domenica 10 luglio 2016

VILLA BOSSI-ZAMPOLLI OVVERO IL CASTELLO DI AZZATE



                                                           INTRODUZIONE

Santino Langé[1] a pag. 48 della sua opera Ville della Provincia di Varese delinea il contesto in cui sorgono il Castello di Frascarolo ed il Castello di Azzate

“Anche la villa Medici a Frascarolo e villa Bossi in Azzate sorgono al centro di grandi possedimenti come residenza di marchesi e di conti, e sono espressione di una presenza duratura e stabili di queste famiglie aristocratiche nell'ambiente locale. Il patrimonio nobiliare appare, in questi esempi, frutto di una diversa tradizione. (I Medici acquistano il castello di Frascarolo con i suoi poderi dal Monastero di Ganna nel 1540 ad opera di Gian Battista, fratello di Gian Angelo, il futuro papa Pio IV; i Bossi sono presenti in Val Bossa  fin dall'epoca feudale. Al momento del censo sono otto i Bossi che in Azzate risultano proprietari. Tra di essi, oltre al conte Giulio Cesare, compare anche un marchese, Galeazzo Fabrizio. Nel loro insieme i Bossi detengono più della metà del territorio di Azzate. Diverso appare anche il rapporto di queste ville con il borgo, rispetto al quale sorgono come centri separati, quasi a costituire un mondo a sé ed in apparenza senza legami con gli insediamenti, come sottolineano sia la collocazione delle due ville in luoghi elevati, sedi di preesistenti edifici castellani (per questo le due ville sono chiamate ancora con il nome di castello di Frascarolo e castello di Azzate, anche se la loro edificazione ha segnato una radicale trasformazione dei complessi preesistenti), sia l'assenza, nei due borghi, di residenze o di immobili appartenenti ai rispettivi proprietari delle ville, ovvero al marchese Carlo Medici e al conte Giulio Cesare Bossi. Questo dato indica tuttavia due diverse situazioni.
I Medici, dopo aver acquistato dal Monastero di San Gemolo in Ganna il territorio di Frascarolo, vi avevano edificato l'imponente villa come frutto della loro elevatissima cultura, in grado tuttavia di inserirsi nel contesto locale con insospettati legami. E' questa origine del loro possesso a spiegare l'assenza, nell'insediamento di Induno, di case o di terreni di loro proprietà. In Azzate invece i Bossi disponevano già di proprie abitazioni, poiché, come signori della Val  Bossa, essi ereditano attraverso una lunga tradizione di origine feudale la dominanza della loro casata nel contesto; al di fuori di essi, infatti, non si rintracciano in Azzate residenti che abbiano un nome di particolare rilievo, ad eccezione di un Alemagna.
Il primo nucleo di Azzate era costituito da un insieme di case appartenenti ai Bossi, e perciò era edificato già secondo un gusto ed una tradizione signorili; mentre il ramo familiare dei Bossi più rilevante dimorava nel Castello d'Azzate.
Se Bisuschio non conosce altro fenomeno residenziale di rilievo al di fuori di villa Cicogna, che è perciò il fatto emergente di tutto l'insediamento, Induno ed Azzate mostrano all'inizio del Settecento compaginazioni urbanistiche assai originali, quasi del tutto indipendenti rispetto ai due episodi di cui parliamo. I due borghi sono ricchi della presenza di altre ville e di residenze di pregio; in Induno la loro localizzazione si adegua all'ordine dei vari comparti in cui l'insediamento appare spontaneamente articolato, ed è attorno a tali residenze che s'imposta la fisionomia rurale del borgo; in Azzate esse si attestano lungo l'unica strada di attraversamento del borgo e determinano la sua compaginazione, il cui aspetto mostra solo pochi tratti rurali. (La villa di maggior rilievo è del marchese Galeazzo Bossi, e viene indicata con due corti e un giardino; ma quasi altrettanto importanti sono le abitazioni di D. Stefano Bossi e di D. Pietro Alemagna che, con il marchese, sono i maggiori proprietari terrieri residenti nel borgo. Altre abitazioni signorili appartengono a un  Rev. Giacomo Bossi, a un Visconti, a un Castellani e a un Rev. Giovanni Crugnola. Sono una quindicina i possessori che risiedono in case di propria abitazione (ovvero in proprietà), su circa trenta proprietari di beni urbani.”






VILLA BOSSI-ZAMPOLLI OVVERO IL CASTELLO DI AZZATE


                          



Si è più volte esagerato in passato nell'attribuire ai castelli funzioni di controllo sulle vie di comunicazione; più che proteggere le strade, dalle strade ci si doveva proteggere. In realtà per lunghi periodi il publicum ebbe a disposizione limitate milizie da stanziare in modo continuo nel territorio sottomesso. La guarnigione del castello doveva essere fornita dai residenti e la sua localizzazione rispecchiava gli interessi fondiari o 'feudali' dei singoli signori e non era certo un disegno prestabilito dall'alto. E poiché mancava un fine organizzato, sembra anche fasullo il voler individuare una rete prestabilita di punti di avvistamento e segnalazione. Per le necessità della guerra si potevano dunque utilizzare le torri (o le alture) sparpagliate un po' dovunque, senza che un piano preventivo le avesse individuate come visivamente collegate fra di loro.
In quest'ottica l'aver ipotizzato un nesso tra le torri di avvistamento di Azzate (attuale Pretorio), Velate, Sacro Monte e Rodero sembra piuttosto una coincidenza che un frutto di uno studio preventivo e finalizzato.



...
"Non si possono elencare qui tutti gli stipiti nobiliari che imperniarono la loro signoria su uno o più castelli e del resto a qualcuno si è già accennato per il sec.  XI. Ne ricordo qualche altro. I Bossi, feudatari di Azzate sino al XVII secolo, furono riconosciuti nobili, e quindi filo-viscontei, nella Matricola degli ordinari del Duomo (1377); i resti del loro castello sono conglobati nella villa settecentesca posta su un'altura a cavallo fra la strada Vergiate-Varese e la fenditura valliva a sud del Lago di Varese (detta appunto Val Bossa). Residuano murature in pietra a vista e una monofora quattrocentesca; ma le origini del Castello devono essere ricondotte alquanto indietro. Se la Chiesa di San Lorenzo al Castello, ora incorporata nella villa, esisteva già del sec. XIII, nel 1234 è rammentato un "castrum de Aciate Vegio"; non è azzardato pensare a un primitivo abitato compreso in esso, al di fuori del quale si sarebbe sviluppata la villa di "Aciate novo".
(TAMBORINI 1981, pp. 101 sg., ZAGNI 1992-1999, ii P. 235).
Ai de Castello de Bodio appartenne verosimilmente, nel secolo XIII, la torre di Bodio Lomnago, la quale domina il pendio verso il Lago di Varese e fu poi incorporata nella villa seicentesca dei predetti Bossi di Azzate, feudatari di quella plaga nei secoli XIV-XV (come spesso avvenne la torre fu nell'800 adattata al gusto neo-romantico, con intonaci, apertura di finestre archiacute, coronamento di merli); sembra di fantasia la descrizione che ne diede il Brambilla: "vicino a Lomnago, sur un monticello detto il Maggiore, osservansi i ruderi di un antico castello, che era cinto da doppia mura, e da otto piccole torri".
(TAMBORINI 19841, pp. 170 sg; BRAMBILLA 1874, II p. 34; cfr. ZAGNI 1992-99, II, p. 49.)

(Estratto da: FRIGERIO PIERANGELO, Castelli del territorio varesino, Macchione Ed., Varese, 2000).

GIORGIO FILIMBERTI, Putto della balconata.



IL CASTELLO DI AZZATE

VETUS HOC CASTRUM
A THOMA, AURIGALE ET BELTRAMO
COLLEGIATAE CASTRI SEPRII PRAEPOSITO
GENTILITII PATRONATUS IN ECCLESIA
S. LAURENTII INSTITUTORE
FRATRIBUS DE BOSSIIS
ANNO MCCCXXIII
A FUNDAMENTIS ERECTUM
A BERNARDO SENIORE
REGIO PHEUDATARIO OGLONAE ET S. STEPHANI
ANNO MDXXXI
CELLA VINARIA ET PORTICIBUS AUCTUM
AB AVO COMITE PAULO
ET PATRE JULIO CAESARE
RENOVARI COEPTUM
STATOR MAJOR CLAUDIUS ALOISIUS
ET MARIA THERESIA COMITISSA LOCATELLI
CONIUGES
ANNO MDCCLXXXIX
SUO ET AMICORUM COMMODO
PERFICIEBANT

Un'iscrizione posta al di sopra della porta d'ingresso dell'attuale Villa Zampolli attribuisce la costruzione del preesistente castello a tre fratelli Bossi verso l'anno 1323(1).
La data è dubbia e doveva esserlo anche per quel tale Francesco Bossi che la trascrisse. E' anche dubbia la circostanza della costruzione del castello in questo periodo perché risulta da altre fonti che Rabalio, padre dei tre fratelli, era già possessore del Castello nel 1290. Rabalio, morto prima del 1329, fu sepolto nella Chiesa di Santa Maria di Azzate, alla quale il figlio Beltramo legava alcuni beni perché nell'anniversario della morte del padre si facessero elemosine e preghiere.
Di Rabalio conosciamo anche il nome del padre, Tommasino, che, relativamente al ramo dei cosiddetti conti Bossi di Azzate, è il capostipite ed il personaggio più antico di cui abbiamo memoria (escludendo naturalmente quei personaggi dubbiosi, come San Benigno, che ci riporterebbero indietro nel tempo di molti secoli).
Comunque, il complesso attuale ci mostra la coesistenza di tre elementi: l'edificio tardomedievale ad oriente (la cosiddetta Corte del Barbée), la villa settecentesca coi servizi al centro (Villa Zampolli) ed i rustici con relativa corte ad oriente.
Senza dubbio gli edifici ad oriente (Corte del Barbée e proprietà Martin) sono parte del castello medievale: i portici nel piccolo cortile, le finestre in cotto, i resti di affreschi alle pareti di pregevole fattura ci parlano un linguaggio stilistico che si può collocare tra il XIV e XV secolo; non è però possibile affermare con sicurezza se questi corpi di fabbrica costituiscano solo una parte o tutto il castello. Essi restano estranei all'attuale conformazione spaziale della villa(2).
La struttura settecentesca si è inserita prepotentemente, coi suoi rigidi ordinamenti, nel contesto medievale, di cui assume come spunto, incorporandolo ed uniformandolo ad esso, il preesistente Oratorio di San Lorenzo.




