LE ABITAZIONI
Da quanto appare dalle descrizione fatte soprattutto in
occasione di confische o pignoramenti si rivela che le condizioni di vita della
gente comune dovevano essere estremamente difficili e a gran parte della
popolazione erano riservate abitazioni insalubri, pesanti giornate di lavoro
poco remunerate.
Le case che componevano l'agglomerato centrale erano per
la maggior parte a due piani, piccole e addossate le une alle altre. Solo le
famiglie benestanti e gli ecclesiastici abitavano in abitazioni proprie più
ampie, anche se prive di ogni conforto.
La situazione era dunque di una popolazione ammassata in
case comuni, sudice, putenti, scarse di luce e di aria. Frequentemente avveniva
che a causa dell'ambiente malsano e un'alimentazione insufficiente si patisse
di scrofola e di rachitismo.
Frazione Castello. Antica via del torchio. |
Ovunque si vedevano lobbie e ballatoi di legno, tanto
all'interno quanto all'esterno e le facciate erano, per lo più, a muri ruvidi
senza intonaco, costruite con sassi misti a qualche mattone.
Le porte erano larghe e basse; le finestre piccole e
quadre, contornate da una striscia dipinta a calce, erano sovente munite di
grosse inferriate; solo le finestre delle case dei ricchi erano a vetri di una
piccola misura e piombati fra loro. Le altre - coperte di carta detta stamegna, non avevano né persiane né
imposte.
Sul tetto di qualche casa si elevava un solaio aperto o
qualche altana di foggia diversa.
Erano le costruzioni che avevano formato le strade, non
queste ultime a dare un allineamento ai fabbricati.
Le vie erano tortuose e anguste: angiporti e vicoli
maleodoranti ed essudanti in viscido umidore.
I selciati, dove esistevano, erano grossolani, sconnessi e
gli stillicidi delle grondaie dei tetti, senza canale, lasciavano cadere, quasi
costantemente acqua sulle strade; il letame degli animali e la spazzatura delle
case, erano ammonticchiate nei cortili e nelle contrade, dove si macerava anche
il lino e la canapa; sul suolo pubblico si gettavano anche le acque putride: i
macellai e i cervellieri usufruivano della strada per ammonticchiarvi le interiora
tolte agli animali macellati.
Il centro storico di Azzate va scoperto a piedi e perciò si
consiglia di depositare l’automobile nel parcheggio posto a duecento metri
sotto il campanile della Chiesa Parrocchiale, raggiungibile dalla Rotatoria
del tram sulla SP14 del Buon cammino e percorrendo il primo tratto
della Via Vittorio Veneto. Alla Farmacia girare a destra e seguire il
fabbricato del Cinema-Teatro Castellani, del muraglione dell’Oratorio e
dell’Azzate Calcio.
Questo piazzale era una volta recintato da un alto
muraglione e racchiudeva l’orto dell’Istituto della Beata Vergine Addolorata
che si raggiungeva dal soprastante parco della Villa Cornelia (in cui fa
bella mostra di sé un maestoso cedro del Libano) mediante un cancello in ferro
ed una porta in legno, attraversando la pubblica via, che possiamo vedere
ancor’oggi e sono stati mantenuti al loro posto in seguito ai lavori di
adattamento a parcheggio eseguiti nel 19..
Volgendo lo sguardo a Sud è possibile vedere la Collina
di S. Quirico sulla cui sommità nel 1878 il nobile Claudio Riva faceva
erigere la Torre
e sistemava a pineta tutto il pianoro antistante.
Secondo quanto riferiva una lapide cristiana riportata dal
Sormani e finita nella collezione di Villa Recalcati di Casbeno e poi dispersa,
già nel quinto secolo dopo Cristo lassù si seppellivano i morti ed esisteva un
antico convento di cui sono rimaste poche rovine.
La parte della collina più esposta al sole verso Brunello
era coltivata a vite che dava un vino denominato come il suo omonimo più nobile
di Montalcino e che gli attuali proprietari stanno tentando di riportare in auge
con la nuova denominazione di Sommo clivo ripresa dalla lapide murata
sopra la porta che dà accesso alla scala a chiocciola in pietra che conduce al
terrazzo circolare della Torre che dice in latino di essere stata costruita
sulla sommità del colle (in summo clivo).
Volgendo invece lo sguardo verso il campanile si nota una
costruzione rossa ora sede della Polisportiva ed una indicazione viaria
che ricorda Don Angelo Cremona che fu parroco di Azzate dal 1938 al 1979
Questo fabbricato e quello in posizione più elevata facevano
parte della Stazione dei Carabinieri di Azzate poi trasferita
all’incrocio di Via Renato Colli (partigiano di Azzate morto il 9.1.1945) e Via
Acquadro (medico di Azzate morto nel 1941) cui seguì l’attuale nuova sede di
Via delle Peschiere.
