sabato 13 gennaio 2018

ABBAZIA DELLA SANTISSIMA TRINITA' DI CAPOLAGO




Parliamo di questa abbazia poiché ci sono pervenuti alcuni riferimenti dai documenti che abbiamo esaminato. Da un elenco[1] dei beni della cappellania di S. Lorenzo al castello di Azzate nel 1581 al punto 3 si nomina un pezzo di terra vigna situata nel territorio del luogo di Buguggiate in pive di Varese dove si dice alla Rompadella a cui fa coerenza da una parte l’Abbazia di Capolago, dall’altra gli eredi del fu don Battista Bossi detto Santino, dall’altra gli eredi di Stefano Perucconi e dall’altra la cappella di S. Lorenzo di pertiche 6 circa.
Al punto 8 si nominata un pezzo di terra campo situata come sopra dove si dice al campo Acerbo cui fanno coerenza da una parte i signori Battista e Giovanni Antonio fratelli Bossi, dall’altra Bernardo Perucconi, dall’altra la predetta Abbazia di Capolago e dall’altra strada di pertiche 3 circa.
Al punto 10 si nomina un pezzo di terra campo situata come sopra dove si dice al Cesello cui fa coerenza da una parte strada, dall’altra i predetti signori battista e Giovanni Antonio fratelli Bossi, dall’altra strada e dall’altra l’Abbazia di Capolago di pertiche 2 circa.
Al punto 12 un pezzo di terra campo situata come sopra dove di dice al Pioto cui fa coerenza da una parte l’Abbazia di Capolago in parte e in parte la strada, dall’altra gli eredi del fu signor Donato Bossi, dall’altra gli eredi del detto Stefano Perucconi e dall’altra la predetta Cappella di S. Lorenzo di pertiche 3 circa.

