La cosa migliore che possiamo fare
per cercare di capire la lunga storia dell’Oratorio di San Rocco è quella di
guardarci intorno ed immaginare come fosse stato l’oratorio nel momento di
maggior splendore.
STORIA
In passato, l’Oratorio aveva la
funzione di Chiesa battesimale e proprio al centro dell’aula era posta una
cappella che conteneva il battistero, di forma ottagonale al quale si accedeva
attraverso tre scalini, lo si evince dalle testimonianze documentarie. Nel 1574
il Cardinal Carlo Borromeo nella sua visita pastorale e nel 1627 suo cugino
Cardinal Federico Borromeo avevano già ordinato di spostare il battistero posto
nell’Oratorio di San Rocco nella Chiesa Parrocchiale.
Ma le maggior informazioni su San
Rocco le abbiamo dal Cardinale Giuseppe Pozzobonelli; questi fu una figura di rilievo
tra gli Arcivescovi di Milano, esercitando il suo lungo mandato tra il 1743 e
il 1783, e compì di persona una completa visita pastorale, considerata come
un’importante forma di controllo.
Nel 1755 visitò la Parrocchia di Azzate, e lasciò un ampia descrizione
dell’edifico dedicato a S.
Rocco, rispetto all’aula unica della
precedente visita ora compare la descrizione di quattro elementi ben distinti.
“Dell’Oratorio di S. Rocco. Si accede alla chiesa salendo cinque
gradini in pietra. Ha forma quadrata e misura 16 braccia in lunghezza, 12 in
larghezza e 13 in altezza. E’ a unica navata e nel mezzo c’è la cappella del
battesimo. Al battistero di forma ottagonale si accede scendendo tre scalini.
Gli olii sacri e la vasca battesimale sono stati portati nella chiesa
parrocchiale a causa dei ripetuti furti. Dell’altare
maggiore e cappella. All’altare si accede salendo uno scalino; la cappella
maggiore ha forma quadrata e vi si accede salendo due scalini di pietra; misura
in lunghezza 7 braccia, in larghezza più di 9. Sopra l’altare maggiore è
dipinta l’immagine di S. Giovanni Battista nell’atto di battezzare. Della cappella del Santissimo Crocifisso.
E’ posta a destra e misura braccia 4 in lunghezza, 5 in larghezza e 7 in
altezza. E’ chiusa da piccole colonne di marmo e dispone di due vasi per
l’acqua benedetta, uno ricavato nella parete, in pietra, e l’altro in marmo,
attaccato ad una delle colonne. Delle altre cose dell’Oratorio di S. Rocco. C’è una sola porta d’ingresso a forma
quadrata e sopra di essa è dipinta l’immagine della Madonna. Ci sono cinque
finestre, munite di vetro e grate di ferro. Il pavimento è in laterizio e le
pareti sono in parte affrescate con immagini sacre, C’è il campanile con una
campana. Dietro l’altare maggiore c’è la sacrestia”.
.
Fonte battesimale
In relazione al battistero non
siamo in grado di sapere quando questo sia stato smantellato, riteniamo che la
conchiglia in marmo rosso che abbiamo in Parrocchia sia parte di quella fonte posta in San Rocco
Una serie di documenti datati fino
allo scorso secolo evidenziano una Chiesa battesimale importante, utilizzata
dalle comunità di Azzate, Brunello e Castronno, richiamo dato anche
dall’affresco raffigurante il battesimo di Gesù ad opera di San Giovanni
Battista dipinto sopra l’altare.
Affresco raffigurante il battesimo di Gesù
Raffigurazioni facciata
Un’altra curiosità è l’accostamento di San Rocco a San
Giovanni Battista, non solo in questo affresco, ma bensì nelle raffigurazioni
che, a mala pena, distinguiamo a lato e
sopra il portone d’ingresso.
G. Moreno Vazzoler in “Azzate vicende storiche
ecclesiali”, datava l’intitolazione
dell’Oratorio a San Rocco e a San Giovanni Battista alla metà del 600.
Azzate aveva il suo battistero
separato dalla Chiesa Parrocchiale, come il battistero di San Giovanni è stato
eretto a fianco della basilica di San Vittore a Varese, questa caratteristica è
riscontrabile sin dall’alto Medioevo.
