venerdì 20 dicembre 2013

Ritratto del senatore Egidio Bossi

Particolare con il ritratto del senatore Egidio Bossi.
“Eccellenza, presto! Mastro Callisto è arrivato e attende nella sala grande”.
Callisto Piazza da Lodi, come verrà chiamato in seguito il celebre pittore, aveva già preso posto davanti alla sua tela e stava preparando i colori poiché egli doveva dare ancora dei colpi di pennello al volto del senatore Egidio Bossi.
Il nobiluomo discendeva in linea diretta dal grande Rabalio Bossi che passerà alla storia per essere stato intorno al 1290 signore di Azzate e del suo castello. Di padre in figlio i suoi discendenti si erano tramandati quella signoria, tanto da essere detti i Bossi di Azzate per distinguerli dagli omonimi di Milano.
Sia questa che quella casata era sempre stata fedele ai Visconti tanto che i suoi discendenti si meritarono il diritto di poter essere eletti al Capitolo alla Chiesa Metropolitana di Milano. E infatti nella cosiddetta Matricola di Ottone Visconti del 1377, dove vengono elencate 189 famiglie, compaiono anche i Bossii de Aciate e i Bossii domus Jacobi, cioè i Bossi di Azzate ed i Bossi della casa di Giacomo, ossia i Bossi di Milano.
Il senatore Egidio Bossi aveva aumentato il suo prestigio e la sua potenza acquistando nel 1538 da Agostino D’Adda il cosiddetto Feudo della Val Bodia che gli consentiva di estendere la sua signoria, oltre che ad Azzate, a Gazzada, a Buguggiate, a Brunello, a Crosio, a Daverio, a Galliate e a parte di Bodio.
La sua fama a Milano si era ormai molto estesa per il fatto di sedere nel Senato Eccellentissimo ma soprattutto per aver messo mano alla stesura delle Nuove Costituzioni di Milano, una specie di codice che raccoglieva tutte le leggi del Ducato di Milano.
A distanza di quattro anni dal suo insediamento come feudatario, nel 1542, sentiva il bisogno di lasciare ad Azzate una traccia tangibile della sua persona e perciò, in ossequio anche al grande rispetto che portava verso la Chiesa di Azzate, commissionò al pittore Callisto Piazza una pala d’altare in cui fossero raffigurati la Madonna in trono col Bambino nell’atto di celebrare le nozze mistiche con Santa Caterina d’Alessandria, San Gerolamo e lui stesso, genuflesso, in atto di preghiera.
Non pensava il committente che il suo ritratto avesse richiesto uno studio così particolareggiato e un tempo così lungo di posa e perciò, anche quel mattino, rispose con molta sopportazione alla sollecitudine che gli veniva proferita dalla sua governante e lo invitava a raggiungere il pittore nella sala grande. Meno male che poteva rimanere nel suo consueto abbigliamento e soltanto una o due volte gli fu imposto di indossare quella grossa zimarra nera che era un po’ il simbolo della sua alta carica in Senato.
Si sarà chiesto il nostro Egidio se il valente pittore lo avrebbe raffigurato in modo così preciso e somigliante che gli azzatesi lo avrebbero riconosciuto a prima vista? In cuor suo sperava di sì, anche perché sarebbe stato l’unico suo ritratto nel piccolo paese di Azzate da collocarsi addirittura sull’altare maggiore della Chiesa Parrocchiale di S. Maria.
Il senatore sapeva che altri ricordi di lui sarebbero sopravvissuti dopo la sua morte come, per esempio, lo stemma di famiglia in cui aveva fatto incidere il suo nome in latino Aegidius.
Non sapeva che l’incendio avrebbe distrutto lo stemma che aveva voluto alla sommità della tela e che causò anche la perdita della cornice dorata in cui era racchiusa.

Chiesa Parrocchiale di Azzate.
Pala di Callisto Piazza da Lodi - 1542.

