venerdì 7 agosto 2015

CRIVELLI MELCHIORRE









Ora, la figura dell’inquisitore agisce, per sua natura, proprio sulla zona più orrorifica della nostra fantasia: E’ un’istantanea mentale, fotografata attraverso l’obiettivo di conoscenze acquisite negli anni, dalla scuola o dai liberi e films, appunto. La figura dell’inquisitore è quella dell’uomo incappucciato, avvolto in una mantella nera come la pece, che si aggira in sotterranei che stillano gocce di umidità, dove l’aria è putrida e risuona del cigolio di macchine che chissà quale mente distorta ha fabbricato in funzione della “verità” e della “fede”. Eccolo, è lui, entra in quella sala,  proprio in quella da dove provengono cigolii e urla che di umano non hanno più nulla: sotto il braccio destro tiene un registro, lo apre, ripropone al malcapitato la solita lista di accuse e, con l’indice puntato, gli intima: “Confessa!”.
L’inquisitore e il suo indice, col quale addita colpevoli e colpe, eretici e miscredenti, maghi e streghe. E che decide della vita o, piuttosto, della morte di persone per lo più innocenti. Una storia iniziata, in territorio italiano, intorno al XIII secolo per concludersi, con le ultime storie, alla fine del Settecento, quando già dalla Francia spirava l’aria nuova di una filosofia razionale e illuminata.
Nel caso però di Melchiorre Crivelli, primo inquisitore milanese del quale si abbia qualche sparuta notizia, l’indice assume una duplice valenza: la necessità di puntare il dito contro il colpevole, va da sé, ma anche l’emergenza di individuare, segnalare e prontamente annotare in apposito registro tutti quei libri, di qualsiasi “paternità” fossero,  che costituissero una qualche minaccia per la dottrina professata dalla Chiesa di Roma. Appunto, l’indice: L’indice dei libri proibiti, l’elenco dei testi temuti da tutta la cristianità cattolica – soprattutto negli anni della Controriforma -, volumi che dovevano essere evitati, scansati come la peste, per non essere contagiati dai bacilli dell’eterodossia. Perché un inquisitore non dovesse puntare contro un altro pover’uomo (o un’altra poveretta( il suo “manuale”.
Del Crivelli si sa poco, o nulla. Complice il fatto che la sua azione si svolse nella cornice temporale immediatamente precedente lo scoppio della vera e propria epidemia inquisitoria, scatenata dal Concilio di Trento; in un’epoca, quindi, nella quale ancora la figura dell’inquisitore può essere ritenuta marginale o, comunque, complementare ad altre, non indispensabile, non certo il protagonista della difesa della Chiesa. E, in questo senso, la vicenda del Crivelli, nonostante quel poco che se ne sa, risulta a suo modo esemplare.
Crivelli, intanto. Solo un nome? Per Milano, no. Uno dei Nomi, una delle famiglie milanesi per eccellenza, la cui esistenza a Milano è già accertata nell’XI secolo. Nel secolo seguente la famiglia occupa già una posizione di rilievo, poiché tale Uberto, omonimo del capostipite della  casata, fu arcivescovo di Milano, per sedere poi sul seggio romano di San Pietro come pontefice, col nome di Urbano VIII. Nel Duecento, secondo gli studi condotti da Giorgio Giulini, i Crivelli si erano già imposti come la famiglia più potente della città. Da lui discendono i vari rami della famiglia, tutti attestati nel territorio adiacente Milano, fra l’Alto Milanese e la Pianura Padana, segnalandosi in ogni caso per la presenza di membri illustri e di rango, prestigiosi per i titoli acquisiti, nonché per i servigi resi sul piano militare tanto su quello ecclesiastico. Nella seconda metà del Quattrocento (periodo in cui nacque il nostro inquisitore Melchiorre), tale Ugolino Crivelli fondò il monastero degli Olivetani a Nervino, mentre poco dopo un Alessandro Crivelli ottenne la porpora cardinalizia.
