La nobiltà non può venir concepita al di fuori del mondo
rurale, e questo in misura forse maggiore che per qualsiasi altro ordine,
stato, corpo o classe: senza il mondo rurale essa non esisterebbe; è dal mondo
rurale che essa trae la quasi totalità del suo alimento.
La particella, preposizione che unisce il nome vero e
proprio, cioè quello di battesimo, al “soprannome”, divenuto successivamente il
patronimico, esprime generalmente l’origine geografica della famiglia. (De Ligurnetto,
De Luino, De Domiossula, ecc).
Bisogna inoltre sapere che i veri titoli (da quello di
barone a quello di duca) appartengono alla terra e non agli uomini, e che può
esserne rivestito solo un maschio per ogni generazione. Vero è che certi titolo
di convenienza – specie quello di marchese – furono venduti, o quantomeno
tollerati per “cortesia”, soprattutto a partire dal regno di Luigi XIV, che a
tutto dette un prezzo e che seguì una politica coerentemente antinobiliare.
Nel linguaggio corrente il gran signore era sicuramente
persona di antica ed incontestabile nobiltà, agiata e potente. Ma il possesso
di una signoria non costituiva giuridicamente, o quantomeno non costituiva più,
un segno di nobiltà, dal momento che una signoria poteva venir acquistata con
formalità non diverse da quelle che regolavano l’affitto di ogni altro bene.
Ciò nonostante, una serie di vivissimi ricordi legavano la nobiltà al possesso
di grandi domini su cui essa esercitava diritti di considerevole importanza,
quali ad esempio la giustizia. E questa ideologia faceva sì che l’acquisizione
di una signoria restasse, per un buon borghese, una delle vie per porsi nei
ranghi della nobiltà, o almeno per dar l’impressione di esservi.
Il significato del termine “feudo” appare chiarissimo nei
lavori dei medievalisti; ma sotto l’ancien règime esso assume connotazioni di
straordinaria nebulosità, che neppure i migliori giuristi riuscivano a
dissipare.
Nel linguaggio corrente, feudo è un semplice sinonimo di
signoria, pure esprimendo di preferenza la parte centrale della signoria, cioè
la riserva, il domaine del signore.
I legami che la nobiltà aveva con la terra, da cui traeva i
suoi diversi tipi di rendita, costituiscono uno degli elementi strutturali
della sua natura: ma in misura sempre minore, perché come abbiamo visto i
nobili si allontano dalla terra e viceversa; ad approfittarne furono spesso
padroni o anche signori direttamente provenienti dalla ricca borghesia: Questo
rapporto, antico ed ancor vivo, fra nobiltà e terra, non deve dunque suscitare
illusioni: non è provato che i nobili fossero signori della maggior parte delle
terre, ed è certo che quelle effettivamente in loro possesso non raggiungevano
un terzo del totale. La classe terriera per eccellenza – la classe proprietaria
di tutti quei fazzoletti di terra che, sommati, sono più che tutte le proprietà
nobiliari – resta sempre la classe contadina[1].
La nobiltà è trasmissibile “col ventre” la donna può essere
di comune condizione: a rendere nobili i figli basta il marito. Si tratta di un
principio costantemente applicato, che renderà estremamente vantaggiose le
“concimazioni”, ovvero i matrimoni fra nobili poveri e borghesi dalla ricca
dote.
L’antichità della razza rappresenta dunque un fatto
essenziale, vuoi per gli stessi nobili, vuoi per la legislazione nel suo
complesso. Ma come esibirne le prove? E’ evidente che nessuna famiglia può
vantare il possesso di documenti risalenti al tempo dei Franchi, e spesso
neppure a quello delle crociate. Per “provare” si distinguono abitualmente tre
casi:
- certe grandi e potenti famiglie, di numero assai limitato, non ebbero mai la necessità di esibire prove di sorta, essendo la loro nobiltà riconosciuta “da tempo immemorabile”, come si soleva dire.
- Certe famiglie meno illustri o meno potenti possono trovarsi nella necessità di “provare”. Queste prove vengono richieste dal re e si rendono necessarie per ottenere una carica riservata ai nobili: a corte, nell’esercito o nell’Ordine di Malta. Si “prova” solo tramite documenti scritti, autentici, emanati da autorità riconosciute. Sentenze giudiziarie, atti notarili, atti reali o atti parrocchiali, che devono di solito abbracciare l’arco di tre generazioni o quello di un secolo. Questi atti devono provare che la famiglia ha vissuto senza derogare alla propria nobiltà, servendo il re ed assumendo sempre gli appellativi nobili propri della provincia. In tal caso la continuità legittima della “razza” nell’arco di un secolo risulta allora accertata.
- Il terzo caso è il più semplice, e col tempo diviene il più frequente: la razza è giovane poiché la famiglia è stata creata, con atto del sovrano, che è l’unico a possedere il diritto di fare nuovi nobili. Veniva così a costituirsi una nobiltà che gli antichi giuristi definivano “moderna” in opposizione alla nobiltà che vantava origini lontane ma sconosciute: la nobiltà “antica”
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