domenica 20 ottobre 2013

Donato Bossi

DONATO BOSSI

Giovanni Bossi (1428-1492)
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     |--- Donato Bossi   A
     |     n. a Milano 5.3.1436      
     |     Notaio nel 1456. Le sue abbreviature rogate dal 1457 al 1501 sono presso A.S.Mi.
     |     Nel 1474 è detto abitante a Milano in Porta Cumana nella Parrocchia di S. Protaso
     |    ai Monaci.
     |     E’ detto Decurione[1].
     |     L'Indice Lombardi presso A.S.Mi. registra un rogito del notaio Gerolamo Corio q.
     |     Damiano riguardante una sua rinuncia d'investitura e liberazione verso Stefano
     |     Archinti, avvenuta in Milano il 28.12.1503 sotto il n. 817.
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     |       |--- Francesco Bossi
     |             L'Indice Lombardi presso A.S.Mi. registra un rogito del notaio Gio. Ambrogio
     |             Croce q. Tommaso riguardante una sua investitura livellaria verso Antonio
     |             Carcani q. Francesco, avvenuta in Milano il 19.10.1509 sotto il n. 7215.
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     |                 |--- Stefano Bossi
     |                       Le sue abbreviature rogate in Legnano dal 1536 al 1552 sono presso
     |                       A.S.Mi.
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     |--- Francesco Bossi
     |      Il 21 aprile 1488 investe a livello alcuni beni ai fratelli Caterino, Bertolo e Vaneto
     |      Claravalle fq. Cristoforo abitanti in Casorate pieve di Somma[2].
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     |--- Matteo Bossi
     |     Da non confondersi con il canonico Matteo Bossi che qualche anno dopo l'edizione
     |     della "Chronica bossiana" si congratulò con il Bossi per le sue "adnotationes nostri
     |     temporis eventusque bellorum" che aveva avuto modo di leggere poco prima.
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     |--- Luigi Bossi
          1483: Aloisius filius Jo. de anno 1483. Morto nel 1482
          Senatore[3].

 