Una data di nascita approssimativa per Melchiorre Crivelli è stata stimata intorno al 1486. Milano sarebbe (ma il condizionale è d’obbligo) la città che gli diede i natali. Senz’altro seguì studi approfonditi e la sua formazione, data la famiglia di provenienza, non poté che essere curata e organica. Non si sa né dove né come avvenne. Di certo, il Crivelli arrivò a vestire l’abito bianco e nero dei domenicani e i documenti del tempo lo citano come professore di teologia, disciplina nella quale, si sa, i domenicani non erano secondi a nessuno.
Fu papa leone X – al secolo, Giovanni de’ medici – a conferirgli, nel 1518, la nomina di inquisitore generale per la diocesi di Milano. Non solo, Dal sommo pontefice il Crivelli ricevette l’esplicita licenza di potersi adoperare, con le armi dell’Inquisizione, contro chiunque ritenesse meritevole di essere sottoposto a “verifiche” circa la propria ligia ortodossia. Un “chiunque” che comprendeva anche uomini che indossavano l’abito talare.
L’urgenza con la quale il papa mediceo conferiva tale incarico al Crivelli lo si può facilmente giustificare con il carattere sui generis della comunità religiosa milanese, non proprio immune, nei secoli precedenti, al fascino esercitato da correnti eterodosse provenienti da Oltralpe, e la pataria che ne è forse l’esempio più celebre. Nel resto d’Italia, tuttavia, nel periodo in cui il nostro ricevette il suo incarico, non si segnala un’attività particolarmente frenetica dei tribunali dell’Inquisizione che, anzi, sembravano languire in un pacato lassismo. Eppure le 99 tesi di Lutero erano già state affisse. Il germe dell’eresia protestante si stava diffondendo nell’Europa continentale, conquistando – si veda il caso del mondo tedesco – anche interi principati, a partire dei loro stessi principi.
Vero. L’Italia – come del resto la Spagna e, in genere, l’area mediterranea – fu solo marginalmente toccata dalla idee di Lutero e dei suoi epigoni. Ciò nonostante, se si mettono a confronto i dati concernenti i processi svolti a Milano con quelli tenuti nel resto del suolo italico nel periodo 1530-1550, la differenza balza agli occhi. La frequenza e l’intensità con cui lo zelo tutto domenicano di Melchiorre Crivelli individuò potenziali colpevoli, fino a farli diventare eretici rei confessi da bruciare sul rogo, fanno notizia. Uno zelo degno persino dell’encomio del nuovo pontefice, Paolo III.
Non erano altrettanto entusiastiche dell’abnegazione della quale il Crivelli dava prova senza soluzione di continuità le altre autorità ecclesiastiche meneghine, a partire dall’arcivescovo. I processi imbastiti per volontà dell’inquisitore generale si svolsero, per lo più, grazie all’aiuto offerto dal Senato milanese, dunque da magistrati laici, i quali non esitarono persino a segnalare presso il pontefice – con lode e plauso – il lavoro svolto dal Crivelli.
E fu sempre in forza della stretta collaborazione con il Senato che prese corpo l’idea di quella famigerata lista di libri proibiti, da miscredenti, che avrebbe condizionato la vita dei cattolici fino a tempi non molto lontani.
Già, a Melchiorre Crivelli si deve, in Italia, il primo Indice dei libri banditi a motivo dei loro contenuti e dei loro autori, non in linea con l’ortodossia cattolica. Fu una grida del Senato ad annunciare, con grande clamore, la pubblicazione di questa lista di proscrizione editoriale, con un provvedimento che diventò legge il 3 dicembre 1538.
Insomma, in un periodo in cui, nonostante l’ampia circolazione delle idee luterane nell’Europa mitteleuropea, le supreme autorità ecclesiastiche dormivano sonni tranquilli, l’inquisitore Crivelli si preoccupò di passare al setaccio codici, manoscritti e quant’altro, per identificare un potenziale pericolo, la possibile sorgente di una fede corrotta. Non sottovalutava – è evidente – il potere di una ideologia, di una teoria, di una dottrina sul comportamento delle masse. Era ben conscio, di una dottrina sul comportamento delle masse. Era ben coscio che un libro potesse diffondere idee dalle quali guardarsi, perché dalle idee nascono azioni. Soprattutto però (è lecito dedurlo) il Crivelli non poté muoversi a caso fra catalogazioni più o meno esaustive e fra gli scaffali delle biblioteche. Non gli sarebbero bastate le proverbiali sette vite di un gatto per stilare il suo elenco. La sola ipotesi che trova consistenza porta a riconoscere al Crivelli, di base, una preparazione molto accurata in vari ambiti dello scibile umano di allora, tale da consentirgli con una certa agilità fra autori, ambiti e opere …..