Possiamo ora lasciare il posteggio e iniziamo la nostra
camminata per raggiungere il campanile.
Rasentiamo il muro della vecchia Caserma e facciamo
attenzione ai tamponamenti grossolani eseguiti con mattoni nel vespaio posto
sulla parte superiore che dava aria al fienile e possiamo ben immaginare che al
piano inferiore fossero sistemate le stalle per il ricovero dei cavalli dei Carabinieri.
Il fienile e le stalle, cessate la loro funzione, vennero adattati ad
abitazione privata del maresciallo dei Carabinieri.
Il secondo fabbricato che si apre su un cancello di ferro
era la vera e propria Caserma che dopo il suo trasferimento vicino al Municipio
e le Scuole Medie di Via Acquadro venne convertito in abitazioni.
Siamo quasi prossimi al campanile, ma vale la pena di fare
una piccola sosta per cogliere alcuni aspetti strutturali della chiesa
parrocchiale e per far rimarcare che stiamo calpestando il suolo che una volta
era destinato a cimitero. Esso venne poi trasferito a S. Rocco ed infine nel 1929 a Vegonno. Gli ecclesiastici ed i
nobili Bossi avevano invece il privilegio di essere tumulati nei sepolcri posti
sotto il pavimento della parte centrale della chiesa, con ingresso sotto
l’attuale bussola, e come ricorda una lapide che, per il momento, è stata
sistemata sotto la cappa del camino monumentale della sala consiliare in Villa Bossi-Tettoni-Benizzi-Castellani.
Si vede chiaramente il presbiterio più alto con l’occhio
centrale per dare luce; il coro rettangolare più basso addossato al presbiterio
a mo’ di abside; la navata di sinistra la cui parte terminale, in
corrispondenza del presbiterio, ospita il locale con i mantici per la ventilazione
dell’organo; la sagrestia vecchia più bassa che si allinea sullo stesso filo
del coro.
Chiesa Parrocchiale della Natività di Maria Vergine. Navata laterale di sinistra con il coro e la vecchia sagrestia. |
Possiamo ora vedere tutta l’imponenza del campanile con il
suo concerto di cinque campane, ricostruito nel 1748 ed ispirato a quello più
celebre del Bernascone per la Basilica
di S. Vittore di Varese. I suoi 42
metri di altezza si sono resi necessari poiché i
rintocchi delle campane dovevano giungere alle due frazioni di Castello
e Vegonno ed ai numerosi cascinali disseminati su un vasto
territorio.
Il gesuita Leonetto Clivone, delegato a tal scopo dal
cardinal Carlo Borromeo, visitava nel 1569 la
Pieve di Varese e toccò anche Azzate nella cui relazione, fra
l’altro, disse: "Fuori dalla chiesa, a sinistra, alla distanza di otto
braccia, si trova un grande campanile con due campane e dotato di un orologio
pubblico, uno dei più antichi di tutta l'area ambrosiana”. Se, infatti, le
meridiane impreziosivano comunemente le ville padronali e le case più modeste,
gli orologi, con il loro ingombrante e delicato meccanismo fecero il loro
ingresso abituale nella vita dei comuni milanesi e lombardi solo a partire
dalla prima dominazione austriaca: quello di Azzate era di almeno due secoli
più vecchio!
Verso la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo la chiesa
fu sottoposta ad alcuni lavori di restauro e ampliamento. Nel 1851 la chiesa
venne nuovamente ampliata e nel 1853 furono scoperti dei sepolcri posti sotto
la pavimentazione . Nel 1853-54 la chiesa
venne affrescata ed abbellita con stucchi opera di Emilio e Vincenzo De
Bernardi e Gaetano Barabini.
La chiesa risulta essere una fusione di molti stili, spesso
in contraddizione tra loro: la facciata presenta elementi in cotto tipici
dell’arte lombarda quali: medaglioni, santi nelle nicchie, sovrapporte e
pinnacoli, che rivelano però un gusto revivalistico neo-gotico e un’attinenza
all’eclettismo della seconda metà del XIX secolo.
Rinascimento lombardo e Gotico si fondono attingendo ad
elementi stilistici non rintracciabili nella produzione gotica italiana(vedi
sovrapporte laterali) al fine di ricostruire ex novo una specie di vetustà
dell’edificio e di unificare, con uno stile improbabile, le due navate laterali
con quella centrale inglobando anche il
grande finestrone semicircolare.