PRESBITERIO
L’affresco della Natività di
Maria Vergine che è esposto in Chiesa Parrocchiale sopra il fonte battesimale è
stato staccato nel 1975 dalla parete della sagrestia di San Rocco su volontà di
Don Luigi Cantù Prevosto di Azzate. La
raffigurazione opera di pittore ignoto del XVIII secolo era in pessimo stato,
lacerata da una grave crepa, la stessa che vedete nell’affresco sopra l’altare
essendo i dipinti sulle due facciate
dello stesso muro.
La Natività venne sottoposta ad un
accurato restauro da Angelo Lotti di Varese ma non fu più ricollocata al suo
posto poiché si ritenne che avrebbe avuto maggiore visibilità nella Chiesa
Parrocchiale la cui dedicazione è appunto alla Natività di Maria Vergine.
La raffigurazione si svolge su due
piani:
-in quello centrale si vedono tre
ancelle che assistono Sant’Anna subito dopo il parto e sono indaffarate a
portare acqua e panni intorno ad un grosso bacile di rame.
-in secondo piano, a sinistra, è
raffigurato S. Gioachino che ha appena appreso dall’Onnipotente, sotto le
spoglie di tre teste di cherubini, che sua moglie darà alla luce una fanciulla
cui sarà riservato un glorioso avvenire.
A destra invece è raffigurato il
conforto che un’altra ancella porta a Sant’Anna nel momento delicato del parto.
Altare maggiore
Osservando la parete dell’altare
maggiore evidenziamo a lato due affreschi raffiguranti l’Annunciazione a Maria,
l’Arcangelo Gabriele a sinistra e Maria Vergine a destra, entrambi di autore
ignoto.
L’altare originario era
posizionato contro la parete e sotto l’affresco centrale, quello attuale
proviene dalla Chiesa Parrocchiale ed è stato locato dal compianto Don Luigi
Cantù.
Il tabernacolo originario (detto
ciborio) purtroppo è andato distrutto ed era l’unico arredo della mensa
dell’altare. Era in legno intagliato e dipinto in un’insieme architettonico
settecentesco con cinque nicchie nella parte inferiore e altrettante statuette
lignee di santi vescovi e cardinali ed una centrale raffigurante l’Ecce Homo.
1993 interno Chiesa San Rocco dopo il furto
Purtroppo dobbiamo segnalare che
parte della balaustra (oggi rimossa completamente) ed in particolare 9 delle 14 colonnine di
marmo e un bellissimo pancone in legno
di noce posto a sinistra sono stati divelti e rubati nel 1993.
A giudicare da questa fotografia,
sembra che anche sul lato destro del presbiterio vi fosse un altro pancone, a
giudicare dal segno che hanno lasciato le varie imbiancature.
Si può inoltre notare una vasta
zona della muratura rovinata dall’umidità che è il grosso problema
dell’Oratorio che veniva ripetutamente invaso dalle acque piovane, come
dimostrano le colature che si vedono sotto le finestre. Fortunatamente gli
infissi lignei sono stati recentemente sostituiti e un’adeguata imbiancatura
cancellerà ogni traccia di degrado.
Chiesa Prepositurale S. Maria
Nascente – Azzate
Azzate, 17 dicembre 1993
Spett. COMANDO STAZIONE
CARABINIERI DI AZZATE
Questa notte ignoti forzando una
finestra laterale della Chiesa S. Rocco, sita in Via Piave ad Azzate, hanno
asportato nove colonnine di marmo dell’altare maggiore, danneggiandone altre
due.
Il furto è stato facilitato dalla
sostituzione in atto delle nuove inferriate alle finestre della chiesa,
sostituzione resa necessaria dai precedenti e ripetuti tentativi di
manomissione. Alle finestre erano state applicate chiusure di legno,
evidentemente troppo fragili per chi aveva da tempo progettato il furto, facilitato
dalla provvisoria situazione di questi giorni.
Faccio notare che le colonnine di
marmo rivestono anche un valore artistico e di antiquariato essendo la chiesa
di antica data e l’arredo liturgico già del secolo XVII. Nel 1600 il cardinale
Federico Borromeo ne parla nella sua visita pastorale.
Dell’intera balaustra sono rimasti
il basamento, gli appoggi laterali e la mensola superiore.
Con ossequio.
F.to don Luigi Cantù prevosto di
Azzate
TIRANTE ARCO TRIONFALE
Il tirante di supporto dell’arco trionfante
è ricoperto da una cassa quadrata in legno al cui centro in un cartiglio sono scritte queste due
parole “Consumatum est” che fanno riferimento alle ultime parole di Cristo
sulla croce prima di esalare l’ultimo respiro, come a dire: “tutto si è compiuto”.
