Un tempo denominato Lago di Gavirate, trae le sue
origini lontane dalle vicende interglaciali delle nostre regioni e si presenta
oggi con una forma che ricorda tanto uno scarpone.
Si estende da occidente e a poca distanza dalla città
omonima, con una superficie di 14,52 Kmq. e una profondità massima di 26 metri;
il suo zero idrometrico è posto a 238 metri sul livello del mare.
All’origine si confondeva con i vicini laghi di Biandronno e
di Comabbio; attualmente un canale artificiale denominato Brabbia,
collega il Lago di Comabbio con quello di Varese, costituendone il principale
immissario; immissari minori sono rappresentati da due rogge, tre torrenti e
altri corpi idrici di scarsa rilevanza. Il suo emissario, il fiume Bardello, lo
mette in comunicazione con il vicino Lago Maggiore, dopo un sinuoso percorso di
12 chilometri. Nello specchio d’acqua prospiciente il territorio del Comune di
Biandronno si trova l’Isolino Virginia, una delle testimonianze più antiche
esistenti in Italia della civiltà dell’uomo delle palafitte; le sue lontane
origini si attribuiscono a cause antropiche, vale a dire cioè che probabilmente
con l’accumularsi delle vestigia dei ripetuti insediamenti umani, a poco a poco
è emersa quella terra che oggi ricopre a circa 120 centimetri di profondità
l’ultimo reliquato di una stazione palafitticola del nostro territorio. Questa
isola che appare ai nostri giorni un lembo di terra sul pelo dell’acqua, viene fatta
risalire all’anno 3584 a.C. L’antica nomenclatura topografica /XVI e XVII
secolo) denominava questo prezioso complesso di suolo, di vegetazione e di
fauna Isola San Biagio, che mutò poi in Isola Camilla, in omaggio
alla duchessa Camilla Litta Visconti.
Il 26 settembre 1878 la Società Italiana di Scienze
Naturali, in occasione del suo VII convegno tenutosi nell’isola, allo scopo di
esaminare la costituzione del suolo e i ritrovamenti archeologici, decideva di
cambiare il nome dell’isola da Camilla in Virginia, in omaggio alla moglie del
Cav. A. Ponti, proprietario dei luoghi.
Il 25 maggio 1962 il marchese Gianfelice Ponti ne faceva
donazione al Comune di Varese.
Attualmente l’isolino è affidato all’Azienda di Promozione
Turistica di Varese che ne cura dignitosamente il museo destinato ad accogliere
i reperti locali.
In passato il lago costituiva una delle maggiori fonti di
ricchezza per la popolazione, perché forniva in abbondanza pesce di notevole
pregio, e le paludi lacustri offrivano una grande varietà di cacciagione. Si
potevano trovare infatti animali stanziali, uccelli di passo, acquatici, di
ripa e anche le cicogne. I prodotti del lago erano molto ricercati, tanto che
nel ‘600 speciali grida facevano obbligo ai pescatori di consegnare il pesce fresco
al mercato del Verziere di Milano.
In epoca rinascimentale i ricchi possidenti del circondario
o avevano scelto come luogo ideale per trascorrere i mesi della villeggiatura:
ne sono testimonianza gli affreschi che si trovano nelle sale al pianterreno del
castello di Masnago che riproducono scene di villeggiatura in questi luoghi. Si
ritiene che il Lago di Varese abbia conosciuto il suo periodo di massimo
fulgore tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900; va rilevato che ancora dopo
il secondo conflitto mondiale il lago era uno dei più pescosi d’Italia ed era
sede di una associazione di canottieri che ebbe momenti di notorietà
internazionale grazie ad alcuni atleti che si affermarono a livello europeo;
inoltre, anche il nuoto era praticato con assiduità in queste acque.
Ma la situazione ora è diversa. Lo specchio d’acqua del
lago, una volta risplendente, è ora coperto per gran parte dell’anno da strati
putrescenti di alghe, squallida conseguenza della contaminazione
Cui il bacino è stato sottoposto nel corso degli ultimi 30
anni. Infatti, il Lago di Varese rappresenta il primo caso di lago italiano in
cui si sono evidenziati importanti fenomeni di eutrofizzazione.
Fino al 1957 la condizione del lago poteva ancora
considerarsi normale. Nel dicembre del 1961, da un accurato studio eseguito dal
Laboratorio Provinciale d’Igiene e Profilassi di Varese, risultò che le acque
lacustri erano in un gravissimo stato d’inquinamento; nel giugno del 1962 uno
studioso confermava con queste parole la gravità del fenomeno: “Il lago sta
scivolando verso una situazione pericolosa ed imprevedibile nelle sue complete
conseguenze finché non ne saranno note le cause specifiche”.
