di Gustavo Frizzoni.
Di un’opera pregevole da collocare nel novero degli
splendidi prodotti della pittura veneta ci è grato dare ragguaglio in questo
luogo, come di altro fra i tesori artistici onde può andare superba la
provincia di Como. Il considerarla appartenente alla scuola veneta non vorrà
esserci impugnato da alcuno quando sia ammesso che la scuola cui un artista va
ascritto non si desume tanto dal luogo di sua nascita, quanto dagli esempi ai
quali attinse e ch’egli in massima seguì nella pratica del suo magistero.
La pala di Callisto Piazza nella Parrocchiale di Azzate
infatti ci offre chiaramente impresse le note caratteristiche di quella scuola
di focosi coloristi che fiorì in Brescia nella prima metà del decimo sesto
secolo sotto gli auspici della veneta repubblica.
Ma prima di anticipare ogni altro apprezzamento dobbiamo
osservare che il paese di Azzate, comune situato in Val di Bodio, è a sinistra
della linea ferroviaria che mette da Gallarate a Varese, a due chilometri circa
dalla stazione di Gazzada.
La riguardevole pala d’altare della parrocchiale, larga ben
oltre due metri ed alta quasi quattro, venne commessa grazie alla munificenza
del senatore Egidio Bossi (appartenete ad una diramazione dell’antica famiglia
patrizia dei Bossi di Milano e signora di tutta la Val di Bodio)[1]
risultando cioè irrefragabilmente dalla iscrizione dedicatoria appostavi
superiormente. “Aegidii Bossii Senatori
Munus”.
Il tenore della medesima ci venne gentilmente comunicato dal
parroco di Azzate poiché oggidì più non si vede, trovandosi il quadro
presentemente ricoverato senza cornice in una stanza parrocchiale mentre
vennero praticati dei restauri nella chiesa[2], dove
giova sperare abbia a ritrovare quando che non sia un posto degno di tanta
opera.
Rappresenta la medesima nel mezzo la Beata
Vergine seduta con divin Putto sulle ginocchia in atto di
celebrare le mistiche nozze con S. Caterina che se ne sta ritta accanto a lui
(presa di tre quarti), ricevendone l’anello.
Dal lato opposto, cioè da destra si presenta del pari ritto
in piedi S. Gerolamo che si batte il petto in segno di penitenza.
Sotto la S. Caterina poi vedesi
genuflesso di profilo a figura intera, vestito di larga zimarra nera foderata
di pelliccia, il devoto Egidio Bossi.
In alto due angioletti reggono una cortina dietro il seggio
della Vergine. Il fondo infine è costituito da architettura e da paesaggio,
pittoricamente concepiti.
Né trascurò l’autore di apporvi il proprio nome leggibile
sopra un fusto di colonna spezzata a piede del S. Gerolamo l’iscrizione: “Calistus faciebat 1542” .
Il dipinto eseguito su tela è, come si disse, di un mirabile
splendore. L’effetto delle carni vi spicca per certa straordinaria lucentezza
di colorito ch’è tutta sua e del suo vero maestro Gerolamo Romanino.
Nella giovanile S. Caterina si ravvisa il solito suo tipo di
sante dalle fattezze regolari e corrette.
Ma la figura più magistralmente dipinta nel quadro di Azzate
è quella del vecchio S. Gerolamo il cui aspetto venerando ed ascetico gli
conferisce tutto ciò che si può immaginare di più confacente agli intendimenti
pittorici dell’artista.
Il dipinto nel suo complesso si può dire abbastanza ben conservato,
benché del restauro operatovi circa una ventina d’anni or sono[3]
veggansi delle tracce, massime nella figura di S. Caterina, che non sono del
tutto irreprensibili.
In che relazione avessero poi a trovarsi con la pala due
mezze figure di Apostoli dipinte dal medesimo su legno, di limitate dimensioni,
ora staccate, non saprei giudicarlo. Certo è peccato ch’esse siano state
eccessivamente ritoccate dal restauratore, sicché il loro originario aspetto
appare come velato da mano estranea.
Tornando al dipinto principale dobbiamo dire che ciò che gli
dà un prestigio speciale ed un interesse storico monumentale è la presenza
dell’immagine del committente, dall’aspetto altamente grave e dignitoso. Per
quanto grande ed attraente si voglia il valore di un’opera d’arte in sé stessa,
è certo che ogni particolare storico che vi si riferisce giova ad aggiungere
maggiore rilievo all’interesse ch’essa per avventura suscita in noi. Nel caso
nostro sorge spontaneo il desiderio di trovare qualche ragguaglio intorno al devoto
senatore da illustrare l’effigie tramandataci dall’ingegnoso pittore.