(alcune pagine non sono disponibili in Internet).
… carità, estranea al formalismo dei dogmi. Motivi per cui quelle stesse opere che il Crivelli in persona aveva approvato avrebbe dovuto poi condannarle al rogo, in quanto colpite, come il suo autore, dalla condanna del pontefice Paolo IV, che le pose all’Indice.
Nel 1550 Milano accolse un nuovo arcivescovo nella persona di Giovanni Angelo Arcimboldi, residente della diocesi, come da prescrizioni conciliari. L’Arcimboldi non aspettò a manifestare il suo dissenso per l’ampiezza di poteri e movimenti della quale godeva il Crivelli, anche e soprattutto in fatto di eresia. Si lamentò direttamente col papa per le continue interferenze nel suo lavoro, dovute a interventi e azioni non richieste del Crivelli. Era chiaro l’obiettivo del nuovo arcivescovo: legare a doppio filo il tribunale dell’Inquisizione alla propria, esclusiva autorità. Non erano più i tempi del lassismo clericale riguardo alla proliferazione dell’eterodossia. Non erano più i tempi in cui un Senato poteva esporsi e sostenere una figura di inquisitore non gradita alla massima autorità religiosa in loco. La parola dell’arcivescovo fu sufficiente a procurare la caduta di Crivelli, sostituito, nell’esercizio delle sue funzioni e sotto la rigida autorità dell’Arcimboldi, dal canonico Bonaventura Castiglioni.
Crivelli, povero inquisitore “incompreso”, vittima del suo stesso zelo, quando la caccia a miscredenti diventò appannaggio dei “grandi” della Chiesa, spirò a Milano, città della quale era rimasto comunque vescovo ausiliare per volontà di Carlo Borromeo (ma in teoria, più che nella sostanza), il 7 ottobre 1561. Alle mura di Sant’Eustorgio il compito di preservare in silenzio le sue spoglie dalle fiamme di quel rogo che nessun inquisitore poté mai eguagliare: il tempo e la sua giustizia.


(Estratto da: I personaggi più malvagi della storia di Milano, di Andrea Accorsi, Daniela Ferro).

Nacque nel 1486, probabilmente a Milano. In quale anno, e dove, abbia vestito l'abito domenicano, quali siano stati i suoi studi e i primi incarichi ricoperti nell'Ordine, non è noto: sappiamo soltanto che, in documenti posteriori, figura con il titolo di professore di teologia, senza però che si posseggano indicazioni circa una sua eventuale attività di docente.
Il primo documento conosciuto che lo riguarda è il breve del 28 ag. 1518 con il quale Leone X lo nominava inquisitore generale per la diocesi di Milano "et alibi etiam, ubi opus erit", con ampie facoltà di procedere contro chiunque, anche costituito in dignità ecclesiastica.
La nomina del C. al delicato incarico av veniva in un periodo storico in cui la crisi che travagliava la Chiesa sembra avere investito anche i tribunali del S. Uffizio: rispetto all'assenteismo o all'impotenza delle autorità ecclesiastiche, l'impegno del quale darà prova, negli anni successivi, il C. nella repressione dell'eresia in un settore geografico particolarmente esposto all'infiltrazione protestante pare rappresentare un'eccezione. Infatti, nonostante la scomparsa dell'archivio dell'Inquisizione milanese, le notizie frammentarie pervenuteci di processi condotti dal C. nel 1534, nel 1537, nel 1547 e nel 1549 inducono a ritenere che l'attività svolta da lui nella lotta contro l'eresia fu tutt'altro che trascurabile, cosa di cui, peraltro, lo stesso Paolo III doveva dargli atto in un breve del 12 luglio 1536. Non potendo, però, contare, in questa sua azione, sulla collaborazione delle autorità ecclesiastiche locali, il C. fu costretto a valersi dell'appoggio del potere laico, e in particolare del Senato milanese, il quale, nel 1543, in una lettera indirizzata al pontefice, ne avrebbe esaltato lo zelo e le benemerenze, intercedendo in suo favore per l'ottenimento di una pensione.
