
qualche modo ai debiti, e ad alcune liti, che vi sono,
voglio mettere in
considerazione a V. S. illustrissima se le parresse bene di
fare ufficio per liberare dal
restante della visita dello Stato di Genova, se non per
sempre, almeno per
adesso, poiché il mio primo breve era solo per Genova e sua
diocesi,
il che ho eseguito, avendo anche di più visitato il
vescovato di Brugnato,
pure mi rimetto a quanto parrà meglio a V.S. illustrissima
pretendendo io in questo
e in ogni altra cosa principalmente al servizio di Dio, e
obbedienza
dei miei padroni, e specialmente di far quello che più
piaccia a V.S. illustrissima
il cui volere non intendo discostarmi giammai. E a V.S.
illustrissima bacio umilmente
la mano e me le raccomando in grazia.
Di Milano 17 novembre 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Il 17 novembre 1582
Francesco Bossi comunica al cardinale Carlo Borromeo la morte del proprio
fratello Marco Antonio, lasciando la moglie e cinque figli maschi e due femmine
e molti debiti da pagare, tanto da indurre gli eredi a rinunciare all’eredità.
Tra essi ci è il
dottore Egidio che da quattordici anni professa onorevolmente la sua
professione, con soddisfazione del Senato e del governatore di Milano.
Supplica il porporato
di fargli ottenere l’incarico di Magistrato Straordinario, incarico che già
ricopriva il defunto padre, soprattutto in considerazione dei grandi servizi
resi all’imperatore da tutta la famiglia Bossi e dal grande avo senatore
Egidio.
Milano 17 novembre 1582[31]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Desidererei d’ottenere una dispensa per Federico mio nipote,
che possa avere la
cappella di S. Antonio in Azzate, che di presente vaca, non
ostante che non sia
sacerdote, e sia della famiglia dei Bossi, atteso che le
medesime dispense sono state
concesse ai titolari passati di quella cappella dei quali io
ne ho conosciuti tre
che tutti erano dei Bossi, e i due ultimi non credo
ch’avessero altro, che la
prima tonsura; onde supplico V.S. illustrissima resti
servita, che con sua buona grazia si possa
ottenere la suddetta dispensa, tanto più, che quella
cappella è stata fondata dai nostri
maggiori, e il juspatronato d’essa tocca a me, e ai miei
nipoti, e ella sa, che
anche dei beni di chiesa si hanno a sovvenire i laici
poveri, quando sono discendenti
da quelli, che hanno fondato il juspatronato, ma Federico
non solo non è laico,
ma spero in Dio, che sarà un buon ecclesiastico, e io terrò
mano, che la cappella
in man sua sia ben servita e officiata, e che V.S.
illustrissima abbia a restar soddisfatta
di questo mio nipote. Perché di nuovo la supplico a
contentarsi che passi questo
negozio con buona volontà di lei, perché altrimenti ne mi
piacerebbe, né
lo vorrei in modo alcuno, ma contentandosene V.S.
illustrissima, come spero, io
lo riceverò a molta grazia, e l’aggiungerà agli altri
obblighi che tengo infiniti
a V.S. illustrissima, alla quale bacio umilmente la mano e
me le raccomando in grazia,
pregandola dal Signore Dio lunga e felice vita.
Di Milano 17 novembre 1582
Umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Il 17 novembre 1582
Francesco Bossi supplica il cardinale Carlo Borromeo di ottenere per il nipote
Federico, rimasto orfano del padre Marco Antonio, da poco deceduto, la
Cappellania di S. Antonio di Azzate nonostante egli non sia sacerdote e
nonostante egli appartenga alla famiglia Bossi, come già si è praticato in
passato, e considerato che il juspatronato spetta di presente proprio allo
scrivente.
Assicura il porporato
che terrà sotto la sua sorveglianza il nipote Federico perché si comporti bene,
in modo da non avere pentimento della buona azione compiuta.
Milano 24 novembre 1582[32]
Illustrissimo e reverendissimo signore mio e padrone
colendissimo.
V.S. illustrissima è informata della povertà del Seminario
di Novara, che non ha la quarta parte
di entrate di quello dovrebbe avere secondo la tassa fatta
nel concilio provinciale e la diocesi
è grandissima, i benefici poveri, e vi è molta carestia di
chierici sufficienti. E tra tanti
inconvenienti non so come si possa rimediare, se non con il
mezzo di un buon seminario.
Per il che supplico V.S. illustrissima che con la sua solita
pietà voglia aiutare il povero seminario
di Novara, lasciando che si unisca il beneficio di S. Croce,
conforme all’intenzione,
che Sua Santità e ella insieme me ne diedero altre volte in
Roma, poiché il Collegio degli
Elvezi ha avuto non solo duemila scudi, ma anche più dei
tremila di entrata,
o, almeno veda di fargli venire qualche altro buon beneficio
in modo che possa sicuramente
avere il debito effetto a suo tempo. E con questa sarà una
nota dei benefici della città, e
diocesi di Novara, che se li potrebbero unire, di che ne
scrivo anche una lettera a Sua Santità acciò
non paia che V.S. illustrissima sia quella che procuri la
disunione del beneficio di S. Croce dal
Collegio degli Elvezi, ma circa il dar della lettera a Sua
Beatitudine e circa ogni altra cosa
si rimette il tutto alla prudenza di V.S. illustrissima.
E perché si è dato anche ordine per un poco di fabbrica per
il seminario che è molto necessaria,
ma non vi è modo di farla, messer Pietro Campori informerà
V.S. illustrissima di quello si è
trattato per ottenere col mezzo di una dispensa, un poco di
aiuto con il tempo.
La supplico resti servita di aiutare il negozio che per mio
giudizio sarà utile, e
spediente per tutte le parti, e io ne resterò con molto
obbligo a V.S. illustrissima alla quale
bacio umilmente la mano e me le raccomando in grazia,
predandole dal Signore Dio ogni vera salute.
Di Milano 24 novembre 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
Umilissimo e obbligatissimo
Servitore Francesco vescovo di Novara.
Milano 24 novembre 1582[33]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimi.
Con altre mie ho avvisato V.S. illustrissima come mi fu
forza partir di Genova all’improvviso per
l’inaspettata nuova del signor Marco Antonio mio fratello di
buona memoria che è passato a miglior vita. Ora io me ne sto qua a Milano e
attendo a dar qualche indirizzo a questa casa, non solo
afflitta, m anche al tutto di sconcertata, e se non fosse
per presenza mia, e il rispetto, che a me
tutti portano, credo che andrebbe ogni cosa in rovina.