L’ interno è stato interamente ricoperto da una decorazione
pittorica in “finto marmo” che si raccorda alla volta dipinta nel 1862 da
Gaetano Barbini e che culmina dietro l’altare con un dipinto su muro
raffigurante palme e girasoli , incorniciato in alto dalla frase :” filet unum
ovile et unus pastor”. Questo dipinto non presenta figure umane, ma solo
allegoriche tipiche di un gusto esotico che si trova anche nei dipinti della
volta dove il pittore ha cercato di rendere realisticamente i costumi della
Palestina. Infatti i girasoli , pur non essendo simboli cristiani rimandano
all’idea di fedeltà essendo rivolti verso il sole (Dio). Lo stesso si può
dire delle palme riconducibili
all’Immacolata Concezione. Entrando nella chiesa si percepisce la sensazione di
un “horror vacui” esorcizzato dalla sovrabbondanza di decorazioni murarie e del
pavimento.
Il tesoro più importante custodito nella chiesa è il Matrimonio
mistico di S. Caterina con S. Gerolamo, opera commissionata dal senatore
Egidio Bossi e dipinta da Callisto Piazza nel 1542, collocata nella navata
destra. La pala è realizzata con la tecnica
olio su tela e misura 260x 158
cm .
S. Gerolamo e il committente risultano essere le figure più evidenti, al
contrario di Santa Caterina e della Vergine, le cui fattezze risultano essere
fin troppo comuni.
S. Gerolamo appare
sia come santo penitente, sia come santo erudito, infatti compare
seminudo e si batte il petto con una pietra, secondo la tradizione del santo
penitente, ma al contempo si trova ai suoi piedi la colonna spezzata sulla
quale compare la scritta:” CALLISTO FACIEBAT MDXLII”.
Un altro simbolo importante è il libro aperto riferito alla
Vulgata, cioè alla tradizione latina del Nuovo e del Vecchio Testamento
attribuito al santo erudito nello studio. Probabilmente tra l’iconografia del Padre della chiesa ed
Egidio Bossi esiste un’analogia, in quanto quest’ultimo è giureconsulto di fama
e redattore delle nuove costituzioni.
I modelli stilistici della pala si rifanno all’ambiente
bresciano del Romanino e del Moretto da Brescia che il Piazza aveva frequentato
in quel periodo.
Le due figure dei profeti costituiscono tuttora un mistero,
in quanto sono dipinte su tavola e che hanno fatto discutere di una possibile
composizione polittica della pala, successivamente smembrata e inserita in una
cornice dorata entro cui sarebbero state poste piccole tavole del medesimo
artista. Gli studiosi sono tuttora discordi, anche perché le tavole non
rivelano niente, sono addirittura state danneggiate dai cattivi restauri
dell’Ottocento.
Un’altra tela meritevole di attenzione è posta sulla parete
destra, accanto all’altare. Essa è di scuola lombarda del Settecento e raffigura S. Giovanni
Evangelista e S. Carlo Borromeo, che introducono ad una visione del Paradiso e
ad una rappresentazione del paesaggio azzatese del XVII secolo.
Sulla parete opposta è collocata una tela orizzontale con una copia del famoso Cristo
morto di Hans Holbein, conservato attualmente al Kunstmuseum di Basilea.
Nel 1943 il professor Mario Rossi risistemò la tela accorgendosi che non si
trattava di una copia autografa, come si era sempre pensato, bensì di uno
studio sull’originale eseguito da un maestro lombardo del XVI secolo.
Le figure di S. Apollonia Martire e S. Lucia, poste al di
sopra delle due entrate laterali sono attribuite al Nuvolone.
I lavori pittorici restanti sono tutti su muro, con le
decorazioni della Cappella del Crocifisso, in fondo alla navata destra, con
quelle nella cappella di S. Rosario e infine con quelle più recenti della volta
della navata, del già citato Gaetano Barabini.
Le decorazioni pittoriche nelle due cappelle potrebbero
essere della stessa mano; si è parlato di Isidoro Bianchi ma l’ipotesi è stata
smentita a causa dell’eccessiva disinvoltura narrativa e della velocità
esecutiva, non riconducibili al collaboratore del Morazzone.
Nella cappella del crocifisso sono raffigurati santi vescovi della famiglia Bossi: Ansperto,
vescovo di Milano nell’ 875 e S. Benigno anch’esso vescovo di Milano nel V
secolo.
Si trova inoltre nella chiesa un affresco staccato nel 1975 dalla sacrestia
della chiesa di San Rocco, con una bella scena della “Natività di Maria”
ascrivibile al XVII secolo.
Altre opere importanti presenti nella chiesa sono quelle
lignee, soprattutto nei due pulpiti con confessionale, simmetrici, che
incorniciano l’altare maggiore. Non sono queste ultime le opere più antiche: il
coro dell’ abside è degli inizi del XIX sec. La bussola all’ ingresso è
datata 1774 e le parti lignee
dell’organo, ingrandito nel 1750, datano dal XVI alla metà del XIX sec. Senza
dubbio sono frutto di un gusto architettonico ottocentesco.