E’ uno dei più antichi cenobi della provincia di Varese, a poca distanza da Azzate.
Secondo quanto riferisce la pergamena n. 443 pubblicata dal Manaresi nel suo Regesto di Santa Maria del Monte Vellate, esso fu fondato dal conte Rodolfo del Seprio coi suoi figli in un periodo compreso tra il 1045 ed il 1071.
La chiesa annessa al convento fu eretta in onore della Santissima Trinità in una località detta Capolago che dipendeva dalla Chiesa di Buguggiate[2], come viene chiaramente indicato dalla pergamena n. 1126 pubblicata dallo stesso Manaresi in cui si legge che l’atto fu steso sulla terrazza del Monastero della Santissima Trinità che è costruito nel territorio di Buguggiate[3] e fu consacrata dall’arcivescovo Guido, che tenne la cattedra milanese dal 1046 al 1071.
Per il mantenimento dei monaci il conte Rodolfo assegnava al cenobio terre sufficienti che i monaci stessi avrebbero dovuto lavorare[4], e otteneva dall’arcivescovo di Milano l’indipendenza del Monastero.
L’ipotesi fantasiosa di una fondazione da parte dei Longobardi, avanzata da Bonaventura Castiglione, secondo quanto riferisce Leopoldo Giampaolo[5], cade quindi nel nulla.
Non è da stupirsi se il convento diede fama e benessere al piccolo villaggio di Capolago che era allora costituito da poche case di pescatori e contadini.
Una successiva pergamena del 1132[6] ci fornisce i nomi dei monaci che facevano parte del cenobio in quell’anno. Essi erano in numero di sette agli ordini di un abate: Alberto abate, Manfredo suddiacono, Olrico prete, Benzo suddiacono, Dionisio monaco, Alberto monaco e Lantelmo suddiacono.
La stessa pergamena ci informa che i predetti monaci si impegnavano a versare una specie di tributo a Guardone, arciprete di S. Maria del Monte, consistente in 16 moggia di frumento, 3 anfore di mosto e di vino giusta misura di Cartabbia[7] e 3 carri di fieno, in cambio di vari benefici tra i quali possiamo anche annoverare una specie di protezione. In più lo stesso arciprete godeva il beneficio di vitto e “vestimento”, come se fosse uno dei frati del monastero.
Null’altro sappiamo dell’organizzazione che si erano dati i conventuali di Capolago, ma possiamo ritenere che le regole fissate fossero quelle stesse che si erano dati i monaci di altri cenobi sorti pressa poco nello stesso periodo nella nostra plaga come Ganna, Voltorre e Ternate. L’unica particolarità che distingueva il monastero di Capolago era che esso era presieduto da un abate, mentre gli altri cenobi era presieduti da un priore.
In alcune pergamene conservate presso l’Archivio di S. Vittore di Varese del secolo XIV si fa riferimento a “rettori abati” come un certo Girardus de Lore e un certo Silvestro Caponum mentre nelle note delle visite pastorali effettuate da S. Carlo Borromeo nel Cinquecento, quando il convento era stato soppresso da tempo, si fa riferimento sempre all’abate commendatario.
La tradizione e le leggende[8] che circolavano nella piccola comunità di Capolago parlano sempre di un abate capo dei monaci locali e si vorrebbe far riferimento a lui quella figura scolpita su una grossa pietra, forse il coperchio di un avello tombale, già esistente presso la chiesa del convento e oggi depositata presso il Museo di Varese, che veniva denominata come l’Abbàa.
Il manoscritto del Sormani riferisce che un’iscrizione posta sul pavimento della chiesa così recitava: “Hic jacet Abbas Monasterii” e si vedeva l’effige di un abate protesa in avanti.
Alcuni storici, tra cui anche il citato Sormani, riferiscono che nel 1162 il papa Alessandro avrebbe posto sotto la giurisdizione dell’arcivescovo milanese Oberto (1146-1166) il monastero e le cappelle di Capolago, mentre altri riferiscono che nel 1189 l’arcivescovo di Milano Milone (1187-1195) avrebbe fatto rifabbricare la chiesa e posto nel convento quattro monaci  sotto la guida del priore Arnolfo di Calabria.
Questo fatto generò la falsa credenza che fosse stato l’arcivescovo Milone a fondare il monastero.
Tutto ciò è in contrasto con il volere del fondatore del monastero, il conte Rodolfo, che aveva sancito l’autonomia del monastero dall’autorità dell’arcivescovo milanese e l’unica autorità riconosciuta era quella del pontefice romano che, in effetti, intervenne quando si trattò di riformare il convento.
Nel 1235 il papa Gregorio IX, essendosi verificate alcune irregolarità nella vita del piccolo monastero, intervenne presso l’arcivescovo di Milano perché provvedesse il suo nome e non altrimenti alla riforma.
Quando questa fu attuata, l’arcivescovo di Milano non ottenne alcuna obbedienza da parte dei monaci di Capolago e ciò dimostra la sua più completa estraneità.
Qualche anno dopo, nel 1245, il papa Innocenzo IV (epoca in cui era arcivescovo di Milano Leone da Perego) incaricava il canonico Azzone Visconti ed altri ecclesiastici di far rispettare la proibizione di rientrare nel convento di Capolago.
Secondo il Rota[9] nessun documento permetterebbe di stabilire l’ordine dei monaci originari di Capolago, ma nel documento papale del 1245 si parla esplicitamente di benedettini. Qualcosa però dovette cambiare poiché, a causa del rilassamento dei costumi dei benedettini, due secoli dopo i monaci vengono detti come cistercensi e questo pone la domanda se essi furono sostituiti o mutarono disciplina.
Che i monaci di Capolago appartenessero a partire dal secolo XII ai Cistercensi viene confermato da vari studiosi che riferiscono dell’intervento operato nel 1236 dall’arcivescovo Guglielmo Ruzzoli, a seguito di una disposizione del 30 dicembre dello stesso anno di Papa Gregorio IX.
Secondo il Bombognini, citato sia dal Bedini che dalla Fraccaro, i Cistercensi rimasero fino al XVI secolo, quando fu istituita la Commenda, che dovette aver inciso in modo fatale sull’abbazia, poiché non compare nella lista di quelle che entrarono a far parte della Congregazione Italiana di San Bernardo nel 1497.