(1) In quel periodo vissero quattro fratelli Bossi, uno dei quali (non sappiamo chi), non partecipò alla costruzione del castello. Essi sono:
BELTRAMO, prevosto della Chiesa di San Giovanni di Castelseprio che fondò il 27 maggio 1329 la Chiesa di San Lorenzo al Castello. Essa doveva essere amministrata in famiglia (ramo dei conti Bossi di Azzate) e, in loro mancanza, il diritto doveva passare ai congiunti di Milano.
TOMMASO, primogenito di Rabalio, fu il primo ad essere investito del patronato del Beneficio di San Lorenzo. In lui continuò la discendenza del cosiddetto ramo dei conti Bossi di Azzate fino ai nostri giorni.
AURIGALE, risulta già morto alla data del 1329.
GASPARE, ebbe un figlio, Lorenzo, col quale si estinse il ramo.

(2) Sarà bene a questo punto, per non creare confusione, chiarire che qui si intende per "castello" l'attuale Corte del Barbée e la proprietà Martin (comunemente in Azzate si intende invece per
"castello" l'attuale Villa Zampolli); quest'ultima verrà chiamata esplicitamente Villa Zampolli o più
brevemente "villa".

L'entrata del castello si apre in una parete mista di mattoni e grossi ciottoli, sormontata da un architrave in granito e un archetto di mattoni. E' facile notare come i laterizi sotto l'architrave costituiscano un riempimento forse di epoca posteriore. L'imponente architrave e quel contrafforte costituito da un piano inclinato di grossi blocchi di pietrame ci fa pensare che questa, se non la porta principale, era un'entrata al castello.
Dal punto di vista architettonico, merita particolare attenzione la finestra che si apre sopra l'architrave: è ad arco acuto di chiara impostazione gotica con una cordonatura in cotto che insegue il taglio d’ombra della finestra, al cui davanzale un'altra lista di gocce aumenta la grazia della stessa. Non hanno lo stesso carattere le pareti che si affiancano all'entrata, che ci sembrano posteriori (probabilmente cinquecentesche).
Entrando ci troviamo di fronte un cortile trapezoidale, di cui è molto facile ammirare la bellezza quanto difficile leggere i moduli architettonici. Le trasformazioni del cortile avvenute in epoche successive hanno continuamente mutato spazi, motivi ed elementi.
Sulla parete d'ingresso, dalla parte interna del cortile, al piano superiore, troviamo un affresco: una natività, o meglio una Madonna in adorazione del Bambino datata 1493. E' certamente di una bellezza raffinata e non di carattere provinciale. A sinistra dell'affresco vi è una parete trecentesca che doveva essere stata alzata contemporaneamente al muro d'ingresso e ad esso collegata. Le campate ad archi acuti sono tre e nel muro attuale non vi sono colonne incorporate, bensì pilastri di mattoni.
A ridosso di questa parete successivamente è stato innestato un portico con loggiato superiore. Il ritmo composto di questo e il modulo dei rapporti potrebbero essere cinquecenteschi, ma il gusto decorativo degli affreschi della balconata, che si potevano ammirare fino a qualche anno fa prima di essere strappati, ne anticipano decisamente la datazione.
Le due colonne al piano terra sono ben proporzionate e s’innestano su un basamento molto alto per saettare sottili, esitando solo a livello del capitello, sino all'architrave ligneo il cui nastro continuo segna il pianerottolo sovrastante. Su questo poggiano le balconate di mattoni intonacati, con corrimano in legno, ed altre due colonne lignee sorreggono la copertura, esempio se non unico, senz'altro raro in queste regioni.
I motivi decorativi dell'affresco strappato rappresentavano scene di caccia con animali quali la lepre, i cani, due figure di donne e vasi di fiori con garofani. Nello stesso affresco vi erano due stemmi: uno della famiglia Bossi (il bue) e l'altro dei Visconti (il biscione ingoiante un fanciullo).





[1] SANTINO LANGE' - FLAVIANO VITALI, Ville della Provincia di Varese, Lombardia , Rusconi Immagini, Milano, 1984

 
  DECORAZIONE DELLA VILLA BOSSI-ZAMPOLLI

Affreschi.
Azzate, Villa Bossi- Zampolli.
Nell'atrio della villa, nell'affresco a destra dell'ingresso, su una cassa di merci è scritto: "Giam. Batta. Ronchelli dipingeva nel 1777".

