Ora, la figura dell’inquisitore agisce, per sua natura, proprio sulla zona più orrorifica della nostra fantasia: E’ un’istantanea mentale, fotografata attraverso l’obiettivo di conoscenze acquisite negli anni, dalla scuola o dai liberi e films, appunto. La figura dell’inquisitore è quella dell’uomo incappucciato, avvolto in una mantella nera come la pece, che si aggira in sotterranei che stillano gocce di umidità, dove l’aria è putrida e risuona del cigolio di macchine che chissà quale mente distorta ha fabbricato in funzione della “verità” e della “fede”. Eccolo, è lui, entra in quella sala, proprio in quella da dove provengono cigolii e urla che di umano non hanno più nulla: sotto il braccio destro tiene un registro, lo apre, ripropone al malcapitato la solita lista di accuse e, con l’indice puntato, gli intima: “Confessa!”.
L’inquisitore e il suo indice, col quale addita colpevoli
e colpe, eretici e miscredenti, maghi e streghe. E che decide della vita o,
piuttosto, della morte di persone per lo più innocenti. Una storia iniziata, in
territorio italiano, intorno al XIII secolo per concludersi, con le ultime
storie, alla fine del Settecento, quando già dalla Francia spirava l’aria nuova
di una filosofia razionale e illuminata.
Nel caso però di Melchiorre
Crivelli, primo inquisitore milanese del quale si abbia qualche sparuta
notizia, l’indice assume una duplice valenza: la necessità di puntare il dito
contro il colpevole, va da sé, ma anche l’emergenza di individuare, segnalare e
prontamente annotare in apposito registro tutti quei libri, di qualsiasi
“paternità” fossero, che costituissero
una qualche minaccia per la dottrina professata dalla Chiesa di Roma. Appunto,
l’indice: L’indice dei libri proibiti, l’elenco dei testi temuti da tutta la
cristianità cattolica – soprattutto negli anni della Controriforma -, volumi
che dovevano essere evitati, scansati come la peste, per non essere contagiati
dai bacilli dell’eterodossia. Perché un inquisitore non dovesse puntare contro
un altro pover’uomo (o un’altra poveretta( il suo “manuale”.
Del Crivelli si sa poco, o nulla. Complice il fatto che la
sua azione si svolse nella cornice temporale immediatamente precedente lo
scoppio della vera e propria epidemia inquisitoria, scatenata dal Concilio di
Trento; in un’epoca, quindi, nella quale ancora la figura dell’inquisitore può
essere ritenuta marginale o, comunque, complementare ad altre, non
indispensabile, non certo il protagonista della difesa della Chiesa. E, in
questo senso, la vicenda del Crivelli, nonostante quel poco che se ne sa,
risulta a suo modo esemplare.
Crivelli, intanto. Solo un nome? Per Milano, no. Uno dei
Nomi, una delle famiglie milanesi per eccellenza, la cui esistenza a Milano è
già accertata nell’XI secolo. Nel secolo seguente la famiglia occupa già una
posizione di rilievo, poiché tale Uberto, omonimo del capostipite della casata, fu arcivescovo di Milano, per sedere
poi sul seggio romano di San Pietro come pontefice, col nome di Urbano VIII.
Nel Duecento, secondo gli studi condotti da Giorgio Giulini, i Crivelli si
erano già imposti come la famiglia più potente della città. Da lui discendono i
vari rami della famiglia, tutti attestati nel territorio adiacente Milano, fra
l’Alto Milanese e la Pianura Padana, segnalandosi in ogni caso per la presenza
di membri illustri e di rango, prestigiosi per i titoli acquisiti, nonché per i
servigi resi sul piano militare tanto su quello ecclesiastico. Nella seconda
metà del Quattrocento (periodo in cui nacque il nostro inquisitore Melchiorre),
tale Ugolino Crivelli fondò il monastero degli Olivetani a Nervino, mentre poco
dopo un Alessandro Crivelli ottenne la porpora cardinalizia.
