giovedì 31 ottobre 2013

Ansperto e S. Benigno appartengono a Casa Bossi?

Se entriamo nella Chiesa Parrocchiale della Natività di Maria Vergine di Azzate e ci portiamo all’altare del crocifisso notiamo sui pilastri della cappella le rappresentazioni dei due arcivescovi di Milano, una di fronte all’altra, affrescate nel 1646 dal pittore Isidoro Bianchi da Campione.
Sono raffigurati a mo’ di statue nello splendore dei loro paramenti episcopali, poggianti su un piedistallo che reca la scritta “S. ANSPERTUS BOSSIUS ARCHIEPISC. MEDIOL. 1646” e “BENIGNUS BOSSIUS ARCHIEPISC. MEDIOL.”.
Abbiamo così una prima risposta affermativa sulla loro appartenenza alla nobile famiglia Bossi, ma la data del 1646 ci mette sull’avviso di una consuetudine, molto frequente nel Seicento tra le famiglie nobili del tempo, di aggiudicarsi personaggi famosi e santi per magnificare le proprie origini. In questo i Bossi non furono secondi a nessuno e, con gli opportuni appoggi, riuscirono talmente bene nel loro intento che Ansperto, un grande arcivescovo di Milano del quinto secolo, ma non santo come farebbe intendere la scritta di Isidoro Bianchi, ed un altro arcivescovo di Milano S. Benigno del nono secolo furono dichiarati di appartenere alla schiatta dei Bossi e tale convinzione fu così radicata e si prostrasse nel tempo da giungere fino ai nostri giorni.
Ho la testimonianza diretta di donna Antonietta Bossi, ultima rappresentante del ramo di Bodio, che di fronte alle mie perplessità sul fatto che S. Benigno fosse di casa Bossi mi tacciava amorevolmente, ma risolutamente, per “carognetta” che voleva porsi al di sopra della grande autorevolezza del cardinal Schuster che aveva autenticato una reliquia di San Benigno Bossi, da lei donata alla Parrocchia di Bodio.
Ricordo anche un fascicoletto che mi fu donato nel 1982 dal dottor Enrico Piero Bossi[1] il quale aveva raccolto tutti gli scritti intorno a San Benigno che dovevano servire come memoria alle sue figliole per essere consapevoli e orgogliose di portare lo stesso nome che era appartenuto ad un santo[2].
Analogo vanto mi fu personalmente espresso dal dottor Franco Bossi, farmacista di Casorate Sempione, discendente dal ramo di Besozzo, che era fiero di possedere un quadro raffigurante San Benigno Bossi che, dopo le mie ripetute perplessità, si determinò che potesse essere in realtà Francesco Bossi, vescovo di Novara, morto nel 1584.
Chi poi avesse la voglia di recarsi presso il Museo di Gallarate troverebbe una sala che reca un festone affrescato in cui è raffigurato S. Benigno Bossi in contemplazione, vestito con gli abiti episcopali, con la mitria ed il pastorale, riportante la scritta: “S. BENIGNUS BOSSIUS ARCHIEP. MEDIOL. A S. LEONE 1288”.

Affresco nel Convento di S. Francesco di Gallarate,
ora sede del Museo di Storia Patria.

L’esaltazione massima dei due arcivescovi è naturalmente a Milano, loro sede episcopale, dove esistono le memorie più significative ma, nello stesso tempo, la prova della manipolazione che su di loro ha compiuto la famiglia Bossi.
In Duomo esiste la lapide che ricorda tutti gli arcivescovi di Milano e al 20° e ……. posto troviamo: BENIGNUS ….     ANSPERTUS …..


Il prof. Giuseppe Tibiletti di Azzate, ricercatore di filologia e papirologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, mi fece pervenire una tesi sull’arcivescovo di Milano Ansperto di cui non conosco l’autore e l’anno accademico. Si tratta di uno studio molto approfondito e avrei voluto avere dall’ignoto universitario il benestare alla pubblicazione per non violare il diritto d’autore ma, non essendo ciò possibile, corro il rischio e mi scuso in anticipo, dichiarando apertamente che quanto seguirà “non è farina del mio sacco”.


SAN BENIGNO BOSSI (Milano, … - Milano, 472)
                                                                        
Nei capitoli precedenti è emersa più volte la citazione di questo Santo. Occorrerà soffermarci un poco su questo personaggio, anche per la controversia sorta circa la sua appartenenza o meno alla facoltosa famiglia dei Bossi di Milano o se appartenesse più precisamente ai Bensi di Como. La diatriba, giudicata dal tribunale di Parma, si concluse con la vittoria della causa a favore dei Bossi di Milano, i quali portarono a prova di veridicità un sigillo rinvenuto nel 1582 all’interno dell’urna del santo venerato in Milano, sepolto nella chiesa di S. Simpliciano, dopo che S. Carlo Borromeo ne ebbe riconosciute le ceneri.
Nativo di Milano, Benigno Bossi fu invece educato a Roma, dalla quale fece ritorno alla capitale lombarda solo dopo aver ottenuto la nomina alla cattedra episcopale.
Da arcivescovo, si prodigò molto per la città restaurando molte delle chiese che erano andate distrutte dal passaggio di Odoacre, re dei Goti.
Circa la sua estrazione sociale, di lui si sa che apparteneva all’aristocrazia, ma nel Seicento si è molto discusso se egli fosse realmente un membro della facoltosa famiglia dei Bossi di Milano che per molti secoli ne venerarono largamente la memoria. Anche la famiglia dei conti Bossi del Castello di Azzate non si sottrasse alla sua venerazione e non fu estranea a commissionare al pittore Isidoro Bianchi l’affresco che lo rappresenta nelle sue vesti arcivescovili nella cappella della Chiesa Parrocchiale di Azzate.
Anche la famiglia dei Bossi di Bodio teneva in particolare venerazione il santo e otteneva dal cardinale di Milano Idelfonso Schuster l’autentica di una reliquia che venne donata da donna Antonietta Bossi, ultima rappresentante della nobile famiglia, alla Parrocchia di Bodio.
Riportiamo qui di seguito alcuni passi di autorevoli scrittori che riguardano episodi della vita di S. Benigno.
Le notizie relative a S. Benigno, ventesimo Vescovo di Milano, che governò la sua Chiesa durante i grandi disordini originati dall'invasione dei barbari con costanza e devozione senza macchia, sono riferite dall'epigramma dedicatogli da Ennodio di Pavia.
Gli studiosi sono unanimi nel ritenere, nonostante la mancanza di prove sicure, che egli abbia partecipato al sinodo romano tenuto da Papa S. Ilario nel 465. Purtroppo non conosciamo il numero dei suoi partecipanti per cui la presenza di S. Benigno non è confermata come non lo è quella di S. Felice, primo vescovo di Luni.

Papa S. Ialrio.
                 