Trovandomi dunque qua in
Milano ebbi ieri tre lettere di V.S. illustrissima in un
medesimo tempo, una del promo l’altra del
5 e la terza del 6 del presente, e mi duole infinitamente
che non m’abbiano trovato
in Genova, specialmente quella che tratta del coadiutore
dato a mons. arcivescovo
perché mi sarei affaticato con ogni diligenza per farlo
capace del molto favore,
che gli ha fatto Sua Santità e anche del beneficio che ne
risulta alla sua chiesa, e alla
persona sua propria, ma poiché non posso io fare a bocca con
l’arcivescovo, l’ho fatto
subito con una lettera, fornendo di più al mio vicario e
agli altri miei, che sono restati
in Genova, quello che abbiano a fare in questo particolare,
per disporre mons.
arcivescovo a contentarsene volontariamente e a mandar i
consensi e mandati opportuni
quanto prima: ma credi che si farà poco in questa parte, e
che l’arcivescovo difficilmente
se ne acquieterà, perché si lascia governare affatto dal
vicario e da un Marcelino
suo segretario che fanno di lui, e dell’ufficio, ciò che
vogliono, in tutto e per tutto, oltre che anche
l’arcivescovo e d’una natura tanto piacevole e dolce,
specialmente con i parenti, che non
se gli sa opporre in cosa, che vogliono, e essi per proprio
interesse malamente
vedranno questa coadiutoria, perché speravano che la
rissegna dell’arcivescovo avranno
buna pensione, e di questo ne ha trattato il Marcelino più
volte meco, e per i suddetti
rispetti sarà facile cosa, che ad usanza del paese, vadano tumultuando, e facendo
ogni opera per disturbare questa santa impresa, la quale a
me pare, che sia tanto
buona, che non si potesse desiderar meglio per acconcio di
quella chiesa tanto di presente
come anche per l’avvenire, e perciò se Nostro Signore starà
saldo, e vorrà che vada avanti,
(come è da credere), tutti al fine se ne acquieteranno, e i
buoni ne resteranno molto
contenti, e soddisfatti, come anche sinora credo, che
avvenga. Il signor cardinale
Alessandrino si trova in Genova, e per quanto intendo, vi si
ferma anche per
qualche giorno. Se Nostro Signore le facesse scrivere una
lettera gagliarda, che abbracciasse
questo negozio e lo facesse riuscire, credo, che si
accomoderebbe in un tratto,
e per l’autorità sua, e per essere stato eletto protettore
della città, come intendo
e per ogni altro rispetto, pure mi rimetto a quanto parrà
meglio a Sua Santità
e a V.S. illustrissima, quale ringrazio senza fine
dell’ordine dato, come scrive
per la cosa d’Orta, e anche di quello che ha ottenuto per il
tramezzar
delle chiese, il che non mancherò d’eseguire, e a V.S.
illustrissima bacio umilmente
la mano, e me le raccomando in grazia, pregandola da Nostro
Signore lunga e felice
vita.
Di Milano 24 novembre 1582.
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Il 24 novembre 1582
Francesco Bossi si trova a Milano nella casa del defunto fratello Marco Antonio
per cercare di mantenere l’ordine in famiglia che rischia di andare in rovina
per i debiti accumulati.
Risponde alle tre
lettere che gli ha inviato il cardinale Carlo Borromeo e si felicita della
buona riuscita della visita apostolica che sta eseguendo il vescovo di
Alessandria nella città di Genova, dalla quale ha dovuto allontanarsi per la
morte del fratello.
Rassicura il porporato
che appena ritornerà alla sua sede di Novara metterò in opera i decreti emanati
dal cardinale per dividere le chiese con un tramezzo in modo da dividere gli
uomini dalle donne.
Milano 1 dicembre 1582
Non visibile.
Milano 1 dicembre 1582[34]
Non visibile. E’ un’altra lettera.
Novara 26 dicembre 1582
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Quando ero in Genova il vicario di mons. arcivescovo
mostrava molto desiderio e prontezza
in voler eseguire i decreti e ordini della visita apostolica
e sebbene gli è canonico e diocesano
di Genova, e ha preti e fratelli per rispetto dei quali non
ardirebbe di pigliarla contro il
Senato, dove gli fosse contrario, non di meno io speravo
pure, che dovesse far qualche
cosa, per onor suo in beneficio della visita; ma poi che si
è intesa la risoluzione
fatta da Nostro Signore per la coadiutoria di Genova, e il
vicario, e quel Marcellino
segretario dell’arcivescovo che maneggiano ogni cosa di
quella chiesa a bacchetta, ne hanno
mostrato tanto dispiacere, che, per quello che intendo, non
solo non attendono a far
eseguire gli ordini, come dovrebbero, e a levar le
difficoltà, e a far capaci
le persone del dovere, ove fa bisogno, ma fanno tutto
l’opposto, il che accresce
l’animo a molti di quelle genti, che sono di piccola
levatura, a far renitenza
circa l’osservar gli ordini lasciati. Per il che crederei
fosse molto spediente
che il particolare della coadiutoria si terminasse del
tutto, e si mandasse ad esecuzione
quanto prima fosse possibile, e caso, che questo avesse a
portar qualche dilazione di
tempo, crederei fosse molto a proposito il mandar intanto a
Genova un vicario apostolico
perché questo farebbe risolvere l’arcivescovo e suoi a voler
piuttosto il coadiutore,
perché gli sarebbe di più onore, e manco spesa, e la spesa
del vicario apostolico la potrebbe
ben fare l’arcivescovo perché oltre l’arcivescovo ha
pensione e entrate in S. Georgio, che
gli possono dar da vivere onoratamente volendosene valere,
oltre che si potrebbe
anche dare al vicario qualche provvisione dei frutti
dell’abbazia di S. Siro, sin tanto
che venisse il coadiutore; ma se non vi è persona, che
dipenda immediatamente
dai Signori Padroni di Roma, non si può sperare cosa alcuna
buona in Genova, per la
facilità dell’arcivescovo: Il quale non sa risentirsi dove
bisogna, neppur negare
cosa alcuna, che gli si domanda, e per questo mi
meraviglierò se quelle genti non
piglieranno speranza di buttar sotto sopra gli ordini fatti,
e ridurre le cose alla
licenza di prima, specialmente nel particolare delle
monache, dove premono fuor di
modo, per diversi rispetti, e fra gli altri, acciò non le
riformi non si rendano le
fanciulle più difficili a monacarsi, e per questa via sia
loro impedita la
facoltà di darle le doti eccessive, come ora fanno a quelle,
che si maritano
al secolo; pure del tutto mi rimetto al ridentissimo
giudizio di V.S. illustrissima
alla quale bacio umilissimamente la mano, e la prego dal
Signore ogni vera felicità.
Di Novara 26 dicembre 1582
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 28 dicembre 1582[35]
Illustrissimo e reverendissimo signore mio e padrone
colendissimo.
Ho ricevuto due lettre di V.S. illustrissima l’una del 9 e
l’altra dell’11 del presente, nelle
quali m’avvisa della soluzione fatta da Nostro Signore di
mandar un vicario apostolico a Genova,
in luogo del coadiutore, del che credo sarà molto ben fatto,
come anche io ho scritto con
un’altra mia a V.S. illustrissima solo parmi di ricordarle,
che quando il vicario fosse del
dominio di Genova, per avventura andrebbe freddo
nell’esecuzione del suo ufficio,
e la Repubblica come non facesse le cose a suo verso,
potrebbe dar dei travagli ai suoi
parenti, come intendo, che ha fatto delle altre volte con
altri vicari. Non voglio
anche lasciar di dire a V.S. illustrissima che i genovesi
sono facili a levarsi, e a tumultuare;
ma sempre, che Nostro Signore si lascerà intendere di voler
alcuna cosa, perché così convenghi,
e che stia saldo, ancora, che gli sia detto, che la città ne
faccia rumore, si acquieteranno
tutti facilmente, e attenderanno a obbedire, e così credo,
che riuscirà di continuo,
per l’esperienza, che tengo di quelle genti, e per la
relazione, che io ho anche da
uomini degni di fede, che li conosco dentro, e di fuori,
come si suole dire.