Si tratta di uno dei cicli ad affresco più importanti del Ronchelli, che precede di pochi anni quello comasco in Palazzo Giovio altrettanto famoso e conclusivo della carriera del pittore cabiagliese.
La villa dei Conti Bossi, detta anche Castello Collobiano, venne ristrutturata nelle forme attuali tra il 1771 ed il 1779; a conferma di ciò vengono in aiuto alcuni documenti ed una pergamena con la data d'inizio dei lavori, fatta murare dal conte Luigi Bossi e solo recentemente ritrovata durante dei restauri: "Alojsius Comes Bossius Supremus in Novo Comensi Urbe Vigiliarum Praefectus Imperante Maria Teresia Comotis Juli Caesaris Filius, Mariae Teresiae Comitissae Locatelli Vienensis Maritus; Francisci et Claudi Pater a Fundamentis erigebat anno 1771 aetatis suae quinquagesimo primo".
E' proprio in questo periodo, precisamente nel 1777, che il Ronchelli portò a termine la decorazione dell'atrio, raffigurando in sei pannelli storie di vita campestre e marittima. Entrando dalla corte d'onore, sulla sinistra nel primo quadrone è rappresentato lo scarico di merci provenienti da varie città: Milano, Ragusa, Trieste; sulla sinistra, accanto ad un arco di un tempio romano a cui si accede grazie ad alcuni gradini, sono fermi a parlare dei contadini, mentre una donna allatta il figlio; sulla destra due soldati chiaccherano animatamente sul molo. Sullo sfondo si staglia una roccaforte. Nel secondo quadrone invece dei contadini si riposano all'ombra di ruderi di antichi templi, mentre sullo sfondo appare un castello, forse un'abbazia, presso la quale scorre un ruscello.
A destra dell'ingresso è raffigurato un porto con vascelli ancorati al largo ed alcune barche tirate a secca, intorno alle quali lavorano dei pescatori, che scaricano merci, chiaccherano, fumano la pipa seduti sulle casse. Proseguendo, nel quarto pannello, si può vedere in primo piano un colonnato ionico sotto il quale si riposano dei villani, sullo sfondo s’intravede un paese in riva al lago ed ancora due cavalieri sulla sinistra, in cui non è escluso che il pittore abbia voluto identificare il committente e forse anche se stesso, frustino alla mano, tricorno, abito essenziale e severo come imponeva la moda di provincia.
Da ultimo, nei due pannelli di fronte all'entrata, sono rappresentati alternativamente una coppia in abiti settecenteschi dietro alla quale appare una villa che domina il lago, probabilmente la villa stessa dei Conti Bossi ad Azzate che si affaccia sul lago di Varese. Nell'altro pannello, una fanciulla prende l'acqua ad una fonte, mentre discorre con un ragazzo sedutole accanto.
La scelta dei soggetti appare subito come novità per il Ronchelli, abituato a dipingere immagini a carattere sacro e mitologico, secondo le esigenze dei committenti; qui il pittore è libero di interpretare scene tratte dalla vita e dalla storia del suo tempo: si vedono, in tal modo, figure in abiti settecenteschi, tanto vicine a quelle rappresentate da G.D. Tiepolo a Villa Valmarana e dal Longhi. Soprattutto considerando gli affreschi di G.D. Tiepolo nella Foresteria della villa vicentina, rispetto a quelli del Ronchelli, simile è lo spirito con cui vengono affrontate le immagini riguardanti brani di quotidianità con scioltezza, eleganza ed umanità; si osservi l'attenzione nel raffigurare i gruppi di contadini che riposano all'ombra di rovine di antiche costruzioni, oppure quelli che parlano, ritornando dai campi ed anche i pescatori che, dopo aver scaricato le casse dalle galere ancorate al largo, si concedono un momento di riposo, con il volto scavato, segnato e precocemente invecchiato dalla fatica e dal sole: si tratta di una serie di ritratti personali però mai portati alla caricatura.
Ancora molto delicata è la figura della donna che allatta il figlio, immagine d'un mondo contadino che anche G.D. Tiepolo a Villa Valmarana aveva avvertito nella donna gravida.
In questi dipinti la natura è viva e presente; spiccano i paesaggi collinosi, tipici del Varesotto, nuova invece è la visione dei porti, dei vascelli, delle barche ancorate al molo o in riva al mare.
Le Prealpi un poco rocciose e brulle incombono sui laghi, le ricche sorgenti di acque montane scaturiscono tra boschi di querce e castagni, le coste marittime appaiono scoscese, gli attracchi difficili, i golfi stretti ed impossibili per galeoni carichi di merci. Secondo la tradizione delle vedute di marine di Claude Lorrain e Salvator Rosa lo sfondo si anima di barche ancorate alla riva, di navi al largo con le vele spiegate od abbassate ed i remi pronti, di torri di vedetta lungo la costa.
Il paesaggio campestre del Ronchelli si ispira invece maggiormente a quello di Nicolas Poussin, dilatato, ordinato secondo la concezione stessa del pittore francese che sentiva la natura come nemica della confusione; così le figure umane si immedesimano in essa e ne diventano parte integrante.
Dei pittori del Seicento, però, il Ronchelli colse solamente gli elementi caratterizzanti il paesaggio, senza l'intensità cromatica, gli effetti luministici dei tramonti, la profondità spaziale, l'atmosfera sentimentale e arcaica, specie di Claude Lorrain, che hanno ispirato gran parte delle pitture dei paesaggisti del Settecento e Ottocento. Perdono d’importanza quindi i ruderi di edifici antichi, sterili testimonianze di una classicità troppo formale e stereotipa per poter assurgere ad un valore di autonomo, fecondo impegno culturale.
La villa dei Conti Bossi presenta una ricchissima decorazione delle sale interne, tutte probabilmente di mano o della scuola del Ronchelli; nell'affresco nella volta della sala a destra dell'ingresso della villa sono raffigurati alcuni amorini che giocano, altri in cielo su un carro simile a quello del Sole ed ancora che si trastullano, immersi in un paesaggio rigoglioso e sereno, intrecciando ghirlande di fiori, allegoria forse dell'età dell'oro, momento in cui gli uomini conducevano un'esistenza serena, lontana dalle preoccupazioni e dal dolore, piena di ogni bene, in cui la terra dava frutti da sé e la morte veniva come un profondo sonno. L'affresco presenta strette analogie con quelli della volta della galleria al primo piano, detta galleria delle armi; infatti nella volta, in sei medaglioni, è raffigurata l'allegoria della vita campestre, una sua rappresentazione virgiliana: nel primo alcuni amorini alati sostengono canestri carichi di carciofi; in altri due, cesti di frutta e fiori; negli ultimi sono accompagnati da canne da pesca, archibugi per la caccia e arnie con api che volano intorno.
Tornando nella sala a pian terreno, visibili sono anche quattro medaglie monocrome con alcuni personaggi storici, sotto ciascuno dei quali è riportata una scritta: "DIDO FLAMMAS", "CLEOPATRA VENENO", "M. ANTONIUS PERTINACIA VICTUS", "AENEAS FUGA VICTOR".
Tali ritratti potrebbero essere di G.B. Ronchelli, soprattutto paragonandoli agli affreschi nella Sala delle Nozze in Palazzo Giovio a Como raffiguranti dodici poeti illustri.
Risalendo infine al primo piano, nella sala da ballo, si possono osservare degli affreschi monocromi con la Giustizia incoronata recante la bilancia ed un'altra figura femminile, ai suoi piedi, con la ruota della fortuna; Venere e Cupido; la Legge bendata con ai piedi un amorino appoggiato al Codice Teresiano, simbolo della legge umana e che in mano tiene la tavola dei dieci comandamenti, simbolo della legge divina; da ultimo, una figura femminile con un canestro pieno d'oro, che schiaccia un essere anguicrinito, con il corpo avvolto da un serpente, forse allegoria dell'abbondanza che sconfigge il male della miseria. Anche queste pitture sono riconducibili al pennello del cabiagliese, in quanto il Giovio, nell'elenco delle opere del Ronchelli, dice che egli dipinse "ad Azzate da' Conti Bossi medaglie e statue" (G.B. GIOVIO, Gli uomini della Comasca Diocesi illustri, Dizionario ragionato, Modena 1784, pag. 446).
Nella sala adiacente a quella da ballo, in un fregio che corre in alto, lungo le pareti sono visibili sei scene tratte dai più conosciuti miti antichi, scene inquadrate in finte architetture decorative, ancora di gusto barocchetto: Venere e Marte, sotto forma di toro bianco, Selene ed Endimione, un incontro di innamorati ed Anfitrite che viene portata a Nettuno in groppa ad un delfino.
Il fregio affrescato è simile, per la scelta dei soggetti e la disposizione, a quello conservato al Liceo Musicale di Varese, proveniente dallo scomparso Palazzo Alemagna e attribuibile al Ronchelli benché Santino Langé sostenga che siano di fattura raffinata forse opera del varesino Magatti o della sua scuola le fasce ad affresco che coronano i locali (SANTINO LANGE', Ville delle province di Como, Sondrio e Varese, Sisar Ed., Milano 1968, pag. 224).
Per la datazione di tutti gli affreschi del Castello Collobiano ad Azzate, si considera l'anno 1777, nel quale sono datati i dipinti autografi dell'atrio.

(Estratto da: I TELERI DI SAN GIULIANO E L'OPERA DEL RONCHELLI di Cristina Parravicini, Mario Perotti e Vincenzo Villa, Tipolitografia Testori & C., Bolzano Novarese, 1993).



RITRATTI BOSSI NELLA GALLERIA DEL CASTELLO DI AZZATE

GIOVANNI PIETRO BOSSI sposa Barbara Pusterla figlia di Gio. Battista
n. 21.5.1575                            nata il 22.8.1578
         |
         |
BERNARDO BOSSI *      sposa Anna Cinquevie figlia di Bernardo
+ Milano sett. 1665            nata 11.9.1600 + 1.7.1644
         |
         |
CLAUDIO BOSSI         sposa 1685 Caterina Gorla figlia di Gio.
n. 22.7.1637                    Pietro di Varese, n. 11.4.1638 + 17.5.1709
+ 27.1.1686
         |
         |
conte PAOLO MARIA BOSSI sposa Maddalena Negri
n. Azzate 15.3.1663                  n. 8.5.1674
         |
         |
conte GIULIO CESARE BOSSI sposa a Induno 2.11.1717 Elena Buzzi
n. 29.10.1699                               n. 5.1.1697
+ 20.11.1774                                + 1727
         |
         |
conte CLAUDIO LUIGI BOSSI* sposa contessa Maria Teresa Locatelli
n. 20.12.1720                                 f. conte Carlo, n. 8.11.1727
+ 31.10.1802
         |
         |
conte FRANCESCO BOSSI sposa nella Chiesa di San Fedele di Como
n. 11.4.1757                           10.2.1782 Marianna Rossini figlia del conte
+ 13.3.1844                            Carlo, n. 8.2.1758


* Non esisteva il suo ritratto nella galleria.


GIORGIO FILIMBERTI,  I gelsi all'ingresso della Villa Bossi-Zampolli.



SANTINO LANGE', Ville delle province di Como, Sondrio e Varese.

               AZZATE - VILLA BOSSI-ZAMPOLLI.