Questi infatti non mancano: e noi professiamo qui la nostra
riconoscenza a chi volle liberamente darcene indicazione, vale a dire al
dottissimo cav. Federico Odorici, il continuatore dell’ingente impresa del
Litta intorno alle “Celebri famiglie italiane”. Egli sta preparando per le
stampe la storia genealogica della famiglia Bossi.
Nella tavola che si riferisce ai conti Bossi di Azzate fa
menzione del nostro Egidio mercè le notizie fornite da parecchi scrittori, in
ispecie dal Mazzuchelli nella storia intitolata “Gli scrittori d’Italia”[4].
(…) Di certo il Nessi s’inganna se crede di ravvisare nel
ritratto di Azzate del celebre bergamasco Gio. Battista Moroni, che sarebbe
quasi un innesto sopra una pittura del Piazza.
Anzitutto è più che probabile che fra i due pittori non
abbia esistito alcun rapporto, dovendosi ammettere una notevole differenza di
età fra l’uno e l’altro cioè ritenere il Moroni di un quarto di secolo circa
più giovane di Callisto; di più è ad ogni modo incontrovertibile essere la
figura del devoto nel noto dipinto eseguita dalla stessa mano che fece tutto il
resto, Infine giova notare che mentre nel 1542, data del quadro, il Piazza si
trovava da circa venti anni inoltrato nella pratica dell’arte, non ve ne è
alcuna del Moroni che accenna ad epoca per lui così precoce.
Del pittore lodigiano abbiamo a dire ch’egli, nato
approsimativamente attorno al 1500, si recò giovinetto a Brescia e vi si fece
il più valente discepolo di Gerolamo Romanino, come dimostrano parecchie sue
opere in quella città, e fra le altre uno stendardo ora nella Comunale Tosi che
si distingue per bellissimi ritratti di devoti. (nella Galleria Tosi in Brescia
vi è pure di lui una tela a tempera con una Natività assai graziosa datata 1524
e tutta nella maniera del maestro).
Per le chiese della Val Camonica egli ebbe ad eseguire di
poi parecchie pale.
Morto il padre nel 1539, fece ritorno a Lodi e vi stette
parecchi anni dipingendo nella Chiesa di S. Bassiano e in quella
dell’Incoronata tavole e tele che meritano encomio per il colore e la vivezza
delle tinte[5].
Nei suoi ultimi anni noi lo troviamo a Milano occupato in
vasta impresa di pittura, quali furono la parziale decorazione interna della
classica Chiesa del Monastero Maggiore, per parte sua iniziata fino dal 1544 e
l’esteso affresco del refettorio del convento di S. Ambrogio, rappresentante la
cena di Cana che vedesi ora trasportato sopra una parete dello scalone della
Biblioteca di Brera.
I tre quadri di lui che stanno esposti nella Galleria di
Brera appartengono all’età più fresca, in ispecie il già lodato ritratto
Vistarini e la tavola della Madonna coi S. Gerolamo e Giovanni battista e con
un putto bellissimo che sta seduto per terra a suonare il mandolino.
Crediamo poi dovergli rivendicare qui una tela nella sala X
n. 422 del catalogo di Brera attribuita al cremasco Carlo Urbino. Vi è
rappresentato il battesimo di Cristo nel Giordano, con vasto fondo di
paesaggio. Tutto vi accusa i suoi tratti individuali come pittore, mostrandone
tanto i pregi quanto i difetti, cioè un certo rigore di disegno non comune pel
tempo relativamente avanzato unito al lucente colorito, che ha tuttavia
qualcosa di eccessivo negli effetti delle tinte rossastre delle quali egli suole
spesso abusare.
Ben più debole e mancante di stile è l’Urbino, come può
vedersi a Crema nelle sue opere autentiche.
Ma di ciò basti in questo luogo; volendo noi precipuamente
dedurre dalle cose suesposte a qual periodo della vita del pittore appartenga
il quadro di Azzate.
Crediamo pertanto aversi a ritenere commesso dal Bossi al
sullodato artista al tempo di una comune loro dimora a Milano, che avrà dato ad
essi l’occasione di conoscersi e d’intendersi in proposito, non essendo cosa
insolita neanche a quei tempi che venissero spediti ragguardevoli dipinti
(principalmente tele) anche a maggiori distanze di quanto importi quella da
Milano ad Azzate.
E con ciò eccoci chiarita la grata sorpresa arrecata dalla
presenza in territorio varesino di un’opera riflettente in modo così distinto
le splendide tradizioni dell’arte veneta.
Noi facciamo voti perché il vanto di possederla sia serbato
sempre al campestre paesello pel quale dall’origine fu destinata, sperando che
anche colà non vengano meno interamente gli animo capaci di apprezzare beni
superiori a quelli del materiale interesse.