Circa alla disunione di S. Croce io mi credevo, che si
potesse fare senza pregiudizio del
Collegio Elvetico, per gli acquisti che va facendo alla
giornata, e che V.S. illustrissima
se ne dovesse anche contentare; ma ora le pare, che io non
le faccia più disegno,
metterò il cuore in pace in questa parte, e stare
aspettando, che V.S. illustrissima per
bontà sua ci ottenghi l’unione di qualche altro buon
beneficio, ma in modo, che non si
possa alterare, e che a suo tempo abbia sicuramente
l’effetto suo.
Ho inteso che il signor duca di Baviera ha fatto suo
coppiere il signor Polidoro mio nipote, il che
so, che è nato principalmente dal favore di V.S.
illustrissima e perciò ne la ringrazio
quanto posso, e l’aggiungerò agli altri obblighi, che a lei
tengo infiniti.
Le raccomando parimenti gli altri miei nipoti, e se per il
signor Egidio ella si degnasse di
scrivere, o far scrivere al signor cardinale Granvolla,
credo, che le sarebbe di gran
giovamento. Potrebbe anche Nostro Signore raccomandare
generalmente i figlioli del signor
Marco Antonio a Sua Maestà perché non contrarierebbe a
quello, che avesse scritto per altri
circa all’ufficio di Magistrato, e il re suole remunerare i
figlioli e fratelli di
quelli, che abbiano servito, come ha fatto questi dì con i
figlioli del signor Camillo Porri,
e col fratello di mons. Speciano; onde con questa
raccomandazione di Sua Santità se ne potrà
aspettare qualche aiuto di costa, o qualche altra
raccomandazione, avendo il signor Marco Antonio
consumata quasi tutta l’età sua, e buona parte delle sue
facoltà negli Svizzeri,
e altrove in servizio di Sua Maestà onde supplico V.S.
illustrissima a farne ufficio quanto prima.
E quanto alla cappella di S. Antonio, poiché è juspatronato
di casa nostra, qual
ha perduto tanto a questo tempo con la morte del signor
Marco Antonio la supplico
resti servita di contentarsi per il signor Federico mio
nipote di quel tanto,
che hanno avuto i titolari di questa cappella dagli
arcivescovi passati, e
dalla sede apostolica sebbene non v’erano quelle qualità per
ottenere le
dispense. Che ora militano per questo mio nipote, pure io
non intendo di
volere, se non quello che piace a V.S. illustrissima una
minima mala soddisfazione
ma se con buona grazia di lei la potrà avere mi sarà
carissimo. Con che le bacio
umilmente la mano, e le prego dal Signore Dio ogni vero
bene.
Di Novara 28 dicembre 1582
Di V.S. Illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Il 28 dicembre 1582
Francesco Bossi supplica il cardinale Carlo Borromeo di ottenere dal papa
provvedimenti per dare un posto importante ai figli del defunto fratello Marco
Antonio che ha servito per molti anni Sua Maestà come ambasciatore presso gli
Svizzeri.
Raccomanda ancora al porporato il nipote Federico affinché gli
sia concessa a cappellania di S. Antonio di Azzate, pur mancando diversi
requisiti per ottenere la dispensa.
Novara 17 marzo 1583[36]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio colendissimo.
Supplico V.S. illustrissima resti servita di dar licenza a
Costanza mia
nipote di potersi far monaca nel monastero delle Vergini,
ancor
che non sia passato tutto il tempo ordinato dopo che è stata
accettata in capitolo, atteso che ella già molto tempo fa è
dispostissima di voler essere monaca, e io desidero che ciò
segua quanto prima, conoscendo che quando io non ci fossi,
nascerebbero delle difficoltà a trovar l’elemosina dotale,
e le altre cose che si ricercano in tal caso. Ma se V.S.
illustrissima
mi farà questa grazia, conforme all’intenzione, che me ne ha
già data, spero che il tutto passerà bene, e ne sarà anche
il servizio di Dio.
Intendo che il Zaneletto fa ora più istanza, che mai di
risignare
la prepositura e il canonicato insieme, e perché
ciò è contro la dichiarazione già fatta da Sua Santità, e
della
congregazione del Concilio, supplico V.S. illustrissima si
degni operare
che non passi, perché sarebbe di molto danno a questa chiesa
e quando pure Nostro Signore la concedesse, V.S. illustrissima
mi favorisca
a dirmi se io avevo da lasciar pigliare il possesso di una e
l’altra
insieme, caso che non vi sia la derogazione della suddetta
dichiarazione, parendomi pur strana cosa, che questo
Zaneletto non serva la chiesa, e che abbia da rinunciare ….
Non solo, e a persona anche pur altro poco abile, come
intendo
quello che di già Sua Santità e la Congregazione del
Concilio hanno
dichiarato essere incompatibile a poter stare insieme. Pure
io farà quanto a V.S. illustrissima parrà meglio che io faccia.
Bacio umilmente la mano e me la raccomando in grazia.
Di Novara 17 marzo 1583
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 8 maggio 1583[37]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Subito ricevuta la lettera di V.S. illustrissima ho
procurato do avere informazioni di quei
soggetti, che potessero essere più a proposito per il
Generalato di Vallombrosa,
e mi sono stati proposti questi tre come più idonei degli
altri, ma io non
ho alcuna cognizione di loro, se non quanto ne ho potuto
cavare d’alcuni
dei Priori che sono qua, come V.S. illustrissima mi ha
comandato che facessi, e se ella
vorrà che io la serva in altro si degni di ordinarmelo, che
non mancherò di obbedire
sempre, come devo, con che le bacio umilissimamente la mano
e me lo raccomando
in grazia.
Di Novara 8 maggio 1583
Di V.S. illustrissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Lodi 21 novembre 1583
Foglio pagina 0301
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
302
Sono venuto a Lodi e ho dato principio a questa visita,
e mi sforzo di condurla a fine con quella diligenza
e miglior modo, che per me si potrà. Desidero infinitamente
di intendere come succedono le cose a V.S. illustrissima, e
che
frutto segua delle sue molte fatiche, e siccome io non
ho mancato, né manco di raccomandare cotesta impresa
alle orazioni dei fedeli, così prego il Signore Dio che
la prosperi e faccia riuscire come si desidera per gloria
di Sua Divina Maestà e beneficio del popolo cristiano.
E a V.S. illustrissima bacio umilmente le mani e me le
raccomando in grazia
Di Lodi 21 novembre 1583
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Lodi 17 dicembre 1583[38]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Ho inteso con infinito dispiacere dell’animo mio che nella
chiesa parrocchiale
di Borgo Lavezzaro della mia diocesi di Novara, è stato rubato
il santissimo sacramento con la pisside da persone che di
notte sono
entrate per una finestra nella chiesa, per quello si
presenti; e
hanno rotto il porticino del tabernacolo, e sebbene dentro
il tabernacolo
vi era anche il tabernacolo, ostensorio con l’ostia grande
santissima e sopra l’altare vi era un calice, tuttavia non
si è
tolto altro, che la suddetta pisside con il santissimo
sacramento e un
purificatoio, nel quale forse sarà stata involta detta
pisside,
né altro manca nella chiesa; e per diligenza che si sia
fatta
dai ministri per quello mi scrivono, per aver indizio di sì
gran
sacrilegio, non se ne è anche potuta trovar notizia alcuna.