Una data di nascita approssimativa per Melchiorre Crivelli
è stata stimata intorno al 1486. Milano sarebbe (ma il condizionale è
d’obbligo) la città che gli diede i natali. Senz’altro seguì studi approfonditi
e la sua formazione, data la famiglia di provenienza, non poté che essere
curata e organica. Non si sa né dove né come avvenne. Di certo, il Crivelli
arrivò a vestire l’abito bianco e nero dei domenicani e i documenti del tempo
lo citano come professore di teologia, disciplina nella quale, si sa, i
domenicani non erano secondi a nessuno.
Fu papa leone X – al secolo, Giovanni de’ medici – a
conferirgli, nel 1518, la nomina di inquisitore generale per la diocesi di
Milano. Non solo, Dal sommo pontefice il Crivelli ricevette l’esplicita licenza
di potersi adoperare, con le armi dell’Inquisizione, contro chiunque ritenesse
meritevole di essere sottoposto a “verifiche” circa la propria ligia
ortodossia. Un “chiunque” che comprendeva anche uomini che indossavano l’abito
talare.
L’urgenza con la quale il papa mediceo conferiva tale
incarico al Crivelli lo si può facilmente giustificare con il carattere sui generis della comunità religiosa
milanese, non proprio immune, nei secoli precedenti, al fascino esercitato da
correnti eterodosse provenienti da Oltralpe, e la pataria che ne è forse
l’esempio più celebre. Nel resto d’Italia, tuttavia, nel periodo in cui il
nostro ricevette il suo incarico, non si segnala un’attività particolarmente
frenetica dei tribunali dell’Inquisizione che, anzi, sembravano languire in un
pacato lassismo. Eppure le 99 tesi di Lutero erano già state affisse. Il germe
dell’eresia protestante si stava diffondendo nell’Europa continentale,
conquistando – si veda il caso del mondo tedesco – anche interi principati, a
partire dei loro stessi principi.
Vero. L’Italia – come del resto la Spagna e, in genere,
l’area mediterranea – fu solo marginalmente toccata dalla idee di Lutero e dei
suoi epigoni. Ciò nonostante, se si mettono a confronto i dati concernenti i
processi svolti a Milano con quelli tenuti nel resto del suolo italico nel
periodo 1530-1550, la differenza balza agli occhi. La frequenza e l’intensità
con cui lo zelo tutto domenicano di Melchiorre Crivelli individuò potenziali
colpevoli, fino a farli diventare eretici rei confessi da bruciare sul rogo,
fanno notizia. Uno zelo degno persino dell’encomio del nuovo pontefice, Paolo
III.
Non erano altrettanto entusiastiche dell’abnegazione della
quale il Crivelli dava prova senza soluzione di continuità le altre autorità
ecclesiastiche meneghine, a partire dall’arcivescovo. I processi imbastiti per
volontà dell’inquisitore generale si svolsero, per lo più, grazie all’aiuto
offerto dal Senato milanese, dunque da magistrati laici, i quali non esitarono
persino a segnalare presso il pontefice – con lode e plauso – il lavoro svolto
dal Crivelli.
E fu sempre in forza della stretta collaborazione con il
Senato che prese corpo l’idea di quella famigerata lista di libri proibiti, da
miscredenti, che avrebbe condizionato la vita dei cattolici fino a tempi non
molto lontani.
Già, a Melchiorre Crivelli si deve, in Italia, il primo
Indice dei libri banditi a motivo dei loro contenuti e dei loro autori, non in
linea con l’ortodossia cattolica. Fu una grida del Senato ad annunciare, con
grande clamore, la pubblicazione di questa lista di proscrizione editoriale,
con un provvedimento che diventò legge il 3 dicembre 1538.
Insomma, in un periodo in cui, nonostante l’ampia
circolazione delle idee luterane nell’Europa mitteleuropea, le supreme autorità
ecclesiastiche dormivano sonni tranquilli, l’inquisitore Crivelli si preoccupò
di passare al setaccio codici, manoscritti e quant’altro, per identificare un
potenziale pericolo, la possibile sorgente di una fede corrotta. Non
sottovalutava – è evidente – il potere di una ideologia, di una teoria, di una
dottrina sul comportamento delle masse. Era ben conscio, di una dottrina sul comportamento
delle masse. Era ben coscio che un libro potesse diffondere idee dalle quali
guardarsi, perché dalle idee nascono azioni. Soprattutto però (è lecito
dedurlo) il Crivelli non poté muoversi a caso fra catalogazioni più o meno
esaustive e fra gli scaffali delle biblioteche. Non gli sarebbero bastate le
proverbiali sette vite di un gatto per stilare il suo elenco. La sola ipotesi
che trova consistenza porta a riconoscere al Crivelli, di base, una
preparazione molto accurata in vari ambiti dello scibile umano di allora, tale
da consentirgli con una certa agilità fra autori, ambiti e opere …..
