Assistette Ugo
Foscolo nella sua ultima malattia.
Ulteriori ricerche potranno accertare se il patriota
varesino Giulio Bossi sia stato anche cospiratore e mazziniano. Infatti
all’epoca della fioritura della Carboneria italiana egli era a Londra; e in
quella della maggiore affermazione della “Giovine Italia” si trovava nel
Messico. In verità, appartenne all’esiguo gruppo di lombardi che, alla caduta
del Regno d’Italia del Beauarnhais hanno lasciato l’Italia e si sono recati in
esilio perché non si adattavano al nuovo regime reazionario instaurato
dall’Austria.
Il Bossi se ne andò anche perché, dati i suoi sentimenti,
comprendeva che in Lombardia non vi era possibilità di esercitare con successo
una professione liberale. Altri si trovarono nelle sue stesse condizioni.
Egli è comunemente chiamato varesino (e persino nato a
Varese) perché discendeva dal nobile
ramo dei Bossi di Azzate. Era patrizio milanese con diritto di chiamarsi
don (e non conte, titolo che onestamente e sdegnosamente asserisce in una sua
lettera di non competergli).
Effettivamente era nato a Como nel 1793. Non era parente del
cospiratore del 1821, marchese Benigno
Bossi, (da non confondersi coll’omonimo incisore di Porto Ceresio vissuto
un secolo prima), ma suo coetaneo perché il marchese, che vide la luce lui pure
a Como, era nato nel 1888 e don Giulio cinque anni dopo.
Col marchese (la cui sorella Virginia andata sposa ad un
Cadorna di Pallanza fu madre di Carlo, illustre uomo di Stato, e di Raffaele,
il generale della breccia di Porta Pia) don Giulio dovette trovarsi a Milano al
tramonto del regno d’Italia, perché prestava servizio nei cavalleggeri, mentre
Benigno comandò la guardia al Palazzo del Senato (oggi sede dell’Archivio di
Stato) quando vi fecero irruzione i federati italici del Confalonieri.
Fuori del palazzo molti prezzolati cercavano il troppo
zelante e intrepido ministro Prina.
Lo rintracciarono nell’odierno Palazzo Marino e gli fecero
fare la orrenda fine divenuta proverbiale.
L’infelice ministro non poté giovarsi della vana difesa del
Foscolo, che gli era amico, accorso a Milano da Bellosguardo a sostenere come
ufficiale dell’esercito lombardo il Regno d’Italia.
E’ da presumersi che don Giulio, che aveva studiato a Como
nel Collegio Gallio e che a Como e nella villa di Vergiate si era trovato
spesso a pranzo col poeta, ospite del conte Giovio parente del Bossi stesso, lo
abbia allora riveduto a gli abbia stretto la mano, dopo la sua lunga assenza di
Bellosguardo.
Non era più, infatti, il collegiato del Gallio, bensì un
giovanotto che studiava legge a Pavia. Ma non si laureò a Pavia; si addottorò,
invece, in giurisprudenza a Bologna.
A LONDRA.
Bel 1816, per le ragioni sopraddette, il Bossi va a Londra e
qui ritrova il Foscolo giuntovi nello stesso anno, dopo il breve periodo di
esilio in Svizzera, nei Grigioni e a Zurigo.
A Zurigo, il poeta aveva trovato un altro Bossi di nostra
conoscenza: Luigi, fratello del
pittore e letterato bustese Giuseppe,
così disprezzato dal Foscolo (anche per ragioni di gelosia perché lui pure era
amico della”bella infedele” Antonietta Fagnani Arese).
Il Bossi, riparatosi in Svizzera in seguito a un grave
dissesto finanziario (e ne parla pure il pittore nelle sue “Memorie”) era in
cattive acque e viveva sotto il falso nome di Paoliniano Bellinzaghi. Il
Foscolo il 6 luglio 1816 ne informava Gaspare Porta (fratello del poeta Carlo),
il banchiere cui chiedeva i zecchini necessari per vivere. Il Bossi, che era
nella stessa pensione del Foscolo, non aveva voluto farsi riconoscere; e questi
rispettò il suo incognito. Il bustese era stato ammalato ed era ridotto male in
tutti i sensi. La sua famiglia, i figli cioè e la moglie Annetta, vennero
allora soccorsi generosamente da Carlo Porta, amicissimo del pittore che in una
sua poesia gli aveva offerto il modello della “Ninetta del verzée”, il quale
pittore anche lui in quel tempo ammalato, poteva solamente preoccuparsi della
mala sorte di Luigi[1].
