martedì 3 marzo 2015

MARIO BOGANI

Sappiamo che l’affrescatore Mario Bogani è un assiduo frequentatore di Azzate dove ha molti amici e, in attesa di poterlo fotografare accanto ad una sua opera presso la Trattoria del Cacciatore di Vegonno, incominciamo a pubblicare qualche sua notizia.


LA PASSIONE COME DONO E PERCORSO DI VITA di Mario Bogani

La passione per l’arte credo sia un dono innato. Fin da bambino disegnavo tutto quello che colpiva la mia fantasia o stimolava la mia immaginazione. In tempo di guerra, parlo del secondo conflitto mondiale, raffiguravo aerei, armi, cavalli, soldati in attività. In quegli anni, 1942/43 disegnavo col gessetto sull’asfalto delle strade, sui muri delle case, dovunque. Erano contingenze esistenziali difficili. Il regime non gradiva neppure le curiosità di un bambino, tanto che un giorno mio padre fu convocato in caserma e, con metodi piuttosto duri, ricevette l’ordine perentorio di impedire ogni mia esibizione, sia pur creativa, in pubblico. Tornò a casa spaventato, i lividi che coprivano il suo volto e segnavano il suo corpo, dimostravano inequivocabilmente i metodi piuttosto discutibili che la dittatura di quel tempo applicava. La nostra famiglia possedeva una trattoria, quindi, i timori paterni che, quello che io consideravo un gioco, una necessità, un hobby,  avrebbe potuto compromettere l’esistenza di tutti noi, non era a quei tempi, un’ipotesi poi tanto vaga. Fu allora che mio padre, che aveva avversato ogni mia inclinazione artistica ritenendola una velleità di passaggio, mi parlò con chiarezza, quindi mi promise il suo appoggio incondizionato a patto che mi togliessi dalla strada e usassi matite, colori e pennelli, solo nell’intimità della mia casa, modificando magari, questo per precauzione, anche i soggetti da raffigurare. Iniziai in seguito a frequentare una scuola di disegno e decorazione a Cesano Maderno sotto la guida del prof. Carlo Gadda. A suo avviso, disegnavo talmente bene che mi premiò abbonandomi alcuni anni di corso. Nello studio di Gadda rimasi come aiutante fino al termine della guerra. La mia “attività” si esplicò per gran parte, tra le pareti dell’azienda di famiglia, dove mi dedicai alla pittura dipingendo quadretti di vita quotidiana: ritraevo avventori, animali, oggetti. Con pochi segni cercavo di cattura un attimo della vita di uno sconosciuto, ne coglievo lo sguardo, il sorriso, la ruga, l’emozione. L’incontro casuale con tante tipologie diverse mi ha educato a riconoscere le molte sfaccettature della realtà e della psicologia umana. Sul bancone invece sfogliavo il mio tifo sportivo effigiando scene da partita o ritratti di calciatori. Dal 1945 iniziai a coltivare la passione per il ritratto, limitandomi, dapprima, solo a quelli familiari. Nel 1949 sfoggiando un po’ di narcisismo mi dipinsi in una serie di autoritratti che adesso provocano in me un po’ di ritrosia frammista a sentimenti di rimpianto per un passato ormai lontano. Gli amici dicono che sono bellissimi, io ritengo che appartengano ad una fase di ricerca anche introspettiva fondamentale nell’evoluzione naturale del percorso umano di ogni artista. Con la fine della guerra e l’inizio di un relativo benessere economico, negli anni ’50 cominciarono ad arrivare le prime committenze. La banda Pedren, (forse da Pedro il loro leader), un complesso musicale che si stava affermando in quegli anni, mi chiese di immortalare il gruppo in una scena di ordinaria quotidianità, mentre cantavano, nella nostra trattoria. Il compenso per questo lavoro fu irrisorio, ma la soddisfazione gratificante. Per un altro gruppo di musicanti da strada, “I Giavana di Gaggiano Faloppio” (usava strumenti stranissimi tipo tubi della stufa, padelle, coperchi) realizzai un pannello che raffigurava un momento della loro esibizione. Ricevetti in cambio per questa commissione, una delle prime lambrette della storia, il cui motore si avviava tirando una corda, che esibii fieramente per le strade del paese. La necessità di lavorare m’indusse ad alternare alla passione per l’arte la professione d’imbianchino. Frequentavo, contemporaneamente, un corso di “arte e mestieri”, presso la scuola dei fratelli Rossi. Da loro acquisii i rudimenti della tecnica della pittura a fresco. In qualità di aiutante, collaborai alla decorazione di una piccola chiesa di Como, in via Gaspare Mola. Subii immediatamente il fascino del sacro e mi appassionai alla lettura di testi specifici che riguardavano tutta l’attività della pittura parietale che, soprattutto nel Rinascimento, aveva trovato espressioni di massimo livello. Dal 1951 fui avviato definitivamente alla pratica artistica dall’illustre maestro Conconi. Frequentai la scuola d’arte e mestieri “Castellini” di Como e, al ritiro del maestro, gli subentrai come docente. Fu proprio Conconi a segnare la mia strada che, da quel momento in poi, si orientò principalmente alla realizzazione d’opere a tema religioso. Le mie prime rappresentazioni riflettono infatti taluni caratteri propri dello stile conconiano. Solo in seguito, divenuto esperto nell’utilizzo delle tecniche e dei linguaggi espressevi, acquisii un’identità artistica autonoma. Dal 1957 al 1970, pur continuando il sodalizio professionale ed umano con Conconi, mi perfezionai all’Accademia di Brera con i professori Franchi e Salvatori. Nel frattempo iniziai anche a ricevere commissioni personali. Da quel momento in poi il mio cammino di pittore fu segnato. L’affresco divenne l’espressione più viva del mio essere uomo nell’artista. Mi consentì e mi consente tuttora di far coesistere protagonisti, con pari dignità in opere di grandi dimensioni, gli umili e i potenti, di cogliere il pathos e la fragilità delle creature di fronte alla vastità del creato, di attualizzare scene bibliche o evangeliche, avvalendomi di personaggi ripresi dalla quotidianità del mio vissuto. In questo modo la storia, si perpetua così nel tempo. I grandi spazi in cui dovevo realizzare l’affresco, mi costrinsero ad un lavoro preparatorio molto impegnativo. Il bozzetto andava sottoposto all’approvazione del committente (solitamente la Curia o la Sovrintendenza). Dopo l’OK eseguivo il disegno a dimensioni e proporzioni reali su cartone, e successivamente mettevo in itinere, le relative operazioni necessarie alla realizzazione dell’opera. Dal 1957 fino a tutt’oggi sono ben oltre 200 le opere pubbliche che ho eseguito sia in Italia, sia ll’Estero: il lavoro che mi ha dato maggiore soddisfazione, ma che ha pure richiesto un impegno fisico ed intellettivo non indifferente, è stato certamente quello di affrescare i 1700 metri quadri di superficie (dall’abside, alle volte, alle pareti), della chiesa di Don Bosco dei Salesiani a Brescia. Personalmente credo che l’attività artistica mi abbia darto opportunità inimmaginabili. Per questo mi ritengo fortunato, anche se sono convinto che nulla di ciò che facciamo, dipende completamente da noi. A volte, guardando i miei affreschi, mi sento talmente piccolo da chiedermi come un solo uomo, e quello sono io, possa essere riuscito a realizzare ciò che mi sembra immenso anche solo da guardare. Sono stato lo strumento di qualcuno che, molto più in alto di me, mi ha prescelto perché potessi lasciare nella testimonianza del mio percorso artistico, un segno del dono che mi è stato conferito, cioè quello della facoltà di creare un mondo fatto con i colori: un mondo che è stato ed è la mia vita.
Fenegrò 28 novembre 2003
                                                                                                Mario Bogani