Per quello spetta a me, farò tutto quello sarà mai
possibile, acciò
Si trovi l’autore di sì enorme delitto, e ho voluto darne
parte
A V.S. illustrissima acciò, parendole bene, lo faccia sapere
al signor
Generale di Milano, che aiuti anch’egli con l’autorità sua
a cercare il reo nel modo, che in simile caso seguì a
Vercelli
non è molto tempo, rimettendomi però a quanto parrà al
prudentissimo giudizio di V.S. illustrissima supplico mi
favorisca del
parer suo, e le bacio umilmente la mano, raccomandandomela
in grazia e pregandola dal Signore Dio lunga e felicissima
vita.
Di Lodi 17 dicembre 1583
Di V.S. illustrissima e reverendissima
Umilissimo e obbligatissimo
Servitore Francesco vescovo di Novara.
Lodi 17 dicembre 1583[39]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Seguendo il buon consiglio di V.S. illustrissima lascerò di
tenere ordinazione
questa mattina, come avevo disegnato, tanto più che da tre
giorni
in qua, che mi trovo in letto con un poco di gotta, nonché
anche
fatto prova se mi riuscisse a star in piedi, sia del tutto
lodato il Signore Dio.
Sento infinita allegrezza del buon frutto che V.S.
illustrissima va facendo
con la visita in Grigioni, e supplico Dio moltiplichi in lei
grazie e doni maggiori per gloria di Sua Divina Maestà
esaltazioni
della chiesa, e beneficio di quelle anime; …. Ben caro
d’avere avviso di qualche particolare d’essa visita, e
ne prego mons. Botero, a cui supplico V.S. illustrissima si
degni
… me ne dia ancora per mia consolazione.
Il signor Johann Liecttenauer[40],
mentre io ero alla visita di Genova,
mandò di Baviera (dove egli è consigliere principale di
quel signor duca) due suoi figli in Italia a studio, e per
imparar la lingua, e il modo di negoziare e mi furono
raccomandati questi giovani particolarmente da mons. di
Vercelli; e trovandomi assente furono raccolti dal signor
Marco Antonio mio fratello, che allora viveva, ed essendo
essi andati
a Siena, mandai a farli provvedere di libri, e li
raccomandai
ai miei amici, che tengo in questa città; ora uno di essi ha
ordini
di andare a Roma, raccomandato dal signor duca di Baviera al
suo agente
e vorrebbe scrivere al signor cardinale di Como[41],
come
mi scrisse, e richiedemi lettere di raccomandazione: Ma
perché io non
conosco tale, che il mio ufficio potesse recar forse qualche
frutto, …
si vorrebbe, sebbene pretendo d’esser amico e devotissimo
servitore
di V.S. illustrissima ricorro, come soglio in ogni cosa mia,
al gran
mezzo di V.S. illustrissima supplicandola con umilissimo
affetto si degni con
una sua raccomandazione questo giovane, che si chiama il
signor
Johann Konrad Liechtenauer al signor cardinale di Como, acciò
lo ritiene in casa e
nella grazia sua; e io riconoscerò questo favore
dall’infinita
umanità di V.S. illustrissima, come fatto a me medesimo, e
l’aggiungerò
al cumulo degli obblighi infiniti che le tengo.
Mi sono altre volte dimenticato dire a V.S. illustrissima
che mons. Botero
ha composto il libro de regio sapienza, che veramente è
molto
bello, ed è una lezione molto utile; ma crederei fosse
ben d’arricchirlo non poco più, e ridurlo a migliore
perfezione
che ne seguirà certo maggior diletto e maggior utile; il che
ho
voluto mettere in considerazione a V.S. illustrissima, che
parendole,
comandi a mons. Botero l’accomodi, e ne aggiunga
maggior fatica, che sarà ben impiegata.
Restami a dirle che io mi trovo presso il fine della visita
di questa città, rimanendo solo alcuni monasteri di monache,
che piacendo a Dio, spedirò presto, e poi me ne andrò
nella diocesi, della quale è visitata a quest’ora una
parte, e per fine bacio umilmente la mano a V.S.
illustrissima
e me la raccomando in grazia.
Di Lodi 17 dicembre 1583
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Castelnuovo Bocca d’Adda (Lodi) 8 gennaio 1584[42]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
In questa chiesa ho visitato la chiesa curata di Mairago
luogo di
V.S. illustrissima e del signor conte Renato per quello mi
fu detto, che ha
bisogno di curato, standone senza dalla quadragesima passata
in
qua, sebbene per l’estate passata sin a S. Martino vi ha
servito
un frate dei Servi, e per queste feste ci è stato deputato
dall’ordinario
un prete, che abita tre miglia lontano, e che non e
idoneo a cura d’anime, oltre, che ha carichi personali di
mezzo
in altra parte; e perché l’entrata per il curato è poca, né
arriva a 180 lire
computati anche certi pochi emolumenti, che
si cavano da alcuni moroni piantati nel comitato non si trova
prete che voglia quel beneficio e è quasi distrutto, che
oltre
al danno ne segue a queste anime, le case parrocchiali e i
beni ne
sentono deterioramento. Onde supplico V.S. illustrissima si
degni per
l’infinita pietà sua dar ordini a quella gente che è in
Camairago,
con quale ne ho anche ragionato, che veda di aumentare
l’entrata
del curato in qualche modo, tanto che ne possa star un prete
conforme anche a
quello che ella mi ha scritto altre volte, come intendo,
di …. E farmi anche alcuni mansionari, di che ve ne è
grandissima
necessità e la supplico anche per parte di tutti, si degni
con autorità
e favor suo aiutar questo negozio nel che rimettendomi ad
esso prevosto,
bacio umilmente la mano a V.S. illustrissima e me le
raccomando in grazia
Di Castelnuovo 8 gennaio 1584
Di V.S. illustrissima e reverendissima
Umilissimo e obbligatissimo
Servitore Francesco
vescovi di Novara.
Codogno (Lodi) 12 gennaio 1584[43]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Due lettere di V.S. illustrissima del 23 del passato e 2 di
questo mi sono
capitate in un medesimo tempo, e la ringrazio del favore che
mi ha
fatto in scrivere al signor cardinale di Como per il signor
Lichtenaur, e della parte
che mi dà delle cose dei Grigioni, che il Signore Dio
aumenti per sua santa gloria
e salute di quei popoli, e sebbene le mie orazioni sono
deboli ne tengo
però quella memoria che devo di continuo.
Non ho ancora sentito che per parte del signor governatore
di Milano si sia fatta
cosa alcuna per il sacrilegio commesso al Borgo Lavezzaro,
spero però
che debba fare qualche provvisione, e avrei caro che facesse
far un bando
in Novara gagliardo, perché tengo gran passione in questo
negozio,
e con un simile bando che fece il signor duca di Savoia con
promessa di premio,
fu scoperto altre volte un simile sacrilegio in Vercelli.
Bacio umilmente
la mano a V.S. illustrissima e me la raccomando in grazia.