Che faceva don Giulio a Londra? Come il Foscolo impartiva
lezioni di lingua e di letteratura italiana. Anzi il Poeta, in un suo studio
letterario scrivendo sotto il nome e nelle mutate spoglie di Giulio Bossi
afferma di aver già insegnato belle lettere a Varese:”White engaged in teaching
belles lettres at a Lyceum of Varese in Italy”. (Ma deve intendersi forse Como,
perché non è probabile che verso il 1815 vi fosse un liceo a Varese).
Allora in Inghilterra la concorrenza in questo campo era
forte. Vi era, infatti, dispersa in varie città, una schiera di insegnanti di
italiano. Erano gli esuli dei moti napoletano del 1820 e piemontese del 1821,
che spesso si azzannavano fra loro. (La fame è cattiva consigliera!).
Parecchi di essi, sfuggiti miracolosamente al carcere
piemontese, sbarcarono in Spagna dove i fautori della costituzione erano insorti
contro il Re; vi avevano combattuto, erano stati feriti; erano caduti sul
campo: erano morti di colera; si erano rifugiati in Francia dove vennero
arrestati. Alcuni di essi accorsero a combattere per la libertà dei
sudamericani pure insorti contro la Spagna. Qualcuno
in situazione disperata si era ucciso; qualche altro era impazzito. (Ne parla
nelle sue “Memorie” uno di questi esuli, l’aronese Carlo Beolchi).
I più fortunati furono coloro che avevano potuto raggiungere
l’Inghilterra. Ma anche questi superstiti di quella che il Foscolo chiamò la
tragicommedia carbonara di Napoli conducevano una vita grama.
Il Bossi spinto anche dalla nostalgia della patria, come
dice il Foscolo in una lettera in cui lo raccomanda al Pellico, nel 1819
abbandona l’Inghilterra e ritorna in Italia. Ma è nuovamente a Londra nel 1825,
dove ritrova il Poeta che aveva lasciato in floride “condizioni” in uno stato
di penoso dissesto: si faceva chiamare U.E. Emeryt, il nome della madre di
Floriana.
Quando nel 1819 il Bossi lasciava Londra il Poeta gli aveva
dato un esemplare dell’Ortis dell’edizione londinese del 1817 con la dedica di
suo pugno: “A Giulio Bossi U. Foscolo” 19 novembre 1819. “Sic licet felix
ubicunque mavis et memor nostri”. Hor.
Questa copia il Bossi mostrerà più tardi a Lugano a Filippo
de Boni che nel 1850 curò l’edizione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis
facendola precedere da un suo discorso[2].
Ritornato a Londra, come si è detto, il Bossi fu di nuovo
intimo di Foscolo, del quale divenne copista, segretario (gli riscuoteva anche
i modesti crediti); ma soprattutto soccorritore e consolatore durante la sua
ultima malattia.
Con lui aveva curato una
Antologia critica di poesie italiane, che subì varie peripezie.
In questo periodo di vita londinese troviamo il Bossi in
rapporti direttamente o per il tramite del Poeta con alti nomi della cultura
inglese, ad esempio con lo storico Roscoe, e coll’esule emiliano Antonio
Panizzi, che diverrà direttore del British Museum.
IN MESSICO.