La collaborazione con il Senato spiega motivo per cui uno degli atti più significativi del C. come inquisitore - e cioè elaborazione del primo Indice dei libri proibiti pubblicato in Italia - fosse reso esecutivo, il 3 dicembre del 1538, con una grida emanata del supremo consesso milanese.
Benché, quindi, il provvedimento proibitivo fosse formalmente un atto del potere laico, in esso veniva esplicitamente dichiarato che l'elenco delle opere vietate era stato predisposto dall'inquisitore. Tale elenco costituisce una significativa testimonianza, oltre che della preparazione culturale del C., anche dell'attenzione da lui dedicata al problema della circolazione delle dottrine ereticali per mezzo della stampa, in un momento in cui la gravità della questione sembra essere stata ancora sottovalutata dalle autorità ecclesiastiche. Nell'Indice milanese, comprendente un totale di 46 voci, compaiono, oltre alle opere di autori più antichi, come Hus e Wycliffe e ai primi lavori conosciuti di Lutero, Melantone ed Ecolampadio, anche il Catechismus di Calvino - e cioè, più esattamente, la Instruction et confession de foy - la cui prima edizione era dell'anno anteriore, il 1537. Né gli sforzi del C. per contrastare la diffusione dei libri eretici doveva limitarsi a questa iniziativa, perché risulta che, nel 1543, egli aveva elaborato un altro Indice di opere proibite contenente nomi di più di cento autori, che, però, non ci è pervenuto.
È probabile che le benemerenze acquisite dal C. nel disimpegno del suo ufficio siano presto valse a far conoscere il suo nome negli ambienti della Curia e della corte pontificia. Fatto sta che nel concistoro del 20 febbr. 1540, Paolo III lo nominava vescovo della diocesi in partibus di Tagaste, designandolo contemporaneamente ausiliare - o, come si diceva allora, suffraganeo - del vescovo di Vercelli Pietro Francesco Ferrero ed assegnandogli una pensione di 200 ducati d'oro di camera; nel 1544, quindi, il cardinale Ippolito II d'Este, che nel corso dei trentun anni durante i quali fu titolare del seggio arcivescovile di Milano mai vi risiedette, lo nominava proprio vescovo ausiliare con pieni poteri e titolo di visitatore generale della diocesi.
Se il C. abbia effettivamente svolto la carica di ausiliare di Vercelli non è dato sapere; ciò che è certo, invece, è che esercitò con il suo abituale impegno quella di ausiliare di Milano, pur cumulando tale ufficio con quello di inquisitore, almeno sino al 1553. Lo zelo del C. nello svolgimento dei suoi compiti pastorali va certamente collegato, oltre che con la sua peculiare personalità, anche con la sua appartenenza ai circoli milanesi più direttamente influenzatidagliideali della Riforma cattolica: significativi, al riguardo, sono i vincoli strettissimi che lo univano ad AntonioMariaZaccaria ed ai primi membri della Congregazione dei chierici regolari di S. Paolo Decollato, la vita dalla quale avrebbe poi sempre seguito da vicino, assistendo persino ai capitoli generali; significativo, altresì, è il fatto che, come inquisitore, avesse dato l'approvazione alla pubblicazione della Cognitione et vittoria di se stesso (1531) e dello Specchio interiore (1540) del domenicano Battista Carrioni, cioè della personalità religiosa che maggior influsso spirituale esercitò sugli ambienti milanesi impegnati nello sforzo di rinnovamento: l'ironia della sorte farà sì che, nel 1552, nel clima più rigido della incipiente Controriforma toccherà proprio al C., nella sua veste di giudice del S. Uffizio, di provvedere al sequestro e al rogo delle opere del Carrioni, ormai colpite da condanna papale. Purtroppo, anche qui, la scarsità di documenti della prima metà del Cinquecento conservati nell'archivio della curia arcivescovile di Milano nonconsentedi ricostruire l'attività svolta dal C. nella diocesi. Il fatto, però, che tra le poche carte dei periodo pervenuteci figurino i decreti emanati dal vescovo ausiliare in seguito alle visite compiute a Brebbia, nel 1545, ed a Romano, nel 1546, inducono a ritenere che svolse in questo settore un'attività più ampia di quanto la documentazione rimasta attesti.