Questa opera probabilmente è stata realizzata dalla Confraternita del
Santissimo Sacramento, con l’intento di risaltare il sacrificio di Gesù Cristo
sulla croce.
AFFRESCHI:
- SAN
ROCCO
San Rocco è uno dei santi più venerati in Europa dall’inizio del
Quattrocento fino alla fine dell’Ottocento, in quanto era identificato come il
protettore degli appestati. Nella schiera dei santi e dei beati, San Rocco
spicca per gli attributi inconfondibili che connotano la sua vita di apostolato
fra i malati.
Gli storici sono concordi nel fissare la presenza di San
Rocco nella seconda
metà del Trecento, anzi la cronologia più accreditata fissa la
sua nascita al 1345 e la sua morte al 1376. Rocco nacque nella città di Montpellier,
capoluogo della Linguadoca (storica regione meridionale della Francia). Si
trattava di una città di notevole importanza culturale essendo sede di una
delle migliori facoltà di medicina dell’Europa di allora. Nato in una famiglia
agiata, anche se non nobile, Rocco rimase orfano in giovane età, privo ormai di
familiari, Rocco decise di vivere come pellegrino. Nell’epoca medievale il
pellegrinaggio costituiva una delle opere ascetiche per eccellenza, viste le
condizioni di privazioni e di insicurezza in cui si metteva chi si incamminava
per santuari lontani. Nella cristianità basso-medievale Rocco divenne il
pellegrino per eccellenza e come tale è raffigurato, con le vesti che erano
tipiche dei pellegrini: il cappello a tese larghe per ripararsi dalla pioggia e dal
sole, la veste a mezza gamba stretta da una cintola dalla quale pende un rosario a grani grossi, una cappa sulle spalle (che prenderà
appunto il nome di “sanrocchino”), la conchiglia appesa alla cappa (segno dei
pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela, nel limite
nord-occidentale della Spagna), il bordone ossia il grosso bastone alla cui sommità pende una zucca vuota
che serviva da borraccia.
Simboli iconografici
che troviamo nelle varie raffigurazioni e che
identificano San Rocco:
IL CANE fu per San
Rocco segno della Divina provvidenza che lo soccorreva nelle condizioni di
bisogno estremo, ed è simbolo della sua fedeltà alla chiamata di Dio.
IL PANE fu il sostegno
nella sua solitudine a Sarmato, dove il santo si isolò perché malato. Un cane
gli portava un pane prelevato dalla mensa del padrone, ed è il simbolo
dell’Eucaristia, sostegno del cammino della vita.
LA CONCHIGLIA ricorda il pellegrinaggio a Santiago, ove ogni
pellegrino che si recava in Galizia prelevava una conchiglia dalle spiagge,
segno dell’avvenuto pellegrinaggio. La conchiglia è simbolo della perseveranza nella fede.
LA BORRACCIA o LA ZUCCA custodivano l’acqua per lenire la sete del
pellegrino in cammino, e sono simbolo della sete di Dio che c’è in ogni uomo.
IL BASTONE richiama il
fatico cammino del pellegrino, ed è simbolo del pellegrinaggio della vita, un
cammino verso l’eterno.
IL SANROCCHINO è il
mantello corto di tela che serviva a proteggersi dalle intemperie ed è il
simbolo della protezione divina nel pellegrinaggio verso l’eterno.
LA CROCE al momento
della nascita Rocco reca sul petto, lato cuore, una voglia a forma di croce che
ne permetterà il riconoscimento del corpo dopo la morte. La croce è’ simbolo
della predilezione divina di essere apostolo della carità.
LA PIAGA ricorda il morbo della peste che San Rocco contrae nei
pressi di Piacenza.
La carità è un donarsi totalmente
fino al dono totale di sé. La piaga è simbolo della carità cristiana
LA TAVOLETTA ricorda la grazia chiesta nel momento della
morte da San Rocco. Il Signore accoglie la preghiera sincera dei suoi figli, e
Rocco anche in punto di morte si mostra uomo di carità. La tavoletta è simbolo
della comunione dei Santi e della preghiera di intercessione.
L’ANGELO è l’unione tra l’esperienza terrena del Santo
e la presenza di Dio nella sua vita che dà coraggio nei momenti di sofferenza
solitaria e ingratitudine. L’Angelo è simbolo della presenza di Dio che
accompagna i passi di ogni uomo.
LA CORONA DEL ROSARIO ricorda la sua vita fatta di intensa
preghiera, ed è simbolo della preghiera cristiana semplice e quotidiana.
