lunedì 14 ottobre 2013

Villa Bossi-Zampolli

Villa Bossi-Zampolli verso il parco.


La storia della Villa Bossi-Zampolli rappresenta certamente un capitolo significativo nella più vasta storia dell’architettura in ambiente milanese e se è vero che “La villa costituisce un illuminante punto di osservazione per la storia sociale, in riferimento al costume e agli stili di vita dei nobili, per i quali le villeggiature erano consuetudini tanto frequenti e ricercate”[1], essa ne è il classico esempio.
E’ evidente che il matrimonio del conte Giulio Cesare Bossi di Azzate con donna Maddalena dei conti Rossini di Como ha portato una sorta di freschezza nell’austera e forse un poco antiquata Casa Bossi che se ne stava un poco discosta nella sua Val Bossa, lontana dai fasti e dai clamori della città di Como e di Milano e appena toccata da quelli del borgo di Varese.
Si rendeva necessario uno svecchiamento dello stesse strutture abitative della nobile famiglia che, per troppo tempo, era vissuta nel castello di Azzate, più volte rimaneggiato e ormai insufficiente per accogliere quella piccola, piccolissima corte che ruotava intorno alla famiglia.
Era soprattutto necessario creare un nuovo apparato di visibilità che si estrinsecava inevitabilmente attraverso i nuovi canoni settecenteschi della villa.
Estremamente rilevante risulta la considerazione della villa Bossi-Zampolli dal punto di vista economico, riguardo cioè alla consistenza del patrimoni fondiario che dipendeva dalla villa, nonché la sua conduzione nel contesto della produzione agricola nel milanese, ben sapendo che le campagne, ovviamente, non erano solo teatro di delizie camperecce, ma un "luogo di produzione" plasmato con ingegno e fatica dal lavoro dell'uomo e teatro spesso di condizioni di vita molto dure per contadini e braccianti.
Assai significativo, inoltre, appare l'aspetto territoriale e urbanistico che il fenomeno della villa assume in riferimento alla sua geografia distributiva e al rapporto che la villa intrattiene con il contesto insediativo. In riferimento a ciò, va notato che la distribuzione delle ville del periodo iniziale    si colloca in posizione pressoché isolata entro un raggio di poche miglia dalle mura della città. Nate principalmente come casini di caccia tra il XV e XVI sec., le prime ville offrivano svago e diversivo alla vita cittadina per il semplice collocarsi ai margini delle prime selve boscose del contado a nord della città.
Nel caso di Azzate la villa è sì decentrata rispetto al borgo ma viene costruita su precedenti strutture, accanto alle ancor più vetuste strutture castellane risalente al XIII secolo.

               
Ingresso del vecchio castello di Azzate,

Accadeva spesso che presso tali possedimenti i nobili, che risiedevano per lo più stabilmente presso i loro palazzi di città, tendevano a collocare residenze adatte ai loro soggiorni temporanei, al fine di esercitare un controllo sulla conduzione delle aziende utile soprattutto in tempo di raccolto. Per le realizzazioni più importanti, tuttavia, quelle che dovevano essere rivolte non solo alla produzione e alla cura degli interessi ma anche alla delizie della villeggiatura, vennero privilegiate l'area a Nord di Milano ed i Navigli. La concentrazione delle ville finiva così per interpretare coerentemente le differenze geografiche del milanese, disertando di norma la Bassa, che era zona di sicura vocazione agricola per l'alta resa dei suoli e quindi di grande valore fondiario, ma anche meno propizia dal punto di vista climatico e paesaggistico. Conveniva così evitare le monotone pianure, sia per la piacevolezza del soggiorno (che veniva allietato a Nord di Milano da un panorama orograficamente meno piatto e da un clima meno afoso d'estate), sia per calcolo economico (evitando di sottrarre "la terra buona" e costosa della Bassa alla sua redditizia produzione per la realizzazione dei grandi parchi e giardini che erano il complemento naturale delle architettura di villa).