A


BOSSI DONATO[4] - Nacque a Milano da Giovanni, nobile milanese, il 5 marzo 1436.
Proveniva da un'antica famiglia alla quale egli nella sua cronaca attribuiva origini assai prestigiose, facendone risalire l'insegna niente meno che al bianco bue della leggenda di Iside, come fu narrata da Diodoro Siculo e da Plinio, e al re Berengario il capostipite. Studiò legge e nel 1456 divenne notaio: nell'Archivio di Stato di Milano si conserva il protocollo degli atti da lui rogati che vanno dal 24 gennaio 1475 al 17 dicembre 1501. Ebbe interessi e ambizioni culturali che lo portarono allo studio della storia e alla compilazione, in circa quindici anni, di una cronaca. A lui e ad altri cronisti, come il Corio, il Calco e il Merula, Ludovico il Moro, impegnato in uno sforzo di generale rinnovamento culturale e degli studi storici in particolare, concesse uno stipendio per favorire la compilazione delle loro cronache; secondo quanto scrive il Magenta, fu loro concesso di consultare anche i documenti della Cancelleria.
Il 27 luglio 1490 il Bossi ottenne una lettera ducale che gli permetteva la stampa della sua opera
e il 16 febbraio 1492 un privilegio di stampa della durata di dieci anni. La "Chronica bossiana"
fu pubblicata a Milano il 15 marzo 1492 da Antonio Zarotto, editore parmense, a spese del Bossi, e
non ebbe altre ristampe. Sotto la dominazione francese, nel 1502, il Bossi partecipò con altri
giuristi alla revisione della seconda parte degli "Statuta iurisditionum et extraordinariorum
 reformata a Ludovico rege Francorum", stampati nello stesso anno da Alessandro Minunziano.
Di lui non si hanno più notizie dopo questa data. La fama del Bossi resta legata alla cronaca latina, dedicata a Gian Galeazzo Sforza: Donati Bossi causidici et civis Mediolanensis,  gestorum dictorumque memorabilium et temporum ac conditionum et mitationum  humanorum, ab orbis initio usque ad eius tempora, liber, Mediolani 1492. E' preceduta da una Genealogia Vicecomitum Principum Mediolani, libera da tentazioni adulatorie nei confronti della famiglia Visconti; la loro origine non è ricondotta, come di solito, ai Troiani o ai re longobardi, ma a  Uberto, padre di Ottone, arcivescovo di Milano. L'opera si conclude con un elenco, corredato dalle date di insediamento e di morte, di tutti i vescovi e arcivescovi milanesi, non privo di inesattezze cronologiche. L'impianto della cronaca vera e propria resta ancora tipicamente medievale, anche se non nasconde ambizioni più vaste.
Il Bossi prende le mosse dalla creazione del mondo per giungere fino all'anno 1492: per la parte contemporanea l'opera ha tutti i pregi della testimonianza diretta, anche se non eccelle certo per acutezza di riflessioni. Per l'età anteriore egli accetta le fonti senza alcun discernimento critico. Tipica l'adozione della datazione, dalla creazione del mondo alla nascita di Cristo, della cronaca di Eusebio di Cesarea che partiva dalla nascita di Abramo. Vi si intrecciano continuamente elementi di storia biblica e di mitologia classica, attinti da Macrobio, Diodoro Siculo, Plinio e dagli apologisti cristiani. Dalle invasioni barbariche la narrazione e la cronologia diventano meno incerte e confuse e si concentrano sulla storia di Milano, sulle lotte con i comuni vicini, sulla sua espansione comunale e sulla nascente amministrazione. Particolare attenzione è rivolta alla storia dell'ascesa e delle lotte delle famiglie dei Visconti e degli Sforza, con il ricorso indubbio a documenti d'archivio: "Hec omnia publicis instrumentis testata sunt" egli ebbe ad annotare. La scarsa attendibilità, per l'epoca più antica, spiega forse la mancanza di ristampe, ma non toglie valore alla parte dedicata alla storia più recente, per la quale riesce ancora di una certa utilità.
Il canonico Matteo Bossi, da molti confuso con l'altro Matteo fratello di Donato, qualche anno dopo l'edizione della cronaca, si congratulò con il Bossi per le sue "adnotationes nostri temporis eventusque bellorum" che aveva avuto modo di leggere poco prima. Indubbiamente si riferiva alla cronaca latina della quale apprezzava appunto la parte contemporanea. Nella sua lettera l'umanista veronese accennava anche a un altro scritto del Bossi "In laude Francisci  Sfortiae", non ancora dato alle stampe. Si tratta di un'operetta latina, intitolata “Vita Francisci Sfortiae” e pubblicata a Milano da Leonardo Pachel nel 1495, di cui esiste un esemplare nella Biblioteca Trivulziana.
L'operetta, encomiastica, dedicata alla memoria di Francesco Sforza, riprende alcune pagine dalla cronaca, ma il suo fine è scopertamente adulatorio e cortigiano. La figura dello Sforza viene tratteggiata, secondo gli schemi tradizionali, come quella del principe giusto, clemente e liberale, valoroso nella armi, amante delle lettere, restauratore della libertà dello Stato, protettore dei poveri, degli orfani e delle vedove.




DONATO BOSSI[5]