IL VANGELO è il libro della Parola che San Rocco aveva
con sé, e che ci ricorda che l’amore di Dio Padre si apre al dialogo con l’uomo
e diventa per lui buona notizia.
Nella raffigurazione di San Rocco nella nostra Chiesa
troviamo la maggior parte di questi simboli iconografici.
San Rocco
- SANTA
EUROSIA
Onorata come protettrice dei
frutti della terra e invocata contro le tempeste e i tuoni, Eurosia di Jaca
(Spagna) fu, secondo la tradizione, protagonista di una vicenda oscura che si
concluse con la sua uccisione in una caverna nella regione dei Pirenei, poco
lontano da Bayonne. Le più antiche testimonianze del suo culto risalgono al XVI
secolo; dalla Spagna la devozione fu portata in Italia soprattutto dai soldati
e conobbe una notevole diffusione nello Stato di Milano, dominato dagli
spagnoli. Fra XVII e inizi del XVIII secolo nelle diocesi di Milano, Como,
Cremona, Pavia e Novara le vennero intitolati molti altari e oratori, si
diffuse il culto per le sue reliquie e le furono dedicate molte opere d'arte,
soprattutto dipinti illustranti appunto il martirio.
Il pittore che ha dipinto la
Santa nella nostra Chiesa, si è ispirato alla tradizione che vuole Eurosia una
principessa poiché sul capo gli ha posto la corona.
Secondo la tradizione Santa Eurosia nacque nell’anno 864 dalla
nobile famiglia del duca di Boemia, il suo nome era Dobroslava il cui
equivalente greco è Eurosia; rimasta quasi subito orfana di entrambi i
genitori, venne accolta dal nuovo duca Boriboy e dalla sua giovane moglie
Ludmilla, questi la trattarono come vera figlia e si prodigarono per il
diffondersi della religione cristiana in tutta quella regione, così anche
Dobroslava venne battezzata ed assunse il nome greco di Eurosia. Furono quelli
anni di pace e di fede e la giovane Eurosia si distinse per bontà ed altruismo,
ma purtroppo un gruppo di cechi-boemi pagani presero il potere e costrinsero la
famiglia ducale all’esilio, esilio che durò ben poco grazie soprattutto
all’opera del grande San Metodio, il duca e la sua famiglia poterono rientrare
trionfalmente in Boemia. Nell’anno 880 San Metodio si recò a Roma da Papa
Giovanni VII, questi era impegnato in un difficile caso, trovare una degna
sposa per il figlio del conte spagnolo d’Aragona, Fortun Jimenez, era questi
erede al trono di Aragona e Navarra impegnato nella lotta contro gli invasori
arabi saraceni; Il Papa chiese aiuto a San Metodio, il quale senza dubbio
alcuno indicò la giovane principessa Eurosia, quindi ritornò in Boemia con una
ambasciata aragonese e raccolse l’accettazione del duca e di Santa Eurosia, la
quale lasciò il proposito di dedicarsi totalmente a Cristo, vedendo
nell’intervento del Papa un supremo disegno della volontà di Dio. Iniziò così
il viaggio verso la Spagna, era l’anno 880, arrivati però ai Pirenei, era
necessario valicarli per incontrare il suo sposo nella cittadina di Jaca, tuttavia
tutta questa zona subì improvvisamente una feroce invasione di saraceni
capitanati dal rinnegato Aben Lupo, questi ucciso l’ambasciatore che doveva
annunziare l’arrivo di Eurosia, e saputo del matrimonio col principe aragonese,
si mese in animo di catturarla e trattenerla con sé.
La comitiva con Eurosia, avvertita dell’accaduto, fu costretta a nascondersi sui monti, ma il feroce bandito saraceno riuscì a trovarli, questi cercò con buoni modi di ottenere i favori della giovane Eurosia, egli voleva che essa rinnegasse Gesù Cristo, rinunciasse al principe aragonese per divenire sua sposa; Eurosia però si oppose decisamente a tali diabolici progetti, provocando in tal modo l’ira del bandito che diede l’ordine di uccidere tutti. Grazie all’eroismo di alcuni ambasciatori spagnoli appartenenti alla comitiva, Eurosia riuscì a fuggire, ma inseguita e raggiunta subì un tragico martirio, le vennero amputate le mani e recisi i piedi, tuttavia Santa Eurosia in ginocchio col volto fisso al cielo pregava con fierezza, nel contempo nebbie e nuvole minacciose salivano dalle valli e un lampo improvviso scese vicino ad Eurosia, senza provocarle danni, tutti i saraceni ebbero una gran paura ma il capo bandito preso da rabbia mista a terrore diede l’ordine di decapitarla, Eurosia alzando i sanguinanti moncherini al cielo chinò il capo pregando è così venne uccisa decapitata, aveva solo sedici anni. Contemporaneamente si scatenò un grandinare furibondo, uno scrosciare spaventoso di acque, folgori e tuoni assordanti, venti fortissimi, i saraceni fuggirono terrorizzati mentre da cielo una voce più potente della tempesta diceva: “Sia dato a Lei il dono di sedare le tempeste, ovunque sia invocato il suo nome!”.