Ricerche successive posero in rilievo le suddette cause, pur
senza giungere a valutarle esaurientemente dal punto di vista quantitativo; vi
furono anche proposte di interventi risananti, tra le quali venne scelta quella
consistente nella costruzione di un impianto circumlacuale che avrebbe
dovuto addurre sia gli scarichi civili che quelli
industriali ad un unico impianto di depurazione situato in località Bardello:
l’effluente dell’impianto era destinato ad essere immesso nell’emissario
Bardello.
Il progettista incaricato presentò il progetto nel 1967; ma
nel luglio del 1980 né il collettore né l’impianto erano stati ancora
completati, mentre il processo degradativi delle acque del kago seguiva
inesorabilmente il suo corso.
Il processo di eutrofizzazione di cui è vittima il Lago di
Varese generalmente è dovuto al naturale invecchiamento dei laghi e si realizza
in tempi lunghissimi, paragonabili alla durata di un’era geologica; consiste
nell’interramento provocato dai materiali che vengono convogliati al lago:
tuttavia le attività umane possono accelerate tale processo e ridurre i tempi
evolutivi del lago a pochi anni: questo fenomeno è noto con i termini di eutrofizzazione
culturale. Questo termine sta ad indicare una proliferazioni eccessiva di
alghe e di piante acquatiche associate ad apporti elevati di sali nutritivi, in
particolare fosforo e azoto; conseguenza diretta del fenomeno è la riduzione
della concentrazione di ossigeno nelle acque che causa una degradazione
generale della qualità delle stesse, la quale può precludere o ridurre in
maniera significativa il loro uso, con conseguenti ripercussioni sulla salute
pubblica e sulla vita degli animali acquatici. Talvolta la concentrazione di
ossigeno nelle acque può raggiungere valori talmente bassi
da rendere impossibile la vita dei pesci.
La densità della popolazione che risiede nel bacino
imbrifero del Lago di Varese è di 5oo abitanti per Kmq:, tra le più alte in
Italia; ad esso appartengono 15 Comuni; sono centri abitati di dimensioni molto
diverse, caratterizzati da una componente agricola estremamente modesta il cui
apporto di sali nutritivi al lago è pressoché trascurabile e dalla presenza di
un certo numero di insediamenti industriali.
L’apporto al lago di sostanze provenienti dalla città di
Varese è pari al 30% del totale degli scarichi del territorio comunale, che per
la restante parte defluiscono verso il fiume Olona.
Nel 1964 nacque il Consorzio tra la Provincia ed i Comuni
interessati al fine di promuovere, realizzare e gestire gli interventi per il
risanamento e la protezione dall’inquinamento del Lago di Varese; la soluzione
progettata nel 1967 è oggi quasi completamente realizzata e prevede la
diversione dei carichi sia civili che industriali, attraverso due collettori
(nord e sud) che li convogliano all’impianto di depurazione centralizzato: il
depuratore è entrato in esercizio il 16 gennaio 1986. L’obiettivo del piano di
risanamento generale non è quello di raggiungere il primitivo stato di purezza
delle acque, bensì quello di ottenere condizioni ecologicamente accettabili.
Tuttavia dopo quasi 4 anni di funzionamento del depuratore, non si è potuto notare
un sensibile miglioramento della qualità delle acque; questo è un comportamento
caratteristico di laghi che oltre ad essere in condizioni di avanzata eutrofia,
hanno tempi lunghi di ricambio idrico, e le cui acque sono in uno stato di
quiete.
Per il Lago di Varese risulta pertanto difficile avanzare
previsioni relative al tempo necessario per il suo risanamento, in quanto
legato oltre che al tempo di ricambio delle acque ad una possibile cessione di
sostanze eutrofizzanti accumulate a livello dei sedimenti profondi nel corso
degli ultimi 20 anni. Comunque la storia dell’inquinamento del lago è storia di
altri laghi d’Italia e del Mondo e simile a quella di tanti fiumi e mari.
Questo è il destino paradossale dell’acqua che viene sprecata ed inquinata poiché
se ne ignora il profondo valore. Eppure lo abbiamo imparato a scuola che
l’acqua
Dei fiumi, dei laghi e dei mari non è mai la stessa: essa
scorre ed evapora, precipita e rievapora, risale, filtra, ed entra nella
materia vivente. E’ questa la grande macchina del ciclo dell’acqua, mossa da un
motore ad energia pulita: il sole.
Perciò un fiume inquinato, un lago eutrofizzato, una falda
contaminata sono per l’uomo e la natura “acqua a perdere”, un punteggio
negativo nella Borsa della Vita che ci dovrebbe rendere consapevoli che uomo e
natura sono un tutt’uno e che il rispetto per la natura è il rispetto di noi
stessi, fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità.
(Estratto da “Scenari”, Anno II n. 4, febbraio 1990).
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