Se abbiamo riguardo al titolo ch’ei pose in fronte alla sua opera, Donato Bossi, nobile milanese, avrebbe dovuto aver luogo tra gli scrittori di cronache. Ma egli benché si prefigga di darci una Cronaca generale, si vede però, che prende di mira singolarmente la storia della sua patria, e questo perciò ci è sembrato il luogo più acconcio a parlarne. Ci ha lasciata egli stesso memoria dell’anno e del giorno in cui nacque, cioè ai 5 di marzo 1436. Si esercitò, come egli stesso racconta nell’esordio alla sua Cronaca, nel trattare le cause del foro, e nell’ore che questo impiego gli lasciava di riposo, nello spazio di 15 anni scrisse la sua Cronaca dalla creazione del mondo fino al 1492 in uno stile semplice, come le altre opere di tale natura, benché alquanto meno incolto, e lodato perciò da Matteo Bosso con una sua lettera prodotta ancora dall’Argelati[6]. Egli ancora ha le sue favole, ove tratta di cose antiche. La genealogia però dei Visconti è presso questo scrittore assai più esatta che non presso altri; e, generalmente parlando, ci si mostra uomo non privo di critica e di buon senso.
Alla Cronaca ha aggiunta la serie degli arcivescovi di Milano fino al 1489, la quale però riguardo ai tempi più antichi non è molto esatta. Quest’opera fu fata alla luce nel 1493, e dopo questa prima edizione niun’altra se n’è più fatta, benché ella pur fosse degna assai più di molte altre di uscir di nuovo in pubblico. Nulla sappiamo della particolari circostanze della vita da lui condotta, ed è incerto ancora in qual anno ei morisse.

 

 

 

VIA DONATO BOSSO[7]


Da Via degli Olivetani a Via T. Calco. Parrocchia 182. C.A.P. 20123 (Zona 1, Centro Storico).
Notaio e storico milanese (Milano, 1436? - 1511), fu autore di una cronistoria dagli inizi del mondo ai suoi tempi. Dopo lunghe ricerche, compilò in un arco di tre lustri, una cronaca in latino dei fatti storici registrati dal principio del mondo fino al 1492, "Gestorum dictorumque memorabilium ab orbis initio usque ad eius tempora liber". Scrisse pure "De episcopis et archiepiscopis Mediolani usque ad annum 1489".
Toponimo assegnato il 17 ottobre 1876 a una nuova strada aperta sull'area degli orti di S. Vittore.




Lo scrittore milanese del XV secolo Donato Bossi nella sua opera “Chronica bossiana” (1492) attribuì alla sua famiglia origini assai prestigiose (indicò re Berengario[8] come suo capostipite), facendone risalire l’insegna del bue bianco niente meno alla leggenda di Iside, come fu narrata da Diodoro Siculo[9] e da Plinio.
Il Crescenzi, nel suo “Anfiteatro romano”, ritiene che la città di Milano possa considerare un grande onore quello di aver fatto da degna sede di una famiglia di tanto merito come quella dei Bossi. Le sue origini, sempre a detta dello stesso scrittore, si possono addirittura far risalire all’epoca romana e Donato Bossi, lo storico di famiglia per eccellenza, “concettizzando su l’arma della sua casata, che è un bue, accennò che ella discendesse da Iside figlia di Inaco re di Tessaglia, e moglie di Osiride re dell’Egitto violata da Giove re di Creta; la quale ( o come fingono i poeti, ricevè Giove tramutato in un toro, o sopra un bucintoro, che era una nave che aveva per insegna un bue onde la favola ebbe principio) dal suo regno fece vela. E perciò dicono che il primo, da cui fosse un bue bianco sacrificato a Giove, si domandò Cecrope re di Atene. Da costui presa per insegna l’immagine del bue, passò poi nei re della Bosnia, e la usarono i Berengari, e i Bosoni, che furono re d’Italia”.
Un alone dunque di mitologia fasciava l'origine della famiglia e sull'immagine del bue, che nello stemma può essere rappresentato passante o rampante, secondo i rami, gli scrittori favoleggiavano che esso fosse dedicato alla Musa di Pitagora, mentre Giove talora si camuffava sotto le sembianze dello stesso animale; altri invece ritenevano che Teseo avesse coniato, con la figura del bue, le monete cosiddette perché ammonivano con l'immagine della bestia, la quale presso gli antichi era simbolo di provvidenza e consiglio, qualità che facevano da degno corollario alla famiglia presa in considerazione.
L'antichità delle origini dei Bossi sembrerebbe pure dimostrata, secondo i loro apologisti, da un'iscrizione ritrovata su una lastra di bronzo, nel 1599, nella zona di Ancona, che incomincia:


     IMP. CAESAR DIVI VESPASIANI F. DOMINIATIUS AUGUSTUS
e finisce:
  T. BOVIO VERO. P. BOVIO SABINO

Ad essa fa degna compagnia un'altra iscrizione trovata a Napoli, che suona così:

  L. BOVIUS L.F.L. N. PAL. CELER. II UTR.
AUGUR. PRAEF. FAB. TRIB. MIL. LEG. III CUR.
PROCUR. LUDI? FAMIL. GLAD. CAESARIS.
ALEXANDREAE AD AEGYPTUS ADLECTUS
INTER SELCTOS AD IMP. CAES. AUG.