Come spesso avvenne nel tardo Medioevo, la residenza feudale con funzioni anche militari non si identificava col centro residenziale, anzi se ne stava un poco discosta, per godere di maggior libertà d'azione e per conquistare anche posizioni strategicamente migliori che erano negate all'aggregato urbano per motivi di disponibilità di spazio, approvvigionamento sufficiente d'acqua, vicinanza ai poderi rustici. E' il caso del complesso appartenuto per lunghi secoli ai Bossi, che tenevano casa fortificata, poi divenuta villa, nella frazione Castello, un poco discosta da Azzate, su un'altura dominante il paese, la Val Bossa e le pendici digradanti fino al lago di Varese.
E' questo uno dei poco frequenti casi, nel territorio di Varese, di una trasformazione delle abitudini residenziali di una famiglia, ivi insediatasi da lungo tempo, col passaggio dalle tipologie castellane a quelle delle ville, ma non attraverso modificazione delle strutture preesistenti, come avvenne a Frascarolo, Masnago o Caidate, bensì con una giustapposizione di organismi, in un complesso nel quale i resti del castello conservano attualmente la sola funzione di rustici.
Non è tuttavia molto semplice riconoscere compiutamente il reciproco rapporto nel tempo tra le vecchie e le nuove strutture, poiché la presenza continua sul posto della famiglia Bossi, in un lunghissimo arco di tempo, ha provocato una tale quantità di interventi da rendere problematica una ricerca per sezioni cronologiche.
I Bossi, ramo collaterale dell'omonima famiglia milanese, risiedettero ad Azzate, con sicurezza dalla metà circa del XIII secolo, anche se notizie più incerte tendono ad anticiparne l'esistenza; parteciparono alle lotte tra Castelseprio e Milano e, avendo in queste appoggiato con ogni probabilità i Visconti, si trovarono in favorevole posizione politica dopo la distruzione della capitale del Seprio, tanto che dal XIV secolo risultarono feudatari del contado di Azzate.
Da quel momento i membri della famiglia si moltiplicarono ed alcuni tennero casa ad Azzate, mentre il ramo principale continuò ad abitare il castello come titolare del feudo fino al 1657; poi, quando quest'ultimo passò agli Alfieri, si servirono del vecchio castello come casa di campagna, risiedendo per lo più a Como; col mutare dei costumi si sentì, infine, la necessità di modifiche nella vecchia struttura, finché nel XVIII secolo anch'essa fu ritenuta tanto angusta da non poter più sopportare modifiche e si giudicò opportuno pensare ad una villa completamente nuova.
L'analisi del complesso, come si presenta attualmente, ci mostra una compresenza di tre organismi, coi resti dell'edificio tardomedioevale ad Oriente; la villa settecentesca con i servizi al centro; i rustici con relativa corte ad Occidente.
Senza dubbio gli edifici ad Oriente sono parte del castello medioevale; i porticati nel piccolo cortile, le finestre in cotto, i resti di affreschi alle pareti di pregevole fattura, ci parlano un linguaggio stilistico che si può collocare tra il secolo XIV e XV; non è possibile però affermare con sicurezza se questi corpi di fabbrica costituissero solo una parte o rappresentassero tutto il castello, benché quest'ultima ipotesi possa sembrare la meno probabile poiché nei documenti settecenteschi compare il termine "renovare" che presuppone una parziale trasformazione e demolizione di corpi di fabbrica inseriti nella nuova costruzione di cui però non rimane traccia sicura. Questi corpi di fabbrica, di sicura origine medievale, restarono comunque pressoché estranei all'attuale conformazione spaziale della villa.
La struttura settecentesca si è inserita prepotentemente, coi suoi rigidi ordinamenti, nel contesto medievale, di cui assume come spunto, incorporandolo ed uniformandosi ad esso, il preesistente oratorio di San Lorenzo al Castello. A differenza di altri esempi, anche di poco più antichi, quali Villa Menafoglio o Palazzo Estense a Varese, che presentano più assi sui quali è organizzata la composizione, qui, rigorosamente, lo spazio si organizza attorno ad un unico asse longitudinale il quale inizia con due rustici che si divaricano nella piazzetta privata. Da questa si stacca, mediante un analogo artificio scenografico, ma capovolto, il lungo imbuto, fiancheggiato da ambienti di servizio, che immette nel cortile d'onore. Qui le due ali si allargano, mediante raccordi curvilinei per poi innestarsi direttamente e bruscamente nell'ala nobile della casa, la più alta, che costituisce il fondale del cortile; la medesima assialità è ripresa nella fronte verso il giardino, con le due ali leggermente sporgenti, che ricostruiscono insolitamente lo schema ad U, e con il doppio scalone di collegamento coi parterre sistemati all'italiana.
E' veramente difficile trovare esempi in cui le possibilità di fruizione di un edificio, secondo assi prospettico-scenografici in funzione di un percorso, siano realizzate con simile esclusiva rigidezza; anche se tale principio è considerato canone diffuso della villa settecentesca lombarda, tuttavia interviene sempre qualche elemento a temperare la schematicità. Il lunghissimo cannocchiale d'ingresso costringe invece nel nostro caso ad una sola angolazione nella veduta, mentre abitualmente anche in complessi rigidamente simmetrici con cortile ad U, gli ingressi monumentali si riducono ad una parete con cancelli che permettono differenti e più libere prospettive; la villa di Oreno dei Gallarati-Scotti ha una struttura simile, ma con un più disteso rapporto degli spazi, ed anche la villa Crivelli di Inverigo pure nata dal rifacimento di un castello, e in pianura, la villa Gnecchi Ruscone a Inzago.
Evidentemente la realizzazione avvenne di getto, senza ripensamenti o adattamenti ed infatti alcuni documento, oltre all'analisi stilistica del complesso, ci confermano che la villa, nella sua forma attuale, fu iniziata nel 1771, e terminata nel 1779 con qualche intervento minore protrattosi sino agli inizi dell'Ottocento; la data  d'inizio è confermata da una pergamena fatta murare dal conte Luigi Bossi e ritrovata nei recenti lavori di restauro.
La pergamena era murata sul fronte della villa e sulle assicelle che la contenevano si legge la data 17 luglio 1771.




ALOJSIUS COMES BOSSIUS
SUPREMUS IN NOVO COMENSIS URBE
VIGILIARUM PRAEFECTUS
IMPERANTE MARIA TERESIA
COMITIS JULI CAESARIS FILIUS
MARIAE TERESIAE COMITISSAE LOCATELLI
VIENNENSIS MARITUS
FRANCSCI ET CLAUDJ PATER
A FUNDAMENTIS ERIGEBAT ANNO 1771
AETATIS SUAE QUINQUAGESIMO PRIMO



Queste date spiegano a sufficienza il carattere di rigidità che tutto il complesso presenta: pur avendo scelto infatti uno schema tipicamente barocco, la composizione risente ormai inequivocabilmente dell'atmosfera neoclassica, per cui un elemento che solitamente serviva a rendere formalmente mosso e simbolicamente invitante l'accesso, quale il portico, qui si irrigidisce con l'architrave rettilineo e le colonne spoglie e massicce, e diventa termine ottico e sbarramento del cortile, più che invito alla casa.
Tutto il corpo di fabbrica centrale è realizzato in questi termini, quasi che gli spazi esterni vi urtino contro, più che esserne organizzati attorno, quasi si volesse, per contrasto, meglio manifestare le differenze delle funzioni, secondo principi tipici della trattatistica dell'Illuminismo dal Lodoli al Milizia.
Anche i percorsi e gli spazi interni della casa ubbidiscono a questi principi, pur nello schema ancora tardo-barocco, a cominciare dal severo scalone sistemato secondo una assoluta continuità spaziale col porticato, di cui ripropone il peso massiccio delle colonne, con la pesante balaustra in pietra, che già le ville varesine avevano abbandonato per i più leggeri e rabescati ferri battuti. Pure estremamente semplici sono le sale a pianterreno e, sopra, la galleria ed il salone da ballo, del tipo già esaminato a Palazzo Estense, su due piani con balconata per i musici.
Malgrado sia innegabile un intervento di tipo così schematicamente razionalistico, è necessario tuttavia notare un rispetto di alcune preesistenze che in parte hanno determinato l'andamento degli spazi dell'ingresso: anzitutto l'Oratorio di San Lorenzo al Castello, di origine trecentesca, di cui esistono ampie testimonianze nelle visite pastorali degli arcivescovi milanesi.    Dalle visite di San Carlo l'oratorio risulta ad aula, con abside semicircolare, volta ad Oriente; accanto ad esso, a Mezzogiorno, è indicata, con pianta pressoché quadrata, una casa detta della Chiesina distante 24 cubiti, e corrispondente all'avancorpo di sinistra della piazzetta privata.
L'Oratorio venne poi rifatto in seguito ad una inversione nell'orientamento dell'abside, ma sulle fondazioni antiche, rispettando antiche, rispettando quindi dimensioni e inclinazione del corpo di fabbrica, rispetto alla casa ricordata. con una divergenza piuttosto accentuata.
L'intervento del Settecento non solo rispettò l'Oratorio, ma anche la casa annessa, anzi ne trasse motivo per l'organizzazione degli spazi mediante una ripresa simmetrica degli elementi, così da formare due imbuti, di cui il primo, divergente dalla strada comune alla piazzetta privata, mantenne un carattere ancora rustico, mentre il secondo, formato dalla parete di fondo della chiesa ripetuta sull'altro lato, funge da pilone d'ingresso e inizia il cannocchiale prospettico verso la casa; tra i due elementi con funzioni di propilei e il cancello, venne sistemata la piazza, in leggera salita, che si apre sui due lati, onde permette l'accesso ai rustici.
La cappella fu rimaneggiata internamente negli anni della costruzione della villa e ad essa intimamente collegata grazie ad un lungo corridoio che dal cortile conduce, lungo l'ala occidentale del cannocchiale, ad una tribuna, posta di fronte all'altare, rinnovata dal conte Luigi Bossi nel 1791, secondo l'iscrizione in essa riportata.
La rigida organizzazione degli spazi d'ingresso e del cortile trova in parte riscontro nella disposizione del giardino, anche se la possibilità di veduta panoramica dell'altura che domina il lago e la sistemazione in parte all'inglese, rende meno evidente la rigida assialità degli elementi che lo compongono; si passa infatti attraverso una successione di elementi ben dosati, a partire dal terrazzo chiuso dalle due ali sporgenti, per scendere al grande parterre, organizzato all'italiana e delimitato da una balaustra con scalinate, per terminare col giardino all'inglese, in forte declivio, che si stempera infine con la campagna ed il paesaggio; anche le opere di collegamento, che iniziano col grande scalone a forma di conchiglia e la fontana al centro, diventano più semplici nel secondo terrazzo.
E' probabile che l'insieme sia stato realizzato di getto; ad ogni modo la parte del giardino all'inglese, anche se fatta qualche anno dopo la fine dei lavori della casa, costituisce un logico completamento del grande terrazzo con giardino all'italiana, contro cui si scontra, raccordandosi mediante una serie di grotte artificiali; il contorno frastagliato e complesso della balaustra, permette però un ideale e reciproco collegamento, sia nella veduta dal basso, che dall'alto, grazie alle molte possibilità prospettiche che offrono i suoi spazi articolati a piccoli belvedere coi quali si organizzano anche le possibili funzioni del giardino, nulla lasciando al caso, secondo lo spirito con cui venne realizzata tutta la casa.
Questa attenzione per ogni particolare che il conte Luigi Bossi dimostra con pergamene ed iscrizioni che ricordano ogni avvenimento costruttivo, si riflette anche nella sistemazione dei rustici, i più interessanti e meglio disposti che sia dato vedere nel territorio varesino, coi fienili, stalle, filande, abitazioni per i contadini raccolti intorno ad un cortile porticato, di ottima fattura architettonica, sul lato occidentale della villa, secondo un criterio di complementarità di spazi che non si coglie immediatamente nei percorsi ufficiali, ma che si ricostruisce ampiamente sul piano dei percorsi abituali ed intimi della casa, nella sua funzione di centro economico ed agricolo, oltre che di villeggiatura patrizia.
Appare quindi, in modo unitario, la volontà d'ordine del proprietario conte Luigi Bossi, evidentemente persona molto illuminata e imbevuta della mentalità razionalista e trasformista dell'epoca, che si riflette sugli ordinamenti e la conduzione dei poderi e della casa, con rigore inflessibile, ma che con larghezza di vedute; purtroppo dopo lunghi secoli di possesso del luogo, la nobile famiglia Bossi godette per poco tempo della nuova proprietà che nel 1810 fu venduta ed acquistata da un certo Lorenzo Obicini; attualmente appartiene alla famiglia Zampolli che ne ha curato i restauri, con qualche integrazione o rifacimento, qual è' quello del timpano sulla fronte Nord, ridotto da neoclassico a barocchetto e che si presta a qualche discussione: si tratta comunque di particolari che cedono di fronte all'ottimo stato di conservazione.


