Sappiamo che l’affrescatore Mario Bogani è un assiduo
frequentatore di Azzate dove ha molti amici e, in attesa di poterlo fotografare
accanto ad una sua opera presso la Trattoria del Cacciatore di Vegonno,
incominciamo a pubblicare qualche sua notizia.
LA PASSIONE COME DONO
E PERCORSO DI VITA di Mario Bogani
La passione per l’arte credo sia un dono innato. Fin da
bambino disegnavo tutto quello che colpiva la mia fantasia o stimolava la mia
immaginazione. In tempo di guerra, parlo del secondo conflitto mondiale,
raffiguravo aerei, armi, cavalli, soldati in attività. In quegli anni, 1942/43
disegnavo col gessetto sull’asfalto delle strade, sui muri delle case,
dovunque. Erano contingenze esistenziali difficili. Il regime non gradiva
neppure le curiosità di un bambino, tanto che un giorno mio padre fu convocato
in caserma e, con metodi piuttosto duri, ricevette l’ordine perentorio di
impedire ogni mia esibizione, sia pur creativa, in pubblico. Tornò a casa
spaventato, i lividi che coprivano il suo volto e segnavano il suo corpo,
dimostravano inequivocabilmente i metodi piuttosto discutibili che la dittatura
di quel tempo applicava. La nostra famiglia possedeva una trattoria, quindi, i
timori paterni che, quello che io consideravo un gioco, una necessità, un
hobby, avrebbe potuto compromettere
l’esistenza di tutti noi, non era a quei tempi, un’ipotesi poi tanto vaga. Fu
allora che mio padre, che aveva avversato ogni mia inclinazione artistica ritenendola
una velleità di passaggio, mi parlò con chiarezza, quindi mi promise il suo
appoggio incondizionato a patto che mi togliessi dalla strada e usassi matite,
colori e pennelli, solo nell’intimità della mia casa, modificando magari,
questo per precauzione, anche i soggetti da raffigurare. Iniziai in seguito a
frequentare una scuola di disegno e decorazione a Cesano Maderno sotto la guida
del prof. Carlo Gadda. A suo avviso, disegnavo talmente bene che mi premiò
abbonandomi alcuni anni di corso. Nello studio di Gadda rimasi come aiutante
fino al termine della guerra. La mia “attività” si esplicò per gran parte, tra
le pareti dell’azienda di famiglia, dove mi dedicai alla pittura dipingendo
quadretti di vita quotidiana: ritraevo avventori, animali, oggetti. Con pochi
segni cercavo di cattura un attimo della vita di uno sconosciuto, ne coglievo
lo sguardo, il sorriso, la ruga, l’emozione. L’incontro casuale con tante
tipologie diverse mi ha educato a riconoscere le molte sfaccettature della
realtà e della psicologia umana. Sul bancone invece sfogliavo il mio tifo
sportivo effigiando scene da partita o ritratti di calciatori. Dal 1945 iniziai
a coltivare la passione per il ritratto, limitandomi, dapprima, solo a quelli
familiari. Nel 1949 sfoggiando un po’ di narcisismo mi dipinsi in una serie di autoritratti
che adesso provocano in me un po’ di ritrosia frammista a sentimenti di
rimpianto per un passato ormai lontano. Gli amici dicono che sono bellissimi,
io ritengo che appartengano ad una fase di ricerca anche introspettiva
fondamentale nell’evoluzione naturale del percorso umano di ogni artista. Con
la fine della guerra e l’inizio di un relativo benessere economico, negli anni
’50 cominciarono ad arrivare le prime committenze. La banda Pedren, (forse da
Pedro il loro leader), un complesso musicale che si stava affermando in quegli
anni, mi chiese di immortalare il gruppo in una scena di ordinaria
quotidianità, mentre cantavano, nella nostra trattoria. Il compenso per questo
lavoro fu irrisorio, ma la soddisfazione gratificante. Per un altro gruppo di
musicanti da strada, “I Giavana di Gaggiano Faloppio” (usava strumenti
stranissimi tipo tubi della stufa, padelle, coperchi) realizzai un pannello che
raffigurava un momento della loro esibizione. Ricevetti in cambio per questa
commissione, una delle prime lambrette della storia, il cui motore si avviava
tirando una corda, che esibii fieramente per le strade del paese. La necessità
di lavorare m’indusse ad alternare alla passione per l’arte la professione
d’imbianchino. Frequentavo, contemporaneamente, un corso di “arte e mestieri”,
presso la scuola dei fratelli Rossi. Da loro acquisii i rudimenti della tecnica
della pittura a fresco. In qualità di aiutante, collaborai alla decorazione di
una piccola chiesa di Como, in via Gaspare Mola. Subii immediatamente il
fascino del sacro e mi appassionai alla lettura di testi specifici che
riguardavano tutta l’attività della pittura parietale che, soprattutto nel
Rinascimento, aveva trovato espressioni di massimo livello. Dal 1951 fui
avviato definitivamente alla pratica artistica dall’illustre maestro Conconi.