Papa Ilario (Sardegna, … - Roma, 28 febbraio 468), fu il quarantaseiesimo Papa della Chiesa cattolica, che lo venera come santo. Regnò dal 461 alla sua morte. Secondo il Liber Pontificalis, dopo la morte di papa Leone I, un arcidiacono chiamato Ilario, sardo di nascita, fu scelto per la successione. Con ogni probabilità egli fu consacrato il 19 novembre 461. Insieme a Giulio, vescovo di Puteoli, Ilario fu inviato come legato di Leone I al Latrocinium Ephesinum del 449. Qui si batté vigorosamente per i diritti della sede romana e si oppose alla condanna di Flaviano di Costantinopoli. Per questo motivo fu oggetto della violenza di Dioscoro di Alessandria, e si salvò a mala pena. In una delle sue lettere all'imperatrice Pulcheria di Bisanzio, rinvenuta in una raccolta di lettere di Leone I (Leonis I Epistolae, num. XLVI., in P.L., LIV, 837 sq.), Ilario si scusava per non averle consegnato la lettera del papa dopo il sinodo, ma, a causa di Dioscoro, che tentava di impedirgli di andare a Roma o a Costantinopoli, aveva avuto grandi difficoltà nell'organizzare la sua fuga e per portare al pontefice le notizie del risultato del concilio. Il suo pontificato fu marcato dalla stessa politica vigorosa del suo grande predecessore. Specialmente gli affari della Chiesa in Gallia e Spagna richiesero la sua attenzione: a causa della disorganizzazione politica dei due paesi, per salvaguardare la gerarchia, era importante fortificare il governo della Chiesa. Hermes, un ex arcidiacono di Narbonne aveva acquisito illegalmente la diocesi di quella città. Furono allora inviati a Roma due prelati gallici per sottoporre al papa questa ed altre problematiche della Chiesa di Gallia. Il 19 novembre 462 fu quindi convocato un sinodo romano che giudicò queste problematiche. Ilario rese note le sue decisioni tramite un'enciclica inviata ai vescovi provinciali di Vienne, Lione, Narbonne e delle Alpi Marittime: Hermes doveva rimanere vescovo titolare di Narbonne, ma i suoi privilegi episcopali gli furono tolti. Il vescovo di Arles doveva convocare un sinodo all'anno a cui avrebbero dovuto partecipare tutti i vescovi provinciali che ne fossero stati in grado, tuttavia, le questioni importanti avrebbero dovuto essere sottoposte alla Santa Sede. Nessun vescovo avrebbe potuto lasciare la sua diocesi senza un permesso scritto del metropolitano; in caso tale permesso fosse negato, questi avrebbe potuto sottoporre l'appello al vescovo di Arles. Riguardo alle parrocchie (paroeciae) rivendicate da Leonzio di Arles come appartenenti alla sua giurisdizione, i vescovi di Gallia avrebbero potuto decidere dopo un'apposita investigazione. Le proprietà della chiesa non potevano essere alienata finché un sinodo non avesse esaminato le cause della vendita. Poco tempo dopo, il papa si trovò coinvolto in un'altra disputa diocesana. Nel 463, Mamerto di Vienne aveva consacrato un vescovo per la diocesi di Die, anche se questa Chiesa, in virtù di un decreto di Leone I, apparteneva alla provincia metropolitana di Arles. Quando Ilario ne venne a conoscenza, incaricò Leonzio di Arles di convocare un grande sinodo dei vescovi di molte province per investigare la questione. Il sinodo si tenne e, in base al rapporto sottopostogli dal vescovo Antonio, il 25 febbraio 464 produsse un editto (Epist., X., a Mamerto di Vienne) che incaricava il vescovo Verano di ammonire Mamerto affinché nel futuro si fosse astenuto da ordinazioni irregolari, altrimenti i suoi privilegi sarebbero stati sospesi. Di conseguenza, la consacrazione del vescovo di Die doveva essere sanzionata da Leonzio di Arles. In questo modo i privilegi primaziali della sede di Arles furono ripristinati secondo quanto stabilito da Leone I. Allo stesso tempo i vescovi furono avvisati di non travalicare i loro confini, e di convocare un sinodo annuale presieduto dal vescovo di Arles. Anche i diritti metropolitani della sede di Embrun sulle diocesi delle Alpi Marittime furono tutelati dagli abusi di un certo vescovo Ausanio, particolarmente legato alle due Chiese di Nizza e Cimiez. In Spagna, Silvano, vescovo di Calahorra, aveva, con le sue ordinazioni episcopali, violato le leggi della Chiesa. Sia il metropolitano Ascanio che i vescovi della Provincia di Tarragona, si lamentarono di questi avvenimenti presso il papa e ne chiesero il giudizio. Prima ancora che giungesse una risposta alla loro petizione, gli stessi vescovi fecero ricorso alla Santa Sede per una questione completamente diversa. Prima della sua morte Nundinario, vescovo di Barcellona, espresse il desiderio che fosse scelto come suo successore Ireneo, anche se egli stesso lo aveva fatto vescovo di un'altra sede. La richiesta fu accordata, un Sinodo di Tarragona confermò la nomina di Ireneo, quindi i vescovi chiesero l'approvazione del papa. Il sinodo romano del 19 novembre 465, il più antico sinodo romano i cui archivi originali siano giunti fino a noi e che fu tenuto nella basilica di Santa Maria Maggiore, decise sulla problematica. Dopo un'allocuzione del papa e la lettura delle lettere dalla Spagna, il sinodo decise che le leggi della Chiesa non dovevano essere derogate. Oltre a questo, Ilario inviò due lettere (Epist., xiii-xvii)ai vescovi di Tarragona, in cui dichiarava che nessuna consacrazione sarebbe stata valida senza la sanzione del metropolita Ascanio. Inoltre, a nessun vescovo fu permesso il trasferimento da una diocesi all'altra, così per Barcellona dovette essere scelto un altro al posto di Ireneo. I vescovi consacrati da Silvano sarebbero stati riconosciuti se fossero stati nominati in sedi vacanti, e parimenti avessero soddisfatto i requisiti della Chiesa. Il Liber Pontificalis ricorda un'Enciclica che Ilario spedì ad oriente, per confermare i Concili Ecumenici di Nicea, Efeso, e Calcedonia e la lettera dogmatica di Leone I a


La cattedrale di Tarragona (Spagna).
                          
Flaviano, ma le fonti note non forniscono ulteriori informazioni. A Roma, Ilario lavorò con zelo per l'integrità della Fede. Nel 476, l'imperatore Antemio aveva un favorito chiamato Filoteo, che frequentava riunioni di una setta eretica. Durante una delle visite dell'imperatore a San Pietro, il papa lo chiamò di fronte a tutti per rendere conto della condotta del suo favorito, esortandolo a promettere che avrebbe fatto tutti ciò che era in suo potere per tenere sotto controllo l'eresia. Ilario fece erigere molte chiese ed altri edifici a Roma. A lui si devono due oratori nel battistero del Laterano, uno in onore di Giovanni Battista, l'altro di Giovanni apostolo. Dopo la sua fuga dal "Latrocinio di Efeso", Ilario si era nascosto nella cripta di San Giovanni Apostolo, ed egli attribuì la sua liberazione all'intercessione dell'Apostolo stesso. Sulle antiche porte dell'oratorio può essere ancora letta questa iscrizione: “A San Giovanni Evangelista, liberatore del vescovo Ilario, un Servitore di Cristo”. Fece erigere anche una cappella in onore della Santa Croce nel battistero, un convento, due bagni pubblici, e biblioteche vicino alla Basilica di San Lorenzo fuori le mura. Fece costruire anche un altro convento all'interno delle mura urbane. Il Liber Pontificalis menziona molte offerte votive fatte da Ilario nelle varie chiese. Morì dopo un pontificato di sei anni, tre mesi, e dieci giorni. Fu sepolto nella chiesa di San Lorenzo fuori le mura accanto a papa Zosimo ed a papa Sisto III. La sua festa ricorreva il 17 novembre. La Chiesa cattolica, attualmente lo considera di memoria facoltativa e viene celebrato localmente il 28 febbraio e il 10 settembre. Dal Martirologio Romano: “28 febbraio – A Roma Sant’Ilario, Papa e Confessore”.


