Questo è l’albero genealogico della nobile famiglia Bossi che ha per capostipite Tosabue, rappresentato in un quadro ad olio un tempo in Villa Bossi-Riva-Cottalorda ad Azzate e oggi presso la nobile famiglia Necchi Della Silva di Schianno, senza data, ma posteriore al 1788.
L’albero
affonda le sue radici dal Lago della Val Bogia e innalza i suoi rami verso la
sommità di Azzate.
Sulla
destra notiamo una scena pastorale che si celebra all’interno delle possenti
fortificazione del feudo.
Il
ratto di Europa da parte del toro rappresenta un motivo encomiastico per la
famiglia Bossi, il cui capostipite è mitologicamente paragonato a Giove, re
degli dei, trasformatosi appunto in toro in una delle sue numerose conquiste
amorose.
Si
narra infatti che nel 1160 i Milanesi distrussero l’antico castello fortificato
sopra il monte Maggiore sopra Lomnago, che era cinto da una doppia cerchia di
mura ed aveva otto torri e sembra che fosse la maggiore fortificazione della
Val Bogia. Era praticamente il corridoio di ingresso alla valle, in un’epoca in
cui la viabilità seguiva percorsi alti, lontani da paludi e inondazioni (la
strada della Val Bodia fu ideata molti secoli più tardi).
Le
fortificazioni della Bogia che nell’alto Medioevo servivano come difesa della
valle, si trasformarono in seguito nei baluardi che ospitavano i nemici del
Comune di Milano. Non furono i barbari, ma i Milanesi a distruggere la maggior
parte dei castelli e delle fortificazioni della nostra zona.
Ufficialmente
si fa risalire la nascita del Feudo della Val Bodia al 1538 ma questa è
soltanto una coincidenza poiché da quella data l’Archivio di Stato di Milano
conserva un voluminoso plico di carte che continua fino al Settecento
inoltrato, ma questo solo perché lo Stato di Milano volle archiviare con
scrupolo tutti gli atti relativi ai cosiddetti feudi camerali, tra cui anche la Val Bodia , anticamente detenuta dai nobili Bossi di Azzate.
Lo
Stato moderno milanese prende possesso, cioè fa l’apprensione di una
giurisdizione, fino ad allora esercitata a livello periferico, per riscuotere
in primo luogo la tassa sul sale. Le pressanti necessità di risanare il
bilancio del governo spagnolo, spingeranno quest’ultimo a mettere all’asta tali
giurisdizioni al miglior offerente.
E’
logico perciò che si facciano avanti i soliti Bossi che conducono la trattativa
con un prestanome Agostino D’Adda, ma lo fanno con un profondo risentimento
nell’animo nei confronti di un potere in cui non possono più identificarsi. Un
po’ come se lo Stato ci costringesse a ricomprare terreni di nostra proprietà,
per il fatto, formalmente ineccepibile, che anticamente erano stati assegnati
alla nostra famiglia solo a titolo beneficiario e quindi senza l’ereditarietà.
Un
tempo i Bossi guerrieri difendevano la Bogia dalle incursioni degli stranieri, mentre ora dovevano
forzatamente contribuire al pareggio di un bilancio che era deciso in Spagna o
in Francia.
(Estratto dal n. 200 de “Il
gAzzatino della Valbossa” di Amerigo Giorgetti).
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