E dalla quale si deduce che Lucio Bovio ebbe diversi incarichi sotto Cesare Augusto e fu tribuno militare della terza legione.
Sgombrato il terreno da possibili deviazioni fantastiche, il Moriggia nella sua "Historia dell'antichità di Milano" pagg. 437-75, afferma la parentela della sua casata con quella dei Bossi, ribadisce la tesi già avanzata da Pietro Bocalini nella sua "Storia d'Italia", secondo la quale i Bossi incominciarono ad abitare in Milano, con i Trivulzi, 134 anni prima della venuta di Cristo[10].





L’Europa nacque a cavallo di un toro. Viaggio nei secoli alla ricerca del mito[11].

Una donna monta un toro, con una mano si tiene alle corna, con l’altra ne accarezza la testa. L’animale attraversa il mare Egeo e nella sua folle corsa porta con sé la fanciulla, inconsapevole oggetto del desiderio. Il suo nome? Europa, figlia di un re fenicio, amata – come narra il mito – da Zeus che, per rapirla, assume forma taurina.
Esistono raffigurazioni del Ratto a partire dal IV secolo a.C., come testimoniato anche nell’ampia rassegna fiorentina che raccoglie più di 130 opere dedicate al mito greco: terrecotte, affreschi dell’antichità, manoscritti medioevali, bronzi, cofanetti, incisioni e soprattutto olii rinascimentali e barocchi, pitture e sculture dei secoli successivi, fino ai recentissimi lavori di Beuys, Parmigiani, Topor e Kiefer.
Insomma, una galleria completa di immagini che ruotano tutte intorno all’incredibile storia di una ragazza e di un toro: un soggetto visto e rappresentato in mille modi, Innumerevoli le varianti e le posizioni.
Dalla ieratica fissità degli antichi bassorilievi si passa alle ardite prospettive del Tintoretto; dalla visione notturna e pastorale del Bassano alle celebrazioni nobiliari del Veronese. Drammatico lo sguardo che Rubens presta alla fanciulla. Pomposa e irreale, invece, la lettura di Antonio Carracci e di Francesco Albani. Melodrammatico, secondo il suo stile, Reni dipinge un volto languido e un animale assorto, quasi incantato. Con il procedere degli anni, il racconto si fa più ampio: al posto dei protagonisti del ratto, campeggiano scene di compianto delle amiche dell’eroina e putti o amorini che accompagnano la cavalcata dell’animale, diventata ormai una processione.
Si arriva, così, all’elegante eloquenza neoclassica per passare, poi, ai brillanti colori del Ratto di Europea  visto da Moreau. Chiude la rassegna un’immagine sintetica di Topor: la donna e l’animale fusi insieme. Al posto delle corna, la testa del toro ha delle gambe femminili rovesciate in aria.
Da che cosa viene tanta insistenza si questa storia a lieto fine (Europa avrà tre figli da Zeus, sposata con  Asterio, regnerà su Creta)? La mitologia, si sa, è sempre stata un ottimo cavallo di battaglia per arte e letteratura. In più, qui, si individuano due grandi temi. Il primo è geografico: la bestia, fuggendo da Oriente a Occidente (dalla Fenicia a Creta), sembra assegnare origini orientali alla nascita d’Europa. Insomma la preistoria greca affonderebbe le proprie radici a Sidone, patria della donna rapita.
Il secondo suggerisce l’idea di una vicinanza pericolosa: che cosa fa, infatti, una giovane donna e indifesa in groppa a un animale tanto violento e “maschio”? Quale legame, agli albori della storia, unisce, umanità e animalità?
Certo, sembra di sentire ancora vivo, nel mito, l’eco degli antichi riti totemici, legati alla caccia, al sacrificio degli animali e al divieto di promiscuità sessuale fra specie diverse. Ma quello che si impone, soprattutto, è l’evidenza figurativa dei corpi che si mischiano: pallide carni e membra pelose.
Sono le Metamorfosi che si riportano in una zona fluida: dal regno animale si passa a quello vegetale e minerale. Uno spunto, questo, attualissimo, trasferito da molti artisti contemporanei sull’uomo d’oggi[12].
                                                    