 
Villa gentilizia della provincia di Monza.
 Un ulteriore aspetto della storia di Milano che può essere letto ed apprezzato con particolare profitto attraverso lo studio delle sue ville riguarda l'evoluzione del gusto e la storia delle arti figurative ed applicate: artisti e decoratori contribuirono al fasto di queste dimore che erano programmaticamente rivolte alla celebrazione del bello, esaltato nelle sue duplici sorgenti di Natura ed Artificio.
Fra la fine del Seicento e i primi due decenni del Settecento iniziano a manifestarsi i segni di quel profondo rinnovamento di carattere economico che si consoliderà verso la metà del secolo attraverso l'attuazione di importanti riforme da parte del governo austriaco.
Fra queste, riveste una particolare rilevanza l'istituzione del "Catasto Prediale ed Immobiliare", voluto da Carlo VI a partire dal 1720-22 e condotto alla sua forma definitiva nel 1760 da Maria Teresa d'Asburgo, con il quale si stabilisce una nuova forma di tassazione dei terreni basata sul calcolo dell'estensione della proprietà e della sua potenziale redditività, quest'ultima definita attraverso precisi coefficienti calcolati sulla base di moderne concezioni di agronomia. Superata quindi la forma tributaria precedente, secondo la quale la tassa veniva stabilita in modo discrezionale fra proprietario e stato, a favore invece di un versamento proporzionale al reddito potenziale del podere calcolato secondo canoni prestabiliti, si induce anche nel proprietario l'interesse ad alzare il più possibile la redditività delle proprie terre, attraverso coltivazioni innovative e moderne, al fine di equilibrare il più possibile l'onere contributivo con la resa del fondo. Tale situazione contribuisce gradatamente a far emergere nuovi ceti, più dinamici e produttivi.
Oltre all'istituzione del catasto, che costituisce inoltre un documento molto prezioso in grado di restituirci in modo sistematico il disegno del territorio nei suoi caratteri economici e produttivi, il governo austriaco modifica anche la struttura del patriziato, elevando al ruolo nobiliare numerose famiglie che si erano mostrate fedeli nell'ambito militare e amministrativo.

"La Villa" di Bartolomeo Taegio

L'interesse - e l'affermazione in particolare della necessità di ritrovare questo interesse - da parte dei signori milanesi per la vita agreste è documentata nell'opera La Villa scritta da Bartolomeo Taegio nel 1559 in forma di dialogo fra due gentiluomini, nella quale vengono enumerate circa duecentocinquanta ville nei terreni limitrofi al centro urbano, descritte come luoghi di quiete circondati da ameni giardini, nei quali dedicarsi alle lettere, alla caccia, alle conversazioni e al riposo e attendere alla gestione dei fondi agricoli.
Il vivere in villa per il nobiluomo milanese descritto dal Taegio si lega al piacere di uno stretto rapporto con la natura che si esplicita nella particolare cura e magnificenza dei giardini, descritti con grande dovizia di particolari. Diversamente le ville, la cui funzione prioritaria consiste, oltre che nell'essere luogo di svago, nella necessità di sovrintendere le attività agricole, si strutturano infatti tendenzialmente come "case da nobile" di carattere più sobrio, in stretta contiguità con gli annessi rurali, al contrario di quanto accade in Toscana, in Lazio e nel Veneto in particolare, dove la villa si configura come organismo architettonico di forme monumentali.
                    
Frontespizio de "la villa" di Bartolomeo Taegio.
                        
                                                  
STEMMI ARALDICI

Rilevante è la presenza di un'ingente quantità di stemmi araldici, evidente mezzo di auto legittimazione e di propaganda. In particolare nella Villa Bossi-Zampolli, sono ben leggibili, a fianco del cancello d’ingresso, sul davanzale della finestra dell’avancorpo della villa, sulla balconata dell’orchestra nella sala da ballo.

Ingresso di Villa Bossi-Zampolli. Stemma di destra.


 
Ingresso di Villa Bossi-Zampolli. Stemma di sinistra.


                                     






[1] Cfr.: Lombardia Beni Culturali, L’evoluzione della villa gentilizia nel tempo.

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