(Estratto da: A proposito di pittura. “Testimonianze” a cura di Renato Valerio).


LE QUATTRO STAGIONI DI MARIO BOGANI

Azzate. Porta d'ingresso dell'ex
Trattoria Monti in Via Volta n. 47 ,
Mario Bogani, Allegoria della Primavera.
                                                       
                                          
L’allegoria della Primavera è qui rappresentata da una fanciulla che porta sulla sua spalla sinistra un vaso di fiori non ben identificati.
I suoi capelli sono sciolti e scendono dietro le spalle
Una mano tiene fermo il vaso sulla spalla e l’altra mano accomoda un tessuto molto leggero intorno ai fianchi in modo che il seno rimanga parzialmente scoperto, come il ventre e parzialmente le gambe e i piedi senza calzature.

Particolare dell'allegoria della Primavera.
                          
  
Azzate. Porta d'ingresso dell'ex
Trattoria Monti in Via Volta n. 47 ,
Allegoria dell'Estate.
                                               

L’allegoria dell’estate è rappresentata da una fanciulla più prorompente che porta sul capo, sostenuto da entrambe le mani, un grande cesto di fiori variopinti.
La leggere veste rosa questa volta lascia completamente nudi i seni e parzialmente le gambe.
I piedi portano calzari molto ridotti.
Sullo sfondo si intravvede un panorama non chiaramente distinto.