Chiostro della cattadrale di Tarragona (Spagna)
                               
Portale della cattedrale di Tarragona (Spagna)

                                    
La storia di Sant’Ilario Papa per caso … a Mesagne.
La professoressa Claudia Campana afferma: “Ormai si è certi, a Mesagne c’è il corpo di Sant’Ilario Papa. Sembra che pochi vogliano crederci, ma la verità finalmente verrà fuori”. Pubblichiamo integralmente l’intervista alla professoressa Claudia Campana che per prima ha effettuato una lunga ricerca su Sant’Ilario. “Durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano “, afferma la professoressa Claudia Campana, “Il 10 agosto del 258, Lorenzo, diacono della chiesa romana, subiva il martirio perché si era rifiutato di consegnare le casse della comunità Cristiana per il sostentamento dei poveri e delle vedove all’erario imperiale. Lorenzo fu disteso sopra una graticola di ferro e fatto bruciare. La Matrona romana Ciriaca, in seguito santificata, prelevò il corpo di San Lorenzo dal luogo in cui era stato ucciso e lo seppellì in un suo terreno, in una piccola catacomba. Poi l’imperatore Costantino, verso il 330, sopra quel luogo sacro, fece costruire una “Basilica Maior”. In seguito sia Papa Zosimo (417-418), sia Papa Sisto III (432-440) vollero essere sepolti proprio nella catacomba di santa Ciriaca, vicino alla tomba di San Lorenzo, sotto la Basilica a lui dedicata, attualmente cimitero del Verano - Roma; anche Papa Ilario Vescovo di Roma dal 461 al 468, scelse di essere sepolto in quel luogo, tra questi suoi due predecessori. Durante le invasioni barbariche però il posto venne cinto da mura poderose per evitare la profanazione. Successivamente tra il 1513 e il 1521 - continua la professoressa Claudia Campana - “Leone X, al secolo Giovanni dei Medici, per migliorare palazzo Farnese rimosse marmi, capitelli e colonne poste davanti la vecchia Basilica di San Lorenzo; sotto Papa Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini, nel 1624 il cardinale Boncompagni iniziò una serie di lavori per restituire a tutta la zona del Verano l’antico splendore, dando anche inizio ai lavori di restauro della cappella di santa Ciriaca. Qualche anno dopo essendo Papa Innocenzo X (Giambattista Pamphilj), nel cimitero di Santa Ciriaca il 10 settembre del 1654, avvenne la riesumazione di Sant’Ilario. Il corpo del Santo fu donato da Mercello Anania a Don Tommaso Candido, poi al cardinale Geronimo Farnese e infine al nipote Mario Albricci, futuro cardinale e padrone del feudo di Mesagne. Nel 24 luglio del 1659, l’Albricci, consegnava l’urna con il corpo di Sant’Ilario ad una sua parente abbadessa delle clarisse nel convento di Mesagne annesso alla chiesa della Beata Vergine della Luce. Il corpo fu riposto proprio sotto la tela della Beata Vergine della Luce, e li rimase quasi tre secoli. Alla fine della prima guerra mondiale per creare l’attuale mercato coperto, l’amministrazione comunale di Mesagne decise di abbattere il pericolante monastero delle clarisse e chiesa della Beata Vergine della Luce. Il corpo di Sant’Ilario, il crocifisso ligneo e la preziosa tela della Vergine della Luce, furono portati alla chiesa del Carmine. Nel 1974 durante i lavori di restauro, la tela pare essere andata distrutta, invece il corpo di Sant’Ilario Papa”-continua la professoressa Campana-“riposa da circa 90 anni sotto il primo altare a destra dell’entrata principale della basilica del Carmine a Mesagne. È ancora riposto in “un’urna di legno lavorato ed indorato, sopra una lamina di piombo, tutto coperto di rete d’argento, vestito con una camicia di velo bianco e con una veste serica posta in argento di colore rosso,…“. Di lato vicino al corpo c’è ancora la mitra rossa del vescovo di Roma Sant’Ilario. Inizialmente Ilario veniva celebrato nei vari martirologi, proprio alla data del 10 settembre, data della riesumazione del corpo dalla catacomba di Santa Ciriaca. Infatti sia nel martirologio geronimiano, che in quello Romano fu inserito come santo da onorare, proprio in quella data; recentemente alla sua celebrazione è stata spostata al 28 febbraio o al 29 febbraio negli anni bisestili, data certa della morte (29 febbraio 468).Ilario era nato in Sardegna presumibilmente intorno al 400, forse a Cagliari o nel Sulcis; suo padre si chiamava Crispino. Trasferitosi a Roma, forse insieme a molti cristiani perseguitati, iniziò ad operare nella curia vescovile; poi nel 449, essendo Papa San Leone Magno I (440-461), fece parte della legazione pontificia che partecipò al concilio di Efeso assieme al Vescovo Pozzuoli Giulio, al prete Renato e al notaio Dulcizio. Ma  l’imperatore di Bisanzio Teodoro II (401-450) attraverso il patriarca di Alessandria Dioscoro determinò una pesante ingerenza sul concilio, sia a livello dottrinale (accettazione dell’eresia monofisista), sia a livello fisico (aggressione e scomunica del Patriarca San Flaviano). Solo il legato romano Ilario ebbe il coraggio di difendere la posizione cattolica e il patriarca; per questo motivo Ilario rischiò di essere ucciso. Dopo il “Latrocinio di Efeso” Leone Magno, elogiato pubblicamente il comportamento di Ilario, nel 455 lo nominò arcidiacono della curia romana, praticamente associandolo al governo della chiesa. Il 10 novembre 461 Papa Leone I Magno moriva e Ilario fu acclamato da tutti, e nove giorni dopo fu consacrato Papa Ilario. Il suo pontificato naturalmente, continuò nella direzione segnata dal suo predecessore. Dopo quattro anni esatti dalla sua elezione il 19 novembre 465 riuscì ad aprire un concilio e ad intervenire per sanare tutte le controversie sorte nelle chiese di Spagna e Gallia. In questa sede fece finalmente approvare i divieti e non ammettere ai sacri ordini simoniaci, i vedovi ammogliati, i mariti di vedove, nonché tutte quelle persone prive di adeguata cultura. Si oppose fortemente alla costruzione di chiese volute dai cristiani in odore di eresia, difese la dignità sacerdotale e tenne alto il prestigio della sede apostolica romana. Proprio a San Lorenzo fuori le mura costruì bagni ed alloggi per i pellegrini, organizzò due famosissime biblioteche, provvide di arredi sacri e preziosi le chiese di Roma, consacrò instancabilmente sacerdoti, diaconi e vescovi. Nel 455 i vandali avevano saccheggiato Roma, ma Ilario continuando l’opera di Leone I riuscì a avviare il restauro del paese arricchendo anche le chiese di opere d’arte, fonti battesimali, oratori, ecc. Dopo appena sei anni tre mesi e dieci giorni di pontificato, l’instancabile Papa Sardo si spegneva. Era il 29 febbraio 468. Questo grande testimone della fede cristiana” conclude la professoressa Campana” protegge ora la nostra terra e meriterebbe però più alta considerazione. È giusto che tutti i cristiani conoscano la sua storia e i suoi scritti non ancora tradotti; è giusto anche che i suoi cittadini, che al Santo hanno dedicato l’università di Cagliari, possano venerarlo adeguatamente, ricevendo nella nostra città quell’accoglienza ed ospitalità per cui sempre Sant’Ilario si è battuto in vita.” Il vescovo di Brindisi forse sollecitato anche dalla lettera inviata a Papa Benedetto XVI dai nostri concittadini Claudia e Francesco Campana, sembra abbia proposto uno studio per valutare la fondatezza della ricerca avviata dalla professoressa Claudia Campana. Il dirigente scolastico dell’istituto d’istruzione secondaria superiore “E. Ferdinando” prof. Antonio Micelli, poiché alcuni alunni hanno contribuito alle ricerche di cui sopra, quanto prima intende organizzare una tavola rotonda per divulgare le nuove scoperte su Papa Ilario. Ci auguriamo che anche l’amministrazione comunale di Mesagne patrocini l’iniziativa.


                                                      

Ilaro, papa, santo, Sardo (19 novembre 461 - 29 febbraio 468). Fu inumato accanto ai papi Zosimo e Sisto III nella basilica di S. Lorenzo f.l.m., dove oggi è sepolto Pio IX.
M.R.: 28 febbraio - A Roma sant'Ilaro, Papa e Confessore.