DATE FONDAMENTALI DELL'EVOLUZIONE DEL CASTELLO DI AZZATE E DELLA VILLA SETTECENTESCA

1290 Il castello di Azzate è già esistente e ne è proprietario Rabalio Bossi.
        Siamo in piena età viscontea e la famiglia Bossi, come fautrice della Lega della Motta, è sempre stata
        intimamente legata alla famiglia Visconti del cui governo (così come dei successivi) ricoprì cariche
        importanti.
        Già nel 1277 la "Matricola di Ottone Visconti" nominava i due rami distinti dei Bossi di Azzate e dei
        Bossi di Milano.
        All'interno del castello, o adiacente ad esso, sorgeva la Chiesa di S. Biagio, censita da Goffredo da
        Bussero 1220-1298). Di questa chiesa non rimane alcuna traccia ai nostri giorni e non figura nemmeno
        nel cosiddetto Catasto di Maria Teresa del 1722. Da alcune osservazioni effettuate durante i recenti
        lavori di ristrutturazione della proprietà Martin sembra di poterla collocare in un quadrilatero, ora
        aperto, tra detta proprietà e la portineria della villa.

1329 Beltramo Bossi, prevosto della Chiesa di S. Giovanni di Castelseprio (di cui rimangono le rovine,
         essendo stata distrutta nel 1287 dai Milanesi) fonda il Beneficio ecclesiastico di S. Lorenzo al Castello.
         La famiglia Bossi conservò il diritto di juspatronato su questa chiesa fino al secolo scorso.  
        (Ne è attualmente proprietaria la famiglia Stucchi di Lurate Caccivio).

1493 Viene affrescata la Madonna in adorazione del Bambino.

1531 Bernardo Bossi, feudatario di Oggiona S. Stefano, costruisce nel castello di Azzate la cella vinaria ed i
         portici.

1772 Il conte Claudio Luigi Bossi costruisce l'attuale villa. Il documento ritrovato farebbe pensare ad una
         Costruzione "ex novo" della villa, ma dobbiamo ricordare che nel catasto di Maria Teresa, anteriore di
         circa 40 anni, l'impianto del castello è già quello attuale. Quindi la villa settecentesca è stata
         "riedificata" sull'antico castello.