Trovate miracolosamente le sue spoglie due anni dopo venne canonizzata a Jaca il 25 giugno, la sua festa ricorre ancora oggi il 25 giugno, è invocata contro le tempeste, i fulmini, le grandinate e anche per i frutti della terra. Il suo culto si diffuse in tutta la Spagna e grazie ai soldati spagnoli anche nel Nord Italia, soprattutto nelle zone collinari vinicole, da qui la spiegazione del culto di questa santa nel nostro paese.
La comitiva con Eurosia, avvertita dell’accaduto, fu costretta a nascondersi sui monti, ma il feroce bandito saraceno riuscì a trovarli, questi cercò con buoni modi di ottenere i favori della giovane Eurosia, egli voleva che essa rinnegasse Gesù Cristo, rinunciasse al principe aragonese per divenire sua sposa; Eurosia però si oppose decisamente a tali diabolici progetti, provocando in tal modo l’ira del bandito che diede l’ordine di uccidere tutti. Grazie all’eroismo di alcuni ambasciatori spagnoli appartenenti alla comitiva, Eurosia riuscì a fuggire, ma inseguita e raggiunta subì un tragico martirio, le vennero amputate le mani e recisi i piedi, tuttavia Santa Eurosia in ginocchio col volto fisso al cielo pregava con fierezza, nel contempo nebbie e nuvole minacciose salivano dalle valli e un lampo improvviso scese vicino ad Eurosia, senza provocarle danni, tutti i saraceni ebbero una gran paura ma il capo bandito preso da rabbia mista a terrore diede l’ordine di decapitarla, Eurosia alzando i sanguinanti moncherini al cielo chinò il capo pregando è così venne uccisa decapitata, aveva solo sedici anni. Contemporaneamente si scatenò un grandinare furibondo, uno scrosciare spaventoso di acque, folgori e tuoni assordanti, venti fortissimi, i saraceni fuggirono terrorizzati mentre da cielo una voce più potente della tempesta diceva: “Sia dato a Lei il dono di sedare le tempeste, ovunque sia invocato il suo nome!”.
Trovate miracolosamente le sue spoglie due anni dopo venne canonizzata a Jaca il 25 giugno, la sua festa ricorre ancora oggi il 25 giugno, è invocata contro le tempeste, i fulmini, le grandinate e anche per i frutti della terra. Il suo culto si diffuse in tutta la Spagna e grazie ai soldati spagnoli anche nel Nord Italia, soprattutto nelle zone collinari vinicole, da qui la spiegazione del culto di questa santa nel nostro paese.
Santa Eurosia
- S. ANTONIO DA
PADOVA
Antonio di Padova, o da Lisbona, (Lisbona, 15 agosto 1195 – Padova,13 giugno 1231), fu un religioso francescano portoghese, proclamato santo da papa Gregorio IX nel 1232 e dichiarato dottore della Chiesa nel 1946
fu Canonico regolare a Coimbra dal 1210,
nel 1220 divenne frate francescano.
Viaggiò molto, vivendo prima in Portogallo quindi in Italia e
in Francia. Nel 1221 si recò al Capitolo Generale ad Assisi, dove vide e ascoltò di persona San Francesco d'Assisi.
Terminato il capitolo, Antonio fu inviato a Montepaolo di Dovadola, nei pressi di Forlì. Dotato di grande umiltà, ma anche di
grande sapienza e cultura, per le sue valenti doti di predicatore, si mostrò
per la prima volta proprio a Forlì nel 1222.
Antonio fu incaricato dell'insegnamento della teologia e
inviato dallo stesso San Francesco a contrastare in Francia la
diffusione del movimento dei Catari, che la Chiesa di Roma giudica eretico. Egli fu poi trasferito a Bologna e
quindi a Padova. Morì all'età di 36 anni. Antonio fu rapidamente canonizzato
(in meno di un anno) ed il suo culto è fra i più diffusi del cattolicesimo.