Ma ritorniamo al nostro S. Benigno. Lo storico Oltrocchi[3]  lo dice consacrato da S. Epifanio, Vescovo di Pavia, e crede anche possibile che vi fosse S. Benigno fra i nobili della Liguria che nell'anno 471 supplicarono il potente conte svevo Ricimiero, allora dimorante a Milano, di non fare guerra all'imperatore d'occidente Antemio, ma di risolvere la questione mandando un ambasciatore che fu poi S. Epifanio.
Il Catalogo Ambrosiano accorda a S. Benigno otto anni di episcopato e lo dice sepolto nella Chiesa di S. Simpliciano di Milano.
C'è una discordanza circa l'anno della sua morte perché l'edizione Ambrosiana, Bambergense e Beroldiana del Catalogo stesso lo dicono morto il 22 novembre 472, mentre il Codice E24 Capitolare fissa la data della morte al 27 novembre e, infine, secondo l'Oltrocchi, S. Benigno morì invece nel giugno 472, l'anno stesso della morte di Ricimiero (in luglio) e degli imperatori Antemio (fatto trucidare da Ricimiero) e Olibro (in ottobre).
Anticamente la sua festa era celebrata il 21 o il 23 novembre o anche il 24 (non il 22 perché in questo giorno si celebrava la festa di S. Cecilia, il cui nome ricorre nel Canone Ambrosiano), finché venne definitivamente fissata al 20 novembre.
Gli antichi Cataloghi Episcopali lo collocano tra S. Gerunzio e S. Senatore. Il Catalogo di "Beroldo Nuovo" elenca le famiglie di appartenenza di qualche Arcivescovo di Milano, cominciando da Anselmo "qui dicitur de Pusterla" (1126-1134).
La Cronaca del 1318 fa la stessa cosa per Castriziano (il terzo Vescovo milanese), Simpliciano, Magno, Ansperto, Adelmanno e con regolarità da Arnolfo II in poi, non trascurando neppure Ambrogio dicendolo "cognomine de Tignosis", nonostante fosse conosciuta la sua appartenenza ad una famiglia di Roma.
Questa novità nasce e si sviluppa durante l'episcopato di Ottone Visconti ed è quindi naturale metterla in relazione con l'elenco delle famiglie nobili di Milano[4] redatto nel 1277. Uno spirito umanistico, pervaso di religiosità, si prenderà poi cura di creare un casato per ogni Arcivescovo al fine di rendere illustre la tale o la tal'altra famiglia, proprio come altre andavano a cercare gloria in antenati greci o romani, suscitando poi la forte critica dello storico Bonaventura Castiglioni.
Lo studioso Pietro Galesini dedurrà dai documenti del suo tempo quanto segue: "S. Benignus de Bentius", aprendo così la controversia circa l'appartenenza del Santo alla famiglia Bossi o alla famiglia Bensi.
L'epigramma di Ennodio di cui abbiamo parlato all'inizio, suona così: "S. Benigno mise a disposizione il suo corpo nel vegliare il Signore sul far del giorno e ringraziò l'Altissimo di averlo creato. Così il Signore Grande volle riempirlo d'intelligenza. Mise da parte il linguaggio della sua sapienza e nell'orazione si fece riconoscere dal Signore. Tutti constatarono la sua sapienza ed essa non si cancellerà nei secoli. Non svanirà la sua memoria e il suo nome verrà ricordato di generazione in generazione."
All'infuori degli elogi che Ennodio riesce a dedurre ingegnosamente dal nome stesso di Benigno, non ci fornisce nessun'altra notizia particolare sulla vita di questo Vescovo, tranne il fatto della sua partecipazione ad un Concilio.
Tutti gli scrittori, compreso l'Oltrocchi, ritennero che fosse il Concilio indetto a Roma da Papa Ilario nel novembre del 465; tuttavia tra le sottoscrizioni al medesimo Concilio manca il nome di Benigno. Bisogna però notare che nelle copie degli atti relative allo stesso i Vescovi presenti sono divisi in due gruppi: uno comprende un numero molto ristretto di Arcivescovi e Vescovi di altre province; un altro comprendente i Vescovi della provincia ecclesiastica romana, che costituiscono il numero maggiore tra i presenti.
L'Ughelli nel suo libro Italia sacra  pone S. Benigno quale successore di S. Gerunzio e lo fa discendere addirittura dai nobili Bensi. Educato a Roma, egli aggiunge, durante il suo episcopato restaurò molte chiese abbattute dal gotico Odoacre.
Riportiamo ancora tre brevi brani di altrettanti scrittori per avere qualche altro particolare sulla vita di questo Santo.

MORIGGIA, Historia dell'antichità di Milano, 1592: "San Carlo poi, volendo riporre il corpo di S. Benigno con quelli di S. Simpliciano, Gerunzio e Ampelio arcivescovi di Milano in luogo più adeguato, nel 1582 fece la loro traslazione con una processione solenne assai e apparati ornatissimi e con la presenza di 200.000 persone. Sotto la sua immagine si leggono questi versi: "Sulla terra, uomo giusto, sarai, Benigno, e tale sarai nell'agire, come il nome. Dunque non ti occuperai di ciò? Non godrai della suprema benevolenza del Dio che è nei cieli? Orbene Benigno, sii portatore di bene alla tua città".
Si scrive che, vivente Benigno, furono trovate le ceneri dell'apostolo S. Barnaba in Milano e le facesse collocare decorosamente in una basilica milanese. Ma la venuta di questo apostolo in Italia, da molti agiografi propugnata, vittoriosamente fu combattuta dall'eruditissimo Brunati.

V. FORCELLA, Iscrizioni cristiane in Milano, riporta una lapide che doveva esistere nella Basilica di S. Nazaro e dei Santi Apostoli di Milano, recante l'immagine dell'arcivescovo S. Benigno: "N. 240. Si pose per rilevare fatti di indubbia certezza, o Benigno, cose che chiunque sia chiamato a testimoniare non potrà far altro che confermare. Mentre la fede arcana descrive l'uomo, la sua azione lo svela del tutto. Nulla si può dire di entusiastico per caso ma perché è dovuto. Le previsioni degli antenati per il futuro non sbagliarono, rivolsero lusinghe alla loro vera progenie. Prima si sedette col padre nel Senato plaudente, consigliando sollevò il capo in segno di approvazione. Ma disapprovando se solo un fiore veniva reciso. La speranza, il decoro e il genio furono posti come simbolo".

A. COLOMBO, S. Simpliciano Basilica del Carroccio, 1976: "Due iscrizioni che si trovano nella Basilica tramandano ai posteri il fatto. Quella dell'angolo del transetto di sinistra, dopo aver invocato Dio Ottimo e Massimo e i Santi le cui salme riposano in Basilica e precisamente: Simpliciano, Gerunzio, Benigno, Antonino, Ampelio tutti vescovi di Milano, nomina le autorità presenti alla traslazione delle reliquie dei martiri Sisinio, Martirio e Alessandro. E' costruito un luogo sacro per Simplicio, Gerunzio, Benigno, Antonino, Ampelio arcivescovi di Milano, Vigilio, Sisimio, Martirio e Alessandro martiri; le reliquie dei quali furono trasportate dal vecchio altare a qui: Carlo Borromeo di Milano, Gabriele Paleotto di Bologna arcivescovo e cardinale all'XI Sinodo milanese, Serafino da Milano abate di questo convento e XVI abate di Cassino; essendo Gregorio XIII pontefice massimo, Filippo II re di Spagna, con le insegne del pontefice, attraverso la città e province in festa. 1° gennaio 1582".
Per la festa di S. Benigno cadente al 20 novembre, Papa Urbano VIII (Maffeo Barberini di Firenze) concesse indulgenza plenaria a chiunque della famiglia Bossi, ovunque esistenti, purché fedeli a Cristo e comunicati. La bolla è datata 25 giugno 1631 dalla Basilica di S. Maria Maggiore di Roma.
San Carlo Borromeo scoprì il corpo di S. Benigno nella Chiesa di S. Simpliciano di Milano con appresso il sigillo recante per insegna il bue e con quelle lettere mezze corrose dalla ruggine: "BEN.US BOSS. EPISC. MED.". (Attualmente questo sigillo si trova, con parte dell'archivio della famiglia Bossi, presso il Municipio di Ginevra).
Presso l'Archivio di Stato di Milano si conservano due dichiarazioni dei Vicari della Sagrestia di S. Simpliciano del 1732 e 1733 che comprovano il pagamento delle spese sostenute per la festa di S. Simpliciano a carico della famiglia Bossi.
Abbiamo memoria che il marchese Fabrizio Bossi abbia scritto una memoria apologetica su S. benigno, come da sanzione pontificia del 1617 e 1631, ma non siamo riusciti a rintracciarla[5].
Inoltre abbiamo notizia che in Svizzera, presso il Municipio di Ginevra, dove il marchese benigno Bossi si rifugiò nel 1830 circa, è conservato il sigillo di S. Benigno scoperto da S. Carlo Borromeo.