Disegnati nel 1851 dall’ architetto milanese Carlo
Maciachini, che di lì a pochi anni progetterà il cimitero monumentale di Milano
ed eseguiti da Angelo Bossi, i due pulpiti ricostruiscono tutto l’accesso alla
zona dell’altare, restituendo in parte unitarietà stilistica ad un edificio che
non ne possiede molta.
Singolare anche l’idea di accomunare confessione e omelia
in una sorta di rapporto ideale tra queste due pratiche devozionali.
Nelle colonne e nell’andamento semi circolare si sente il
richiamo al Cinquecento/Seicento filtrato dalla cultura del revival tipica
dell’architetto milanese.
L’iconografia
presente nei dipinti sulla volta e sulle vele tra gli archi è riconducibile al
XIX secolo.
Di notevole importanza è lo stendardo intessuto d’oro nella sacrestia con la Vergine vincitrice sul demonio su un
lato e le figure di S. Carlo e S. Andrea
sull’altro.
Nell’inventario dei beni custodito dal parroco compare una
grande tela con S. Gerolamo, che
necessita di un restauro, ma che probabilmente si rivelerà un’opera del
XVII-XVIII secolo. Le acquasantiere sono invece del XVI secolo.
Entrando nella chiesa si percepisce una sensazione di pace
e serenità, interrotte però dal traffico e dai rumori prodotti dai veicoli che
transitano sulla strada adiacente. La chiesa risulta essere scarsamente
luminosa ,o addirittura buia nelle giornate poco soleggiate. La luce solare
viene filtrata dalle vetrate colorate,
cinque a semicerchio e una circolare . La prima, posta sopra il portale ha
delle decorazioni geometriche, sovrastanti la navata destra si trova una
vetrata raffigurante un serpente sotto cui vi è la scritta : PRUDENTIA, la
corrispondente sinistra è invece disegnata sulla parete. Sulla seconda a destra
è rappresentata una bilancia e la scritta : JUSTITIA, di fronte ad essa, sul
lato sinistro compare una quercia con una spada, allegoria di FORTITUDO. Sopra
l’abside si trovano due vetrate : una frontale circolare e una sul lato destro
raffigurante una brocca d’acqua e un calice con la scritta TEMPERANTIA .
Tuttavia grazie all’ausilio di faretti posti sopra l’altare e sulle colonne
delle navate l’ambiente appare più luminoso. Lo spazio all’interno della chiesa
e’ interamente colmato dagli arredi (panche e sedie) ; cosi come le pareti sono
totalmente ornate da decorazioni, quadri e statue. Entrando all’interno della
chiesa si ha una sensazione di solennità e quiete, anche grazie al buio e al
silenzio, che permettono ai devoti una maggiore concentrazione durante la
preghiera.
Usciamo dalla chiesa e, di fronte a noi, troveremo un
muraglione che confina con la Cappellina
della Sacra Famiglia, mosaico di Luigi Brunella, che è stato sovrapposto al
precedente affresco raffigurante S. Francesco, S. Caterina da Siena, patroni
d’Italia, ai piedi del Crocifisso. Nella parte inferiore si leggeva la scritta
“Patriae favete, fidem servate” (Servite la patria, conservate la fede) poi
sostituito da “Sacra Famiglia proteggi le nostre famiglie”.
Un’ attenta osservazione della parte inferiore del
muraglione ci farà scoprire il basamento in pietra di un pilastro in mattoni
che, con un po’ di fantasia, ci farà immaginare l’ingresso (tamponato con
pietre e mattoni) di quello che fu l’ossario dove vennero definitivamente
depositati i resti degli scheletri venuti alla luce in seguito alla “bonifica”
del campo santo. Vale la pena a questo punto osservare come il campanile sia
stato costruito molto discosto dalla chiesa e questo per dare la possibilità di
un eventuale allargamento delle sue navate, così come avvenne puntualmente nel
1853. Se ci si sposterà sul lato del campanile opposto alla chiesa sarà
possibile osservare alla sua base un grande anello di ferro che servì per
issare sulla torre campanaria le cinque nuove campane mediante una fune
lunghissima tirata a braccia da tutta la popolazione che partecipò
all’avvenimento nel Settembre 1948. (Ai più piccoli si diceva, invece, che
l’anello serviva per trascinare il campanile al lago dove si abbeverava!).
Facendo il giro dell’isolato, attraverso Via Roma e Via N.