Di Codogno 12 gennaio 1584
Casalpusterlengo (Lodi) 16 gennaio 1584[44]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Nella chiesa di Lodi, e in diverse parti di questa diocesi,
ho trovato essere insieme molte compagnie di donne
di S. Orsola, e in diversi luoghi particolarmente dove
ne sono molte, ci sono di quelle che vivono collegialmente,
e dormono e mangiano in compagnia, e
si governano senza priora, e hanno la chiesa
accomodata, …. Un collegio di monache con i suoi
giorni …. s le giovani si
mantengono dei lavori che fanno, mettendoli in comunione,
e sebbene l’istituto di questa regola mi è parso sempre
di molto servizio di Dio, e io ho introdotte, e ho
aiutato sempre queste compagnie, non ho però
mai inteso che in verun paese vivessero in questa maniera
ma che stesseno alle loro case, e facendo … ai suoi
tempi le congregazioni, e dubito anche che il vivere
in … che non si obbligando ai voti e alla clausura
sia contro la bolla di Pio V di felice memoria. Ma il
volerle
poi obbligare ai voti e alla clausura sarebbe d’alea
considerazione per le molte qualità che si ….
concorrere, come sa benissimo V.S. illustrissima che
parendole
inteso, che in Milano ve ne sono di questi congregazioni
che vivono il collegio, desidererei sapere se è così
e come si governino. Onde supplico V. S. illustrissima resti
servita farmi sapere qualche …
e quando le parrebbe che io facessi in questo particolare.
Non voglio lasciar di dire a V.S. illustrissima la buona
inclinazione di questi popoli ai santissimi sacramenti che
per …. dove io sono
stato si sono comunicate
molte centinaia e centinaia di persone e
cresimati infiniti, e anche dei vecchi, e in tal
terra ci sono cresimati più di 1500 persone
sendo un pezzo che qua non vi è stata amministrata
la cresima, e perché io ho preso volentieri
questa fatica, essendone anche stato pregato
dal vicario di Lodi con molta istanza.
Il signor cardinale Alessandro mi scriveva con una lettera
ricevuta
di presente quello vedeva V.S. illustrissima dalla copia
che sarà con questa, e se ella giudicherà che io
vi metta le mani, la supplico si degni comandare
quanto le parrà, e avvisarmi anche di tutto quello
che le sovvenirà in questo particolare per essere
essa d’importanza per i gran disturbi che seguono
ben spesso da simili compagnie, come ella sa,
e mi perdoni V.S. illustrissima tanti fastidi che le do,
e le bacio umilmente la mano, raccomandandomela in grazia.
Di Casalpusterlengo 16 gennaio 1584
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Ospedaletto (Lodi) 23 gennaio 1584[45]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Mi rincresce di non poter mandare di presente il vicario che
tengo qua meco a Novara
per fare quanto V.S. illustrissima comanda, e servir mons.
reverendissimo di Parma, che l’uno e l’altro vorrei, e sarebbe debito mio di fare, ma essendo di
presente nella visita dei luoghi
più insigni della diocesi dove non mi manca che fare, e
attendo anche a …
le scritture delle visite fatte, e avendomi a dar conto esso
vicario di quel
che egli ha visitato, che è la maggior parte di questa
diocesi, non potrei far senza la
presenza sua, né differirlo ad altro tempo senza molto
incomodo mio e di
questo clero, oltre al particolare della spesa che pur anche
molto importa, essendo
appunto questo il tempo che più mi bisogno dell’opera del
mio vicario che abbia
mai fatto da che sono in questa visita. Vorrei poter essere
io a Novara per ricevere
favore da mons. di Parma, che buona pezza fa l’ho desiderato,
ma
il lasciar ora che si tratta della conclusione d’ogni cosa
non è possibile per le
ragioni che può saper molto bene V.S. illustrissima la qual
supplico di perdoni e mi scusi
anche con Sua Signoria reverendissima che veramente ne sono
dispiaciuto, ma di quella sua lite
dovrà far conto un delegato in quella causa particolare a
cui l’ho commessa ad
intercessione anche dei ministri di Sua Signoria
reverendissima e finisco con baciar umilmente
la mano a V.S. illustrissima e racco mandole in grazia.
Da Ospedaletto 23 gennaio 1584
Supplico V.S. illustrissima a scusarmi e perdonarmi se non
faccio ora quanto
mi comanda. E insieme resti servita darmi risoluzione per
conto delle differenze che sono tra i curati e le fraternità
di
Lodi, acciò se le possa
dar qualche spedizione in tempo, che io
lo riceverò da lei per gran particolare.
Umilissimo e obbligatissimo
Servitore Francesco vescovo di Novara.
San Colombano al Lambro (Lodi) 26 gennaio 1584[46]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Sono pregato da alcuni miei parenti a supplicare V.S.
illustrissima resti servita che si possa accettare nel
monastero
di S. Martino di Varese una figlia del fu
messer Gio. Pietro Bossi di Azzate; e perché me ne è
fatta grande istanza, e il suddetto messer Gio. Pietro
era mio amorevole, e perché la domanda mi pare onesta,
supplico V.S. illustrissima si degni far questa grazia,
e a loro e a me, che l’aggiungerò agli altri obblighi
che tengo infiniti alla benignità di V.S. illustrissima alla
quale bacio umilmente la mano, e la prego
dal Signore Dio lunga e felice vita.
Di san Colombano 26 gennaio 1584
Di V.S. illustrissima e reverendissima
Umilissimo e obbligatissimo
Servitore Francesco vescovo di Novara.
Il 26 gennaio 1584 da
San Colombano al Lambro (Lodi) Francesco Bossi supplica il cardinale Carlo
Borromeo di far accettare nel Monastero di S. Martino di Varese una figlia del
defunto Gio. Pietro Bossi di Azzate, suo conoscente, che è figliola dabbene.
Novara 4 aprile 1584[47]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Sebbene nella elezione dei predicatori per l’Avvento e
Quaresima in questa mia chiesa
cattedrale io non intendo di obbligarmi alla rata, o turno,
che è antico qua di avervi
or di una religione, e or di un’altra, non di meno perché
toccherebbe in quest’anno
ai reverendi padri Osservanti di S. Francesco per tal turno
di predicare in questa chiesa,
non ho voluto far di presente innovazione alcuna, ma mi è
nato non piccol desiderio
di tentare col nobilissimo mezzo di V.S. illustrissima
d’avere il reverendi padre Panigarola, che
sebbene egli è degno di maggior luogo, e città, non di meno
meriterebbe ricevere
questa grazia la gran devozione, che io e questo popolo
tutti teniamo al molto
valore e bontà di quel reverendo prete, oltre che essendo
qua, sarebbe anche vicino a
V.S. illustrissima e ella se ne potrebbe servire più
comodamente, che se fosse altrove;
onde supplico V.S. illustrissima con ogni utilità sia
servita favorirci per averlo
la quaresima prossima, che segue, o almeno all’Avvento, che
però sia per
seguirne gran frutto ad onore del Signore Dio, e salute di
queste anime.
Mi occorre anche di ricorrere al favore e consiglio di V.S.
illustrissima in un altro
particolare, ed è questo. Pretende il prete inquisitore di
questa città in virtù
del privilegio della Compagnia della Croce di poter
assolvere da tutti i casi
riservati alla Santa Sede Apostolica anche quelli che hanno
violato la clausura
dei monasteri, e d’ogni scomunica maggiore sebbene è
riservata l’assoluzione
d’essa a me nei casi che ho pubblicati; onde desidero saper
se ciò egli possa
fare, che quando avesse tale autorità potrei farmene avere
ricorso a
Roma per tale effetto, come mi è occorso ben spesso di fare,
ma quando
non abbia questa facoltà, come credo, specialmente nelle
scomuniche maggiori
che sono tutte riservate a me, vorrei avere particolare
dichiarazione,
e supplico V.S. illustrissima a procurarmela, poiché
l’inquisitore dice non essere sottoposto
a decreti del Concilio V e VI dove parmi che sia ciò molto
ben risoluto,
contro l’opinione dell’inquisitore, e mi perdoni V.S.
illustrissima di questo fastidio
e le bacio umilmente la mano, raccomandandomela in grazia.