"Una ormai introvabile monografia di mons. Tamburini elenca ben 66 santi nati o operanti a Milano e di alcuni di essi si perpetua il ricordo nell'intitolazione di alcune strade cittadine.
Qualche altro nome si può ricavare leggendo nel volume del Lattuada l'elenco delle colonne e degli altari votivi elevati ai crocicchi delle strade perché - durante la peste del 1575 - i fedeli, tappati nelle case dalla paura del contagio, potessero almeno confortarsi assistendo alle sacre funzioni.
E' noto poi come dopo questa "peste dei Promessi Sposi", Federico Borromeo aggiungesse, verso il 1630, alla già nutrita disponibilità goduta dal santo suo predecessore, anche quella di altri altari stradali, come quello di San Benigno, collocato davanti alla basilica di San Simpliciano".

Estratto da: ANTONIO CASSI RAMELLI, Il centro di Milano dal Duomo alla cerchia dei Navigli, Casa Editrice Ceschina, Milano, 1971, pag. 82.

Milano. Basilica di S. Simpliciano. La nuova disposizione delle cassette contenenti le ceneri dei santi martiri Sisinio, Martirio, Alessandro e il corpo di S. Benigno.

RICOGNIZIONE DELLE RELIQUIE DI SAN BENIGNO

Curia Arcivescovile di Milano.
Milano dalla Basilica di San Simpliciano in Città il giorno 6 luglio 1894.

Aderendo al desiderio espresso dal M.R. don Clemente Alfieri preposto parroco della Basilica di San Simpliciano in Città (Allegato A) il sottoscritto sac. Carlo Allegri (?) delegato dalla Veneranda Curia Capitolare si è portato oggi nel coro della Basilica suddetta e .... le cripte poste sotto l'altare maggiore si trovò quattro cassette di piombo che, esaminate attentamente, vennero trovate intatte, tanto da escludere il dubbio che fossero mai state aperte, giusto anche quanto si dichiarava nei due allegati B e C.
Dette cassette si trovarono pure legate con nastro rosso e munite di suggelli.
(...)
Giova notare che San Carlo Borromeo alle quattro cassette da lui trovate non appose alcun suggello ed i suggelli tanto curiali quanto apocrifi ...
(...)
Si cominciò ad asportare dall'avello la cassetta ... il terzo posto contando da sinistra a da destra a chi guarda nella cripta, fu trovata intatta, rotti i sigilli che erano apocrifi, si lesse la scritta posta sul coperchio e alquanto ossidata: "Corpus S. Simpliciani 1517".
Detta cassetta venne poi avvolta con altro nastro rosso di seta e al crocicchio dei capi fu apposto il sigillo grande di S. Ambrogio di questa Curia Arcivescovile, quindi venne riposta al suo luogo di prima.
Venne quindi levata una seconda cassetta che occupava il secondo posto, riconosciuta intatta, rotti i suggelli, si lesse sul coperchio la scritta: "Corpora SS. Martirum Sisinii, Martirii, Alexandri ac Benigni Archiepiscopi Mediolani".
Legata poi come la precedente con nastro di seta rosso vi si appose in cera di Spagna rossa lo stesso suggello, e rimessa all'indicato posto.
Così si fece anche per le cassette restanti, delle quali, quella che occupava il posto primo era munita di sigilli regolari, che però vennero distrutti per uniformarsi al modo col quale si riconobbe l'autenticità delle altre cassette. Essa portava la scritta: "Corpus S. Antonini Mediolanensis Archiepiscopi et aliorum sanctorum reliquia sine nomine reperte in altari S. Simpliciani anno 1581".
L'ultima cassetta che occupava l'ultimo posto ed aveva  sigilli apocrifi portava la scritta: "Corpus S. Ampellii et corpus S. Geruntii 1517".
Anche queste due cassette vennero legate da nastro rosso di seta con sigillo curiale grande di S. Ambrogio in ceralacca rossa.
Ciò fatto venne sigillata la cripta e la chiave consegnata al M.R. Sac. don Clemente Alfieri preposto parroco di S. Simpliciano sotto la di lui responsabilità.
Letto, venne approvato e i presenti apposero le firme.

+ Angelo Maria Mantegazza vescovo ...
don Giuseppe Colombo coadiutore
Ghioldi Carlo
Brusa Francesco

Firmato sac. Carlo Pellegrini delegato capitolare.


Allegato A.

Basilica Prepositurale di S. Simpliciano.
Milano, 11 giugno 1894

Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor Vicario Capitolare.

Nell'anno 1882 ricorreva il terzo anniversario della solenne traslazione dei corpi dei santi sepolti in questa Basilica, e qui in speciale sarcofago in casse di piombo collocati dal glorioso Arcivescovo S. Carlo Borromeo.
Volendosi dare a questo centenario un'importanza straordinaria fu deciso, non so bene se con speciale mandato di questa Veneranda Curia, di distruggere il laterizio che racchiudeva quelle preziose reliquie nell'arca marmorea, ed asportate da quel luogo le quattro cassette di piombo munite del sigillo della Veneranda Curia appostovi da San Carlo stesso, per qualche tempo furono depositate nella casa parrocchiale[6], donde con pompa solenne furono trasportate nel primitivo loro posto, che si trova immediatamente sotto la mensa dell'altare maggiore di questa Basilica.
Alla solenne traslazione assisteva mons. Giuseppe Del Corio, allora canonico onorario, il clero parrocchiale ed alcuni membri del clero cittadino.
Di tutto quanto fu fatto nel 1882 intorno alle reliquie non è conservato in questo archivio parrocchiale memoria alcuna, e le stesse casse di piombo, che ve le racchiudono sono sigillate, ma non con sigillo di questa Veneranda Curia.
Preme assai al sottoscritto che la cosa sua ufficialmente riconosciuta e confermata da questa Veneranda Curia, la quale o ne rilasci l'autentica dichiarazione sulla loro identità, e munisca le quattro cassette di piombo del necessario sigillo, innanzi vengano rinchiuse e difese da una cancellata di ferro munita di chiave speciale, da custodirsi gelosamente dal Parroco di questa Basilica.
A conferma della richiesta autenticità e per meglio facilitare l'invocata decisione il sottoscritto unisce alla presente l'istrumento stesso che venne steso nell'atto della riposizione fatta da San Carlo, il quale istrumento desidera che venga poscia ritornato a questo archivio parrocchiale.
Si rivolge quindi il sottoscritto alla Eccellenza Vostra Illustrissima e Reverendissima umilmente pregandola a voler dar corso a quest'istanza, incaricando cui spetta, di verificare ogni cosa, e dopo maturo esame di munire del sigillo curiale queste sacre reliquie, e di rilasciarne per regola analogo decreto da depositarsi nell'archivio della Basilica.
Anticipando i vivissimi suoi ringraziamenti per tutto quello, che Vostra Signoria  Illustrissima sono certo vorrà fare alla maggior gloria di Dio ed a speciale onore di questi illustri Santi, baciando il sacro anello, mi professo

 di Vostra Eccellenza Illustrissima Vicario Capitolare
 umilissimo e devotissimo in Cristo
 prete Clemente Alfieri preposto parroco.


Allegato B.

Alla Veneranda Curia Capitolare di Milano.