 
Roma. Galleria Colonna. Ratto di Europa di Francesco Albani (1630).
                  
                                             



La Biblioteca Negri da Oleggio dell'Università Cattolica[13]
Il vasto patrimonio librario della biblioteca dell'Università Cattolica di Milano si arricchì ulteriormente nella primavera del 1974 grazie al trasferimento del fondo Negri da Oleggio tra le mura dell'Ateneo. La raccolta era stata donata nel 1968 dal Conte Vincenzo Negri da Oleggio (1887-1976) all'Istituto Toniolo di Studi Superiori, ma venne affidata, e lo è tuttora, all'amministrazione della biblioteca centrale dell'Università. Dal marzo 1974 i volumi e l'arredamento appartenuti al Conte sono dunque ospitati nella sala monumentale che prese il nome del donatore, l'aula Negri da Oleggio. Poiché la collezione rispecchia gli interessi che il possessore nutriva nel campo della storia milanese, e comprende un buon numero di esemplari di pregio fra manoscritti e opere prodotte nei primi due secoli della stampa, con la sua acquisizione non solo si ampliava il fondo antico dell'Università, ma crescevano le possibilità di accedere a fonti storiche in alcuni casi addirittura sconosciute, perciò di grande utilità per nuovi studi riguardanti la storia di Milano. Il Fondo conta una trentina di manoscritti, tra i quali spicca la "matildina", un diploma originale datato 9 gennaio 1106 recante la sottoscrizione autografa di Matilde di Canossa; ad essi si devono aggiungere, restando agli esemplari più antichi, oltre duecento opere a stampa. Troviamo infatti un incunabolo del 1492 con la Chronica Bossiana, 53 cinquecentine, alcune delle quali piuttosto rare, e 161 opere del Seicento.
(…) “Nell'impossibilità di passare in rassegna tutti i cimeli esposti, si segnala, nella sezione dedicata all'invenzione della stampa a caratteri mobili, l'unico incunabolo della Biblioteca Negri da Oleggio: il prezioso esemplare della Chronica Bossiana stampata a Milano da Antonio Zarotto nel 1492”.




Abbiamo un buon numero di scrittori della storia e della erudizione patria; eppure pochi sono i Milanesi, anche scegliendo gli uomini colti, i quali abbiano un'idea della storia del loro paese. Questa generale oscurità ci dispiace, e talvolta ancor ci pregiudica; ma gli ostacoli che dovremo superare per acquistare la notizia, sono tanti e sì difficili, che, affrontati appena, ci sgomentano; e, trattine alcuni pochi eruditi per mestiere, i quali si appiattano a vivere fra i codici e le pergamene, non vi è chi ardisca di vincerli. Il Calchi[14], l'Alciati[15], il Corio[16] han qualche nome. Sono preziosi monumenti de' secoli barbari gli scritti di Arnolfo, dei due Landolfi, di sire Raul, di Bonvicino da Ripa, del Fiamma, di Giovanni da Cermenate, di Bonincontro Morigia e di Pietro Azario. Abbiamo le Memorie di Andrea Biglia, di Giovanni Simonetta, di Donato Bossi, del Merula, del Bugatti, di Bonaventura Castiglioni, di Gianantonio Castiglioni, del Puricelli, del Bescapè, del Ripamonti, di Francesco Castelli, del Benaglia, di Paolo Morigia, del Besozzi, del conte Gualdo Priorato, del Somaglia, del Torri, del Besta, di Andrea de Prato e di altri, i quali, o hanno scritta la storia dell'età loro in Milano, ovvero hanno illustrato il sistema politico del nostro governo, o in altro modo hanno lasciato memorie dello stato della città al loro tempo[17].