Intorno agli ultimi suoi rapporti col Foscolo ci limitiamo,
poiché il discorso diverrebbe lungo, a far conoscere una sua lettera poco nota
diretta all’esule bresciano Camillo Ugoni[3]:
Londra, 11 settembre 1826. “Parto lunedì per il Messico: La
mia partenza è segnata da un avvenimento funestassimo al mio cuore e a tutti i
buoni italiani e alla gloria letteraria del nostro paese. Ugo Foscolo non è
più. Spirò ieri sera alle ore 8 e 30, dopo tre giorni di penosissima agonia:
nessuna debolezza cambiò negli ultimi suoi momenti il suo forte sentire e i suoi
decisi principi. Gli prodigai tutte le cure dell’amicizia, dolente che le mie
circostanze incatenassero la mia volontà. Vi do questa nuova nella lusinga che
preveniate ogni altra penna nei cenni biografici di questo nostro grande uomo
in fatto di lettere, affinché il pubblico non comincia dall’averne una inesatta
relazione”.
Pare che il Bossi non sia intervenuto ai funerali
modestissimi del Poeta cui furono presenti quattro o cinque persone. Stava per
partire il piroscafo per il Messico e non poté dare all’amico l’ultimo saluto.
E nel Messico rimase dieci anni con altri suoi due fratelli
addetto a una miniera: ma non fece fortuna.
Nel 1836 ritornò in Italia, partecipò a Milano alle vicende
del 1848 con qualche incarico da parte del Governo.
Al ritorno degli Austriaci fu nella turba dei migliaia di
compromessi, di paurosi, di esaltati (che volevano impiccare il “vile
Carignano”) i quali cercarono salvezza nel Canton Ticino. Qui fu in relazione
con democratici quali Carlo Cattaneo, de Boni ed altri e ritrovò un compagno di
infanzia, col quale aveva pranzato insieme al Foscolo in casa Giovio: il poeta
bergamasco Ottavio Tasca che nel rifugio svizzero infervorava i fuggiaschi
colle sue liriche patriottiche.
Nel 1850 don Giulio Bossi doveva essere ritornato per la
terza volta in Inghilterra perché chiedeva al Cattaneo una copia dell’Archivio
triennale da offrire all’illustre economista inglese Riccardo Cobden. Rientrò
in Italia dopo il 1859 e rappresentò al Parlamento di Torino per la VII legislatura il collegio di Varese e
di Cuvio. I suoi concittadini lo preferirono all’Adamoli e a Nino Bixio, che
erano raccomandati da Garibaldi. Fu deputato per quella sola legislatura[4].
Il Bossi era ormai sulla settantina. Visse sino al 1880 e
morì a Milano dove venne commemorato dal pavese Luigi Beretta, che esaltò le
sue virtù e la sua vita dedicata ai supremi ideali della Patria e della
cultura. Il Bossi possedeva molte lettere e carte relative ai suoi rapporti col
Foscolo: ma parecchi autografi donò agli ammiratori del Poeta, di cui conobbe
come pochi suoi contemporanei la grandezza e le miserie.
Rodolfo
Rogora
(Estratto da La
Prealpina del 27 novembre 1970).
Il ritorno degli austriaci riporta tranquillità
amministrativa, ma creò una pesante atmosfera politica che sfocerà in sorde
ribellioni e nelle Cinque Giornate di Milano. Il 14 giugno 1816, come già
dissi, per accontentare i Varesini che volevano un ruolo più elevato per il
loro centro, il Borgo viene elevato dall’imperatore Francesco II al rango di
città.
Si affacciano alla ribalta politica i Carbonari e
poi gli affiliati alla Giovane Italia. Le idee mazziniane fanno presa sul
nobile Giulio Bossi, su Cesare Paravicini e su altri il cui nome si perse.
Zona di confine, vide entrare dalla Svizzera
manifesti e opuscoli di propaganda. Giunta la notizia dell’insurrezione
milanese, i Varesini con alla testa Cesare Paravicini cercarono di far
prigioniero il grosso presidio austriaco, ma dovettero accontentarsi di
arrestare alcuni reparti in transito. Poi accorsero in difesa di Milano.
Il Borgo, dopo la rioccupazione di Milano da parte
degli Austriaci, vide transitare la legione di Garibaldi che si portava in
Piemonte e la vide ritornare ribelle dopo il ripudio dell’armistizio di
Salasco, proveniente da Luino dove aveva battuto i reparti del maggiore
austriaco Mollinary.
