mercoledì 22 luglio 2015

LA PESCHIERA DEL RIALE VECCHIO di Amerigo Giorgetti


Parto giocando in casa, con uno stringato atto notarile sui diritti di pesca nel lago di Azzate. E’ un pezzo che sto navigando in queste acque, ma raramente mi è capitato sottocchio un documento così sapido ed essenziale.
Ne faccio un preliminare resoconto, così  almeno posso digredire a volontà.
Il primo di gennaio del 1433 Francescolo Bossi di Azzate affitta a Giovanni del Galgino le rive e le peschiere su lago, limitrofe alle sue proprietà.

Il Galgino si perde nei miei ricordi infantili, quando ancora non sapevo che si chiamava così. Al Galgino si fermava sempre il pullman che ci portava a scuola a Varese, dove saliva puntualmente una giovane donna, che attirava la nostra attenzione per il suo portamento energico e imperioso. La saluto con grande affetto. Forse il Giovanni delle Cascine del Galgino è un suo antico progenitore.
Ad ogni buon conto, il padrone della terra era il solito Bossi di Azzate, Francesco figlio del fu Astolfo. Da notare che nell’atto Giovanni resta Giovanni, mentre Francesco diventa Francescolo e il padre defunto Astolfolo. Noi per la par condicio postuma lo chiameremo Giuanin, sperando che nessuno si offenda del diminutivo. Anzi, Giuanin dul Galgin.
In mancanza di riscontri anagrafici dobbiamo per ora fermarci qui. Ma non ci sorprenderebbe affatto che il Giuanin sia anche il conduttore del mulino soprastante, quello che è fatto funzionare dal Riale vecchio, e che quindi si sente un po’ conduttore anche dei pesci annessi. Conosco altri mugnai, storicamente documentati, muniti di barche e reti, che quanto a furbizia superano di gran lunga i loro illustri locatori. Del resto, prima di finire nella madia del signor Franciscolo, la farina resta attaccata alle mole del Giuanin.
            Mi dice il mio socio Barbieri che il Galgino si trova attualmente in territorio di Azzate (di solito non mi inganna), ma il notaio Andrea scrive che il Galgino è in Galliate. Chi avrà ragione? Forse che a quei tempi si trovava in territorio di Galliate e che poi sia passato ad Azzate?
Può darsi.
Può darsi anche che il notaio abbia fatto confusione, e non solamente per colpa sua, quanto piuttosto per il fatto che allora i confini fra i vari comuni non erano segnati in mappa, e forse non erano nemmeno segnati nelle teste di notai e paesani.

            L’atto del Bossi è scritto in forma ecceterata: invece di scrivere tutta la rava e la fava, ci mette un bel etc., e chi s’è visto s’è visto. Peccato. Magari potevamo saperne di più. Ma forse è meglio così, perché, si sa, i notai non vengono mai al dunque; sono capaci di farti un giro di formule di diverse pagine, che quando arrivi alle due righe che ti servono, ormai ti sei addormentato. Ad ogni buon conto. Tecnicamente si tratta di un’investitura a titolo di locazione e fitto di rive e peschiere, e quindi della concessione del diritto di pescare e far pescare su un tratto di lago lungo il quale si trovano le terre del locatore, e precisamente “le rive del lago di Azzate ovvero Bobbiate, in località Riale vecchio. Anche qui il lago è ambiguo: Azzate e Bobbiate si trovano agli antipodi. Forse per questo. Molto  preciso è invece il microtoponimo “Riale vecchio”. Qualche vecchio rivierasco ve lo confermerà.
Ciò che in questa carta risulta del tutto consueto è che i diritti di pesca si estendono sulla riva su cui confinano i terreni dell’avente diritto. In altri termini, il diritto di pesca è connesso ad una proprietà terriera confinante con il lago: questa proprietà si estende quindi anche sul fondo sommerso fino “in mezzo al lago”. Tralascio qui di entrare nella vessata questione del mezzo del lago, perché mi arenerei o annegherei. Magari in seguito.
Questo regime della pesca non nasce nel 1400, poiché è altomedievale, e resisterà ancora a lungo, e precisamente fino a quando lo Stato di Milano nel 1652 incamererà con indennizzo (promesso e non concesso) i soli diritti di pesca di tutto il lago, per rivenderli subito dopo al migliore acquirente.
Per il momento esistono tanti padroncini delle rive che considerano il loro piccolo lago come una loro pertinenza e vi fanno pescare contadini-pescatori, soprattutto per rifornire le loro mense. Anche le comunità godono di analoghi diritti collettivi, giuridicamente sulle parti di rive a cui si affacciano le terre comuni, ma di fatto con una pesca che si avvicina al bracconaggio. Anche per la caccia era lo stesso. Se ti beccavano, te la facevano pagare cara. Meglio che crepare di fame.