                                               

Del 6 giugno 1498 è una lettera del duca di Milano, diretta alle autorità di Pavia, che autorizzava alla consultazione dei libri e documenti ivi conservati non solo lui, ma anche lo storico contemporaneo Bernardino Corio, il quale aveva avuto l'incarico ufficiale di redigere una storia di Milano già dal 1485. L'opera del Corio, che, persino con l'adozione del volgare, scelse di rivolgersi ad un pubblico non esigente che gustava la ricerca dell'effetto e che si contentava della trasposizione in blocco nell'opera dei lavori degli storici precedenti, si differenzia nettamente proprio per queste sue precipue caratteristiche da quella del Calco. Quest'ultima si distacca totalmente anche dalla narrazione, ancora tutta cronachistica, di Donato Bossi, altro storico ufficiale, il cui nome compare accanto a quello del Calchi in una lista di pagamenti dell'università di Pavia del 1498.



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Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli


Roma, 18 gennaio 1514
Spettabili viro Nicholò Machiavelli.
In Firenze
Compare carissimo. Io lodai sempre lo ingegno vostro e approvai il iudicio et nelle pichole chose et nelle grande; ma il discorso che mi fate per questa ultima lettera sopra Filippo et il Branchaccio m'è in pochi giorni riuscito in facto, perché chome voi m'havete conosciuto, io credo più a altri che a me medesimo, e sempre voglo prima contentare ogni altro che me. E per questo, mosso dalle persuasioni mi facevono, chome vi scripsi per l'altra lettera, mi disposi a credere loro e feci intendere in buon modo a ser Sano che quando Jacopo Gianfiglazi mi scrivessi più choxa alchuna manderei per lui, et che non durassi faticha a venirmi a trovare; in modo che lui, che è in queste cose astuto assai, chonobbe molto bene quello volevo dire. Chosì ordinai a dua femmine che ci solevono venire spesso che non venissino se non le facevo chiamare, perché c'era venuto un mio parente, al quale portavo reverentia né volevo le vedessi.
Stetti in questo modo circa octo giorni che qui non capitava se non qualche uno per sua faccende et uno Donato Bossi, che fa professione di grammatico, con un viso austero et strano; et mai parla d'altro, se non donde è decto un vocabolo e donde si forma un nome et se il verbo s'ha a mettere in principio della clausula o in fine, e di simil' chose di pocho momento et che danno fastidio assai a chi le ode: e io non facevo altro che domandarlo di queste favole, ad ciò havessi causa parlarne più liberamente; e anchora che tal vita mi rincrescessi, la sopportavo il meglo potevo, perché Filippo e Giuliano s'achorgessino dell'errore loro. La qual choxa intervenne presto, ché una sera, standoci al fuoco, Giuliano chominciò a dire che io doverrei invitare una certa vicina ho qui et che il non la chiamare una sera a cena dimonstrava salvaticheza, la quale da molti è interpretata in mala parte, et li huomini che stanno tanto in sul tirato sono tenuti strani et salvatichi.