(alcune pagine non sono disponibili in Internet).
… carità, estranea al formalismo dei dogmi. Motivi per cui
quelle stesse opere che il Crivelli in persona aveva approvato avrebbe dovuto
poi condannarle al rogo, in quanto colpite, come il suo autore, dalla condanna
del pontefice Paolo IV, che le pose all’Indice.
Nel 1550 Milano accolse un nuovo arcivescovo nella persona
di Giovanni Angelo Arcimboldi, residente della diocesi, come da prescrizioni
conciliari. L’Arcimboldi non aspettò a manifestare il suo dissenso per
l’ampiezza di poteri e movimenti della quale godeva il Crivelli, anche e
soprattutto in fatto di eresia. Si lamentò direttamente col papa per le continue
interferenze nel suo lavoro, dovute a interventi e azioni non richieste del
Crivelli. Era chiaro l’obiettivo del nuovo arcivescovo: legare a doppio filo il
tribunale dell’Inquisizione alla propria, esclusiva autorità. Non erano più i
tempi del lassismo clericale riguardo alla proliferazione dell’eterodossia. Non
erano più i tempi in cui un Senato poteva esporsi e sostenere una figura di
inquisitore non gradita alla massima autorità religiosa in loco. La parola
dell’arcivescovo fu sufficiente a procurare la caduta di Crivelli, sostituito,
nell’esercizio delle sue funzioni e sotto la rigida autorità dell’Arcimboldi,
dal canonico Bonaventura Castiglioni.
Crivelli, povero inquisitore “incompreso”, vittima del suo
stesso zelo, quando la caccia a miscredenti diventò appannaggio dei “grandi”
della Chiesa, spirò a Milano, città della quale era rimasto comunque vescovo
ausiliare per volontà di Carlo Borromeo (ma in teoria, più che nella sostanza),
il 7 ottobre 1561. Alle mura di Sant’Eustorgio il compito di preservare in
silenzio le sue spoglie dalle fiamme di quel rogo che nessun inquisitore poté
mai eguagliare: il tempo e la sua giustizia.
(Estratto da: I personaggi più malvagi della storia di
Milano, di Andrea Accorsi, Daniela Ferro).
Nacque nel 1486,
probabilmente a Milano. In quale anno, e dove, abbia vestito l'abito domenicano,
quali siano stati i suoi studi e i primi incarichi ricoperti nell'Ordine, non è
noto: sappiamo soltanto che, in documenti posteriori, figura con il titolo di
professore di teologia, senza però che si posseggano indicazioni circa una sua
eventuale attività di docente.
Il
primo documento conosciuto che lo riguarda è il breve del 28 ag. 1518 con il
quale Leone X lo nominava inquisitore generale per la diocesi di Milano
"et alibi etiam, ubi opus erit", con ampie facoltà di procedere
contro chiunque, anche costituito in dignità ecclesiastica.
La
nomina del C. al delicato incarico av veniva in un periodo storico in cui la
crisi che travagliava la Chiesa sembra avere investito anche i tribunali del S.
Uffizio: rispetto all'assenteismo o all'impotenza delle autorità
ecclesiastiche, l'impegno del quale darà prova, negli anni successivi, il C.
nella repressione dell'eresia in un settore geografico particolarmente esposto
all'infiltrazione protestante pare rappresentare un'eccezione. Infatti,
nonostante la scomparsa dell'archivio dell'Inquisizione milanese, le notizie
frammentarie pervenuteci di processi condotti dal C. nel 1534, nel 1537, nel
1547 e nel 1549 inducono a ritenere che l'attività svolta da lui nella lotta
contro l'eresia fu tutt'altro che trascurabile, cosa di cui, peraltro, lo
stesso Paolo III doveva dargli atto in un breve del 12 luglio 1536. Non
potendo, però, contare, in questa sua azione, sulla collaborazione delle
autorità ecclesiastiche locali, il C. fu costretto a valersi dell'appoggio del potere
laico, e in particolare del Senato milanese, il quale, nel 1543, in una lettera
indirizzata al pontefice, ne avrebbe esaltato lo zelo e le benemerenze,
intercedendo in suo favore per l'ottenimento di una pensione.