La situazione del C. doveva cambiare a partire dal 1550, quando, dopo decenni di abbandono, la diocesi ebbe un prelato residente nella persona di Giovanni Angelo Arcimboldi. Tra inquisitore e arcivescovo sorsero ben presto motivi di attrito suscitati dalla volontà di quest'ultimo di rivendicare la pienezza dei suoi poteri come giudice ordinario in materia d'eresia. Già nel gennaio 1551, il C. faceva giungere a Roma le proprie lamentele, accusando l'Arcimboldi di interferire indebitamente nelle competenze del S. Uffizio e di mirare a farlo operare alle dipendenze dell'autorità arcivescovile. Nel conflitto tra i due. poteri, chi finì con l'avere la meglio fu l'arcivescovo, il quale otteneva dalla S. Sede la destituzione del C. e la nomina al suo posto, nel 1553. di un sacerdote secolare, il canonico Bonaventura Castiglioni.
Negli anni successivi si perdono le tracce del C.; il suo nome riappare soltanto nel 1560, in relazione alla sua conferma, da parte del nuovo arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Borromeo, nell'ufficio di vescovo ausiliare, ufficio nel quale, contro la sua volontà, verrà affiancato dal vescovo di Bobbio Sebastiano Donato.
Il C., comunque, non era destinato ad esercitare ancora a lungo la carica: morì, infatti, a Milano il 7 ott. 1561, e fu sepolto in S. Eustorgio.
(Estratto da: Dizionario biografico degli italiani).

Il capo dell’inquisizione milanese consacrò la chiesa di Sant’Agata di Basiglio

Quando fu costruita l’attuale chiesa di Sant’Agata?
I documenti lasciati dai vari parroci di Basiglio dalla fine del 1500, consultabili nell’archivio parrocchiale, indicano un periodo compreso fra il l5l0 e il 1540. Su una data però concordano tutti: la consacrazione della chiesa di Sant’Agata avvenne il 14 giugno 1545.
La data della consacrazione, riferisce don Angelo Repossi, parroco di Basiglio, in un suo rapporto per l’Arcivescovo di Milano Filippo Visconti redatto nel 1796, era indicata in una scritta murale che si leggeva su una parete nel coro della chiesa. Con il trascorrere degli anni e in conseguenza delle diverse coperture dei muri con la calce per difendersi dalle ricorrenti epidemie di peste e di colera, l’inscrizione andò perduta.
Una ricerca svolta nel ricco archivio storico della Diocesi di Milano con la preziosa assistenza del suo direttore Monsignor Bruno Bosatra ci ha consentito di accertare che la consacrazione della chiesa di Sant’Agata, assente l’Arcivescovo titolare della diocesi Ippolito II d’Este (figlio di Lucrezia Borgia), fu effettuata da un tenace padre domenicano, Melchiorre Crivelli, Vescovo Suffraganeo e capo del tribunale dell’Inquisizione di Milano che anticipò con il suo dinamismo pastorale e con il suo fervore religioso alcuni principi basilari della Controriforma scaturita dal Concilio di Trento che ebbe inizio nel dicembre 1545.