Sauro, ci porteremo al civico n. 4 (?) dove, attraverso un androne preceduto da
un bel portale in pietra, ci sarà possibile ammirare uno dei più significativi
esempi di dimora affrescata e graffita. E’ la cosiddetta Casa Magni che
quattro stemmi dei Bossi ci faranno immediatamente comprendere come sia stata
una delle tante dimore della nobile famiglia che si presume nel Cinquecento la
fecero abbellire da abili
Come si misurava il tempo ci viene offerto dalla meridiana
dipinta sulla villetta (allora si diceva "casino") poco più in là del
cancello d'ingresso e si potrà anche dire che la condizione sine qua non
del suo funzionamento è il sole. Da questo punto del parco si potrà dare uno
sguardo d'insieme al fronte della villa, scorgendo il piano terra, il piano
nobile ed il mezzanino più basso dei primi due, posto sotto il tetto, che
ospitava la servitù.
Appena sopra le finestre del piano terreno si possono
notare sei medaglioni rappresentanti altrettanti personaggi Tettoni, che
subentrarono ai Bossi nel possesso della villa dopo il 1634, in seguito al matrimonio di
Bianca Bossi con Gerolamo Tettoni.
Sull'altro fronte della villa ci sono invece cinque
medaglioni Bossi (tre "personalizzati" e due anonimi). Il primo a
sinistra per chi li guarda è quello di Matteo Bossi, giureconsulto senatore di
Milano e feudatario di Meleto Lodigiano, ricordato nella lapide appena vista
come colui che munì la villa di un fossato e la abbellì con un giardino.
Retrocedendo di poco sotto il portico (sopra la porta del
Moto Club Azzate) si può vedere un assaggio eseguito nell'intonaco che ha messo
in luce un affresco quasi sicuramente trecentesco che dovrebbe testimoniare
come questo sia il corpo di fabbrica più antico della villa.
Attraverso lo scalone si potrà ora accedere al primo piano,
dove ha sede attualmente l’Ufficio Tecnico comunale. Quasi tutti i locali
presentano cassettoni cosiddetti "a passa sotto" al di sotto dei
quali corrono fasce decorative affrescate che si vorrebbero della scuola del
Magatti.
Suggestivo è il salone d'onore o da ballo che attualmente
è adibito a sala consigliare. Sul fondo un bel camino in pietra molera reca al
centro lo stemma dei Bossi.
Ai lati due diverse versioni del gonfalone del comune.
(Quello di sinistra è quello ufficiale: vi spicca un castello attorniato da un
cipresso e tre spighe di frumento che stanno a significare le antiche glorie
dei Bossi ed il carattere essenzialmente agricolo dell'economia del paese. In
quello di destra, opera del valente pittore azzatese Giuseppe Triacca, sono
raffigurate altre caratteristiche di Azzate: la cosiddetta Torre sul Colle di
San Quirico; il bue che compare nello stemma dei Bossi (va sottolineato che gli
Azzatesi sono detti "I boo da 'Za"); la palma e la corona del
martirio che si riferisce probabilmente a San Benigno o a San Lorenzo; la
facciata della chiesa parrocchiale di Santa Maria.
Usciti dalla sala consigliare si potrà accedere sulla
destra alla sala che ospita la cappella privata di famiglia. Qui era custodito
fino al 1969 un bel crocefisso in avorio attribuito alla scuola del Giambologna
che fu donato dalla contessa Elena Benizzi-Castellani alla Parrocchia di
Azzate.
Si ritorna all'aperto, ma prima di abbandonare la villa
vale la pena di soffermarsi poco prima del cancelletto che dà sulla Via Conti
Benizzi-Castellani per dare un'occhiata a due costruzioni che stanno a destra e
a sinistra della villa.
Bisogna ricordare che questa è l'unica villa aperta al
pubblico ed essendo tutte le altre private, la loro visita è consentita solo
raramente e per un ristretto numero di persone.
Da qui in avanti bisognerà dunque accontentarsi di vederle
solo esternamente.
Analogo discorso vale anche per le chiese: solo la
parrocchiale è aperta al pubblico.
Dicevamo dei due fabbricati. Ebbene quello di destra (si
vedono solo i tetti) è sicuramente una dipendenza della villa ed è pregevole
poiché contiene al suo interno la cosiddetta "Stanza cortese" tutta
affrescata. Sono raffigurate .....
.....
A sinistra sorge invece un altro corpo di fabbrica che si
stringe tutt'attorno ad un torrione (si ha un bel colpo d'occhio di questo
insieme anche dalla Piazza Cairoli). Qui risiedette per molti secoli un
importante ramo della famiglia Bossi che si fregiò a partire dal 1690 del
titolo di marchese, appoggiato sul feudo di Musso (alto Lago di Como). In
parte, questo fabbricato, ospita attualmente il rinomato RISTORANTE MAI INTES.