La collaborazione con il Senato spiega
motivo per cui uno degli atti più significativi del C. come inquisitore - e
cioè elaborazione del primo Indice dei libri proibiti pubblicato in Italia - fosse reso esecutivo, il 3 dicembre
del 1538, con una grida emanata del supremo consesso milanese.
Benché, quindi, il provvedimento proibitivo
fosse formalmente un atto del potere laico, in esso veniva esplicitamente
dichiarato che l'elenco delle opere vietate era stato predisposto dall'inquisitore.
Tale elenco costituisce una significativa testimonianza, oltre che della
preparazione culturale del C., anche dell'attenzione da lui dedicata al
problema della circolazione delle dottrine ereticali per mezzo della stampa, in
un momento in cui la gravità della questione sembra essere stata ancora
sottovalutata dalle autorità ecclesiastiche. Nell'Indice milanese,
comprendente un totale di 46 voci, compaiono, oltre alle opere di autori più
antichi, come Hus e Wycliffe e ai primi lavori conosciuti di Lutero, Melantone
ed Ecolampadio, anche il Catechismus di Calvino - e cioè, più esattamente, la Instruction et confession de
foy - la cui prima
edizione era dell'anno anteriore, il 1537. Né gli sforzi del C. per contrastare
la diffusione dei libri eretici doveva limitarsi a questa iniziativa, perché
risulta che, nel 1543, egli aveva elaborato un altro Indice di
opere proibite contenente nomi di più di cento autori, che, però, non ci è
pervenuto.
È probabile che le benemerenze acquisite
dal C. nel disimpegno del suo ufficio siano presto valse a far conoscere il suo
nome negli ambienti della Curia e della corte pontificia. Fatto sta che nel
concistoro del 20 febbr. 1540, Paolo III lo nominava vescovo della diocesi in partibus di
Tagaste, designandolo contemporaneamente ausiliare - o, come si diceva allora,
suffraganeo - del vescovo di Vercelli Pietro Francesco Ferrero ed
assegnandogli una pensione di 200 ducati d'oro di camera; nel 1544, quindi, il
cardinale Ippolito II d'Este, che nel corso dei trentun
anni durante i quali fu titolare del seggio arcivescovile di Milano mai vi
risiedette, lo nominava proprio vescovo ausiliare con pieni poteri e titolo di
visitatore generale della diocesi.
Se il C. abbia effettivamente svolto la
carica di ausiliare di Vercelli non è dato sapere; ciò che è certo, invece, è
che esercitò con il suo abituale impegno quella di ausiliare di Milano, pur
cumulando tale ufficio con quello di inquisitore, almeno sino al 1553. Lo zelo
del C. nello svolgimento dei suoi compiti pastorali va certamente collegato,
oltre che con la sua peculiare personalità, anche con la sua appartenenza ai
circoli milanesi più direttamente influenzatidagliideali della Riforma
cattolica: significativi, al riguardo, sono i vincoli strettissimi che lo
univano ad AntonioMariaZaccaria ed ai primi membri della Congregazione dei
chierici regolari di S. Paolo Decollato, la vita dalla quale avrebbe
poi sempre seguito da vicino, assistendo persino ai capitoli generali;
significativo, altresì, è il fatto che, come inquisitore, avesse dato
l'approvazione alla pubblicazione della Cognitione et vittoria di se stesso (1531)
e dello Specchio interiore (1540) del domenicano Battista Carrioni,
cioè della personalità religiosa che maggior influsso spirituale esercitò sugli
ambienti milanesi impegnati nello sforzo di rinnovamento: l'ironia della sorte
farà sì che, nel 1552, nel clima più rigido della incipiente Controriforma
toccherà proprio al C., nella sua veste di giudice del S. Uffizio, di
provvedere al sequestro e al rogo delle opere del Carrioni, ormai colpite da
condanna papale. Purtroppo, anche qui, la scarsità di documenti della prima
metà del Cinquecento conservati nell'archivio della curia arcivescovile di
Milano nonconsentedi ricostruire l'attività svolta dal C. nella diocesi. Il
fatto, però, che tra le poche carte dei periodo pervenuteci figurino i decreti
emanati dal vescovo ausiliare in seguito alle visite compiute a Brebbia, nel
1545, ed a Romano, nel 1546, inducono a ritenere che svolse in questo settore
un'attività più ampia di quanto la documentazione rimasta attesti.