Incunabuli: La Chronica Bossiana, edita a Milano nel 1492, è pervenuta all'Università Cattolica del Sacro Cuore nel 1974 attraverso la donazione del conte Vincenzo Negri da Oleggio, studioso e bibliofilo lombardo (1887-1976). Si tratta di un incunabulo di grande rarità e pregevolezza, molto marginoso e in ottimo stato di conservazione. E' costituito da 168 carte non numerate, in carattere tondo e con una carta genealogica dei Visconti stampata in rosso. Un ex libris ne attesta la provenienza dalla biblioteca di John Dunn, bibliofilo inglese. La legatura è in pelle restaurata in tempi recenti recuperando i piatti del secolo XVI; i tagli sono dorati e lavorati a cesello. Si tratta di una cronaca del mondo dalle origini al 1492 (il volume è stato impresso solo qualche mese prima della 'Scoperta dell'America'), e costituisce un'importante fonte per la storia di Milano. Nel testo abbondano anche notizie su prodigi e scoperte (ad esempio, al recto della carta 8 si legge, a proposito dell'anno 1457: «Hic anno salutifera doctrinarum omnium imprimendorum librorum ars auctore Ioanne Gutemberg Germano reperta est». L'opera è stata scritta su richiesta di Ludovico Sforza. L'autore è Donato Bossi, notaio di professione, nato a Milano da nobile famiglia nel 1436. Non se ne conosce con precisione la data di morte.




La sala monumentale dell’Università Cattolica a Milano nasconde un piccolo tesoro. E’ un tesoro soprattutto per tutti coloro che sono appassionati della storia e della cultura lombarda e in modo particolare milanese. Un tesoro poco conosciuto che meriterebbe ben altra valorizzazione ed interesse. Si tratta del Fondo negri da Oleggio, una raccolta di circa 5500 opere per un totale di 7500 volumi che comprendono opere riguardanti praticamente tutti gli aspetti della vita lombarda soprattutto tra il Cinquecento e l’Ottocento. La raccolta era stata donata nel 1968 dal conte Vincenzo Negri da Oleggio all’Istituto Toniolo di Studi Superiori per essere poi affidata all’Università Cattolica di Milano nel marzo 1974. Da allora la raccolta è ospitata nella sala monumentale che prese il nome del donatore, l’aula Negri da Oleggio. Il  fondo come detto è estremamente vasto e rispecchia gli interessi che il possessore nutriva nel campo della storia milanese e comprende opere di storia politica, di storia ecclesiastica, di storia letteraria ma anche araldica e numismatica. E poi grida, diverse edizioni del Ripamonti e di classici della storiografia lombarda. Il Fondo conta una trentina di manoscritti, tra i quali spicca la “matildina”, un diploma originale datato 9 gennaio 1106 recante la sottoscrizione autografa di Matilde di Canossa che contiene una sentenza per il Monastero di S. Salvatore di Pavia riguardante una controversia fra la corte di Melara (Rovigo) e il castello di revere (Mantova). E poi troviamo un incunabolo del 1492 contenente l’opera di Donato Bossi, la “Chronica Bossiana, 53 cinquecentine, tra cui le “Epistolae et Commentari” di Jacopo Piccolomini, 161 opere del Seicento e poi ancora preziose edizioni del Settecento e dell’Ottocento.
E’ evidente l’importanza che questo fondo riveste per tutti coloro che si vogliono avvicinare alla storia milanese sia solo per curiosità sia ancor di più per motivi di studio.
Un Fondo ancora in divenire in parte ancora da studiare e da approfondire. La parte più studiata e catalogata riguarda le opere del Seicento che rispecchiano in modo particolare la specializzazione nell’ambito della storia di Milano e riportano alla luce la produzione libraria di un secolo rimasto in parte in ombra. 48 erano le tipografie cittadine dove si pubblicavano molte stampe e opere religiose, cronache, biografie, testi legali, commedie, statuti e regolamenti oltre ai primi trattati scientifici. Come si può ben vedere il Fondo rappresenta uno spaccato estremamente rappresentativo della cultura di quei secoli. Una nota particolare riguarda i libri che trattano più propriamente di storia, il vero fulcro della collezione. E’ giusto almeno nominare i “Rerum patriae libri IIII” di Andrea Alciati e le “Historiae patriae” di Giuseppe Ripamonti oltre ad almeno quattro testi riguardanti le epidemie di peste che colpirono Milano nel sedicesimo e nel diciassettesimo secolo, del quale si servì più tardi anche Manzoni per la descrizione della peste nei suoi “I promessi sposi”.
La collezione rappresenta davvero un patrimonio di fonti storiche importanti, in parte ancora poco conosciute e inesplorate, rappresentando così un’invitante punto di partenza per nuovi studi e ricerche per tutti coloro che amano la cultura e la storia milanese.