1777 Giovanni Battista Ronchelli, allievo del Magatti, affresca il salone d'ingresso della villa.


VILLA BOSSI-ZAMPOLLI

Dipanare le vicende e i protagonisti di una famiglia dalle origini antichissime e dalle complicate diramazioni come quella dei Bossi sarebbe impresa titanica e forse vana, se non ci si potesse riferire agli studi effettuati da due storici: uno del passato, Donato Bossi, autore di una discussa "Chronica" quattrocentesca ma soprattutto di una corposa genealogia "bossiana", e uno vivente, Giancarlo Vettore, da anni cultore di sicura competenza della materia e instancabile frequentatore di archivi pubblici e privati. Per merito loro siamo in grado di ripercorrere agevolmente le tappe fondamentali di una stirpe che, annoverando illustri personaggi (decurioni, senatori, vescovi, letterati, giuristi, ecc.), ha lasciato di sé un ricordo indelebile anche grazie alla nascita di aristocratiche residenze e, di conseguenza, di splendidi giardini.
Le origini dei Bossi - ma qui siamo nel campo della leggenda - risalirebbero addirittura a prima di Cristo, quando un loro membro pensò di adottare l'insegna vista su una nave egizia, in cui era raffigurato un bue bianco: animale che poi entrò veramente nei quarti dello stemma nobiliare. Più sicuro è che un Benigno Bossi fu arcivescovo di Milano (465-472) e diventò poi santo, come è certo che le fortune della famiglia ebbero inizio in seguito ai favori ottenuti dal Barbarossa e al suo inserimento nella "Matricula Nobilium Familiarum" di Ottone Visconti del 1277, che stabilì in modo netto la distinzione fra i due rami principali, quello milanese e quello dei Bossi di Azzate, accanto al quale si andarono poi formando anche quelli di Musso sul lago di Como e di Meleto nel Lodigiano.
Il centro di Azzate, secondo un recente studio del Vazzoler (1996), era già da tempo abitato dai Bossi, la cui presenza è attestata da una pergamena risalente al 1173.
Capostipite del ramo nobiliare azzatese fu un certo Arnaldo, dal cui figlio Rabalio (o Rabaglio) discendono i personaggi che maggiormente ci interessano ai fini di una ricostruzione storica, almeno parziale, della magnifica residenza affacciata sul lago di Varese. Vale la pena soffermarsi su una coppia di Bossi cinquecenteschi perché citati da Bartolomeo Taegio nel suo celeberrimo trattato "La Villa " (1559), in cui vengono elencati i proprietari dei migliori esempi di residenze e giardini del Ducato di Milano. Si tratta di Marc'Antonio e Girolamo Bossi, padre e figlio, l'uno cavaliere aurato, l'altro storico e poeta, oltre che insegnante all'Università di Pavia. Del primo il Taegio dice che "col corpo sta in Melano, e con la mente va filosofando e poeteggiando per li riposti lochi del suo monte Parnaso di Azzà, terra così atta à simili studij", mentre del secondo - "fisico eccellentissimo e poeta rarissimo" - afferma che "non si sa partire dalla solitudine di quella", cioè della medesima residenza paterna. Viene in tal modo confermata, almeno sin dall'epoca rinascimentale, la passione dei Bossi non solo per la loro terra natia, ma anche per la magnificenza del vivere in villa, circondati da bellezze e ornamenti degni appunto del monte Parnaso. Va anche precisato che in Azzate vissero ben quattro rami della famiglia: i Bossi di Azzate, che abitavano nel castello di cui poi diremo; quelli di Milano, che espressero soprattutto grandi giureconsulti e vivevano nell'attuale villa Ghiringhelli; poi i Bossi di Musso, un tempo residenti in un edificio oggi adibito a ristorante; quindi il ramo di Meleto di Lodi, allora proprietari dell'odierna villa -Benizzi-Castellani.
Un ramo, infine, viveva nel vicino paese di Bodio e da taluni viene ritenuto addirittura quello che otto secoli or sono diede origine all'intera stirpe. Anzi, è importante sottolineare che la cosiddetta Val Bodia (che, per decreto 28 settembre 1717, prese poi il nome di Val Bossa) - comprendente le località di Daverio, Galliate, Crosio, Brunello, Buguggiate e Gazzada in pieve di Varese - faceva parte di quel grande feudo che nel 1538 era stato venduto da Agostino d'Adda al senatore Egidio Bossi, celebrato giureconsulto, avvocato fiscale e autore di importanti trattati giuridici.
La principale residenza bossiana di questo vasto 'monte Parnaso' - oggi conosciuta come villa Zampolli, dal nome del suo attuale proprietario - vanta origini antichissime, tanto che la località stessa in cui si trova, una sorta di altura dominante il paese e la sottostante conca del lago di Varese, da tempo immemorabile viene chiamata 'il Castello'. Che i Bossi possedessero una residenza di tipo feudale con caratteri soprattutto militari sembra accertato a partire almeno dal 1290, quando il principale rappresentante della famiglia era il capostipite Rabalio.
All'interno stesso del castello era presente una chiesa dedicata a San Biagio - censita da Goffredo da Bussero nel XIII secolo e poi scomparsa - mentre all'esterno un'altra chiesa, dedicata a San Lorenzo, venne edificata intorno al Mille ed è tuttora presente, anche se più volte rimaneggiata, accanto all'ingresso dell'attuale villa, tanto che i Bossi ne mantennero il giuspatronato fino al secolo scorso. Tuttavia, sotto il profilo politico il periodo di dominio dei Bossi su Azzate incominciò a declinare intorno alla metà del Seicento, quando il feudo di Azzate con Dobbiate venne concesso dapprima a Giacomo Maria Alfieri (1657), poi al conte Nicolò Torriani (1712) e successivamente ai segretari del senato Giulio Antonio Biancani (1737) e Giampaolo Mollo (1748).
Anche se progressivamente ritiratisi - o estromessi - dalla vita politica, i Bossi continuarono a risiedere nel loro avito castello, le cui originarie funzioni feudali e militari nell'arco di qualche secolo vennero sopraffatte da altre esigenze abitative, così che giustamente il Langé (Langé-Vitali, 1984) sottolinea la difficoltà di "riconoscere compiutamente il reciproco rapporto nel tempo tra le vecchie e le nuove strutture". Lo stesso studioso, comunque, non esita a individuare anche nell'attuale complesso edilizio settecentesco alcune parti risalenti alle antiche strutture medievali: "i porticati nel piccolo cortile, le finestre in cotto, i resti di affreschi", tutti databili intorno al XIV-XV secolo. Un tentativo di ricostruire, sia pure sommariamente, la storia dell'edificio e del giardino attuali deve comunque iniziare da una lettura delle tavole e dei registri del Catasto di Maria Teresa. La mappa di Azzate - elaborata fra il maggio e ilo luglio del 1722 - raffigura al n. 886 una "Casa di propria abitazione, compreso l'Orto in mappa al n. 356 ed anche compreso un Torchio da Nus per proprio uso", della superficie complessiva di 8 pertiche e 9 tavole. La configurazione della casa ricorda molto da vicino le strutture tipicamente castellane, imperniate su un cortile centrale racchiuso fra quattro corpi di fabbrica, di cui quello orientale si prolunga a sud, fin quasi a toccare la "Cappella o sia Oratorio di S, Lorenzo in Castello d'Azzate". La collocazione e la pianta stessa di questo edificio farebbero ritenere che la successiva 'ricostruzione' settecentesca sia avvenuta in un certo senso inglobando, anche se parzialmente demolendoli o trasformandoli 'prepotentemente' (Langé- Vitali, 1984), gli ambienti preesistenti. Per ciò che concerne gli spazi ornamentali a verde, va sottolineata la scarsa affidabilità del Catasto settecentesco in questo settore, poiché non pare credibile che quello che fino a poco tempo prima era considerato un 'monte Parnaso' sia ora del tutto privo di un pur modesto giardino. Probabili esigenze di natura fiscale devono aver fatto passare il terreno n. 356, con vista sul lago di Varese, per un 'orto' di vaste dimensioni, quando sul fronte della casa già esisteva un'altra area adibita ad orto (n. 357).
Intestataria di questi beni era la persona del conte Giulio Cesare Bossi fu Paolo, che era proprietario di beni azzatesi per una superficie totale di 2287 pertiche, mentre a un suo parente, Vespasiano Bossi fu Francesco, che risiedeva nella casa n. 883 strettamente annessa all'ala orientale del castello, erano intestate poco più di 118 pertiche. La morte colse il conte Giulio Cesare Bossi nel novembre del 1774, ma la sua eredità, consistente in 2397 pertiche, venne trasmessa al figlio Luigi nell'agosto del 1780, quando ormai da tempo questi aveva dato il via alla riedificazione del castello, sotto forma di villa impostata su uno schema tardo-barocco, che però non poteva sottrarsi alle coeve influenze neoclassiche (Langé-Vitali, 1984).
Riguardo ai tempi relativi a questi lavori si hanno date sicure, poiché alcuni anni or sono, durante opere di restauro dell'edificio, fu rinvenuta una pergamena fatta murare dallo stesso conte Luigi, in cui si confermava non solo la sua committenza, ma anche la data di inizio (1771) dell'erezione della villa "a fundamentis": i lavori terminarono poi nel 1779, anche se alcuni interventi di minore portata si protrassero fino agli inizi dell'Ottocento.
Nel frattempo, le vicende connesse alla proprietà dei beni lasciati da Giulio Cesare si complicarono, poiché dopo la morte di Luigi (1802), la partita ereditaria passò in un primo momento ai figli di Francesco e Claudio e poi, dopo la morte di Francesco, anche al figlio maggiore di quest'ultimo, Luigi, e ai suoi fratelli. La proprietà del patrimonio azzatese bossiano subì una divisione nel 1812, seguita però da una parziale riunificazione quando i vari eredi Bossi, nel 1815, vendettero la villa e altri immobili a un certo Lorenzo Obicini fu Giovanni Battista. Questi, nel corso di una quindicina d'anni, ampliò ulteriormente la proprietà sino a toccare le 1521 pertiche, ma il 7 giugno 1833 vendette l'intera partita a un'acquirente d'eccezione, Maria Cristina di Borbone, "nata Infante delle Due Sicilie, Regina di Sardegna, Vedova di S.M. Re Carlo Felice", che era morto da due anni. Quali ragioni potessero aver indotto una donna ricca, potente e dal casato illustre come Maria Cristina ad acquistare una villa come quella azzatese è difficile oggi scoprire. Certo è che la regina non fu estranea alla vita di questa sua nuova proprietà, tanto è vero che fu per suo volere che dal vicino colle di San Quirico, sulla strada che porta a Brunello, vennero effettuate le opere per captare l'acqua necessaria a irrigare il grande giardino. Qualche perplessità potrebbe invece nascere dal fatto che la proprietà azzatese di Maria Cristina andò per intero, nel 1849, al conte Filiberto Avogadro di Collobiano fu Ottavio, "gran Maestro della Casa di Savoia", che era stato primo segretario di gabinetto di Carlo Felice e poi gentiluomo di camera fino alla morte del re. Si sa invece che Maria Cristina aveva ottimi motivi per manifestare la propria gratitudine all'Avogadro se si pensa che questi, dopo la salita al trono di Carlo Alberto, era stato allontanato bruscamente dalla corte, diventando però sovrintendente generale della stessa regina, una cui dama di corte egli aveva sposato nel 1829.
Alla sua morte, la villa che fu dei Bossi andò dapprima al figlio Vittorio (1868), quindi ad altri proprietari fino a pervenire ai nostri tempi alla famiglia Zampolli, l'impegno della quale per la conservazione di villa e giardino è davvero eccezionale e meritorio.
L'ingresso alla villa, sulla destra dell'Oratorio di San Lorenzo, è imponente e principesco, con due alti corpi d'invito su cui campeggiano gli stemmi delle famiglie che hanno qui dato vita a uno dei migliori esempi di giardini dell'intera provincia di Varese. Al di là di uno splendido cancello in ferro battuto - dopo un lungo vialetto a imbuto definito non solo dai muri di fabbricati di servizio, ma anche da basse siepi di ligustro e da rampicanti (Parthenocissus tricuspidata) - si apre il solenne cortile d'onore, interamente racchiuso dai corpi di fabbrica dell'edificio a mo' di corte castellana. Il suo arredo vegetale viene assicurato da un solo esemplare di magnolia sempreverde (Magnolia grandiflora), posto al centro e dotato di un bel portamento, attorno al quale prospettano il porticato settentrionale, le finestre interne e i festoni dipinti in stile settecentesco con graziosi e delicati trompe-l'oeil. Tutta la composizione si distribuisce ai lati di un solo  e lungo asse che, partendo esternamente da una piazzetta privata, attraversa l'ingresso a invito, il cortile con la magnolia, il porticato, l'ala nobile dell'edificio ed esce a settentrione sul fronte verso il giardino, dove separa anche il doppio scalone che scende nell'ampio parterre formale.
Per accedere al giardino si passa usualmente lungo il fianco destro della villa: in pochi passi si presenta alla vista, in un quadro ambientale di grande suggestività, il vasto parterre rivolto a settentrione. Sulla destra è radicato un enorme esemplare di "Cedrus deodara", purtroppo parzialmente troncato da un fulmine, che funge da elemento di raccordo fra il vastissimo ripiano all'italiana, posto a  nord della villa, e il grande parco romantico che si sviluppa alla base di quest'ultimo. Il parterre all'italiana, davvero solenne nella sua rigorosa severità formale, in perfetta consonanza con le linee architettoniche settecentesche dell'edificio, si presenta come un vero e proprio balcone di grandi proporzioni, aggettante sul non lontano bacino del lago di Varese in un arco racchiuso a est dai monti della Valganna e a ovest dai paesi della vicina Val Bossa. Questa funzione di grande poggiolo è tanto palesemente voluta e ricercata che per almeno metà della sua superficie (in particolare il tratto terminale, a forma di esedra) lo spazio pianeggiante si presenta come un terrazzo sostenuto a valle da muri, arcate, grotte e pilastri, tutti appoggiati sul sottostante declivio. Il suo disegno e il suo corredo vegetale appaiono netti e semplicissimi, in accordo con i migliori esempi lombardi di arte dei giardini nel secolo dei Lumi. Quasi a ridosso della facciata della villa si stende un comparto centrale erboso, avente ai lati due enormi esemplari di "Osmanthus fragrans" - unica concessione 'romantica' all'area, trattandosi di una specie presente in Italia a partire dal 1801 -, cui fanno seguito altri due spazi a prato, ornati con un paio di bossi potati a palla, che precedono il terrazzino terminale. Tutto il parterre è delimitato da una bassa balaustra in pietra, sulla quale sono disposte statue di putti che rappresentano arti e mestieri e fruttiere pure in pietra, mentre la decorazione vegetale è affidata a un severo ma efficacissimo rivestimento di edera. La connessione fra il vasto ripiano e l'edificio storico è assicurata da una doppia scalinata ricurva a forma di conchiglia che - partendo da una terrazza inserita fra le due ali a U della villa, con putti in tutto simili a quelli del parterre - scende verso il basso abbracciando a tenaglia una grande vasca con mascherone. Sul lato ovest dell'imponente balconata, tramite un'apertura si imbocca una seconda scalinata - assai più piccola, ma graziosamente decorata con statue e vasi - che consente di scendere a un altro parterre laterale, la cui 'estraneità' alle simmetrie formali all'italiana, a dispetto di una balaustra analoga a quelle già descritte, viene sottolineata dalla presenza di essenze tipicamente romantiche di grandi dimensioni, tra le quali sono da notare un'alta "Magnolia grandiflora" e un enorme "Osmanthus x fortunei". Da questo punto si può osservare come tutta la fascia bassa della villa, e così quella dell'intero corpo di fabbrica occidentale - che un tempo ospitava le serre e i rustici - sono totalmente ricoperte di edera, vecchissima e ben regolata. Percorrendo il largo viale che costeggia l'edificio sul versante occidentale, si ha modo di addentrarsi nella zona romantica del grande giardino, come testimonia non solo lo sviluppo dei sentieri - ora non più rettilinei ma ampiamente sinuosi - ma anche la varietà di essenze vegetali esotiche. Un primo impatto si ha con una macchia di tassi e di ligustri cino-giapponesi ("Ligustrum lucidum"), seguiti da gruppi di bossi e di laurocerasi ormai vetusti e di grandi dimensioni. Quindi, là dove il sentiero piega nuovamente in direzione nord-est dopo aver lasciato alle spalle conifere e sempreverdi (camelie e nespoli giapponesi), a un bivio si può  scegliere se proseguire a metà costa ritornando così sotto la grande terrazza all'italiana o scendere alla quota più bassa del giardino, lungo il confine con vasti campi coltivati. In questo secondo caso si osserva come qui abbia inizio una lunghissima teoria di alberi caducifogli, alcuni dei quali di notevole altezza: primo fra tutti un vecchio tiglio (Tilia platyphyllos), poi aceri, faggi, "Liquidambar", ai bordi del grande declivio prativo, e invece querce ("Quercus robur") e noci americani (Junglans nigra) sia pure in alternanza con conifere (Picea abies) e sempreverdi (Prunus lusitanica) lungo il sottostante confine del giardino. Seguono altri tigli e agrifogli, cui si contrappongono, nel prato, arbusti ornamentali da fiore e da  foglia (Malus, Prunus, Weigela, Corylus, Magnolia). Si incontra poi un piccolo spiazzo adattato a sito di riposo, con una statua e sedili in pietra, dominato da grossi ippocastani e da giovani aceri giapponesi dalle foglie rosse. Un sentiero risale, sulla destra, per raggiungere quello che corre trasversalmente a metà costa, mentre, proseguendo in direzione est lungo il viale basso, la scena è dominata da grandi macchie boschive costituite prevalentemente da enormi tigli e aceri che formano una barriera quasi impenetrabile alla vista di chi si trovi fuori del giardino. Un gigantesco platano è poi accompagnato da ippocastani altissimi e, in questo punto, il sentiero riprende a salire verso l'alto lasciando sulla destra altre caducifoglie, come aceri campestri, farnie e carpini. Il grande prato sottostante alla terrazza all'italiana ospita pochi alberi, tra i quali, nella parte alta, un acero himalayano (Cedrus deodara) e un faggio, lungo il sentiero trasversale un alto cedro (Cedrus atlantica 'Glauca?) e una grossa quercia esotica (Quercus palustris), e infine alcune betulle poste accanto a una quercia americana (Quercus rubra), sul limite orientale. Rapidamente il sentiero, fra gruppi di conifere (tassi, tuie, pini silvestri, cipressi, ginepri cinesi, Chamaecyparis) arriva nuovamente al grande Cedrus deodara posto a lato del terrazzo formale all'italiana.
Anche se l'epoca in cui avvennero le decisive trasformazioni del sito per volere di Luigi Bossi e immediati successori potrebbe teoricamente aver consentito un'impostazione del giardino simile all'attuale, siamo invece portati a ritenere che in quel momento venisse realizzata esclusivamente l'area formale all'italiana e che solo in seguito, nella seconda metà dell'Ottocento, si passasse alla sistemazione del grande parco romantico. Un conforto a tale tesi verrebbe dalla mappa del sito presente nel cosiddetto Cessato Catasto (1862), che riproduce un giardino formale (n. 147) corrispondente a quello odierno anche nelle linee che definiscono la lunga balaustrata, mentre i sottostanti terreni continuano a essere chiamati con i nomi di 'prato' (nn. 144, 146, 148), 'aratorio' (n., 145) e 'aratorio vitato' (n. 143). Se ciò corrispondesse a verità, si dovrebbe dare atto agli Avogadro di Collobiano di non aver tentato di frodare il fisco.