Di Novara 4 aprile 1584
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 16 aprile 1584[48]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Ringrazio V.S. illustrissima della facoltà concessa di poter
assolvere
quelli che sono stati …. Di simonia, si come anche faccio
di quanto ha scritto ai signori cardinali San Giorgio e di
Como, sebbene
il signor cardinale San Giorgio ha provvisto
dell’arcidiaconato nel Buoniperto
che pur è stata assai buona elezione. Poiché intendo che si
è
provvisto di nuovo visitatore per il Piemonte, resta che
V.S. illustrissima
mi favorisca a far che parimenti si elegga un visitatore per
il rimanente della visita di Genova, e forse quel medesimo
del Piemonte potrà anche servire a questo, tanto più che ne
ha
dato principio visitando Sarzana, che era nella commissione
mia, e di presente tuttavia si trova in quello Stato, e io
potrò con qualche quiete attendere alla visita della mia
chiesa,
che pur ne ha bisogno.
Ho avuto alcune poche risoluzioni fatte nelle congregazioni
dei vicari foranei, ma non già quelli che appartengono a
essi
vicari, ne anche le funzioni episcopali, che V.S.
illustrissima scrive di
mandarmi, onde se ella resterà servita di farmele avere di
presente, io lo riceverò per molta grazia, e proverò di
cavarne
qualche frutto, e a V.S. illustrissima bacio umilmente la
mano, e me
le raccomando in grazia.
Di Novara 16 aprile 1584
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 21 giugno 1584[49]
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Non mancherò di venire costì come V.S. illustrissima
comanda, e venerdì
Piacendo a Dio, sarò a Milano, e dovendo esser da lei così
tosto,
non le dirà altro per ora, se non che le bacio la mano,
raccomandandomela
in grazia.
Di Novara 21 giugno 1584
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Novara 14 agosto 1584
Foglio pagina 0439
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
217
Non mancherò d’eseguire quanto V.S. illustrissima comanda, e
prudentissimamente racorda
intorno al mandar nota delle descrizioni delle anime al
signor Governatore di
questo Stato, e mi rincresce a non aver avuto prima questo
avviso, che
sarei andato più ritenuto a dargliene alcune poche, come
feci da principio
ce ne fui richiesto, ma poiché penetrai i pregiudizi che ne
potevano
seguire, non ci ho voluto far altro, ancor che mi sia stata
fatta più d’una
volta grande istanza, e maggiormente osserverò ciò per
l’avvenire, per quello
ce V.S. illustrissima mi ha scritto, alla quale debbo e
voglio ubbidire sempre,
e a V.S. illustrissima bacio la mano e me la raccomando in
grazia, pregandole
dal Signore Dio abbondanza d’ogni vero bene.
Di Novara 14 agosto 1584
Di V.S. illustrissima e reverendissima
umilissimo e obbligatissimo
servitore Francesco vescovo di Novara.
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio
colendissimo.
Quando vacò la Cappella di S. Antonio di Azzate, supplicai a
V.S.
Illustrissima restasse servita che si conferisse a Federico
mio nipote,
e perché non le parve bene, mi disse, che sarebbe stato
meglio a mettergli sopra una pensione per …, e così
se ne è fatta la spedizione a Roma, e io dissi a V.S. illustrissima
che da noi patroni s’era fatta elezione di un messer
prete Gaspare Bossi altre volte curato di Galliate, e che
si sarebbe mandato a Roma per farne spedir la bolla,
atteso che vi bisognava una dispensa per essere egli
dei Bossi, di che V.S. illustrissima mostrò restarne
soddisfatta. Morì
poi il detto prete Gaspare, ma non si faceva l’ispedizione
in Roma, e fu eletto Arcangelo Bossi, ch ora sta
nel seminario di S. Maria Francolina, e io lo dissi
anche a V.S. illustrissima mentre si veniva da Vercelli
l’anno
passato; soggiungendole di più, che egli era bastardo
ma che aveva la dispensa da Roma di poter ottenere
benefici, e V.S. illustrissima mostrò di contentarsene, onde
io
lasciai poi la cura all’Urbano già mio vicario, e ad altri
che
attendessero a questa ispedizione, e si sono levate le bolle
con
la dispensa per essere della famiglia dei Bossi, e
presentata,
come credo, al tribunale di V.S. illustrissima. Ora intendo
che per essersi fatta in tempo la presentazione a lei di
questo Arcangelo, ella pretende, che le sia devoluta
l’elezione
per questa volta. Io non voglio entrare in giudizio cum
Domino meo,
e non voglio, se non quello, che piace a V.S. illustrissima.
Dirò bene,
che questo rigore non si suole servare ordinariamente, e
credo
anche, che ella abbia lasciato d’usarlo molto in
simili casi; e tanto maggiormente dovrà degnarsi di farlo al
presente
quanto che il tutto è passato sinceramente e partecipato da
me
a V.S. illustrissima e spero, che tanto debba bastare
appresso
alla benignità e demenza di lei, che io gliela abbia detto
a bocca, come si Arcangelo fosse stato presentato in actis,
ma quando non vi fosse anche stata alcuna cosa di questo,
la supplico ad aver compassione alle molte e gravi spese,
che
si sono fatte in Roma per la pensione, e per la bolla, che
passano più di cento scudi; e questo povero giovane
resterebbe
tutto rovinato, e sarebbe anche questo di gran pregiudizio a
noi patroni, e gli altri si dorrebbero di me, che li avessi
lasciati ricorre in questo di nuovo, poiché per attendere
alla
mia chiesa non ho tenuto tutto quel pensiero a questo
negozio, che si doveva; per il che supplico V.S.
illustrissima con ogni
affetto dell’animo suo, resti servita di rimettere questo
rigore della ragione in grazia mia, e condonarmi ogni errore
che si sia fatto in questo caso, e io la assicuro che la
cappella
di S. Antonio sarà ben servita da Arcangelo, e io ne farò
tanto
più conto, che se fosse in mano d’altri senza pensione, e me
me resterò con quell’obbligo a V.S. illustrissima come se mi
concedesse
qualsivoglia gran cosa per me proprio. E a V.S.
illustrissima
umilmente bacio la mano e me le raccomando in grazia.
Di Trecate 1 settembre 1584
Di V.S. illustrissima e reverendissima
Umilissimo e obbligatissimo
Servitore Francesco vescovo di Novara.
Supplico V.S. illustrissima resti servita a farmi ogni modo
la suddetta grazia,
che se ne sogliono far ben spesso di simili,ancor che non
sia fatta la presentazione in tempo, e si assicuri V.S.
illustrissima
che io terrò mano che la cappella sia ben servita, e
accomodata
nei suoi bisogni, più che se fosse data ad altri senza
alcuna
pensione, e ch ella non avrà causa di sentirne scrupolo
alcuno di coscienza, ma di restarne ben soddisfatta; e già
V.S. illustrissima si è contentata che mio nipote abbia la pensione
sopra
questa cappella, e spererei che quando non vi fosse anche il
Juspatronato, e non si fossero fatte tante spese, che ella
però
dovesse farne grazia di compiacermene. Ma quando
pure ella non si risolvesse a farmi questa grazia, il che
non
posso persuadermi, almeno si degni supersedere di far altra
deliberazione sopra di ciò, sin che io possa parlar con
lei, e il
tutto riconoscerò dalla sua molta benignità, e l’aggiungerò
io al cumulo degli altri obblighi che le tengo infiniti,
e di nuovo me le raccomando umilmente in grazia le prego
ogni
vera felicità.