Nella Basilica Prepositurale di S. Simpliciano in Milano dovendosi nei giorni 19, 20 e 21 agosto 1882 celebrare la festa centenaria della solenne traslazione di S. Simpliciano fattasi dall'arcivescovo San Carlo Borromeo il giorno 27 maggio 1582, l'ora defunto M.R. Signor Preposto don Domenico Fontana allo scopo di mettere in maggior venerazione i corpi dei santi arcivescovi e martiri che sono sotto l'altare maggiore di questa Basilica, previe le debite ed opportune intelligenze prese colle autorità diocesane, ordinò che si levasse la gran lastra che chiudeva l'avello. Tanto si praticò all'ora una pomeridiana del giorno 13 agosto 1882 e si trovarono le cassette di piombo di diverse dimensioni, ermeticamente chiuse: del cui tosto si dava notizia a Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Arcivescovo di S. Maria D. Luigi Nazari di Calabiana, il quale solo procurò di rifare alla meglio l'avello, trasportando provvisoriamente in luogo conveniente quei sacri depositi.
Il trasporto ebbe luogo in forma assolutamente privata la sera di quel suddetto giorno (13 agosto) e vi prese parte il clero parrocchiale coll'Illustrissimomo e Reverendissimo Monsignor D. Giuseppe Del Corno, quale delegato di Sua Eccellenza.
Deposte le sacre reliquie sull'altare della cappella privata della casa parrocchiale per un' ..... garanzia si decise di apporre un segno convenzionale alle cassette; sicché (dirò seduta stante) si mandò a Via Patiera (?) Carlo Ghiolli dal mercante Pozzi, il di cui negozio in allora si trovava sul Corso Garibaldi 46 ad acquistare quel nastro di colore rosso col quale si fecero dei segni in forma di croce sulle cassette e  vi si apposero i sigilli pei quali si usò non solo il piccolo timbro a ceralacca della Veneranda Curia Arcivescovile, ma per l'unica e sola ragione di sollecitare l'operazione, si fece anche uso di un timbro qualunque pure a ceralacca colle iniziali GM che si trovava sullo scrittoio del parroco Fontana.
I prefati contrassegni giusta la convenzione fatta si dovevano levare all'atto della riposizione delle cassette nell'avello, il che sgraziatamente non si è praticato per una mera dimenticanza del sottoscritto, al quale purtroppo si era lasciata ogni responsabilità.
La funzione di riposizione si celebrò in forma solenne e con rito pontificale la sera del giorno 16 agosto 1882 da Monsignor Del Corno. Dopo di che si fece un piccolo verbale che il prelodato monsignore disse avrebbe consegnato alla Veneranda Curia Arcivescovile.
Tanto in coscienza dichiara il sottoscritto a richiesta di codesta Veneranda Curia Capitolare, di cui si dichiara
devotissimo residenziale parroco di S. Simpliciano

                                                         Sac. Enrico Somaruga
                                                         Visitatore di Cisliano, Pieve di Corbetta.

5 luglio 1894.
Allegato C.

Milano, 27 giugno 1894

Coabitando la sottoscritta col proprio fratello il defunto Preposto Parroco di S. Simpliciano Domenico Fontana, dichiara per la pura verità ed anche col giuramento che in occasione nella quale furono provvisoriamente deposti in casa le casse di ferro chiuse dei corpi di santi giacenti sotto l'altare maggiore, non vi venne fatta alcuna alterazione, né toccati i corpi chiusi in nessun modo.
E per fede
           
                 Teresa Fontana
                 sorella del defunto Domenico Fontana Preposto Parroco di S. Simpliciano.


                            
                          Foto 8      Milano - Chiesa di S. Simpliciano – Lapide che ricorda la
                                           traslazione dei santi martiri tridentini.



Durante la peste del 1575 i milanesi, tappati in casa per paura del contagio, erano soliti assistere alle sacre funzioni che si svolgevano negli altari votivi ai crocicchi delle strade.
Molti di questi altari, così come le colonne e alcune vie cittadine, erano dedicate a Santi e, fra questi, ben 66 erano dedicati a Santi nati o operanti a Milano.
Dopo la “peste dei promessi Sposi” il cardinale Federico Borromeo, verso il 1630, alla già nutrita creazione di altari promossa dal suo predecessore San Carlo, ne aggiunge altri, e tra questi, quello di S. Benigno, collocato davanti alla Basilica di S. Simpliciano.



                                                            

...”Fu poi molto accanita la contesa che nel secolo XVII si era destata intorno alla famiglia di San Benigno vescovo di Milano nel secolo V se fosse, cioè, dei Bossi o meglio dei Bensi, lite che ai nostri giorni (1878) sarebbe tosto caduta da sé, ma che in quel tempo fu seriamente giudicata dalla corte di Roma in favore dei primi, per un suggello (=sigillo) che i Bossi avevano presentato, già rinvenuto nel 1582 entro l’urna del presule quando San Carlo ne riconobbe le ceneri; non avvertendo, come nota il Sassi, che al cadere dell’impero, l’antico uso dei cognomi gentilizi rimase per più di cinque secoli dimenticato, per cui non parve risollevarsi che intorno al secolo XI[7].
Al quale proposito aggiunge il Fumagalli, che l’argomento del suggello renderebbe attualmente vieppiù sospetta la cosa”.






S. EPIFANIO

Epifanio fu uno dei vescovi più importanti del suo tempo, meritandosi appellativo di “luce e padre dei vescovi”. Nato a Pavia nel 438, a otto anni fu accolto tra i lettori dal vescovo Crispino. Divenne poi diacono. Crispino lo volle come successore e, alla sua morte, fu consacrato a Milano nel 466. Fu l’ottavo vescovo di Pavia e si adoperò per la ricostruzione della città distrutta nel 467 dalle contrapposte armate di Oreste e Odoacre. L’Impero romano d’Occidente crollava sotto la pressione dei barbari. In quei tempi di guerra soccorse sempre le vittime e impetrò clemenza per gli sconfitti. Epifanio morì nel 496. Fu sepolto nella chiesa di San Vincenzo con la sorella Onorata e le vergini Luminosa, Speciosa e Liberata. Una cronaca del X secolo parla della traslazione delle spoglie a Hildesheim (Germania) in età ottoniana.

E’ l'ottavo vescovo di Pavia; Ennodio, che ne fu il decimo e venne da Epifanio aggregato al clero pavese- come diacono nel 493, ce ne ha lasciato una biografia dal titolo: Vita beatissimi viri Epiphani episcopi Ticinensis ecclesiae, che è la fonte principale cui attingere le notizie.
Epifanio nacque a Pavia da genitori di nobile stirpe. Una luce miracolosa sarebbe stata vista risplendere sulla culla del bambino, felice presagio della sua futura grandezza[8]. Ci sono noti i nomi dei genitori: Mauro il padre e Focaria la madre, che sarebbe stata della famiglia di s. Mirocle, vescovo di Milano all'epoca dell'editto costantiniano del 313. Il vescovo di Pavia Crispino I  ricevette Epifanio, a otto anni d'età, tra i lettori della sua chiesa; successivamente lo ordinò suddiacono a diciotto anni, diacono a venti e lo raccomandò, sentendosi vicino alla morte, ad un certo Rusticio di Milano, illustris vir, affinché fosse il suo successore sulla cattedra episcopale pavese. Alla morte di Crispino, Epifanio fu consacrato vescovo in Milano dal suo metropolita, il cui nome, tuttavia, non ci è stato tramandato da Ennodio. La sua elezione episcopale era stata salutata con vera gioia dal popolo che altamente apprezzava la sua santa vita, i cui cardini erano: la preghiera, cui dedicava anche ogni minimo ritaglio di tempo; la lettura attenta e devota della S. Scrittura; l'attività febbrile per il bene delle anime; la mortificazione corporea più austera, che comprendeva anche l'astensione dai bagni "ne nitorem animae et interioris hominis fortitudinem balnea magis sordibus amica confringerent".
Da vescovo fu incaricato più volte di ambascerie da e presso i diversi re germanici, che si erano insediati nel territorio dell'Impero romano d'Occidente ormai in sfacelo. Andò a Roma dall'imperatore Antemio (467-72) come legato di Ricimero e successivamente a Tolosa da Eurico, re dei Visigoti, per incarico dell'imperatore Giunio Nepote (474-75).
Lavorò attivamente alla ricostruzione di Pavia saccheggiata e distrutta nel 476 dalle armate rivali di Oreste e di Odoacre. Soccorse con inesausta carità ogni sorta di miserie e di sofferenze. Spesso si recò presso i vincitori a impetrarne la clemenza per i vinti: in modo particolare implorò con successo la clemenza di Odoacre, di Teodorico e del re dei Burgundi, Gundobaldo, da cui ottenne la liberazione di seimila prigionieri da lui catturati in Italia nel 490 combattendo contro Odoacre. Di ritorno da Ravenna, ove si era recato per una ennesima legazione presso re Teodorico a favore di Pavia e di tutta la provincia della Liguria romana, a Parma si ammalò mortalmente a causa di un grave disturbo polmonare. Volle essere trasportato a Pavia, ove morì all'età di cinquantotto anni, dopo trent'anni di episcopato.
Ennodio, nella sua biografia, non ci dà indicazioni cronologiche precise sui fatti più salienti della vita di S. Epifanio e nemmeno ci indica il giorno della morte: egli tuttavia ci permette di stabilire con sufficiente certezza che Epifanio nacque nel 438-439, fu consacrato vescovo nel 466-467 e morì nel 496-497.
Negli ultimi decenni del sec. X un chierico ignoto della Chiesa di Hildesheim ci ha lasciato una Narratio de ultimis diebus Epiphanii (strettamente dipendente da Ennodio), in cui si dice che Epifanio morì all'età di cinquantotto anni, il 22 gennaio, dopo trentadue anni di episcopato, e una Translatio Hildesheimimium... in cui si parla di una traslazione delle reliquie di Epifanio ad Hildesheim per opera del vescovo Otwin negli anni 962-964, ai tempi di Ottone I. Due documenti pavesi dei secc. XIII e XIV affermano che Epifanio morì il 21 gennaio (data poi passata nel Martirologio Romano) e fu sepolto a Pavia nella chiesa di S. Vincenzo, insieme con la sorella Onorata e le vergini Luminosa, Speciosa e Liberata.
Epifanio di Pavia, vissuto nei tempi difficilissimi delle invasioni barbariche, esercitò in Italia la nobile missione di pacificatore: egli testimonia altresì la grande preponderanza che in quei tempi l'autorità ecclesiastica stava per ottenere di fronte alla autorità civile.