Quando papa Leone con bolla del 16 marzo 1615 concede l’abbazia in commenda ad Ermete Stampa[1] e un istrumento del 1534 riportato dal citato Sormani, si evince chiaramente l’appartenenza all’ordine dei Cistercensi: “Abbatiae Santissimae Trinitatis de Capite Lacus ordinis Cistercensium Mediolanensi Diocesis”.
Presso l’Archivio Diocesano è conservato il Libro per sapere che cosa frutta l’abbazia di Varese del nipote del signor cardinale Ginetti dell’anno 1626 che contiene l’elenco di tutti i debitori con la specificazione delle voci e consta di ben 75 fogli scritti, dal quale si rileva l’ammontare dei beni dell’ex monastero di Capolago che erano cospicui. Quando questo fu soppresso, le proprietà passarono ad un commendatario con l’obbligo di mantenere a Capolago un cappellano curato e più tardi il parroco quando vi fu eretta la parrocchia.
Il primo commendatario che conosciamo è don Melchiorre Biglia[2] nel 1509, e cui fanno seguito don Alessandro Visconti nel 1524, don Ermes Stampa nel 1534, Giorgio Stampa nel 1562, Gian Battista Biglia nel 1564[3], il cardinal Ginetti nel 1626, il cardinal Petrucci nel 1699, il marchese don Innocenzo Erba nel 1730 ed altri ancora. L’ultimo fu il cardinal Daverio.
L’abbazia fu alienata per il prezzo di lire 150.000 circa a G. Foscarini di Venezia (che aveva abbandonata la città lagunare dopo la pace di Campoformido), Canevali e Fè. I Foscarini presero dimora a Biumo Superiore e unitamente ai Dandolo (da essi invitati a trasferirsi a Varese) acquistarono i beni di parecchi conventi soppressi, non ultimo anche quello di Santa Maria del Monte, divenendo così i maggiori estimati di Varese.
Facendo un passo indietro, se prendiamo in considerazione quanto afferma Goffredo da Bussero, vediamo che a Capolago esistevano la Chiesa della Santissima Trinità e altari dedicati alla Santa Croce, a S. Michele e a S. Giovanni Battista più la Chiesa di S. Maria di cui nulla conosciamo.
Quando nel 1574 San Carlo Borromeo effettuò la sua visita pastorale lasciò una lunga serie di ordinazioni che dovevano essere eseguite.
Prescrive in primo luogo una migliore conservazione e sistemazione delle reliquie, il rifacimento del tabernacolo, lo spostamento del fonte battesimale verso l’interno della navata centrale, seppur lasciandolo appoggiato al pilastro “ove è ora”, una più adeguata sistemazione del sagrato, il riordino del cimitero posto dinnanzi alla chiesa, lo spostamento delle arche in pietra ad uso di sepolcri, definiti “navelli”, che ingombrano l’altare maggiore[4], il rifacimento e la sistemazione degli altari, l’apertura di nuove finestre, la costruzione della volta o “cielo” della chiesa, il rifacimento del pavimento o “suolo”, lo spostamento del campanile e la collocazione di una nuova campana e l’acquisto di suppellettili sacre. Accanto a queste non indifferenti prescrizioni materiali, il cardinale raccomanda all’abate commendatario di essere solerte negli affari di culto e, se ciò non gli fosse possibile di provvedere direttamente, si faccia cura di nominare un sacerdote che amministri i sacramenti in sua vece, poiché l’attuale cappellano-curato non è idoneo e dovrà essere esentato persino dal confessare i fedeli. Dovrà cioè avvalersi di un sacerdote “approvato” che verrà retribuito con un’elemosina da 60 a 100 scudi all’anno oltre il reddito di 60 lire imperiali dei terreni di Cartabbia che ecclesiasticamente dipendevano da Capolago.
A questo sacerdote si dovranno affiancare due cappellani che “sappiano dire messa come in antico” ai quali verranno corrisposti per il loro sostentamento 3 moggi di frumento, 3 brente di vino e lire 200 imperiali all’anno, più l’abitazione nell’abbazia che però dovrà essere separata da quella dei laici.
Il sacerdote dovrà mantenere con idoneo salario un custode chierico al quale sarà imposto di portare sempre l’abito.
Tutto ciò dovrà essere eseguito puntualmente entro il termine di un mese e, qualora il commendatario avesse difficoltà a reperire i sacerdoti, si rivolga alla Curia che prenderà i provvedimenti del caso, sotto pena di essere multato di scudi 200 e della nomina d’ufficio da parte del Vicario Generale.
L’ultima prescrizione riguarda i cappellani che dovranno recitare ogni giorno in coro le ore canoniche e cantare messa nei giorni festivi, vespro e compieta.
Il Vicario Foraneo di Varese vigilerà anche sull’obbligo imposto all’Abbazia di distribuire un moggio di pane di mistura ai poveri della parrocchia nelle ricorrenze di Natale e Pasqua.
Se facciamo riferimento all’architettura della chiesa essa era pressappoco come quella attuale: aveva tre navate divise da pilastri anziché da colonne e misurava 40 braccia.
Nel secolo XVII, oltre all’altare maggiore, nella navata di sinistra ve ne era uno intitolato a S. Giovanni Battista e in quella di destra uno dedicato a Sant’Antonio.
Parecchie lapidi erano state collocate a ricordo degli abati sepolti e due pale del Quercino adornavano gli altari.
Purtroppo del vecchio convento ben poco è rimasto, essendo stato trasformato in casa d’abitazione.
La dedicazione di una via perpetua almeno l’Abbazia della Santissima Trinità di Capolago.