            Il Giuanin ottiene dal signore di Azzate il permesso per nove anni di pescare sulla riva del Riale vecchio, dove probabilmente già pescava di sfroso, con la differenza che ora deve portare una parte del pescato al legittimo proprietario. Di soldi neanche a parlarne; solo pesce, e di quello buono. Il signor Franciscolo non intende essere condito via con qualche cavagno di scardolacce o di alborelle, che, quando ce n’è, non si sa dove buttarle; sulla sua tavola vuole esclusivamente pesce buono, ossia lucci, tinche e persici (lucii tenche et persich.). Il primo anno ne vuole  8 libbre (la libra grossa equivale a circa 7 etti e mezzo), gli altri otto anni 4 libbre, da consegnarsi obbligatoriamente di settimana in settimana durante la quaresima. Come vedremo, anche il signor Franciscolo del fu Astolfolo non disdegna di scendere al lago a pescare sulle sue rive, solo che forse non è bravo come il Giuanin, e quindi non può permettersi il rischio di arrivare al venerdì di quaresima con la padella vuota. Non è che il pesce del contratto sia molto, ma non è detto che sia l’unico che gli arriva in casa da suoi conduttori.

            Non riesco mai a decidere se sia logicamente anteriore la quaresima o la pesca, domanda che nasconde una profonda questione metodologica. Andavano a pescare in quaresima per soddisfare il precetto di magro, o hanno messo la quaresima nel tempo dell’anno in cui la pesca è particolarmente favorevole con l’inizio delle freghe? Sono convinto che la pesca professionistica sul lago e il conseguente controllo del pescato da parte dei mercati cittadini di Varese e di Milano nasca da questo obbligo rituale. L’aspetto sacrale e quello economico si condizionano a vicenda.
            Andiamo avanti nel discorso. Prima scrivevo che il signore è anche lui pescatore: lo si vede da un patto del contratto che è decisamente singolare. Il notaio se l’è dovuto annotare a margine, sul riassunto che stiamo leggendo. In pratica il padrone si riservava di fare i suoi fossati sulle stesse rive e di mettere anche tutti i marchingegni per prendere il pesce, senza comunque intralciare le attività del conduttore. Questa sì che è bella: uno affitta una casa a qualcun altro, e poi pretende di abitarci senza creare per giunta alcun disturbo all’inquilino. Cosa palesemente impossibile. I rapporti di convivenza fra il Bossi e il Giuanin si presentano come assai problematici.
A noi invece, cinici come sempre, ci interessa sapere come erano fatte le peschiere che usavano dalle nostre parti. Abbiamo diversi documenti su peschiere di signori e monasteri della bassa milanese o di altre parti, ma da noi la cosa resta ancora insondata. E invano cercheremmo di sondarla in un atto ecceterato. Ma vedrete che prima o poi salterà fuori.
Qui abbiamo delle interessanti indicazioni, da integrare eventualmente con quelle di altri documenti. Il padrone infatti si riserva di scavare dei fossati e di metterci i dispositivi per prendere il pesce. Più terra terra: si scava sulla riva un piccolo bacino artificiale in cui si rifugiano i pesci per poi prenderli con comodo con le cosiddette “grisce”, delle guide di vimini intrecciati che costringono la preda a finire in una rete. Sono pesche da contadini, che niente hanno a che vedere con la nobile arte di gareggiare col pesce sul suo campo di battaglia, nel lago aperto con tecniche sofisticate, esclusivo patrimonio dei vecchi lupi di lago. I villani usano anche i rastrelli quando vanno in frega le alborelle. Ma non è una cosa seria.

            Voi avrete capito che è un magro affare per il Giuanin del Galgin. Era meglio quando pescava di sfroso. Ora è più garantito di prima, ma nello stesso tempo più stressato dal fiato del padrone sul collo.
E il padrone è veramente buono, anche se al mio socio Barbieri sembra illogico (la storia non è la matematica): “il locatore sia tenuto a mantenere il conduttore nel possesso dei beni”; se il conduttore è impedito o turbato nel possesso, non è più tenuto a pagare l’affitto. Sì, proprio così: se è il padrone a disturbarlo paga l’affitto, se è qualcun altro no.
Un signore deve pur giustificare le sue pretese signorili con qualche atavica contropartita. Quando calano i feroci Ungari i villani lasciano le cascine e si rifugiano col bestiame nel castello; quando qualcun dà fastidio ai bartavelli del Giuanin, arriva il Franciscolo di Azzate e gliela fa vedere lui.
            Mi pare di capire a questo punto che siano un po’ troppi quelli che pretendono di fare di magro in questa stretta riva di Azzate.

*** Fonte inedita

Archivio di Stato di Milano
Fondo Notarile
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Notaio Bossi Andrea fu Montolo
Filza N. 276:
         1433,  1 gen.           - Francescolo Bossi di Azzate affitta a Giovanni del
                                            Galgino le rive e le peschiere del lago limitrofe alla
                                            sua proprietà                                                                        f.1r

(Vedi post successivo: Francescolo Bossi fu Astolfo).

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