La situazione del C. doveva cambiare a
partire dal 1550, quando, dopo decenni di abbandono, la diocesi ebbe un prelato
residente nella persona di Giovanni Angelo Arcimboldi. Tra inquisitore e
arcivescovo sorsero ben presto motivi di attrito suscitati dalla volontà di
quest'ultimo di rivendicare la pienezza dei suoi poteri come giudice ordinario
in materia d'eresia. Già nel gennaio 1551, il C. faceva giungere a Roma le proprie lamentele, accusando
l'Arcimboldi di interferire indebitamente nelle competenze del S. Uffizio e di
mirare a farlo operare alle dipendenze dell'autorità arcivescovile. Nel
conflitto tra i due. poteri, chi finì con l'avere la meglio fu l'arcivescovo,
il quale otteneva dalla S. Sede la destituzione del C. e la nomina al suo
posto, nel 1553. di un sacerdote secolare, il canonico Bonaventura Castiglioni.
Negli
anni successivi si perdono le tracce del C.; il suo nome riappare soltanto nel
1560, in relazione alla sua conferma, da parte del nuovo arcivescovo di Milano,
il cardinale Carlo Borromeo, nell'ufficio di vescovo ausiliare, ufficio nel
quale, contro la sua volontà, verrà affiancato dal vescovo di Bobbio Sebastiano
Donato.
Il C.,
comunque, non era destinato ad esercitare ancora a lungo la carica: morì,
infatti, a Milano il 7 ott. 1561, e fu sepolto in S. Eustorgio.
(Estratto da: Dizionario biografico
degli italiani).
Il capo dell’inquisizione
milanese consacrò la chiesa di Sant’Agata di Basiglio
Quando fu costruita l’attuale
chiesa di Sant’Agata?
I documenti lasciati dai vari
parroci di Basiglio dalla fine del 1500, consultabili nell’archivio
parrocchiale, indicano un periodo compreso fra il l5l0 e il 1540. Su una data
però concordano tutti: la consacrazione della chiesa di Sant’Agata avvenne il 14
giugno 1545.
La data della consacrazione,
riferisce don Angelo Repossi, parroco di Basiglio, in un suo rapporto per
l’Arcivescovo di Milano Filippo Visconti redatto nel 1796, era indicata in una
scritta murale che si leggeva su una parete nel coro della chiesa. Con il
trascorrere degli anni e in conseguenza delle diverse coperture dei muri con la
calce per difendersi dalle ricorrenti epidemie di peste e di colera,
l’inscrizione andò perduta.
Una ricerca svolta nel ricco
archivio storico della Diocesi di Milano con la preziosa assistenza del suo
direttore Monsignor Bruno Bosatra ci ha consentito di accertare che la
consacrazione della chiesa di Sant’Agata, assente l’Arcivescovo titolare della
diocesi Ippolito II d’Este (figlio di Lucrezia Borgia), fu effettuata da un
tenace padre domenicano, Melchiorre Crivelli, Vescovo Suffraganeo e capo del
tribunale dell’Inquisizione di Milano che anticipò con il suo dinamismo
pastorale e con il suo fervore religioso alcuni principi basilari della
Controriforma scaturita dal Concilio di Trento che ebbe inizio nel dicembre
1545.
