Parto giocando in casa, con uno
stringato atto notarile sui diritti di pesca nel lago di Azzate. E’ un pezzo
che sto navigando in queste acque, ma raramente mi è capitato sottocchio un
documento così sapido ed essenziale.
Ne faccio un preliminare
resoconto, così almeno posso digredire a
volontà.
Il primo di gennaio del 1433
Francescolo Bossi di Azzate affitta a Giovanni del Galgino le rive e le
peschiere su lago, limitrofe alle sue proprietà.
Il Galgino si
perde nei miei ricordi infantili, quando ancora non sapevo che si chiamava
così. Al Galgino si fermava sempre il pullman che ci portava a scuola a Varese,
dove saliva puntualmente una giovane donna, che attirava la nostra attenzione
per il suo portamento energico e imperioso. La saluto con grande affetto. Forse
il Giovanni delle Cascine del Galgino è un suo antico progenitore.
Ad ogni buon conto, il padrone
della terra era il solito Bossi di Azzate, Francesco figlio del fu Astolfo. Da
notare che nell’atto Giovanni resta Giovanni, mentre Francesco diventa
Francescolo e il padre defunto Astolfolo. Noi per la par condicio postuma lo
chiameremo Giuanin, sperando che nessuno si offenda del diminutivo. Anzi,
Giuanin dul Galgin.
In mancanza di riscontri
anagrafici dobbiamo per ora fermarci qui. Ma non ci sorprenderebbe affatto che
il Giuanin sia anche il conduttore del mulino soprastante, quello che è fatto
funzionare dal Riale vecchio, e che quindi si sente un po’ conduttore anche dei
pesci annessi. Conosco altri mugnai, storicamente documentati, muniti di barche
e reti, che quanto a furbizia superano di gran lunga i loro illustri locatori.
Del resto, prima di finire nella madia del signor Franciscolo, la farina resta
attaccata alle mole del Giuanin.
Mi
dice il mio socio Barbieri che il Galgino si trova attualmente in territorio di
Azzate (di solito non mi inganna), ma il notaio Andrea scrive che il Galgino è
in Galliate. Chi avrà ragione? Forse che a quei tempi si trovava in territorio
di Galliate e che poi sia passato ad Azzate?
Può darsi.
Può darsi anche che il notaio
abbia fatto confusione, e non solamente per colpa sua, quanto piuttosto per il
fatto che allora i confini fra i vari comuni non erano segnati in mappa, e
forse non erano nemmeno segnati nelle teste di notai e paesani.
L’atto
del Bossi è scritto in forma ecceterata: invece di scrivere tutta la rava e la
fava, ci mette un bel etc., e chi s’è visto s’è visto. Peccato. Magari potevamo
saperne di più. Ma forse è meglio così, perché, si sa, i notai non vengono mai
al dunque; sono capaci di farti un giro di formule di diverse pagine, che
quando arrivi alle due righe che ti servono, ormai ti sei addormentato. Ad ogni
buon conto. Tecnicamente si tratta di un’investitura a titolo di locazione e
fitto di rive e peschiere, e quindi della concessione del diritto di pescare e
far pescare su un tratto di lago lungo il quale si trovano le terre del
locatore, e precisamente “le rive del lago di Azzate ovvero Bobbiate, in
località Riale vecchio. Anche qui il lago è ambiguo: Azzate e Bobbiate si
trovano agli antipodi. Forse per questo. Molto
preciso è invece il microtoponimo “Riale vecchio”. Qualche vecchio
rivierasco ve lo confermerà.
Ciò che in questa carta risulta
del tutto consueto è che i diritti di pesca si estendono sulla riva su cui
confinano i terreni dell’avente diritto. In altri termini, il diritto di pesca
è connesso ad una proprietà terriera confinante con il lago: questa proprietà
si estende quindi anche sul fondo sommerso fino “in mezzo al lago”. Tralascio
qui di entrare nella vessata questione del mezzo del lago, perché mi arenerei o
annegherei. Magari in seguito.
Questo regime della pesca non
nasce nel 1400, poiché è altomedievale, e resisterà ancora a lungo, e
precisamente fino a quando lo Stato di Milano nel 1652 incamererà con
indennizzo (promesso e non concesso) i soli diritti di pesca di tutto il lago,
per rivenderli subito dopo al migliore acquirente.
Per il momento esistono tanti
padroncini delle rive che considerano il loro piccolo lago come una loro
pertinenza e vi fanno pescare contadini-pescatori, soprattutto per rifornire le
loro mense. Anche le comunità godono di analoghi diritti collettivi,
giuridicamente sulle parti di rive a cui si affacciano le terre comuni, ma di
fatto con una pesca che si avvicina al bracconaggio. Anche per la caccia era lo
stesso. Se ti beccavano, te la facevano pagare cara. Meglio che crepare di
fame.