Il suo nome di battesimo fu
Fernando e sembra che suo padre discendesse dal famoso Goffredo di Buglione,
uno dei partecipanti alla prima crociata. L’immagine di Sant’Antonio che tutti
noi abbiamo in mente è quella del frate giovane che tiene in braccio Gesù
Bambino e un giglio in mano.
Gesù Bambino ricorda la visione
che Antonio ebbe a Camposampiero nei pressi di Padova. Qualche volta il Santo viene rappresentato con il pane che
ricorda la carità verso i poveri e/o con
il libro in mano, simbolo della sua scienza, della sua dottrina, della sua
predicazione e del suo insegnamento sempre ispirato al libro per eccellenza: la
Bibbia.
Sant’Antonio da Padova
Nella raffigurazione della nostra Chiesa troviamo gli
stessi simboli iconografici.
Questa è l’unica rappresentazione del Santo monaco
francescano in Azzate, mentre al suo
omonimo Sant’Antonio Abate è dedicato un Oratorio, quello sito in Via
Volta.
CASSETTE DELLE
ELEMOSINE
Una è posta sotto l’affresco di
Sant’Eurosia, incassata nel muro, molto ben rinforzata, probabilmente perché in
passato oggetto di ripetuti furti.
La seconda cassetta la si può
vedere a metà del lato sinistro dell’Oratorio, con possibilità di inserire le
monete dall’esterno della Chiesa. All’epoca non esisteva il portico
esterno in quanto eretto quando si
decise di spostare il cimitero comunale dalla Chiesa Parrocchiale a San Rocco
nel 18… Il portico ospitò le cappelle delle nobili famiglie
azzatesi.
CAPPELLA DEL
CROCIFISSO
Descritta nella visita del
cardinale Giusppe Pozzobonelli del 1755 risale alla fine del Seicento inizio
del Settecento. Racchiude un pregevole crocifisso ligneo dipinto che fu fatto
restaurare e decorare nel 1935 dal parroco Don Paolo Rimordi per “rimettere in
maggior ossequio il vetusto e commovente crocifisso che la Confraternita di
Azzate venera nel suo Oratorio”; fu anche rifatto il legno della croce e
l’aureola venne fusa in argento, poi fu nuovamente sostituita con l’antica il
legno dorato, perché eccessivamente pesante.
Il crocifisso veniva portato
processionalmente per invocare la pioggia nei periodi di siccità. Era talmente
pesante che altri quattro confratelli dovevano aiutare quello che portava la
croce con delle apposite pertiche.
Velo di Veronica
Sopra la nicchia che racchiude il
crocifisso è visibile il velo della Veronica.
Sopra le due balaustre, nel mezzo
dei pilastri, erano inseriti dei bracci di ferro battuto che sorreggevano due
lampade, purtroppo anch’esse trafugate, che hanno lasciato la loro impronta sui
rifacimenti delle imbiancature.
Cappella del crocifisso
Arco Cappella
Sopra l’arco della Cappella del
Crocifisso troviamo invece la scritta “Sic Deus dilexit mundum” che significa:
Dio ha tanto amato il mondo. Queste scritte sono sicuramente di epoca più tarda
della costruzione, poiché fanno riferimento ad eventi completamente estranei al
battesimo, che è la funzione originaria dell’Oratorio .Le scritte si
riferiscono alla parte finale della vita di Gesù e sembrano piuttosto legate
alla Cappella del Crocifisso.
BALAUSTRE
sono formate da una mensa
sostenuta da cinque colonnine di marmo
poggianti su un basamento.
Nelle colonnine sono intarsiati i
simboli della “Passione di Cristo” e precisamente:
LA SCALA usata per la deposizione
di Gesù dalla croce.
IL GUANTO o LA MANO che colpì Gesù
durante la derisione da parte dei soldati.
I CHIODI di ferro con i quali fu
crocifisso alla croce il corpo di Cristo.
IL MARTELLO e LA TENAGLIA usati
per picchiare e rimuovere i chiodi
I PUNGOLI con i quali venne flagellato il corpo di Cristo alla colonna.
LA LANCIA con la quale venne
trafitto il costato di Cristo.
LA CORONA DI SPINE
I DADI con i quali i soldati si
giocarono a sorte la tunica di Cristo.
CORO LIGNEO
Il CORO LIGNEO che oggi troviamo nella Chiesa Parrocchiale
probabilmente proviene da San Rocco. Il coro è suddiviso in tredici stalli, tre
disposti a sinistra e tre a destra nei lati, due negli angoli, cinque nella
parte di fondo. In ogni riquadro corrispondente allo schienale del sedile sono
intagliati dei pannelli con i simboli della Passione di Cristo..