Donato Bossi così parla di Beatrice Casati nella sua Cronaca: “Allì 16 di marzo dell’anno 1490 circa a ore 13. Beatrice Casati, femmina di nobiltà antica, che fu moglie del conte Franchino Rusca, morì a Milano e fu seppellita nella Chiesa di S. Angelo dei Frati Minori, nella cappella che vi fece fabbricare il conte Giovanni, piissimo di lei figlio.
Muore la beata Beatrice Casati Rusca, terziaria francescana e vedova di Franchino Rusca. Viene sepolta nella cappella di S. Antonio in S. Angelo di Milano. L'urna marmorea fatta scolpire dalla figlia al Bambaja nel 1499, con la demolizione della chiesa è stata trasportata nel nuovo S. Angelo.

(V. Forcella).



[1] Dalla “Pro generica” della comparizione di D. Antonio Bossi del 1° luglio 1743 - Biblioteca Trivulziana.
[2] Vedi documento n. 947.
[3] Vittorio Spetri.
[4] Estratto da: Dizionario biografico degli italiani.
[5] Estratto da: Storia della lettura italiana.
[6] Bibl. Script. Mediol. pag. 342.
[7] Estratto da: Le strade di Milano, Newton Periodici, Roma, 1991.
[8]  Berengario I: (morto nel 924), re d’Italia (888-924). Figlio di Eberardo, duca del Friuli, gli succedette nell’872. Incoronato re d’Italia a Pavia nell’888, venne sconfitto sul Trebbia e deposto da Guido di Spoleto (889). Nell’899 riprese il  potere e nel 915 fu eletto imperatore. Rodolfo II re di Borgogna nel 923 lo sconfisse, costringendolo a ritirarsi a Verona, dove morì.
Berengario II: (morto a Bamberga nel 966), re d’Italia (950-960). Nipote di Berengario I. Fu nemico di Ugo di Provenza re d’Italia e di suo figlio Lotario, cui riuscì a succedere.  Non poté però opporsi alle pretese di ottone I, che nel 951 lo ridusse a suo vassallo e dopo un tentativo di ribellione lo sconfisse definitivamente e (963) lo imprigionò sino alla morte.
[9]  Diodoro Siculo: storico greco (Agirrio, Sicilia, circa 90 – circa 20 a.C.), fu autore di una storia universale in 40 libri (Biblioteca storica), dei quali ci è pervenuta solo una parte, dall’età mitica sino al 60 a.C., comprendente la storia degli egizi, assiri, babilonesi, medi e indiani.
[10] Estratto da: EGIDIO GIANAZZA, Profilo storico di Gazzada Schianno, Comune di Gazzada Schianno, 1993.
[11] Firenze: agli Uffizi 130 opere dal 550 avanti Cristo a oggi.
[12] Di Ermanno Krumm, Corriere della Sera del 9 settembre 2002.
[13] Di Simona Luparia.

[14] Tristano Calco (Milano, 1455? – ...) è stato uno storico italiano, discendente di una nobile famiglia del Comasco, presente a Milano dal 1350. Fu a capo dapprima della Biblioteca Ducale di Pavia e in seguito di quella di Milano dove si occupò degli archivi segreti sforzeschi. La sua opera più nota è il Mediolanensis historiæ libri XX. Altre opere: De Magistratibus Mediolanensibus, Nuptiae Mediolanensium Ducum, Nuptiae Mediolanensium et Estensium principum, Nuptiae Augustae.
[15] Giovanni Andrea Alciato o Alciati (Milano, 8 maggio 1492Pavia, 12 gennaio 1550) è stato un giurista e insegnante italiano, nato nel Ducato di Milano.
[16] Bernardino Corio (Milano, 8 marzo 1459Milano, 1519) è stato uno storico italiano.
[17] Estratto dalla Storia di Milano di Pietro Verri.

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