Come si è detto l’Abbazia non era sottoposta all’autorità dell’arcivescovo di Milano e gli unici provvedimenti di riforma che conosciamo sono inclusi nelle seguenti bolle pontificie:

26.
Concessione.
1564 settembre 28, Roma "apud Sanctum Marcum"
Concessione fatta da papa Pio IV a Melchiorre Biglia della commenda del monastero della Santa Trinità di Capolago con dispensa dalle norme canoniche sul cumulo dei benefici con eccezione del beneficio di una delle due parrocchie da lui rette del quale è richiesta la rinuncia.
Sigillo plumbeo pendente.
Originale.
Atto singolo membr.; mm 450x760; c. 1
segnatura: Carte Biglia, 30

27.
Lettera patente.
1565 gennaio 22, Roma
Baldo Ferratino, vescovo di Amelia, comunica, in esecuzione di una bolla di papa Pio V del 28 settembre 1564, la nomina di Melchiorre Biglia a commendatario del monastero della Santa Trinità di Capolago dell'ordine dei Cistercensi, diocesi di Milano, e la concessione della dispensa per il cumulo dei benefici, ad eccezione di una della parrocchie di cui il Biglia è titolare, alla quale, a sua scelta, dovrà rinunciare.
S.N. Giovanni Francesco Bocca, "archivii romanae romanae scriptor".
Tracce di sigillo pendente in cera in teca lignea (frammento).
Originale.
Atto singolo membr.; mm 478x357; c. 1
segnatura: Carte Biglia, 31



33.
Bolla minore.
1572 maggio 25, Roma "apud Sanctum Petrum"
Concessione fatta da Gregorio XIII a Giovanni Battista Biglia della commenda della monastero della Santissima Trinità in Capolago, dopo la morte di Melchiorre Biglia già commendatario dello stesso monastero.
Sigillo plumbeo pendente.
Originale.
Atto singolo membr.; mm 480x690; c. 1
segnatura: Carte Biglia, 36