(da "Giardini del territorio Varesino - La provincia" di Paolo Cottini, Edizioni Lativa, Varese, 1997).


“Moltissimi paesi manifestano anche nel toponimo la distinzione alto/basso: per limitarci ai paesi confinanti al nostro, Bodio e Lomnago, Inarco e Casale Litta, Cassinetta e Biandronno. Si potrebbe proseguire con località più famose, ma sempre trovando questa contrapposizione, che non è semplicemente di carattere locale, ma anche di carattere etnico e culturale, Il termine castello fin dal Medioevo è usato, oltre che per indicare una fortificazione, anche nel senso di parte alta del paese. L’incastellamento vero e proprio è un fenomeno studiato su amplissimo raggio storico-geografico. Nella nostra zona “un bell’esempio di castello è rappresentato dalla Rocca di Angera, già fortificazione romana, poi barbaro longobarda e, dal 1449, di proprietà dei Borromeo, casato di San Carlo. Nel 1160 i Milanesi distrussero un grosso castello sopra Lomnago (Bodio-Lomnago), mentre un Castello Vedro esisteva a Biandronno, distrutto nel 1161 da Gozolino, creato conte del Seprio dal Barbarossa.” (CROSTA, pag. 65).
Nella parte alta risiedono le famiglie feudali con la loro servitù personale, mentre più in basso si possono trovare gli insediamenti di fortuna o dei servi dei guerrieri (spesso le popolazioni autoctone conquistate) o dei gruppi marginali, che riescono a sopravvivere nonostante tutto, mantenendo antichissime abitudini di vita, come le palafitte nelle zone frequentemente inondate della costa bassa del lago di Varese da Capolago a Bardello. C’è anzi chi osa supporre “che le palafitte, evidentemente fatte e rifatte nel corso di tanti anni, venissero ancora usate nei periodi ormai appartenenti alla storia scritta, delle invasioni etrusche, celtiche e romane, come punto di appoggio per i pescatori, discendenti diretti dei lacustri palafitticoli. Così, mentre adiacenti alle rive del lago resistevano le capanne dei pescatori, sui poggi circostanti di Azzate, Galliate, Bodio, Lomnago, Cazzago, Biandronno, Gavirate, erano ormai sorti gruppi di case di legno, mattoni e pietra con le relative infrastrutture, soprattutto strade per i legami fra i vari nuclei di popolazioni indigene e immigrate, dedite ormai esclusivamente all’agricoltura, e per i numerosi scambi commerciali. (CROSTA, pag. 29).
Lo storico paesano, anche in questo caso, osa supporre, perché vede chiaramente la cosa, ma non ha nessuna pezza giustificativa”.


(Estratto da: AMERIGO GIORGETTI, Viaggio al centro del paese, 1996, pag. 79).



A.C.A.
Cartella 1, Categoria 4, Classe 2, Fascicolo 10, Anno 1950

APERTURA DI UNA CASA DI CURA PER MALATTIE POLMONARI IN FRAZIONE CASTELLO

Il Consiglio Comunale di Azzate.
1.      Vista la domanda in data 12 Maggio 1950 presentata dalla S.E.S. Srl – “Sanitas”  Esercizi Sanitari – con sede sociale in Milano Via Savona n. 7, Direzione e Amministrazione Pavia Via Frank n. 3 -  con la quale si chiede il parere dell’Amministrazione Comunale circa l’utilizzazione, previa trasformazione, del Castello dei Conti di Collobiano, in casa di cura per malattie polmonari per gli assistiti dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale, capace di ospitare n. 200 ammalati;
2.      Considerato che l’apertura di una casa di cura sarebbe vantaggiosa per tutta la popolazione di Azzate;
3.      Dato atto che il locale ufficiale sanitario Dottor Angelo Zocchi, appositamente interpellato dal Sindaco, ha espresso verbale parere favorevole;
4.      Ritenuta la richiesta della SES meritevole di accoglimento;

delibera di esprimere parere favorevole, per quanto di suo competenza, a che il Castello dei Conti di Collobiano, sito in frazione Castello, venga utilizzato in casa di cura per malattie polmonari per gli assistiti dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, così come esprime parere favorevole a che nella Frazione suddetta venga aperta una casa di cura per malattie polmonari.


(Marino Sessa mi riferisce che nel 1975 erano già stati piantati nel terreno i paletti sotto i terreni del Castello per la costruzione di una Casa di Cura. Furono rimossi e non se ne fece nulla!).




In questa fotografia è ben visibile la beola inserita nell’acciottolato che era il punto massimo che i ragazzi non dovevano superare nei loro giochi per non incorrere nelle severe rimostranze del custode del castello, in quanto quello era il limite superato il quale si sconfinava nella proprietà privata.
Altra curiosità popolare non rispondente a verità è quella che i tre monti rappresentati nello stemma di Maria Teresa Locatelli stiano a rappresentare i tre punti di eminenti di Azzate ossia Vegonno, Castello ed Erbamolle.

Partita n. 1 del Catasto urbano.
Avogadro di Collobiano cav. Vittorio fu conte Filiberto.
Mappale n. 149 Via Castello 64 casa di villeggiatura[1] piani 3 vani 48.
Mappale n. 150/1 Via Castello 65 casa ad uso di filanda[2] piani 3 vani 67.
Mappale n. 57 Via S. Antonio 37 casa ad uso di filanda[3] piani 2 vani 5.

Da una successiva rettifica diventa:
Mappale n. 149 Via Castello 64 casa di villeggiatura piani 3 vani 61.
Mappale n. 149 Via Castello 65 porzione di casa abitata dal fattore[4] piani 2 vani 6.
Mappale n. 150/1 Via Castello 69 casa d’affitto piani 2 vani 5.

Revisione generale del 1890:
Mappale n. 149 Via Castello 89 casa di villeggiatura piani 3 vani 61.
Mappale n. 149 Via Castello 90 porzione di casa abitata dal fattore piani 2 vani 6.
Mappale n. 150/1 Via Castello 90 casa d’affitto piani 2 vani 10.
Mappale n. 57 Via S. Antonio 37 casa piani 2 vani 7.