Poiché non fu
possibile eleggere Federico Bossi alla cappellania di S. Antonio di Azzate, per
mancanza di requisiti, i patroni e lo stesso Francesco Bossi avevano scelto un
nuovo beneficiato nella persona del prete Gaspare Bossi, altre volte curato di
Galliate.
Morto il predetto nel
1581 si fece una nuova elezione in Arcangelo Bossi che frequentava il seminario
di S. Maria Fulcorina, ma la dispensa da Roma non arrivò mai.
Francesco Bossi il 1°
settembre 1584 da Trecate supplica il cardinale Carlo Borromeo di ottenere da
Roma l’elezione, scusandosi di non aver prestato quell’attenzione che sarebbe
stata di molto giovamento, se non fosse stato preso dai suoi impegni
istituzionali.
Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone
colendissimo.
Monsignore di Novara mio zio è giunto per quello che
umanamente
si può dire al fine dei giorni suoi e in
questo punto ha ricevuto il Santissimo Sacramento con il
viatico e ha a me commesso che io supplisca V.S.
illustrissima
che ella resti servita farle grazia di aiutarlo
e farlo aiutare con le sue orazioni e
insieme favorirlo con sua santa benedizione e
col venire a consolarlo avanti che finisca di
morire e a chiudergli gli occhi io insieme
con i miei fratelli ne supplico a V.S. illustrissima per la
serenità che sempre ha tenuto seco la mia
casa, assicurandola che questa sarà conosciuta
da tutti noi per grazia …. di che
ne resteranno perpetuamente tenuti a V.S. illustrissima
alla quale con umiltà bacio le mani e me
le raccomando in grazia.
Di Novara 18 settembre 1584
Di V.S. illustrissima e reverendissima
servitore certissimo Egidio Bossi.
Il 18 settembre 1584
Egidio Bossi si trova a Novara ad assistere lo zio vescovo morente.
Supplica il cardinale
Carlo Borromeo di portarsi al suo capezzale avendo egli richiesto con molta
insistenza la sua ultima benedizione.
LETTERA DEI CANONICI
E CAPITOLO DELLA CHIESA DI NOVARA AL CARDINALE DI S. PRASSEDE.
Novara 18 settembre 1584[53]
Illustrissimo e reverendissimo Antistes.
(In latino, non si trascrive)
Il capitolo di Novara,
essendo ormai prossima la morte del loro vescovo Francesco Bossi, supplica il
cardinale Carlo Borromeo a presenziare al concilio provinciale che si terrà
prossimamente.
Quando Carlo Borromeo nel 1565
fece il suo ingresso a Milano come arcivescovo la chiesa ambrosiana versava in
ben tristi condizioni
Gli arcivescovi erano considerati dei signori che governavano mediante vicari, uno dei titoli ecclesiastici più prestigiosi dato il pingue beneficio connesso. Così nel 1497 venne fatto arcivescovo di Milano Ippolito d' Este che aveva il titolo onorifico di Cardinale ma aveva solo 18 anni, non era ovviamente sacerdote e non fu uno stinco di santo
Nel 1515 rinunciò a favore del nipote Ippolito II che divenne sacerdote molto più tardi sotto l’episcopato di Carlo. Ippolito non venne mai a Milano (quando lo zio gli lasciò il titolo aveva 10 anni) ma cedette la diocesi con regolari contratti a Giovanni Angelo Arcimboldi 1550-1555 ed a Filippo Archinti 1556-1558.
Il primo fu ottimo prelato, il secondo non poté porre piede a Milano perché antipatico al governatore spagnolo
L' assenteismo dei vescovi aveva provocato l' allentamento della disciplina, la moralità era scesa a livelli molto bassi mentre era in sensibile aumento la litigiosità clericale, il tutto favorito da infinite esenzioni, privilegi, dispense
Si aggiunga la spaventosa ignoranza del clero, specialmente di quello in cura d' anime: molti curati non sapevano la forma sacramentale della confessione, anzi non si confessavano , ritenendo di essere esentati dato che confessavano gli altri
I monasteri femminili erano diventati pensionati per zitelle forzate dove pettegolezzo ed ozio avevano sostituito preghiera e penitenza mentre parecchi conventi maschili erano dei comodi alloggi dove si facevano lucrosi affari
Carlo Borromeo agì senza esitazione, richiamando energicamente il clero al decoro, all' obbligo della residenza, alla pulizia delle chiese ad evitare l' avarizia che arrivava ad eccessi scandalosi, specialmente per i funerali.
Rese obbligatoria la grata nei confessionali e nei parlatori, sostituì i superiori indegni o inetti, incontrando l' opposizione di quanti difendevano i propri privilegi. E' noto l' episodio dell' archibugiata sparatogli da frate Gerolamo Donato ( 26 ottobre 1569) ma non tutti sanno che non poté far visita al capitolo di S. Maria della Scala perché i canonici, temendo per i loro privilegi, lo buttarono fuori, armi alla mano. Era il 24 agosto 1569.
Carlo Borromeo organizzò una moderna ed efficiente rete amministrativa, sopprimendo le parrocchie inutili e raggruppando quelle valide, così da avere sempre sottomano la situazione. Ma soprattutto si preoccupò dell' istruzione ed educazione del clero.
Agì in due modi: istituì una congregazione di sacerdoti che condussero vita in comune a disposizione dell' arcivescovo, gli uffici che dovevano esercitare erano visitare le chiese, fungere da parroci ove necessario, adempiere gli uffici sacri come cappellani nei monasteri femminili, insegnare i rudimenti della dottrina cristiana, dirigere i collegi istituiti da S. Carlo
Sorsero così gli Oblati con bolla di Gregorio XIII del 26 Aprile 1578. Ma per formare un clero efficiente e conscio dei propri doveri erano necessarie apposite scuole: i seminari. Il primo seminario milanese fu inaugurato il 10 dicembre 1564 ( ricordiamo che S. Carlo era stato nominato arcivescovo nel 1560 anche se l' ingresso ufficiale avvenne 5 anni dopo. Questo seminario comprendeva alcune casette presso il Carrobbio e vi trovarono alloggio 34 seminaristi, mentre 55 erano gli allievi esterni. Dopo circa un anno il 29 settembre 1565 ebbe una sede più ampia e decorosa: il seminario di corso Venezia ora centro pastorale Paolo VI. Nel 1568 fu eretto il seminario di S Giovanni alle Case rotte del quale però non abbiamo notizie precise, seguì nel 1570 quello della Canonica con programmi di studio ridotti, per giovani non particolarmente dotati; probabilmente nel 1579 fu istituito il seminario di S. Maria Fulcorina che prevedeva diverse categorie di alunni di cui una riservata a preti che dovevano essere rieducati in quanto inetti, ignoranti o poco virtuosi. Infine nel 1579 venne fondato il collegio Elvetico allo scopo di provvedere il clero per le diocesi soggette alla crisi protestante.