Il luogo di Capolago era già noto prima del 926, da un documento relativo ai beni di Santa Maria del Monte.
La chiesa intitolata fin da allora alla Santissima Trinità, fece parte del più antico monastero conosciuto nel territorio del comune di Varese quasi contemporaneo a quelli di Ganna, di Voltorre (al quale solo fu secondo per importanza) e di ternate. Fu fondato dal conte Rodolfo del Seprio a “Summolaco” presso “Bugugiate” tra il 1045 e il 1071, con una consistente dotazione di terreni e la garanzia dell’autonomia dall’arcivescovo di Milano, concordata con Guido da Velate, allora in carica.
L monastero fece riferimento direttamente al papa almeno fino al secolo XIII, con l’eccezione di alcuni sporadici interventi da esso delegati al vescovo di Milano, che implicarono anche un temporaneo passaggio dal prestigioso titolo di abate a quello più comune di priore.
Un documento del 1132 elenca i monaci allora presenti: l’Abate, un prete, tre suddiaconi e due monaci e cita rapporti stabili con l’arciprete di Santa Maria del Monte. Per quanto riguarda l’ordine dei monaci, non è noto quello iniziale, mentre nel 1245 un documento parla di benedettini, e nel 1534 in poi sono ripetutamente citati i cistercensi, giunti in zona probabilmente nel secolo XIII.
Verso la fine del secolo XV il numero dei monaci si assottigliò portando alla chiusura del convento, i sostanziosi bni del monastero furono affidati (dal 1509 o prima) a un Commendatario, incaricato di mantenere a Capolago un cappellano che garantisse le celebrazioni; quando poi (sempre entro il secolo XVI) fu istituita la parrocchia, che si estendeva dai nuclei rurali circostanti fino a Cartabbia, subentrò un regolare parroco. La parrocchia comprendeva anche le chiese di San Silvestro, Sant’Albino, Santa Maria di Loreto, Santa Caterina (chiusa da San Carlo e scomparsa), l’oratorio di San Carlo alla Novellina e l’altra chiesa scomparsa di Santa Maria a Cartabbia.
L’abbazia fu venduta ad alcuni privati, tra i quali i Carnevali, i Fè e i Foscarini, questi ultimi originari di Venezia e a quel tempo fra i maggiori proprietari di immobili in Varese.
La visita di San Carlo e quelle successive dei suoi incaricati, oltre a dettagliate prescrizioni per l’efficienza e la regolarità delle attività pastorali del cappellano titolare e di due ausiliari, diedero impulso ad una serie risistemazioni, in parte già avviate, comprendenti la modifica degli altari, la costruzione della volta, l’apertura di nuove finestre, lo spostamento del campanile, la sistemazione del cimitero antistante la chiesa. A quel tempo (1581) la chiesa era a tre navate con pilastri, coperta da capriate, campanile costruito sopra l’accesso all’altar maggiore, altari dedicati alla Trinità, a sant’Antonio da Padova ea San Giovanni Battista; erano anche presenti nel pavimento della chiesa lapidi e tombe di diversi abati, e alcuni sepolcri addirittura ingombravano l’altare maggiore.
Si ignorò a lungo che la chiesa ebbe origini romaniche, perché sotto la copertura originale a capriate fu creata una volta a botte, furono sostituiti i pilastri con colonne, intonacate le pareti e rifatta la facciata. Sono rimasti intatti, o quantomeno riconoscibili nel sottotetto creato sopra alla volta, solo pochi, ma caratteristici elementi originali della parte superiore della navata centrale. Il loro ritrovamento e la loro analisi, negli ultimi due decenni, hanno permesso di identificare la costruzione come una delle più significative del romanico medievale dell’alto milanese.
L’edificio romanico, sempre con il corpo a tre navate, era più corto dell’attuale dal lato del presbiterio. La facciata in blocchi di granito con monofore sopra il portale fu rifatta nel secolo XVII. I reperti originali più significativi che sono visibili nel sottotetto sono delle finestre monofore e bifore degli archetti esterni in pietra e mattoni, dei dipinti di figure di animali e di volti umani e soprattutto l’arco trionfale, che si trova arretrato sopra la fine dell’attuale navata centrale.
Tra i rimaneggiamenti eseguiti a più riprese, e non sempre ben documentati, i primi furono probabilmente a cavallo tra i secoli XII e XIII, (1189-1236). Nel secolo XVII fu abbattuto il campanile, furono rifatte le cappelle absidali e aperte le attuali finestre rettangolari; nel XIX secolo si costruirono la volta ed il nuovo campanile, che porta la data del 1859. Nel 1912 si completò la facciata nella forma attuale, alterata nell’aspetto anche dalle finestrelle aperte lateralmente per inserire la cantoria e l’organo.
Oggi la chiesa ospita nell’abside principale un gruppo statuario che rappresenta la Trinità, nella forma del Padre che sorregge il Figlio morto sotto le ali dello Spirito. L’altare maggiore in marmo del secolo XVIII, è sormontato da una statua dell’Assunta e, come negli altri due in fondo alle navate laterali, è ornato da un paliotto, sempre del secolo XVIII, in scagliola che imita il marmo
intarsiato, e raffigura la Trinità. Le navate laterali terminano con due cappelle, con la statua di Sant’Antonio da Padova a sinistra dell’Immacolata alla destra, mentre il transetto termina a sinistra con la cappella di Maria Regina degli Angeli e a destra col passaggio al corpo del vecchio monastero. All’esterno, ai due lati dell’ingresso, si trovano un sarcofago in piera completo e un coperchio, mentre un altro sarcofago è stato sistemato come vasca della fontana nella piazza sottostante.
La chiesa è tuttora la parrocchiale di Capolago.