Ci spostiamo ora davanti al cosiddetto Pretorio, cercando
possibilmente un angolo tranquillo, al riparo dal traffico automobilistico
particolarmente insidioso in questo punto, poiché occorrerà fare una
trattazione piuttosto lunga.
(ATTENZIONE: quasi tutti i monumenti più significativi di
Azzate sono segnalati da appositi cartelli indicatori gialli della Pro Loco sui
quali sono riportati le date e gli elementi più significativi).
Innanzi tutto perché quest'edificio è detto Pretorio?
Dobbiamo risalire a quel lontano 1538 quando il senatore
Egidio Bossi acquistò il Feudo della Val Bodia.
E' probabile che egli, a causa dei suoi impegni nella
pubblica amministrazione di Milano, non risiedesse stabilmente ad Azzate per
cui dovette nominare un suo sostituto, un pretore, che si era insediato in
questa casa, che divenne, pertanto, il Pretorio.
Spiegata così l'origine del nome resta da scoprire da che
cosa derivi tutta l'imponenza che emana questo fabbricato che non si è soliti
di vedere ad ogni piè sospinto e pone subito degli interrogativi.
Si ritiene che il bugnato (cosiddetto dal particolare
taglio della pietra) sia materiale di recupero di una fortificazione romana.
Detto così, di primo acchito, la cosa potrebbe
meravigliare non poco ma se prendiamo in considerazione altri elementi che ci
offre la storia, dovremo concludere che l'ipotesi non è poi così azzardata e,
anzi, essa ci serve per suffragare altre ipotesi.
1) Non lontano da Azzate era presente l'uomo preistorico
(Isolino Virginia sul Lago di Varese,
Pizzo di Bodio).
2) In un prato nelle vicinanze della Cascina Roncasnino di
Azzate è stata ritrovata una selce
lavorata.
3) Già nel IV secolo d.C. sul Colle di San Quirico si
seppellivano i morti.
4) In località La
Torre di Daverio nel secolo scorso è stata scoperta una
necropoli
romana. Fa
dunque meraviglia che in Azzate o nelle sue vicinanze vi fosse una stazione,
oppure
una
fortificazione, oppure una torre romana? Si direbbe di nò. Ma, allora, quelli
che hanno voluto
spiegare
l'origine del nome di Azzate, in latino Aciate, da ACIES nel senso di luogo
fortificato,
accampamento ...
avevano visto giusto.
Lasciamo alle nostre spalle la cappellina e, dopo aver dato
uno sguardo attraverso il cancello al lungo viale di pioppi che conduce alla
Villa Sala, ultima dimora della nobile famiglia Bossi dei conti del Castello di
Azzate, e uno sguardo a sinistra per una veduta d’insieme del vecchio
fabbricato giallo che ospitava fino al 19.. l’antica Osteria della Colomba,
uno dei più vetusti luoghi di mescita del vino del paese, già dei Bossi poi
della famiglia Colli ed infine della famiglia Campi che gestiva anche un piccolo
albergo e poteva ospitare i calessi trainati da cavalli dei mediatori che qui
giungevano dal circondario per poi raggiungere con il tram il mercato di
Varese.
Sulla facciata si scorge un affresco molto deteriorato
rappresentante una crocifissione e nella sala principale una volta aperta al
pubblico è collocato un maestoso camino in pietra molera con al centro una
bella rappresentazione del bue dei Bossi.
Un centinaio di metri ci dividono dall’Oratorio di S.
Rocco che si scorge, oltre la Rotatoria
del Decimo miglio, così denominata poiché si trova al decimo miglio
della strada romana che da Velate conduceva al porto lacustre di Angera.
Vale la pena di fare questa digressione dal percorso per
vedere più da vicino la chiesetta che è affiancata da un parco pubblico che
potrà, all’occorrenza, fare da punto di ristoro (Bar Albini e Ristorante
Hosteria da Bruno). Al centro di questo parco è inserito il monumento ai
caduti con anfiteatro a scalinate e sull’intera area esisteva un tempo il
vecchio cimitero e la stazione del tram.
Dalla piazza vicina, con ampio parcheggio regolamentato per
le automobili e capolinea dei pulmans da e per Varese, si estende in
successione ininterrotta la zona dello shopping con svariati negozi di
ogni genere e alla Rotatoria del Montallegro
si raggiunge il Supermercato Tigros, dietro il quale, in Via Acquadro, trovano
sede l’Ufficio Postale e l’ASL. (Nel vicino centro commerciale ogni terza
domenica del mese si svolge il Mercatino tra privati organizzato dalla Pro Loco
Azzate).