Gli arcivescovi erano considerati dei signori che governavano mediante vicari, uno dei titoli ecclesiastici più prestigiosi dato il pingue beneficio connesso. Così nel 1497 venne fatto arcivescovo di Milano Ippolito d' Este che aveva il titolo onorifico di Cardinale ma aveva solo 18 anni, non era ovviamente sacerdote e non fu uno stinco di santo
Nel 1515 rinunciò a favore del nipote Ippolito II che divenne sacerdote molto più tardi sotto l’episcopato di Carlo. Ippolito non venne mai a Milano (quando lo zio gli lasciò il titolo aveva 10 anni) ma cedette la diocesi con regolari contratti a Giovanni Angelo Arcimboldi 1550-1555 ed a Filippo Archinti 1556-1558.
Il primo fu ottimo prelato, il secondo non poté porre piede a Milano perché antipatico al governatore spagnolo
L' assenteismo dei vescovi aveva provocato l' allentamento della disciplina, la moralità era scesa a livelli molto bassi mentre era in sensibile aumento la litigiosità clericale, il tutto favorito da infinite esenzioni, privilegi, dispense
Si aggiunga la spaventosa ignoranza del clero, specialmente di quello in cura d' anime: molti curati non sapevano la forma sacramentale della confessione, anzi non si confessavano , ritenendo di essere esentati dato che confessavano gli altri
I monasteri femminili erano diventati pensionati per zitelle forzate dove pettegolezzo ed ozio avevano sostituito preghiera e penitenza mentre parecchi conventi maschili erano dei comodi alloggi dove si facevano lucrosi affari
Carlo Borromeo agì senza esitazione, richiamando energicamente il clero al decoro, all' obbligo della residenza, alla pulizia delle chiese ad evitare l' avarizia che arrivava ad eccessi scandalosi, specialmente per i funerali.
Rese obbligatoria la grata nei confessionali e nei parlatori, sostituì i superiori indegni o inetti, incontrando l' opposizione di quanti difendevano i propri privilegi. E' noto l' episodio dell' archibugiata sparatogli da frate Gerolamo Donato ( 26 ottobre 1569) ma non tutti sanno che non poté far visita al capitolo di S. Maria della Scala perché i canonici, temendo per i loro privilegi, lo buttarono fuori, armi alla mano. Era il 24 agosto 1569.
Carlo Borromeo organizzò una moderna ed efficiente rete amministrativa, sopprimendo le parrocchie inutili e raggruppando quelle valide, così da avere sempre sottomano la situazione. Ma soprattutto si preoccupò dell' istruzione ed educazione del clero.
Agì in due modi: istituì una congregazione di sacerdoti che condussero vita in comune a disposizione dell' arcivescovo, gli uffici che dovevano esercitare erano visitare le chiese, fungere da parroci ove necessario, adempiere gli uffici sacri come cappellani nei monasteri femminili, insegnare i rudimenti della dottrina cristiana, dirigere i collegi istituiti da S. Carlo
Sorsero così gli Oblati con bolla di Gregorio XIII del 26 Aprile 1578. Ma per formare un clero efficiente e conscio dei propri doveri erano necessarie apposite scuole: i seminari. Il primo seminario milanese fu inaugurato il 10 dicembre 1564 ( ricordiamo che S. Carlo era stato nominato arcivescovo nel 1560 anche se l' ingresso ufficiale avvenne 5 anni dopo. Questo seminario comprendeva alcune casette presso il Carrobbio e vi trovarono alloggio 34 seminaristi, mentre 55 erano gli allievi esterni. Dopo circa un anno il 29 settembre 1565 ebbe una sede più ampia e decorosa: il seminario di corso Venezia ora centro pastorale Paolo VI. Nel 1568 fu eretto il seminario di S Giovanni alle Case rotte del quale però non abbiamo notizie precise, seguì nel 1570 quello della Canonica con programmi di studio ridotti, per giovani non particolarmente dotati; probabilmente nel 1579 fu istituito il seminario di S. Maria Fulcorina che prevedeva diverse categorie di alunni di cui una riservata a preti che dovevano essere rieducati in quanto inetti, ignoranti o poco virtuosi. Infine nel 1579 venne fondato il collegio Elvetico allo scopo di provvedere il clero per le diocesi soggette alla crisi protestante.
Da Sciroeu de Milan
Accademia
Milano la storia
di Gino Toller Melzi
Luglio-Agosto 2006
Accademia
Milano la storia
di Gino Toller Melzi
Luglio-Agosto 2006
[1] Foglio pagina 0140, 104.
[2] Foglio pagina 0241, 155.
[3] Di Milano.
[4] Foglio pagina 0361, 216.
[5] Foglio pagina 0078, 79.
[6] Foglio pagina 0247, 141.
[7] Foglio pagina 0256, 145.
[8] Foglio pagina 0338, 179.
[9] Guglielmo V Wittelsbak
duca di Baviera.
[10] Figlio di Beatrice Bossi
e Pietro Francesco Calchi. Fu genero di Pompeo Leoni di cui sposò la figlia
Vittoria. Alla morte del suocero nel 1610, con la Casa degli Omenoni, loro
abitazione, eredita i disegni ed i manoscritti di Leonardo da Vinci (oggi
conosciuti come Codice Atlantico e Collezione di Windsor) venduti poi nel 1622
al conte Galeazzo Arconati per 300 scudi, una cifra allora ragguardevole, che
ne fece dono all’Ambrosiana nel 1637.
[11] Foglio pagina 0216, 125.
[12] Foglio pagina 0356, 188.
[13] Foglio pagina 0222
[14] Foglio pagina 0237, 163.
[15] Foglio pagina 0030, 16.
[16] Foglio pagina 0060, 32.
[17] Foglio pagina 0360, 175.
[18] Foglio pagina 0271, 176.
[19] Foglio pagina 0393, 242.
[20] Foglio pagina 0166, 86.
[21] Foglio pagina 0029, 15.
[22] Giovanni Botero
(1544-1617).
[23] Foglio pagina 0283, 186.
[24] Camilla Borromeo Gonzaga
principessa di Guastalla e di Molfetta.
[25] Ludovico Owen.
[26] Foglio pagina 0397
[27] Foglio pagina 0174, 130.
[28] Reggio Emilia.
[29] Nicola Mascardi vescovo
di Brugnato.
[30] Foglio pagina 0156, 79.
[31] Foglio pagina 0157, 80.
[32] Foglio pagina 0158, 81.
[33] Foglio pagina 0211, 134.
[35] Foglio pagina 0319, 171.
[36] Foglio pagina 0274, 136.
[37] Foglio pagina 0273, 135.
[38] Foglio pagina 0275, 137.
[39] Foglio pagina 0276, 138.
[40] Consigliere del duca di
Baviera.
[41] Cardinale Tolomeo Gallio.
[42] Foglio pagina 0382, 191.
[43] Foglio pagina 0389, 194.
[44] Foglio n. 0383, 192.
[45] Foglio pagina 0381, 190.
[46] Foglio pagina 0380, 189.
[47] Foglio pagina 0426, 213.
[48] Foglio pagina 0425, 212.
[49] Foglio pagina 0482, 241.
[50] Varese.
[51] Foglio pagina 0507, 254.
[52] Foglio pagina 0241, 225.
[53] Foglio pagina 0301, 312.
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