Autore: Antonio Rimoldi


         Foto 11. Hildesheim, Basilica di S. Gottardo, XII sec., Cristo con S. Epifanio e S. Gottardo.


Epifanio da Pavia (Pavia, 439 – Pavia, 21 gennaio 496) fu vescovo cattolico di Pavia dal 466 fino alla sua morte. E’ venerato come santo della Chiesa cattolica. Patrono del Regno d’Italia.
La sua importanza è dovuta al suo ruolo di mediatore durante il tramonto dell’Impero Romano d’Occidente e l’inizio del regno degli ostrogoti. L’imperatore Giulio Nepote e il re Teodorico il Grande lo utilizzarono come ambasciatore.
Poco dopo la sua morte Epifanio fu venerato santo e gli furono attribuiti numerosi miracoli. Nel 962 la maggior parte delle sue reliquie fu trasferita a Hildesheim per dare a questa regione più prestigio e aiuti celeste. Come in altri casi simili, questa tradizione fu descritta dai cronisti come un furto drammatico per sottolineare il consenso e la collaborazione del santo. Le reliquie di Epifanio sono contenute in uno scrigno dorato sotto l’altare centrale del duomo di Hildesheim.
Sulla base del trasferimento delle reliquie di Epifanio si è formato un gemellaggio tra Pavia e Hildesheim.



S. ENNODIO DA PAVIA
Magno felice Ennodio, di origine gallica, rimase orfano e trascorse la fanciullezza a Ticinum (Pavia), prima presso una zia e poi, morta questa, presso una famiglia. Nel 493, dopo un breve fidanzamento, fu accolto dal vescovo S. Epifanio nel clero pavese. Nel 514, morto il vescovo Massimo, gli successe sulla cattedra episcopale di Pavia. Per incarico di Papa Ormisda si recò due volte a Costantinopoli, cercando di ricomporre lo scisma acaciano. Morì a Pavia nel 521. le reliquie sono custodite nella basilica di S. Michele. Numerosi i suoi scritti, che per erudizione e profondità ne fanno un Padre della Chiesa. (Avvenire)
Magno Felice Ennodio, di origine gallica, nacque probabilmente ad Arles da una famiglia consolare. Rimasto orfano trascorse la fanciullezza a Ticinum (Pavia), prima presso una zia e alla morte di quest’ultima presso una famiglia generosa.
Nel 493, dopo un breve fidanzamento, abbracciò la vita ecclesistica e fu accolto dal vescovo S. Epifanio nel clero pavese. Il vescovo gli affidò l’insegnamento della retorica ai giovani, fino al 494, quando fu ordinato diacono. Partecipò ad una delicata missioni di ordine politico, finché nel 514, alla morte del vescovo Massimo, fu eletto vescovo di Pavia. Per incarico di Papa S. Ormisda compì due legazioni a Costantinopoli, nelle quali si adoperò per la ricomposizione dello scisma acaciano.
Morì a Pavia il 17 luglio 521. Le sue reliquie sono custodite nella basilica di S. Michele, dove si conserva anche il suo epitaffio che ne loda la fedeltà alla Sede Romana, la carità verso i bisognosi, l’erezione di chiese. Numerosi sono gli scritti di S. Ennodio, che per l’erudizione e la profondità gli permettono di essere collocato fra i Padri della Chiesa.

Autore: Adriano Disabella



S. BENIGNO APPARTIENE AI BOSSI?                                            

                                          
                                                 
Se consideriamo che molte famiglie si sono “accaparrate” un santo esclusivamente per dare lustro al proprio casato, dobbiamo quanto meno avanzare qualche dubbio sull’attribuzione di San Benigno alla famiglia Bossi.
Quella che dovrebbe essere la prova schiacciante, ossia il rinvenimento di un sigillo recante l’insegna del bue con intorno la scritta BENIGNUS BOSSIUS ARCHIEPISCOPUS MEDIOLANI nella cassetta contenente le ceneri del santo, è invece la circostanza che convince di meno e sembra essere stata fatta in modo fraudolento, tanto da trarre in inganno anche San Carlo Borromeo.
Che vi fossero strette relazioni tra l’arcivescovo di Milano e Casa Bossi è fuori di dubbio e basterebbe ricordare il fatto che il Borromeo sia corso sul letto di morte di ….. Bossi, vescovo di Vigevano e quindi suo suffraganeo, nonostante in precedenza lo avesse severamente ammonito di condurre una vita troppo lussuosa, con troppi servi al suo seguito e con gabbie di uccelletti nelle sue stanze che con il loro cinguettio gli rendevano più gradevole il trascorrere della giornata.
Il marchese … Bossi scrisse addirittura una memoria apologetica[9] su San Benigno mentre il conte Giulio Cesare Bossi nel 1733 e 1734 pagò lire 180 per solennizzare la festa di San Benigno nella Chiesa di S. Simpliciano di Milano.
Non ultimo il generoso gesto di d. Antonietta Bossi, ultima discendente del ramo di Bodio, che ha regalato alla Chiesa di Bodio la reliquia di San Benigno, autentica dal card. Idelfonso Schuster.
Ricordiamo che il santo morì nel 472 e di lui, naturalmente, non conserviamo alcuna raffigurazione. Tuttavia non mancano le raffigurazioni pittoriche di cui la più significativa è quella di Isidoro Bianchi da Campione sulla lesena della cappella laterale della chiesa parrocchiale di Azzate.
Un’altra raffigurazione è quella eseguita nella sala dei ritratti dell’attuale Villa Ghiringhella mentre nel Convento dei Francescani di Gallarate si ricorda il suo nome al di sotto dello stemma del bue.