Particolare dell'allegoria dell'Estate.
                       

A sottolineare l’abbondanza di fiori in questa stagione, l’artista ha messo sul capo della fanciulla una corona formata da un nastro bianco sul quale sono fissate delle margherite bianche.

Azzate. Porta d'ingresso dell'ex
Trattoria Monti in Via Volta n. 47 ,
Mario Bogani, Allegoria dell'Autunno
e dell'Inverno.
                             
L’allegoria dell’Autunno mette in bella mostra un vassoio contenente i frutti tipici della stagione: uva, castagne e fichi.
Poiché le rappresentazioni soltanto tre, l’artista usa l’espediente di rappresentare la quarta stagione, ossia l’Inverno, nella stessa allegoria dell’Autunno e la rappresenta come una fanciulla che si chiude in sé stessa, come un bozzolo, e cerca protezione dal freddo avvolgendosi in un ampio mantello.

Particolare dell'allegoria dell'Autunno.
Particolare dell'allegoria dell'Inverno.


SANTUARIO MARIANO “MADONNA DEL BUON VIAGGIO”


                Mornago. Santuario mariano “Madonna del buon viaggio”, Mario Bogani. Navata centrale.

Il tema dominante è la contrapposizione tra il mondo antico ed il mondo moderno sui quali la Vergine, madre del divin Pargoletto, estende la sua protezione.
Il primo mondo è rappresentato dalle piramidi e dalla palma; il secondo è invece rappresentato da due alte ciminiere, un traliccio su cui corre una linea ad alta tensione, una nave, un’autotomobile che esce da una galleria, un treno che esce da un’altra galleria, un’automobile che corre su un’autostrada, un missile sulla rampa di lancio e un aereo che vola nel cielo.
La Madonna è qui rappresentata con in mano un bastone da pellegrino per rimarcare in modo più evidente la sua funzione di guida nei confronti di Gesù che cammina sicuro sotto lo sguardo attento della madre e, per di più, Ella apre con una mano il suo ampio mantello per difendere il Figlio dal mondo esterno che lo sta isidiando.


                             
               Mornago. Santuario mariano “Madonna del buon viaggio”, Mario Bogani. Navata centrale. Particolare.




Ai lati del grande affresco due porte immettono nella sagrestia e su di esse sono stati dipinti San …… (a destra) e San ……. (a sinistra).






Sul fondo della navata di destra è rappresentato San Cristoforo che sorregge sulla sua spalla destra il Divin Pargoletto che col suo sguardo innocente dimostra la sua riconoscenza al soccorritore.
Sullo sfondo sono raffigurate ……. (scene della salita al Calvario?).











(Manca la fotografia perché c’era il sole. Occorrerà farla con la luce adeguata).

Sul fondo della navata di sinistra è invece rappresentato ………


         

Sulla volta della navata centrale è rappresentata la Santissima Trinità attorniata dai simboli degli Evangelisti (?) e quattro (?).




Nella parte alta della navata centrale corre una scritta esortativa e di invocazione alla Madonna che riassume lo spirito che è stato alla base della costruzione del Santuario: “ Per la strada della pace e della serenità ci conduca la SS. Vergine Maria. Essa diriga il nostro cammino, ci sia compagna nel viaggio perché sani e pieni di gioia possiamo tornare alle nostre case”.
Lo stesso spirito è stato alla base dell’intitolazione della Strada Provinciale n. 17 che ha preso il nome di “Strada del buon cammino”.


              

Il 7 luglio 1968 la popolazione di Mornago dedicava una lapide a don Agostino Guerra, parroco di Mornago per ….. (quanti?) anni, che fece costruire ed amò il Santuario.


     




L’esterno del Santuario si presenta come una costruzione a tre navate coronate da un falso motivo ad archetti pensili che si ispirano a quelli dell’arte romanica e che hanno suggerito anche gli archi a tutto tondo delle porte e delle finestre.
Nella parte retrostante svetta un piccolo campanile.
Sul lato sinistro, una breve scalinata conduce alla fonte dell’acqua sotterranea.






              
            




2 commenti:

  1. dalla Monti molti ci passano e pochi sanno...
    complimenti un'altra presenza ad Azzate

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Perché vuoi rimanere anonimo? Mi piacerebbe sapere chi sei.

      Elimina