BOSSI EGIDIO


 Nacque a Milano nel 1488 da Francesco e Anastasia Carnaga. Dedicatosi alle discipline giuridiche per le quali aveva dimostrato fin dai primi studi grande attitudine, si addottorò brillantemente in giurisprudenza. Entrato a far parte nel 1518 del collegio dei giureconsulti milanesi, in breve tempo vi acquistò autorità, soprattutto nel campo del diritto penale, nel quale fu considerato tra i giuristi più esperti del suo tempo.
Il Bossi, cui la vasta erudizione e le capacità personali valsero unanimi riconoscimenti, si mosse nell'ambito della nuova metodologia trattatistica in cui sfocia agli inizi del sec. XVI la scuola del commento. Ottenuto dapprima il grado di giureconsulto massimo, resse poi per sei anni quello di regio fiscale; eletto quindi decurione e podestà di Novara, la massima onorificenza gli venne dallo stesso imperatore Carlo V che lo chiamò tra i senatori milanesi. Coprì questo ufficio per diciassette anni, fino alla morte, risolvendo spesso dibattute controversie: destò tra le altre scalpore la sentenza con cui nel 1537 rendeva possibile alla plebe di Vigevano l'accesso al consiglio comunale, contro l'opposizione dei patrizi locali, citati davanti al Senato milanese dai rappresentanti popolari.
Formatasi intanto, sotto la presidenza di G. F. Sacco, la commissione incaricata di redigere le nuove costituzioni dello Stato di Milano, nate su disegno di Francesco Sforza, il Bossi ne entrò a far parte e, assieme con P. Crasso e F. Lampugnani, fu uno dei principali compilatori della raccolta, raggruppando organicamente e modificando in base alle nuove esigenze dei tempi editti e decreti dei principi milanesi. Le nuove costituzioni, dopo l'approvazione da parte del Senato e di Carlo V, furono promulgate il 5 ottobre 1541 e costituirono il diritto provinciale di fronte agli statuti comunali.
Il Bossi morì nel 1546, come attesta la lapide sepolcrale fatta porre dalla moglie Angela de' Pieni nella chiesa milanese di S. Maria Coronata a porta Comasca; risultano quindi inesatte le notizie riportate dal Riccioli nella Chronol. Reform., c. 189, e dal Quenstedt nel De Patriis Illust. vir., c. 290, che collocano attorno al 1570 il periodo della sua massima attività (cfr. Mazzuchelli, p. 1849).
Opera fondamentale del Bossi, punto di riferimento obbligato per ogni approccio alla dottrina giuridica milanese, sono i Tractatus varii editi a Venezia nel 1562, a Basilea nel 1574 e a Lione nel 1594. Sono più di cento "titoli" che, illustrando con l'ausilio di pareri illustri e di indubbie decisioni giudiziali le maggiori cause di controversia in tema di diritto penale, compendiano, in maniera solo apparentemente slegata nel suo insieme, la migliore dottrina criminale del tempo. Giudicando comunque ancora poco omogeneo il risultato del suo lavoro, il ossi. ne aveva rinviato la pubblicazione, ma la morte improvvisa gli aveva impedito di apportarvi quegli ultimi ritocchi che avrebbe desiderato; i Tractatus varii uscirono quindi postumi, a cura del figlio Francesco.
Svolgendo le questioni giuridiche, oggetto dei Tractatus, il Bossi a volte aderisce all'opinione "comune", in altre occasioni preferisce invece presentare soluzioni individuali: se nel titolo De monetis egli s'inserisce in quel largo filone dottrinale che risolve il problema del pagamento pecuniario nelle prestazioni annue facendo riferimento al valore monetario del "tempus solutionis", perviene invece a posizioni più personali nei titoli dedicati alla tortura. Cinque dei suoi tractatus si riferiscono direttamente a tale argomento: De iudiciis et considerationibus ante torturamDe torturaDe confessis per torturam ac effectu torturaeDe tortura testiumDe tortura accusatoris. Nel De tortura accusatoris affronta un tema abitualmente sorvolato dagli altri giuristi, circa la consuetudine di sottoporre a tortura l'accusatore; egli al contrario, per ragioni di completezza ("ut nihil pro viribus meis omittatur"), gli dedica un titolo apposito, breve e conciso, in cui mette in evidenza i punti giuridicamente più interessanti della questione. Nel De iudiciis et considerationibus ante torturam tratta della applicazione della tortura a consiglieri, priori, podestà e funzionari politici in genere, considerati immuni dalla dottrina comune; il Bossi, in caso di consuetudine contraria, propende per il suo rispetto, ma vi apporta una limitazione, riconoscendo legittima la tortura dei consiglieri soltanto fuori del territorio in cui sono stati investiti della loro dignità.

Bibl.: C. Cartari, Advocatorum sacri consistorii syllabum, Romae 1656, p. 154; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 166; M. Lipenii Bibliotheca realis iuridica, Francofurti 1679, ad Indices; G.M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1849; G. Verri, De ortu et progressu iuris mediolanensis, Milano 1747, pp. 122 s.; F. Fossati, La plebe vigevanese alla conquista dei poteri pubblici nel 1536, in Arch. stor. lomb., s. 4, IV (1905), pp. 333, 336, 338; C. Magni, Il tramonto del feudo lombardo, Milano 1937, p. 36; P. Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, Varese 1953, I, p. 160; Enc. Ital., VII, p. 557.

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)





BOSSI EGIDIO
«Bossi Egidio, insigne Giureconsulto a quei tempi e dappoi Senatore nel Senato di Milano, si potrà anch`esso, scrive il Nessi (l.c. pag. 174), attribuire a Locarno per lunga consuetudine avutavi: e da lui o dalla sua famiglia prese nome la contrada dei Bossi. Nel 1566 fu stampata a Venezia per cura di Francesco suo figlio una postuma di lui opera, che levò molto grido in fatto di criminale giurisprudenza, intitolata Aegidii Bossii iurisconsulti clarissimi, caesareique Senatoris tractatus varii. Nacque in Locarno Marcantonio altro suo figlio, che fu poi ambasciatore di Filippo II presso gli Svizzeri, ed indi maestro delle entrate straordinarie nel ducato di Milano. Un altro Egidio Bossi fu pretore della Val Sassina nel 1586 e 1587». Fin qui il Nessi, alle parole del quale null`altro ho da aggiungere. (Estratto da Magazzino Storico Verbanese).

BOSSI BERNARDINO
Figlio di Francesco e Anastasia Carnago jugali, fu fatto medico del nobile collegio il 18 giugno 1511. Fu filosofo e medico assai commendato, non che per la grande sua liberalità

Nessun commento:

Posta un commento