Da sinistra verso destra: 1)
POZZO, 2) CROCE con simboli della passione, 3) CROCE con vasi
di aromi, 4) SEPOLCRO con ARMI, 5) GALLO e FLAGELLI, 6) ANFORA con BROCCA, 7) LANCE incrociate, 8) CROCI con SCALA, 9) CORDA di Giuda, 10) CROCE con ARMI, 11)
DADI con MARTELLI e TENAGLIE, 12) CORONA di SPINE, 13) COLONNA della
FLAGELLAZIONE.
Ogni stallo presenta nella parte
superiore un arco sorretto da lese scanalate separate da piastrini ornati da
motivi diversi.
In corrispondenza dei piastrini di
divisione degli stalli sopra il cornicione sono collocati cipolloni.
Nella visita del cardinale Federico
Borromeo del 1612[1] viene
nominato il coro per la prima volta dietro l’altare maggiore in forma circolare[2].
Il Bizzozzero così lo descrive: “…
La sua antica chiesa venne rimodernata dal 1851 in poi e non conserva della sua
antichità che gli stalli del coro…”.
Nel Chronicus Parrocchiale di Azzate Don Redaelli (1882-1908) viene
così citato: “Il coro in stile bizantino, lavoro del 1500, restaurato nel 1905
e completato coi scranni minori fatti a nuovo[3].
E ancora: “Nel 1905 si rinnovò e
riparò tutti gli schienali in stile bizantino ad opera del falegname Andrea
Arioli[4].
Gli stalli del coro sono disposti
3, 1, 5, 1, 3 e misurano complessivamente metri 9,20. Erano provvisti di
inginocchiatoio e alzata che sono stati tolti per lasciare più spazio ai cantori
e all’armonium.
TARGA A GIOVANNI LOTTERIO
Non si hanno notizie relative al motivo della posa di questa
lapide in San Rocco, i Lotterio erano una nobile famiglia di Azzate, forse è stato un atto di riconoscenza per la
sua professione medica.
Troviamo invece senza prove di
relazione di parentela un certo prete Gio. Antonio Lotterio che è stato parroco
di Azzate dal 1756 al 1768.
A GIOVANNI LOTTERIO
MEDICO CHIRURGO
DOTTO ESPERITENTATISSIMO
CHE ALL’ETA’ D’ANNI 30 ROSO DA CANCRO IMMEDICABILE
EGRO DI CORPO MA FORTE D’ANIMO
ESEMPIO DI PAZIENZA E DI CARITA’
PRESTO’ AGLI AMMALATI CONTINUI SUSSIDIO
MARIANNA LOTERIA MOGLIE
QUESTO DI SUA …. POSE
MORI’ SANTAMENTE IL 15 MARZO 1826 D’ANNI 59 MESI 8
LA PACE DEL SIGNORE SIA CON TE DOLCISSIMO MARITO
E A TE MI RICONGIUNGA
AFFRESCO SOTTOTETTO
FACCIATA ESTERNA
L’affresco esterno che si è
maggiormente conservato è quello nel sottotetto sopra la porta d’ingresso che
rappresenta Maria con S. Giovanni Battista e San Rocco immersi nelle nuvole.
CIMITERO
A seguito dell’ editto di Saint Cloud (correttamente: Décret Impérial sur les Sépultures),
emanato da Napoleone a Saint-Cloud il 12 giugno 1804, si
imponeva il trasferimento dei cimiteri esistenti all’interno dei centri
abitati, l'editto stabilì che le tombe
venissero poste al di fuori delle mura cittadine.
Anche il cimitero di Azzate, che si trovava nell’area intorno al
campanile, venne bonificato e fu trasportato vicino all’Oratorio di San Rocco.
Nella mappa del 1842 è indicato il
vecchio cimitero annesso all’Oratorio di San Rocco. Come si può vedere si trova
in una zona ancora non edificata e le uniche costruzioni nelle sue vicinanze
erano le cascine, Come l’Osteria della Colomba, la Cascina dei Cident, la
Cascina Campo e la Cascina Fontanella sulla cui area verrà costruito il complesso
della Scuola Media.
Vi si accedeva con una stradina
che attraversava i binari del tram.
Al suo interno, lungo il muro di
cinta, erano sistemate le stazioni della Via Crucis di cui nulla è rimasto.