S. BENIGNO BOSSI VESCOVO DI MILANO

Il 27 maggio 1982 la stampa dava conto della nuova sistemazione nella basilica delle reliquie di S. Simpliciano e di altri santi particolarmente cari alla tradizione della Chiesa metropolitana.
Al centro dell’urna è stato sistemato il corpo di S. Simpliciano, vescovo che successe a Sant’Ambrogio (398-401). Nella piccola urna di forme gotiche a destra sono racchiuse i resti dei martiri Sisinio, Martirio e Alessandro, tre giovani venuti a Milano dalla Cappadocia, in Asia Minore, e inviati da Sant’Ambrogio (su richiesta del vescovo di Trento, San Vigilio) ad evangelizzare la Val di Non, dove furono uccisi.
Alla loro “intercessione” la devozione popolare attribuì la vittoria dei Comuni della Lega Lombarda contro il Barbarossa, nel 1171.
A sinistra, infine, tre cassette di legno con i resti di altri quattro santi arcivescovi milanesi: Gerunzio, Benigno, Ampellio e Antonino.
L’attuale sistemazione delle reliquie (curate dal parroco, don Luigi Crivelli) è stata effettuata esattamente a quattro secoli dalla “solenne traslazione” in S. Simpliciano dei corpi dei santi che San Carlo Borromeo fece il 27 maggio 1582.
Narrano le cronache del tempo che si trattò della “festa” più solenne della cristianità ambrosiana: quattrocentomila persone, per una processione durata dalle 11 alle 18, attraverso i luoghi più significativi di Milano.


N.B. – Volendo si potrebbe inserire una fotografia dell’urna.

Educato in Roma, aggiunge l'Ughelli, S. Benigno tenne la sedia milanese dal 470 al 477, e durante il suo episcopato restaurò molte chiese distrutte dal gotico Odoacre. L'Ughelli porrebbe S. Benigno de' Bossi, successore nella sede Arcivescovile di Milano di S. Geronzio. Fu molto accanita la contesa che nel secolo XVII ci fu intorno alla famiglia di S. Benigno, Vescovo di Milano del secolo V, se fosse cioè dei Bossi o meglio dei Bensi di Como, lite che in quel tempo fu seriamente giudicata dalla Corte di Roma in favore dei primi, per un suggello che i BOSSI avevano presentato, già rinvenuto nel 1582 entro l'urna del presule, seppellito nella chiesa di S. Simpliciano, quando S. Carlo Borromeo ne riconobbe le ceneri. Al qual proposito aggiunge il Fumagalli, che l'argomento del suggello (un sigillo di ferro antichissimo recante per insegna il bue - stemma della casata dei Bossi - con inciso Benignus Bossius Episcopus Mediolanensis), determinò nel 1617 la scelta dei giudici romani a darla vinta ai Bossi. Una raffigurazione di S. Benigno la si può ancora notare nella cappella di destra della chiesa parrocchiale di Azzate. Le notizie più antiche su S. Benigno Bossi ci sono date da una composizione in versi di Ennodio, vescovo e scrittore di Pavia all'inizio del VI secolo. Essa suona così: "S. Benigno mise a disposizione il suo cuore nel vegliare il Signore sul far del giorno e ringraziò l'Altissimo di averlo creato. Così il Signore grande volle riempirlo di intelligenza. Mise da parte il linguaggio della sua sapienza ed essa non si cancellerà nei secoli. Non svanirà la sua memoria e il suo nome verrà ricordato di generazione in generazione".
Ennodio riesce poi a dedurre ingegnosamente dal nome stesso di Benigno una serie di elogi, ma non ci fornisce alcun dato sulla sua vita, tranne il fatto della sua partecipazione ad un Concilio non ben identificato. In ogni caso é noto, da altre fonti, che il Vescovo di Milano ricoprì il suo mandato con avvedutezza e lungimiranza.
Pare certo, come risulta dal documento che mi appresto a trascrivere, che i Bossi si impegnarono a pagare le spese della festa (cadente il 20 novembre) in onore di Benigno. Il documento che attesta ciò è datato 20 novembre 1734. "Sono lire cento ottanta, dico L. 180, moneta di Milano, che io infrascritto confesso aver ricevuto dall'ill.mo sig. conte don Giulio Cesare Bosso, quali sono per solennizzare la festa di S. Benigno che corre in conto oggi giorno 20 novembre 1734, et in fede don Luigi Confalonieri, vicario della Sagrestia di S. Simpliciano di Milano". Riferendomi al Morigia, si vuole che fosse pure un rappresentante dei Bossi un certo Ansperto, arcivescovo di Milano, morto nell'882, al quale si deve la costruzione della chiesa di S. Satiro. Anche Ansperto Bossi é affrescato nella chiesa parrocchiale di Azzate, giusto di fronte a S. Benigno.




Il culto di S. Benigno esisteva anche a Porto Ceresio dove esisteva un legato alla Cappella di S. Benigno nella Chiesa Parrocchiale di pertiche 1.23

Alcune considerazioni di Pompeo Litta in merito alla sua appartenenza alla famiglia Bossi. (Vedi doc. n. 2.088).

Affresco raffigurante S. Benigno Bossi e Ansperto Bossi nel Chiostro di
S. Francesco a  Gallarate ora sede del Museo Patrio.










[1] S. Natale 1982. All’esperto, studioso e … concorrente (!!!), amico Giancarlo Vettore auguro ogni bene ed una ricordevole e continua collaborazione, invio con un grazie sincero questo studio: Storia di San Benigno raccolta e scritta da N.H. sotto tenente dottor Enrico Piero Bossi, Cavaliere al Merito della Repubblica e Donato di devozione del Sovrano Militare ordine di Malta.
[2] A Yara e a Kimiko. Cacciati da Milano in più riprese, fra il XIV ed il XV secolo, i Bossi, cittadini nobili e potenti della città lombarda, si sparsero nelle regioni del Nord Italia, dal Varesotto al Trentino, dove, oltre appunto a Milano, Crema e Piacenza, troviamo oggi ceppi importanti della famiglia. I Bossi fuggirono, o si spinsero per altri motivi nel Sud della Svizzera, nei Grigioni, dove li troviamo da diversi secoli.
Ebbero sede a Mons, oggi Mon, si diffusero nella Svizzera, in Polonia, a Odessa, poi vennero a Chiavenna per commerci nei primi anni dell’800. Qui lasciarono una traccia indelebile, certo più di quanto potessero e possano oggi ricordare gli abitanti, mossi spesso da pregiudizi o invidia, Poi, in questi ultimi anni, si spinsero a Bossi a Lecco, Cavalese e, nuovamente, a Milano.
L’origine storica si perde nei primi secoli sopra il Mille, ma una bolla papale assegna alla famiglia un Santo vescovo milanese del V secolo ed una lapide del ‘600 denuncia origini ancora più lontane.
Ho scritto ciò perché possiate essere fiere del nome che prtate e, soprattutto, perché vogliate esserne degne! Il vostro papà.
[3] OLTROCCHI BALDASSARRE. Letterato e storico (Pavia, 1714-1797), appartenente all’ordine degli Oblati, fu docente in diversi istituti e precettore di Maria Beatrice d’Este, poi sposa dell’arciduca Ferdinando. Nel 1748 fu ammesso nel collegio dei Dottori dell’Ambrosiana, di cui fu nominato prefetto dal 1776 al 1796. E’ autore della Historia Ligustica (ligure)Ecclesiae Mediolanensis, una dotta storia del vescovado milanese dalla morte di S. Ambrogio a Teodoro, compresa tra gli anni 397 a 749. Fu il primo studioso e decifrare molti manoscritti di Leonardo da Vinci.
(A pag. 1359 delle Strade di Milano c’è un suo ritratto eseguito da Benigno Bossi).
[4] La cosiddetta Matricola di Ottone Visconti.
[5] V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano 1928, ristampa anastatica, Bologna 1969, vol II, pagg. 156-157.
[6] Vedi allegato C che segue.
[7] Saxius, Archiepiscopi Mediolani, series I, 129 S. Benignus.


[8] Lo stesso episodio si racconta a proposito della nascita di S. Carlo Borromeo.
[9] Elogiativa.

1 commento:

  1. Come faccio ad inviarle la foto di uno stemma bossi in bassorilievo che esisteva a Cairate? mia mail cisottog@libero.it

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