Garibaldi si comportò da guerriero: a Varese arresto
gli austriacanti più facoltosi e impose loro una taglia. Li rilasciò
accontentandosi di una somma offertagli dalla comunità per far fronte alle
spese della Legione. Nel Varesotto diede prova, per la prima volta in Italia,
del suo intuito, della sua bravura, della sua audacia e del suo coraggio.
Assalito da ben sei Divisioni Austriache al comando
del maresciallo D’Aspre che si proponeva di rinserrarlo in una morsa, riuscì a
sfuggire coi suoi uomini alla cattura. I Varesini che più si distinsero nelle
vicende del 1848-49, oltre al citato Paravicini, furono Emilio ed Enrico
Dandolo, Emilio Morosini (Varesino d’elezione) e Francesco Daverio, le cui
vicende sono note.
Il periodo che intercorse fra il 1849 e il 1859 fu
un periodo di meditazione e di preparazione: dalle idee mazziniane si passò
gradatamente alle idee più realistiche di Cavour.
Non pochi esponenti varesini (Domenico Adamoli,
Giulio Carcano, Ezechiele Zanzi, il citato Paravicini, ecc.) entrarono in
contrasto con uomini politici piemontesi.
Ecco ora il fatidico 1859.
Alla notizia che in Piemonte si erano aperti
arruolamenti di volontari, diversi Varesini aiutati da un Comitato clandestino
che forniva viveri, vestiti e denari, varcarono confine e raggiunsero Torino.
Alcuni si arruolarono nell’esercito piemontese, altri nei cacciatori delle Alpi
affidati al generale Garibaldi.
La voce che il Generale con la sua Legione,
s’apprestava a raggiungere il Lago Maggiore, giunsero presto a Varese e vi
porta grande euforia.
Quando si seppe che arditamente aveva occupato Sesto
Calende, Varese insorse.
Alla notizia che Garibaldi, lasciato Sesto, stava
per raggiungere la città, molti cittadini, formarono corteo, malgrado un forte
acquazzone, illuminando la strada con torce perché era scesa la notte gli
mossero incontro. Furono giorni d’intensa gioia; Varese visse la sua più grande
pagina storica. Si strinse compatta attorno al Condottiero da essere poi
chiamata la città garibaldina.
Il 26 maggio, sul finire del mattino, ecco
affacciarsi alle porte della città, proveniente da Como, il Feldmaresciallo
austriaco Urban con una divisione di soldati. Vuole battere Garibaldi e punire
Varese.
I Cacciatori delle Alpi lo attendono sulla via
comasca alle porte di Biumo Inferiore.
Scontro breve: gli Austriaci assaliti violentemente
dai Cacciatori delle Alpi s ritirano precipitosamente.
Varese subì il fio del suo entusiasmo quando Urban
la rioccupò pochi giorni dopo essendo ritornato sui suoi passi con ben quattro
divisioni.
Le fu imposta una taglia di cinque milioni di lire e
poiché era nell’impossibilità di poterla pagare per la fuga degli abitanti,
subì due bombardamenti che per fortuna fecero più fracasso che danno. Più gravi
le conseguenze di un parziale saccheggio compiuto dai soldati. Ancora si vedono
sul campanile della città i segni dei colpi sparati dai cannoni posti sulle
pendici di Giubiano e di Bosto. La partecipazione alla campagna dell’Italia
meridionale, seguita l’anno dopo, fu notevole: cinque Varesini partirono
volontari con i Milla, 160 nelle spedizioni successive.
Leopoldo
Giampaolo
(Estratto da: Varese sintesi storica 1977).
[1] Cfr. R. Barbiera, Carlo
Porta e la sua Milano, Firenze, 1921.
[2] U. Foscolo, Ultime lettere
di Iacopo Ortis, Capolago, Tipografia Elvetica, in -16 di pagg. 260. Cfr. R.
Caddeo, le edizioni di Capolago, Milano 1934.
[3] Pubblicata da C. Cantù in:
Prallelipomeni di U. Foscolo, in “Archivio storico lombardo”, III, 95.
[4] Cfr. L. Gianpaolo, Le
elezioni politiche di Varese fino alla prima guerra mondiale.
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