Nuovo accertamento 2 agosto 1898:
Mappale n. 149 Via Castello 90 grande porticato con superiore galletti era piani 2 vani 2.
Mappale n. 149 Via Castello 90 casa del giardiniere piani 2 vani 4.
Mappale n. 147 serre e aranciera piani 1 vani 3.
Mappale n. 57 Via S. Antonio 37 poi Via Umberto I° 44 casa piani 2 vani 10 passa a Baroffio Giuseppe fu Gaetano proprietario e Ferrari Livia fu Gio. Battista ved. Baroffio usufruttuaria, per acquisto 18 giugno 1898.

Partita n. 404 del Catasto urbano.
Avogadro di Collobiano Filiberto, Ferdinando, Annibale, Maria in De Sonnaz e Rita maritata Leone di Tavagnasco fratelli e sorelle fu conte Vittorio.
Mappale n. 149 Via Castello n. 89 casa di villeggiatura piani 3 vani 61.
Via Castello n. 90 porzione di casa abitata dal fattore piani 2 vani 6.
Mappale n. 150/1 e 652 Via Castello n. 87 casa d’affitto piani 2 vani 10.
Mappale n. 150/3 Via Castello 90 grande portico con superiore galletti era piani 2 vani 2.
Mappale n. 150/4 Via Castello n. 90 casa del giardiniere piani 2 vani 4.
Mappale n. 150/2 e 1497 Via Castello n. 90 serre e aranciera piani 1 vani 3.

Partita n. 406.
Avogadro di Collobiano conte Filiberto, Ferdinando ed Annibale fratelli fu Vittorio per nota n. 12 del 17 aprile 1923 di cessione di quote ereditarie come da atto 10 luglio 1915 a rogito dottor Oreste Costa notaio di Torino registrato a Torino il 30 luglio 1915 al n. 433.

Successione apertasi il 18 gennaio 1929 in morte di Avogadro conte Annibale fu Vittorio. Testamento olografo in data 20 novembre 1926 registrato a Torino il 25 gennaio 1929 al n. 7682.
Partita n. 492.
Avogadro di Collobiano conte Vittorio ed Elena fu Annibale proprietari e Solaroli di Briona Cristina fu Davide vedova Avogadro e conte Filiberto usufruttuari in parte.

Divisione di eredità 10 luglio 1940 nota n. 2 come da istrumento 7 novembre 1939 n. 8731/4698 del dottor Masenti notaio in Torino registrato a Torino il 24 novembre 1939 al n. 5086.

Partita n. 513.
Avogadro di Collobiano conte Vittorio fu Annibale proprietario e Solaroli di Briona contessa Cristina fu Davide vedova Avogadro usufruttuaria in parte.

Partita n. 90.
Zampolli Egidio e Giovanni di Angelo Via Aurelio Saffi n. 16 Milano.

Per nota 3 del 54/55 come da istrumento 8 novembre 1952 n. 141579 del dottor Suniderle registrata a Milano il 26 novembre 1952 al n. 13414 volume 999. Ottiene esenzione venticinquennale dal 18 novembre 1953 al 17 novembre 1978. Mappale n. 149 casa piani 3 vani 61.
Casa del fattore piani 2 vani 6.
Mappale n. 150/1 e 652 casa piani 2 vani 10.
Mappale n. 150/3 portico piani 2 vani 2.
Mappale n. 150/4 casa del giardiniere piani 2 vani 4.
Mappale n. 150/2 e 1497 serra e aranciera pani 1 vani 3.

 Mappale n. 150/3 e 150/4 abitazione piani 1 vani  26. (esente).
150/2 area.
1497.





[1] Villa Bossi-Zampolli.
[2] Dovrebbe essere il cosiddetto “Borgo”.
[3] Dovrebbe essere la Corte Piccoli.
[4] Dovrebbe essere l’abitazione di Alessandro Ballerio, giardiniere

IL CASTELLO DEL CONTE GIULIO CESARE BOSSI

Il conte Giulio Cesare Bossi, secondo conte dei Bossi del Castello di Azzate, figlio del conte Paolo, primo conte dello stesso ramo, vive tranquillamente nella sua dimora, il castello di Azzate, immerso in un grande parco, tutto circondato da un possente muro di cinta, che lo protegge da sguardi indiscreti ma soprattutto da intrusi malintenzionati che, ai quei tempi, certo non mancavano.
La sua non è indubbiamente la sontuosa villa che noi siamo abituati a considerare oggi il Castello di Azzate, che verrà fatto costruire da suo figlio conte Claudio Luigi, terzo conte dei Bossi del Castello di Azzate, a partire dal 1771 per giungere a compimento del 1779.
Era comunque una grande casa che si distingueva dalle altre per le sue mura possenti e la sua conformazione che chiunque avrebbe definito la casa di un signore. Il titolo di signore gli competeva per more vivendi, come si diceva allora, e per investitura imperiale che aveva concesso il titolo comitale a suo padre Paolo.
Tutto intono al muro di cinta del parco correva una comoda strada che dava accesso ai vari poderi del conte, lavorati dai suoi fedeli contadini, che portavano i raccolti nei capaci depositi annessi alla casa del padrone.
Da questo particolare del cosiddetto Catasto di Maria Teresa d’Austria del 1732 si vede come quasi tutti i terreni intorno al castello (sembra questo il termine più appropriato per definire la grande casa) erano di proprietà del conte Giulio Cesare.


Il mappale n. 886 corrisponde al Castello di Azzate. Tutti gli altri mappali intorno
al muro di cinta sono di proprietà del conte Giulio Cesare Bossi.

Accanto alla grande casa del conte sorgeva il vecchio castello dei Bossi, dove erano vissuti i suoi antenati e il capostipite dei quali era stato Rabalio Bossi, vissuto intorno all’anno 1290. Questi viene detto signore del borgo e castello di Azzate per cui è da ritenere che fosse proprietario di tutta Azzate. Pian pianino si insinuarono poi altri proprietari per ragioni di matrimonio, di regalie alla Chiesa o anche per vendite.
Fatto sta che il nostro conte Giulio Cesare non era l’unico proprietario di quella che oggi consideriamola frazione Castello e infatti figurano anche il conte Alemagna che viveva nella sua bella villa nel centro storico del paese ma aveva qui una casa colonica (contrassegnata con il n. 889 di mappa) alla quale era annesso anche il mappale n. 358. Questo era l’unico terreno incluso nel muro di cinta che non fosse proprietà del conte Bossi e per scongiurare altre intromissioni venne escluso dal muro cinta il mappale n. 322 che apparteneva ad un altro nobile personaggio di Casa Bossi, certo Vespasiano Bossi, ……..
Questo mappale era all’interno di quell’anello che descriveva la strada confinante per buona parte del suo percorso con la mura di cinta e se ne distaccò proprio in corrispondenza del mappale n. 322 per fare in modo che un altro estraneo non vi fosse incluso.
Il muro di cinta venne dunque costruito al confine del mappale n. 321 e 322, escludendo quest’ultimo.

Una vecchia cartolina con l'indicazione "Castello del conte di Collobiano".


CASTELLO VECCHIO DI AZZATE

Sui muri esterni del vecchio castello di Azzate sono ancora ben visibili alcuni fori circolari, residui delle buche pontaie per la travatura del ponteggio di costruzione.


Ancora nel 1841, quando l’ingegner Paolo Ponti, redigeva la relazione per la manutenzione delle strade interne di Azzate, denominava l’attuale Piazza Collobiano come la Piazzetta della Casa del Castello di Azzate con chiaro riferimento ai fabbricati che costituivano il vecchio castello di Azzate.

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Nel 1290 Rabalio Bossi aveva ormai consolidato la sua signoria sul borgo di Azzate e il suo castello.
Discendeva costui da una antica e nobile famiglia che si era stanziata a Milano e, nella lotta per il potere sulla città, scoppiata in seno alla famiglia dei Torriani e dei Visconti, aveva parteggiato per questi ultimi, ottenendo in cambio notevoli favori. Si pensa che anche la signoria su Azzate rientri tra le concessioni che i Bossi ottennero dai duchi di Milano in cambio della loro fedeltà. A ricordo di questo sudditanza, che poi si rivelò positiva e vantaggiosa, è rimasto lo stemma del biscione visconteo sulla parte più alta del complesso di case prospicienti sulla Piazza Cairoli.

Piazza Cairoli. Dopo i restauri. Nella parte alta del fabbricato è visibile lo stemma
della famiglia Visconti

        

Piazza Cairoli. Lo stemma dei Visconti raffigurante un biscione che ingoia un
moretto.
                           
Lo stesso stemma dei visconti era raffigurato ad affresco sul parapetto della loggia che si affacciava sul cortile del vecchio castello dei Bossi, purtroppo strappato intorno agli anni ’60.

Cortile interno del vecchio castello di Azzate. Sul parapetto del poggiolo erano
affrescate scene di caccia con lo stemma dei Visconti e dei Bossi.
                
                                         
In quella che conosciamo come la casa Magni in Via Nazario Sauro è tutt’ora visibile un altro stemma a graffito nella grande sala del primo piano, da poco restaurata.

Casa Magni in Via Nazario Sauro. Lo stemma dei Visconti graffito nella
grande sala del primo piano.
                                           



Rabalio Bossi è considerato il capostipite del cosiddetto ramo dei conti Bossi del castello di Azzate ma non mancano personaggi vissuti anche in secoli precedenti dei quali, però, abbiamo soltanto notizie frammentarie.
Citeremo per esempio Prevede Bossi che il 7 marzo 1260 confessa di essere livellario della Chiesa di Sant’Ambrogio di Barasso.
(Inserire altri esempi).
Una trattazione a parte meritano altri due personaggi che hanno dato particolare lustro alla nobile famiglia Bossi: San Benigno Bossi e Ansperto Bossi, entrambi arcivescovi di Milano.



  

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