Nello stesso tempo però ci sta a cuore che coloro cui è
affidata la cura del monumento prezioso non pecchino per eccessivo zelo con
voler per avventura sottoporlo alla prova di ulteriori restauri, che mentre non
ci sembrano necessari per la conservazione del dipinto, ove venga collocato in
luogo ben acconcio, potrebbe invece facilmente recare maggiore danno alla sua
primitiva costituzione, inconveniente che purtroppo verificasi già consumato in
si gran numero di opere di pittura, in specie di scuola veneta, che come ognuno
sa si è la più delicata e la più difficile ad uscire illesa dalla mani dei
restauratori.
Gustavo Frizzoni[6]
In merito alla sua collocazione non abbiamo trovato alcuna
notizia precisa, ma sembra fuori discussione che fosse stata commissionata per
un altare dell’Oratorio di S. Antonio di cui i Bossi erano i patroni.
A rigore di logica non doveva essere stata destinata per
l’altare principale, in quanto l’intera abside era affrescata e un quadro di
tali dimensioni ne avrebbe notevolmente ridotto la vista. Quindi si suppone che
dovesse ornare un altare secondario, probabilmente situato nella parte destra
dell’oratorio, e questo sembra essere suffragato dal fatto che una trentina di
anni fa si scorgevano ancora i resti di esso, poi scomparsi dopo la diversa
destinazione che subì l’oratorio[7].
Il Frizzoni afferma essere la pala d’altare larga più di due
metri ed alta quasi quattro, mentre le attuali misure sono di 1.60 x 3.40
Tutto fa supporre che durante il restauro l’opera sia stata
ridotta. Infatti nella parte superiore è scomparsa la dedica e in basso a
destra manca un pezzo della zimarra del senatore Egidio Bossi.
Detto restauro deve essere stato eseguito prima del 1881 in quanto in una litografia di
Pasquale Moroni pubblicata dal Bizzozero nel volume “bellezze artistiche nel
territorio Varesino” la pala ci appare nelle dimensioni attuali, quantunque
nella descrizione sia riportato, non si capisce perché, che le dimensioni sono
di oltre due metri per quattro.
Non si può pensare che tali misure si riferiscano a tutto un
insieme che racchiudesse anche due tavole degli Apostoli, dato che il Frizzoni
ne prese visione quando il dipinto era senza cornice e lui stesso affermi non
sapersi spiegare in che relazione esse fossero con la pala.
Nel volume su citato è pure riportata la litografia
dell’Angelo musico del Morazzone, del quale gli Azzatesi si sono sempre sentiti
fieri; ma la sua paternità sembra ora essere messa in dubbio. Infatti nel
catalogo della mostra del Morazzone tenutasi a Varese bel 1962 l’opera viene
classificata tra quelle “erroneamente attribuite” e vi si dice essere di uno
scolaro.
A proposito delle due tavole degli Apostoli, poi, come
riuscisse ad affermare l’allora parroco di Azzate don …. nel Cronico che si
trattasse di due dipinti ad olio su tela in cornici antiche, rimane ancora da
spiegare. La cornice che ora racchiude la pala, evidentemente, non è quella
originaria ed è opera di …
CALISTO PIAZZA
Figlio di Martino (nato nel 1500 circa) fu addestrato nella
pittura da maestri bresciani: le sue prime opere cioè la Visitazione (1521) e la Natività (1524) si trovano a
Brescia in S. Maria Calchera e nella Galleria Tosio e sentono qualche influsso
del Moretto; ma il suo vero e diretto maestro fu il Romanino; con esso Calisto
frescò le chiese della Val Camonica a Breno ed Esino (1527) e dipinse una pala
a Cividate con la Vergine
in trono; tornato in patria assunse l’incarico di completare il trittico di S.
Bovo in duomo, lasciato incompiuto dallo zio Albertino (1529); l’anno dopo
iniziò la Cappella di
S. Giovanni Battista nell’Incoronata facendovi la tela centrale ed i quattro
quadri laterali, una delle opere più belle di Calisto; del 1533 è la tela
dell’Assunzione nella Chiesa Maggiore di Codogno; nel 1534 intraprendeva
nell’Incoronata quattro tavole e la grande tela della Cappella del Crocefisso,
opera meno corretta della precedente e nel 1535 la tela colla Madonna ed i
Santi nella Chiesa della Trinità in Crema e, tra il 35 ed il 42, tre altre tele
dello stesso soggetto: una per l’altare Leccami in Lodi, una per la Chiesa di Azzate e la terza per
quello di Abbadia Cerreto.