Ma ritorniamo sui nostri passi dopo aver ricordato che
l’Oratorio di S. Rocco aveva funzioni di fonte battesimale anche per i paesi di
Brunello e Sumirago fin tanto che S. Carlo Borromeo lo fece trasportare nella
parrocchiale e qui divenne la sede della Confraternita del Santissimo
Sacramento.
Dalla cappellina (che i più pigri o i più frettolosi non
avranno lasciato) imbocchiamo la
Via Castello che conduce alla frazione omonima sede
dell’avito castello della nobile famiglia Bossi che, è bene ricordarlo, non è l’attuale
Villa Bossi-Zampolli.
Giunti in Piazza Collobiano prendiamo la stradina in salita
e rasentiamo il muro di destra fino alla sua fine, noncuranti del solo
apparente senso di aver perso la strada. Giungeremo in questo modo, anche
contro logica, in un punto inequivocabile e che corrisponde all’ingresso del
vecchio castello dei Bossi che un documento del 1290 dice appartenere a tre
fratelli: Beltramo, Tommaso ed Aurigale.
La struttura forte e possente che emana da queste pietre
miste a mattoni in cotto di epoche successive è inequivocabile anche se
tradisce l’immaginario comune di un ingresso di un castello.
Tre sono gli elementi principali che lo caratterizzano e ne
fanno il punto di forza: l’architrave possente in un solo blocco di pietra
sormontato da un voltino in pietre longitudinali che danno la dimensione
dell’apertura originale poi tamponata e ridotta alla porticina attuale; il
massiccio contrafforte molto aggettato con funzioni di sostegno all’intera
struttura e la graziosa finestrella a sesto acuto, strombata e arricchita da
elementi in cotto e ad affresco oggi poco leggibili.
Alla primitiva struttura sono stati aggiunti in epoche
successive il fienile di sinistra e forse anche il fabbricato di destra, come
ricorda un documento del Cinquecento ad opera di Bernardo Bossi.
Abbandoniamo la piazzetta antistante la Villa Bossi-Zampolli e
imbocchiamo la strada in discesa. Alzando lo sguardo al secondo piano del primo
fabbricato sulla sinistra è possibile vedere i resti di una decorazione ad
affresco che contorna una finestra: il più evidente è l’avanzo di uno stemma
dei Bossi in cui si vede la parte posteriore del bue.
Sulla seconda finestra si vede un altro stemma che
rappresenta uno scaccato bianco e azzurro in fascia forse dalla Famiglia
Avogadro di Collobiano.
Questo fabbricato termina con un angolo smussato in cui si
apre una porta ed una finestra fra i quali è stato evidenziato un voltino in
mattoni e al di sopra del quale appare una scritta ad affresco che segnalava
l’antica tintoria dei Fratelli Lomazzi, accompagnata da un fiore bianco aperto
in tanti petali, racchiuso in un cerchio.
Vale la pena di superare l’andito coperto che immette nella
cosiddetta Corte dei Sessa che presenta un interessante portico di quattro
campate su due piani. Al di sopra delle attuali porte il recente restauro ha
messo in evidenza gli archi in cui erano inseriti ampi portoni che chiudevano
gli ambienti per il ricovero di grandi carrozze.
E’ consigliabile a questo punto girare l’angolo e quello
successivo per poter ammirare un affresco posto in una nicchia al di sopra di
una porta che fa angolo con questo fabbricato e quello posto trasversalmente
che si apre in due ampi porticati posti su due piani.
L’affresco rappresenta la
Madonna assisa in trono con il Bambino affiancata dal vescovo
S. Venanzio e S. Caterina d’Alessandria.
Mettendoci di fronte all’andito del civico n. … che immette
nella cosiddetta Corte dei Colli (una volta abitata da famiglie di
carratori) sono da notare i resti di un’elegante finestra in cotto a sesto
acuto che preannunciano l’importanza del fabbricato che sarà possibile vedere
superando il breve tratto di acciottolato al di là del portone d’ingresso.
Colpisce subito l’imponenza dei tre pilastri in blocchi di
pietra sagomata che sorreggono archi a pieno centro e sui quali si scaricano le
forze delle volte a crociera tinteggiate di nero al cui centro spicca a rilievo
il monogramma di Cristo diffuso da S. Bernardino da Siena (Jesus Hominum
Salvator).
Sulla parete centrale del porticato è visibile una
decorazione ad affresco purtroppo martellinata in epoca successiva per fare
aderire il nuovo strato di intonaco. Essa è composta da un’ampia zona di
losanghe bianche e nere sovrastata da una fascia decorativa con motivi floreali
molto semplici al di sotto della quale compaiono gli stemmi delle nobili
famiglie Bossi di Azzate e Sessa di Daverio, forse a ricordo dell’unione
matrimoniale avvenuta fra due nobili personaggi delle due famiglie che qui
hanno abitato.