La prima metà del 1500, fino all’arrivo di Carlo Borromeo, poi salito agli onori degli altari, fu un periodo molto travagliato per la diocesi di Milano. Si stavano pericolosamente diffondendo le idee della riforma protestante (a Milano nel 1519 era apparsa la prima Bibbia commentata da Lutero); Ippolito II, nominato arcivescovo a soli 10 anni di età secondo la prassi nepotistica dell’epoca, non aveva mai messo piede nella sua diocesi che rimase pertanto abbandonata per 31 anni; nel 1535 era iniziata la dominazione spagnola sul territorio milanese che sarebbe durata per oltre 170 anni. Furono alcuni religiosi, e fra questi Melchiorre Crivelli, a prendere in mano la situazione e ad operare principalmente in due direzioni: la lotta contro le eresie e la presenza costante nella diocesi per la diffusione e per il consolidamento della religione cattolica nelle campagne e nelle località più remote e trascurate del milanese.
Melchiorre Crivelli, nato probabilmente a Milano nel 1486, domenicano, professore di teologia, fu nominato Inquisitore Generale per la diocesi di Milano nel 1518 da Papa Leone X con ampi poteri di procedere contro chiunque anche ecclesiastico fosse colpevole o sospettato di eresia. Si hanno notizie di processi da lui condotti fra il 1534 e il 1549. In questa sua attività fu apprezzato anche da Papa Paolo III nel 1536.
Nel 1538 pubblicò e rese esecutivo il primo Indice dei libri proibiti apparso in Italia (la prima edizione comprendeva 46 opere: l’opera omnia di Wyclif e Hus, i commenti di Lutero sulle Sacre Scritture, il Catechismo di Calvino, ecc.). Tutti gli studiosi che si sono occupati di questo importante uomo della chiesa milanese gli accreditano una notevole cultura. Nel 1544 Ippolito II d’Este, dalla sua residenza, lo nominò Vescovo Suffraganeo e Visitatore Generale della diocesi di Milano con ampie facoltà fra cui quelle “di promuovere agli ordini sacri e consacrare nuove chiese” (da: Agostino Borromeo - Il domenicano Melchiorre Crivelli -  Studia Borromaica 1995 pag. 59). Melchiorre Crivelli esercitò con molto zelo e con particolare impegno queste funzioni che cumulò con la carica di Inquisitore Generale fino al 1550 quando al cardinale Ippolito 11 d’Este subentrò l’Arcivescovo Arcimboldi.
Da un documento notarile della Curia Arcivescovile dell’epoca risulta che fra il 1542 e il 1546 visitò tutte le parrocchie della diocesi ed  in questo periodo che si colloca appunto la consacrazione della piccola chiesa di Sant’Agata di Basiglio.
Il giovane cardinale Carlo Borromeo lo nominò a sua volta Vescovo Suffraganeo nel 1560. Melchiorre Crivelli mori a Milano nel 1561 e fu tumulato nella storica chiesa di S. Eustorgio dove oggi una lapide lo ricorda.
                                                                                   Brunello Maggiani



Maurizio Pietra (Milano, 21 marzo 1514  Vigevano, 20 maggio 1576) è stato un vescovo cattolico italiano.
Nacque da una nobile famiglia milanese.
Era nipote di Galeazzo Pietra, suo predecessore alla cattedra vigevanese, al quale successe alla morte di questi nel 1552. Già da tempo, svolgeva il compito di vescovo coadiutore di Vigevano durante gli anni della vecchiaia dello zio con diritto a succedergli.
Eletto a questa carica il 27 ottobre 1552, vi celebrò la prima messa solo nel 1554 disinteressandosi inizialmente al governo effettivo della diocesi che venne affidata a Melchiorre Crivelli, vescovo titolare di Tagaste e vescovo coadiutore di Vigevano. Di Maurizio Pietra sappiamo che però prese parte, la seconda domenica di aprile dell'anno 1556, ad una seduta del concilio di Trento, del quale approvò molte delle riforme e le riportò nella propria diocesi, dando subito il via ad un ciclo di visite pastorali e fondando il primo seminario diocesano.
Nel 1572 tenne per la prima volta un sinodo diocesano, coadiuvato in questo da San Carlo Borromeo il quale più volte lo invitò a partecipare ai sinodi metropolitani tenutisi in Milano.
Morì a Vigevano il 20 maggio 1576 dopo aver contratto una febbre tifoidea e venne sepolto presso l'altare del duomo cittadino, vicino al trono episcopale.
(Estratto da Wikipedia).


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