Calisto fu più abile e slanciato negli affreschi: suoi sono
quelli ornamentali dell’Incoronata e della Chiesa di S. Celso in Milano; la
vastissima scena delle nozze di Cana, compiuta nel 1545, ora sullo scalone
della Braidense; gli affreschi nella Chiesa di Dovera; negli ultimi anni
l’opera di Calisto è alquanto trasandata come dimostrano la cappella di S.
Antonio nell’Incoronata di Lodi, una gran tela compiuta nel 1550 per la
cattedrale di Alessandria con S. Pietro in trono, la conversione di S. Paolo
(Incoronata di Lodi) del 1552; di Calisto è pure il ritratto del veneto
cardinale Grimani che orna la grande pinacoteca di Torino.
Calisto morì nel 1561 o 62.
Questa pala d’altare di scuola veneta, dipinta nel 1542 da Callisto Piazza da
Lodi, attualmente conservata nella Chiesa Parrocchiale della Natività di Maria
Vergine di Azzate, ci dà lo spunto per una trattazione che farà riferimento a
due entità strettamente collegate fra di loro; un paese in provincia di Varese
ed una famiglia che in esso abitò: AZZATE e i BOSSI.
Assumeremo il XVI secolo come punto di riferimento della
nostra trattazione, poiché esso si trova a metà strada di quell’arco di storia
che siamo riusciti a ricostruire.
La pala che ora si presenta larga ben oltre due metri ed
alta quasi quattro, venne commissionata grazie alla munificenza del senatore
Egidio Bossi che vediamo ritratto nella stessa in basso a destra, di profilo,
con le mani giunte ed inginocchiato.
Purtroppo l’iscrizione dedicatoria che era apposta nella
parte superiore della pala Aegidii Bossii senatori munus è andata persa in seguito ad un restauro che ne ha
diminuito le dimensioni.
Al centro è rappresentata la Vergine col Bambino sulle ginocchia
in atto di celebrare le mistiche nozze
con S. Caterina d’Alessandria che se ne sta ritta accanto a lui, presa di tre
quarti, ricevendone l’anello.
Dal lato opposto è rappresentato S. Gerolamo che si batte il
petto in segno di penitenza.
In alto due angioletti reggono una cortina dietro il seggio
della Vergine, mentre il fondo è costituito da architettura e da paesaggio
pittoricamente concepiti.
Ch’egli, invece, fosse sempre valente come ritrattista dal
vero lo mostra la figura parlante del nobile committente – il senatore Egidio
Bossi – dimostrandosi degno del suo maestro Gerolamo Romanino.
Ma la figura più magistralmente dipinta è quella del vecchio
S. Gerolamo il cui aspetto venerando ed ascetico gli conferisce tutto ciò che
si può immaginare di più confacente agli intendimenti pittorici dell’artista e
l’effetto delle carni vi spicca per certa straordinaria lucentezza di colorito
che è tutta del Piazza e del Romanino.
Azzate da un buon esempio per la conservazione di opere d’arte[8].
Uno dei più importanti dipinti che ornano le chiese del
varesotto è certamente la tela di Calisto Piazza da Lodi raffigurante lo
Sposalizio di S. Caterina davanti ad un delizioso sfondo di paesaggio.
Il dipinto, firmato dall’insigne maestro, che fu illustre
allievo del Tiziano, porta la data del 1542 e venne eseguito per incarico della
nobile famiglia Bossi e destinato alla chiesa di Azzate ove ancora trovasi in
condizioni tutt’altro che buone.
Sia per l’umidità sofferta in tempi passati, sia per difetti
d’origine, sia per ripuliture mal eseguite, il colore si stacca e cade in
piccole particelle lasciando scoperta la tela con evidente danno che trascurato
può diventare, in futuro, irreparabile. Di fronte a così grande ed imminente
pericolo, il parroco di Azzate don Enrico Baggioli, coadiuvato anche dalla
Fabbriceria, con una decisione che altamente lo onora, ha pensato di nominare
una Commissione composta dai maggiorenti del paese, affinché provvedesse al
delicato ufficio di restaurare coscienziosamente il prezioso quadro.
[1] Cfr. MORIGGIA, Historia
dell’antichità di Milano, pag. 476.
[2] Si riferisce
all’ampliamento delle due navate laterali?
[3] Si riferisce ai restauri
per i quali si richiede un pubblico contributo?
[4] Vedi volume II pagina
1849.
[6] Se ne conserva copia anche presso L’Archivio
Parrocchiale di Azzate. Un riassunto del Frizioni viene fatto dal Bizzozero nel
suo “Patrimonio artistico della provincia di Varese”.
[7] Laboratorio di
falegnameria.
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