Frequentai la scuola d’arte e mestieri “Castellini” di Como e, al ritiro del
maestro, gli subentrai come docente. Fu proprio Conconi a segnare la mia strada
che, da quel momento in poi, si orientò principalmente alla realizzazione
d’opere a tema religioso. Le mie prime rappresentazioni riflettono infatti
taluni caratteri propri dello stile conconiano. Solo in seguito, divenuto
esperto nell’utilizzo delle tecniche e dei linguaggi espressevi, acquisii
un’identità artistica autonoma. Dal 1957 al 1970, pur continuando il sodalizio
professionale ed umano con Conconi, mi perfezionai all’Accademia di Brera con i
professori Franchi e Salvatori. Nel frattempo iniziai anche a ricevere
commissioni personali. Da quel momento in poi il mio cammino di pittore fu
segnato. L’affresco divenne l’espressione più viva del mio essere uomo
nell’artista. Mi consentì e mi consente tuttora di far coesistere protagonisti,
con pari dignità in opere di grandi dimensioni, gli umili e i potenti, di
cogliere il pathos e la fragilità delle creature di fronte alla vastità del
creato, di attualizzare scene bibliche o evangeliche, avvalendomi di personaggi
ripresi dalla quotidianità del mio vissuto. In questo modo la storia, si
perpetua così nel tempo. I grandi spazi in cui dovevo realizzare l’affresco, mi
costrinsero ad un lavoro preparatorio molto impegnativo. Il bozzetto andava
sottoposto all’approvazione del committente (solitamente la Curia o la
Sovrintendenza). Dopo l’OK eseguivo il disegno a dimensioni e proporzioni reali
su cartone, e successivamente mettevo in itinere, le relative operazioni
necessarie alla realizzazione dell’opera. Dal 1957 fino a tutt’oggi sono ben
oltre 200 le opere pubbliche che ho eseguito sia in Italia, sia ll’Estero: il
lavoro che mi ha dato maggiore soddisfazione, ma che ha pure richiesto un
impegno fisico ed intellettivo non indifferente, è stato certamente quello di
affrescare i 1700 metri quadri di superficie (dall’abside, alle volte, alle
pareti), della chiesa di Don Bosco dei Salesiani a Brescia. Personalmente credo
che l’attività artistica mi abbia darto opportunità inimmaginabili. Per questo
mi ritengo fortunato, anche se sono convinto che nulla di ciò che facciamo,
dipende completamente da noi. A volte, guardando i miei affreschi, mi sento
talmente piccolo da chiedermi come un solo uomo, e quello sono io, possa essere
riuscito a realizzare ciò che mi sembra immenso anche solo da guardare. Sono
stato lo strumento di qualcuno che, molto più in alto di me, mi ha prescelto
perché potessi lasciare nella testimonianza del mio percorso artistico, un
segno del dono che mi è stato conferito, cioè quello della facoltà di creare un
mondo fatto con i colori: un mondo che è stato ed è la mia vita.
Fenegrò 28 novembre 2003
Mario
Bogani
(Estratto da: A proposito di pittura. “Testimonianze” a cura
di Renato Valerio).
LE QUATTRO STAGIONI
DI MARIO BOGANI
Azzate. Porta d'ingresso dell'ex Trattoria Monti in Via Volta n. 47 , Mario Bogani, Allegoria della Primavera. |
L’allegoria della Primavera è qui rappresentata da una
fanciulla che porta sulla sua spalla sinistra un vaso di fiori non ben
identificati.
I suoi capelli sono sciolti e scendono dietro le spalle
Una mano tiene fermo il vaso sulla spalla e l’altra mano
accomoda un tessuto molto leggero intorno ai fianchi in modo che il seno
rimanga parzialmente scoperto, come il ventre e parzialmente le gambe e i piedi
senza calzature.
L’allegoria dell’estate è rappresentata da una fanciulla più
prorompente che porta sul capo, sostenuto da entrambe le mani, un grande cesto
di fiori variopinti.
La leggere veste rosa questa volta lascia completamente nudi
i seni e parzialmente le gambe.
I piedi portano calzari molto ridotti.
Sullo sfondo si intravvede un panorama non chiaramente
distinto.
A sottolineare l’abbondanza di fiori in questa stagione,
l’artista ha messo sul capo della fanciulla una corona formata da un nastro
bianco sul quale sono fissate delle margherite bianche.
Azzate. Porta d'ingresso dell'ex Trattoria Monti in Via Volta n. 47 , Mario Bogani, Allegoria dell'Autunno e dell'Inverno. |
L’allegoria dell’Autunno mette in bella mostra un vassoio
contenente i frutti tipici della stagione: uva, castagne e fichi.
Poiché le rappresentazioni soltanto tre, l’artista usa
l’espediente di rappresentare la quarta stagione, ossia l’Inverno, nella stessa
allegoria dell’Autunno e la rappresenta come una fanciulla che si chiude in sé
stessa, come un bozzolo, e cerca protezione dal freddo avvolgendosi in un ampio
mantello.
Particolare dell'allegoria dell'Autunno. |
dalla Monti molti ci passano e pochi sanno...
RispondiEliminacomplimenti un'altra presenza ad Azzate
Perché vuoi rimanere anonimo? Mi piacerebbe sapere chi sei.
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