La prima metà del 1500, fino
all’arrivo di Carlo Borromeo, poi salito agli onori degli altari, fu un periodo
molto travagliato per la diocesi di Milano. Si stavano pericolosamente
diffondendo le idee della riforma protestante (a Milano nel 1519 era apparsa la
prima Bibbia commentata da Lutero); Ippolito II, nominato arcivescovo a soli 10
anni di età secondo la prassi nepotistica dell’epoca, non aveva mai messo piede
nella sua diocesi che rimase pertanto abbandonata per 31 anni; nel 1535 era
iniziata la dominazione spagnola sul territorio milanese che sarebbe durata per
oltre 170 anni. Furono alcuni religiosi, e fra questi Melchiorre Crivelli, a
prendere in mano la situazione e ad operare principalmente in due direzioni: la
lotta contro le eresie e la presenza costante nella diocesi per la diffusione e
per il consolidamento della religione cattolica nelle campagne e nelle località
più remote e trascurate del milanese.
Melchiorre Crivelli, nato
probabilmente a Milano nel 1486, domenicano, professore di teologia, fu
nominato Inquisitore Generale per la diocesi di Milano nel 1518 da Papa Leone X
con ampi poteri di procedere contro chiunque anche ecclesiastico fosse
colpevole o sospettato di eresia. Si hanno notizie di processi da lui condotti
fra il 1534 e il 1549. In
questa sua attività fu apprezzato anche da Papa Paolo III nel 1536.
Nel 1538 pubblicò e rese esecutivo
il primo Indice dei libri proibiti apparso in Italia (la prima edizione
comprendeva 46 opere: l’opera omnia di Wyclif e Hus, i commenti di Lutero sulle
Sacre Scritture, il Catechismo di Calvino, ecc.). Tutti gli studiosi che si
sono occupati di questo importante uomo della chiesa milanese gli accreditano
una notevole cultura. Nel 1544 Ippolito II d’Este, dalla sua residenza, lo
nominò Vescovo Suffraganeo e Visitatore Generale della diocesi di Milano con
ampie facoltà fra cui quelle “di promuovere agli ordini sacri e consacrare
nuove chiese” (da: Agostino Borromeo - Il domenicano Melchiorre Crivelli -
Studia Borromaica 1995 pag. 59). Melchiorre Crivelli esercitò con
molto zelo e con particolare impegno queste funzioni che cumulò con la carica
di Inquisitore Generale fino al 1550 quando al cardinale Ippolito 11 d’Este
subentrò l’Arcivescovo Arcimboldi.
Da un documento notarile della
Curia Arcivescovile dell’epoca risulta che fra il 1542 e il 1546 visitò tutte
le parrocchie della diocesi ed in questo periodo che si colloca appunto
la consacrazione della piccola chiesa di Sant’Agata di Basiglio.
Il giovane cardinale Carlo Borromeo
lo nominò a sua volta Vescovo Suffraganeo nel 1560. Melchiorre Crivelli mori a
Milano nel 1561 e fu tumulato nella storica chiesa di S. Eustorgio dove oggi
una lapide lo ricorda.
Brunello Maggiani
Maurizio Pietra (Milano, 21 marzo 1514 – Vigevano, 20 maggio 1576) è
stato un vescovo cattolico italiano.
Nacque
da una nobile famiglia milanese.
Era nipote di Galeazzo Pietra,
suo predecessore alla cattedra vigevanese, al quale successe alla morte di
questi nel 1552.
Già da tempo, svolgeva il compito di vescovo coadiutore di Vigevano durante gli anni della
vecchiaia dello zio con diritto a succedergli.
Eletto a questa carica il 27
ottobre 1552, vi celebrò la prima
messa solo nel 1554 disinteressandosi inizialmente al
governo effettivo della diocesi che venne affidata a Melchiorre Crivelli, vescovo titolare di Tagaste e vescovo coadiutore di
Vigevano. Di Maurizio Pietra sappiamo che però prese parte, la seconda domenica
di aprile dell'anno 1556, ad una seduta del concilio di Trento, del quale approvò molte
delle riforme e le riportò nella propria diocesi, dando subito il via ad un
ciclo di visite pastorali e fondando il primo seminario diocesano.
Nel 1572 tenne per la prima volta un sinodo
diocesano, coadiuvato in questo da San Carlo Borromeo il quale più volte lo invitò a
partecipare ai sinodi metropolitani tenutisi in Milano.
Morì a Vigevano il 20 maggio 1576 dopo aver contratto una febbre
tifoidea e venne sepolto presso l'altare del duomo cittadino, vicino al trono
episcopale.
(Estratto da Wikipedia).
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