Un esame attento farà notare incise nelle losanghe delle
scritte in carattere gotico a testimonianza della cattiva abitudine di
imbrattare i muri che non ha risparmiato nemmeno i secoli passati.
Portandosi al centro della corte è possibile vedere la
teoria dei ballatoi e della rampa delle scale che danno accesso ai piani
superiori.
Ritorniamo sulla pubblica via e soffermiamo la nostra
attenzione sulla meridiana dipinta sulla facciata a destra della finestra in
cotto prima segnalata. La sua scritta Horas non numero nisi serena ci
avverte che non conta le ore se non quelle quelle serene, ma dubitiamo che
possa farlo poiché in quella posizione non riceverà mai un raggio di sole e
sarà destinata a tacere per sempre!
Colpisce l’imponente struttura a fasce sovrapposte di pietre
bugnate appena interrotte da indispensabili aperture che, cessata la loro
utilità, sono state prontamente tamponate, come la bifora in cotto il cui
motivo viene ripetuto nell’edificio di epoca posteriore che gli sta a fianco.
Soltanto portandosi nel sottotetto di questa costruzione si
ha la percezione della sua struttura perfettamente quadrata che conferma la sua
funzione di torre di avvistamento, allorquando non esistevano i fabbricati
verso il lago ed era in diretta comunicazione visiva con una torre analoga
posta in prossimità della Chiesa di S. … di Calcinate degli Orrigoni e da qui
alla torre di Velate e di S. Maria del Monte per giungere fino alla Torre di S.
Maffeo di Rodero.
Si pensa che le pietre (soltanto quelle della facciata sono
bugnate, mentre quelle degli altri lati parzialmente coperte da altre
costruzioni successive sono lisce) siano state recuperate da una fortificazione
romana esistente in loco dalla quale si vorrebbe anche far derivare il nome stesso
di Azzate da Acies come luogo fortificato posto in bella vista.
Circa il suo nome bisogna ricordare che nel 1538 il Senatore
Egidio Bossi aveva acquistato il Feudo della Val Bodia ma, per i suoi
impegni d’ufficio a Milano, non risiedeva ad Azzate e pertanto nominò un suo
sostituto, un suo pretore, che abitava ed esercitava in questo fabbricato che
venne appunto detto Pretorio.
La costruzione che gli sta accanto è il frutto di un gusto
revivalistico romantico dell’Ottocento che tende a ricreare scenografie di
epoche passate con elementi e stili ormai superati, come dimostrano anche la
torretta merlata della vicina Villa Bossi-Riva-Cottalorda oggi Ghiringhelli e la Piazza Cairoli che vedremo
fra poco.
L’elemento che sembra più improbabile è la massiccia merlatura
che corona la facciata mentre la bifora, le altre aperture, il portone, il
falso muro a mattoni e la piccionaia sembrano più veritieri e conferiscono
un’aura di eleganza e serenità.
Nella serraglia al centro dell’arco d’ingresso è dipinta la
data del 18.. e due stemmi ricordano il destrocherio della nobile famiglia Riva
di Como e l’impresa di un’altra famiglia a noi sconosciuta.
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Bella ed invitante la scritta che dice che al lago mancano
Km. 0,6 quindi la strada a destra porta a Capolago e quella di sinistra porta a
Bodio.
E’ questo uno dei punti più panoramici di Azzate poiché lo
sfondo impareggiabile del Lago di Varese e delle Prealpi è reso ancora più
scenografico dall’imbuto che creano i due fabbricati.
I più volonterosi potranno iniziare da questo punto una
passeggiata a piedi (oppure in automobile alla fine del percorso del centro
storico) lungo la Via Monte
Grappa e la Maccana che
porterà a scoprire gli insediamenti rurali di Cascina Cassinello, Cascina Pan
Perdù, Cascina Maccasa, Cascina Traverso, Cascina Favorita e Cascina Letizia.
Ritornando indietro, superata di poco la Cascina Maccana , sulla
destra si incontra la Via Ma
scagni lungo la quale sorgono la ex Cascina Fiori, oggi sede dell’Università
della Birra, la Cascina Prada
e la Cascina Galgin
dalla quale partono altri due itinerari: quello in risalita lungo la Roggia Nuova o Roggia del
Pateco che farà scoprire i vecchi insediamenti di tre mulini purtroppo
ristrutturati in abitazioni moderne che ne hanno snaturato l’aspetto originale
(Mulino di Rocco, Mulino di Cesare, Mulinello) e l’altro in discesa che,
attraversata la Sud lacuale
o Strada della Valbossa e la pista ciclabile intorno al Lago di Varese, porterà
alla Madonnina del Lago.
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