(Estratto da Costruire insieme 2012, Parrocchia S. Massimiliano Kolbe – Viale Aguggiari 140 – Varese).








[1] A.S.M., Fondo Religione, Parte antica, n. 3649.
[2] Leopoldo Giampaolo è incorso probabilmente in un errore citando Melchiorre Villa anziché Melchiorre Biglia come viene specificato nella bolla data a Roma presso San Pietro il 25 maggio 1572 da papa Gregorio XIII a Giovanni Battista Biglia della commenda del Monastero della Santissima Trinità di Capolago, dopo la morte di Melchiorre Biglia già commendatario dello stesso monastero.
[3] Da Roma presso S. Marco il 28 settembre 1564 il papa Pio IV concede a Melchiorre Biglia la commenda del monastero della Santa Trinità di Capolago con dispensa dalle norme canoniche sul cumulo dei benefici con eccezione del beneficio di una delle due parrocchie da lui rette del quale è richiesta la rinuncia.
Il 22 gennaio 1565 da Roma, Baldo ferratino, vescovo di Amelia, comunica, in esecuzione della bolla di papa Pio Iv del 28 settembre 1564, la nomina di Melchiorre Biglia a commendatario del monastero della Santa Trinità di Capolago dell’ordine dei Cistercensi, diocesi di Milano, e la concessione della dispensa per il cumulo dei benefici, ad eccezione di una delle parrocchie di cui il Biglia è titolare, alla quale, a sua scelta, dovrà rinunciare.
[4] Essi verranno sistemati sotto la facciata esterna della chiesa ed uno finirà al Museo di Varese.
 




[1] “Descrizione de’ beni, giurisdizioni, fitti e rendite di ragione della Cappellania di S. Lorenzo di Azzate pive di Varese”.
[2] “Honore sancta et individue trinitatis, quod est cenobium situm in Summolaco prope castrum quod dicitur Buguggiate”.
[3] “In solario monasterii S. Trinitatis quod est constructum in territorio de loco Buguzate”.
[4] “Quam fratres cum sua laborare debent familia”
[5] Rivista della Società Storica Varesina. Fascicolo XV. Aprile 1981.
[6] Manaresi, pergamena n. 95.
[7] Piccolo agglomerato di case che successivamente fece parte delle cosiddette castellane di Varese, ma che, evidentemente, aveva un’importanza significativa nella zona per essere presa ad esempio come unità di misura del vino.
[8] Curiosa, per esempio, quella che riferisce essere stato costruito un cunicolo che metteva in comunicazione la chiesa di S. Vittore di Buguggiate e il Monastero della Santissima Trinità di Capolago.
[9] Re. Berger ann. III, V, 68, fol, 223.

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