Il
Giuanin ottiene dal signore di Azzate il permesso per nove anni di pescare
sulla riva del Riale vecchio, dove probabilmente già pescava di sfroso, con la
differenza che ora deve portare una parte del pescato al legittimo
proprietario. Di soldi neanche a parlarne; solo pesce, e di quello buono. Il
signor Franciscolo non intende essere condito via con qualche cavagno di
scardolacce o di alborelle, che, quando ce n’è, non si sa dove buttarle; sulla
sua tavola vuole esclusivamente pesce buono, ossia lucci, tinche e persici (lucii
tenche et persich.). Il primo anno ne vuole
8 libbre (la libra grossa equivale a circa 7 etti e mezzo), gli altri
otto anni 4 libbre, da consegnarsi obbligatoriamente di settimana in settimana
durante la quaresima. Come vedremo, anche il signor Franciscolo del fu
Astolfolo non disdegna di scendere al lago a pescare sulle sue rive, solo che
forse non è bravo come il Giuanin, e quindi non può permettersi il rischio di
arrivare al venerdì di quaresima con la padella vuota. Non è che il pesce del
contratto sia molto, ma non è detto che sia l’unico che gli arriva in casa da
suoi conduttori.
Non
riesco mai a decidere se sia logicamente anteriore la quaresima o la pesca,
domanda che nasconde una profonda questione metodologica. Andavano a pescare in
quaresima per soddisfare il precetto di magro, o hanno messo la quaresima nel
tempo dell’anno in cui la pesca è particolarmente favorevole con l’inizio delle
freghe? Sono convinto che la pesca professionistica sul lago e il conseguente
controllo del pescato da parte dei mercati cittadini di Varese e di Milano
nasca da questo obbligo rituale. L’aspetto sacrale e quello economico si
condizionano a vicenda.
Andiamo
avanti nel discorso. Prima scrivevo che il signore è anche lui pescatore: lo si
vede da un patto del contratto che è decisamente singolare. Il notaio se l’è
dovuto annotare a margine, sul riassunto che stiamo leggendo. In pratica il
padrone si riservava di fare i suoi fossati sulle stesse rive e di mettere
anche tutti i marchingegni per prendere il pesce, senza comunque intralciare le
attività del conduttore. Questa sì che è bella: uno affitta una casa a qualcun
altro, e poi pretende di abitarci senza creare per giunta alcun disturbo
all’inquilino. Cosa palesemente impossibile. I rapporti di convivenza fra il
Bossi e il Giuanin si presentano come assai problematici.
A noi invece, cinici come sempre,
ci interessa sapere come erano fatte le peschiere che usavano dalle nostre
parti. Abbiamo diversi documenti su peschiere di signori e monasteri della
bassa milanese o di altre parti, ma da noi la cosa resta ancora insondata. E
invano cercheremmo di sondarla in un atto ecceterato. Ma vedrete che prima o
poi salterà fuori.
Qui abbiamo delle interessanti
indicazioni, da integrare eventualmente con quelle di altri documenti. Il
padrone infatti si riserva di scavare dei fossati e di metterci i dispositivi
per prendere il pesce. Più terra terra: si scava sulla riva un piccolo bacino
artificiale in cui si rifugiano i pesci per poi prenderli con comodo con le
cosiddette “grisce”, delle guide di vimini intrecciati che costringono la preda
a finire in una rete. Sono pesche da contadini, che niente hanno a che vedere
con la nobile arte di gareggiare col pesce sul suo campo di battaglia, nel lago
aperto con tecniche sofisticate, esclusivo patrimonio dei vecchi lupi di lago.
I villani usano anche i rastrelli quando vanno in frega le alborelle. Ma non è
una cosa seria.
Voi
avrete capito che è un magro affare per il Giuanin del Galgin. Era meglio
quando pescava di sfroso. Ora è più garantito di prima, ma nello stesso tempo
più stressato dal fiato del padrone sul collo.
E il padrone è veramente buono,
anche se al mio socio Barbieri sembra illogico (la storia non è la matematica):
“il locatore sia tenuto a mantenere il conduttore nel possesso dei beni”; se il
conduttore è impedito o turbato nel possesso, non è più tenuto a pagare
l’affitto. Sì, proprio così: se è il padrone a disturbarlo paga l’affitto, se è
qualcun altro no.
Un signore deve pur giustificare le sue pretese signorili
con qualche atavica contropartita. Quando calano i feroci Ungari i villani
lasciano le cascine e si rifugiano col bestiame nel castello; quando qualcun dà
fastidio ai bartavelli del Giuanin, arriva il Franciscolo di Azzate e gliela fa
vedere lui.
Mi pare
di capire a questo punto che siano un po’ troppi quelli che pretendono di fare
di magro in questa stretta riva di Azzate.
*** Fonte inedita
Archivio
di Stato di Milano
Fondo
Notarile
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Notaio Bossi Andrea fu Montolo
Filza N. 276:
1433, 1 gen. -
Francescolo Bossi di Azzate affitta a Giovanni del
Galgino
le rive e le peschiere del lago limitrofe alla
sua
proprietà f.1r
(Vedi post successivo: Francescolo Bossi fu Astolfo).
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