Per dare più lustro alle nobili
famiglie azzatesi venne addossato al muro dell’Oratorio di San Rocco un portico
che, attraverso delle botole rimovibili, dava accesso alle tombe di famiglia.
Il portico è sempre stato ed è
tuttora di proprietà comunale e non ha mai fatto parte integrante dell’Oratorio
di San Rocco, come può sembrare a prima vista; anzi ha costituito per esso
gravi problemi di staticità poiché è andato ad aggravare il peso sui muri
perimetrali dell’oratorio.
Mappa 1842 vecchio cimitero
.
Mappa ampliamento del 1884
L’intervento del 1884 interessa sia la Curia, in qualità di proprietaria
dell’Oratorio, che il Comune di Azzate, proprietario del terreno del
camposanto, in quanto quest’ultimo decide di ampliare il cimitero comunale a
scapito dell’impostazione dell’edificio sacro.
Nell’elaborato conservato
nell’Archivio Comunale, il disegno, oltre ad includere il cimitero, interessa
anche l’Oratorio. Questa volta l’elaborato grafico è molto più completo e
compaiono dei particolari interni dell’oratorio: si tratta di una tavola
comparativa tra le demolizioni (in giallo) e le costruzioni (in rosso), prassi
consolidata e utilizzata ancora oggi per indicare tali interventi.
Un primo aspetto importante è dato
dalla creazione di un “Porticato con tombe di famiglia”, che si appoggia alla
muratura dell’oratorio, andando a chiudere l’apertura di cui si è parlato in
precedenza. Questa operazione fu accolta con dispiacere dalla cittadinanza che,
tramite il parroco Luigi Redaelli, scrive al Sindaco “in merito alla soppressione
della finestruola della Chiesa di S. Rocco prospiciente il camposanto”
rispettando tale “necessità, per altro dispiacente a questa popolazione; (…)
dimandano solo nell’arcata (del portico), venga collocata un’immagine sacra
opportuna al luogo” come soluzione al “sacrificio della finestruola
prospiciente l’altare del Crocifisso”.
Un secondo aspetto che coinvolge
ancora la struttura dell’edificio religioso, è la divisione dell’esistente
sagrestia per la formazione di una camera mortuaria con accesso verso il
cimitero; a fronte di questa divisione si creano anche due nuove aperture,
demolendo il muro a ovest (in giallo). Anche questo intervento non fu ben visto
ma, questa volta, dalla Fabbriceria (dai priori della Confraternita) che fa
notare, in una nuova lettera al signor Sindaco di Azzate del 25 aprile 1884,
come “nelle innovazioni eseguite ultimamente nella Chiesa di S. Rocco, non si è
effettuato quanto era stato combinato”. Infatti fu costruito un muro lasciando
alla sagrestia solo un terzo dello spazio a disposizione prima e non la metà
come concordato.
Un ultimo aspetto importante, per
quanto riguarda il quadro di ricostruzione delle fasi storiche, è dato
dall’ampliamento in altezza, contestualmente agli interventi precedenti, della
finestra posta nella cappella maggiore e che guarda a est; questa accortezza si
era resa necessaria perché il nuovo portico frenava l’entrata della luce
all’interno e quindi l’unica soluzione fu quella di innalzare l’apertura.
DON LUIGI REDAELLI
Il 9 dicembre 1882 moriva il
benemerito Parroco Don Angelo Cazzaniga e gli succedeva il 6 marzo 1883 il
nuovo parroco don Luigi Redaelli che dovette subire un colpo molto amaro da
parte della Giunta Municipale che, arbitrariamente, decideva di rinnovare il
cimitero di S. Rocco, dividendo la sagrestia, che per 2/3 veniva adibita a
camera mortuaria.
Don Redaelli morì nel 1908 e per
sua volontà chiese di essere sepolto in San Rocco , all’entrata del cimitero,
calpestato da tutti gli azzatesi….
Don Luigi Redaelli, socio
fondatore della Cassa Rurale San Benigno di Azzate, volle farsi seppellire
sull’ingresso del cimitero di San Rocco e fece scrivere sulla sua tomba. “Mi avete calpestato da vivo, calpestatemi
anche da morto!”. Venne traslato nel nuovo cimitero di Vegonno nel
settembre 1958.
Don Luigi Redaelli Parroco dal 1883, mori nel 1908
“STRADA DEL CIMITERO”
CAPPELLINA
MARTIGNONI VICINO ALLA
STAZIONE DEL TRAM
Una modesta cappellina,
completamente aperta sul davanti, protetta da un cancelletto di ferro battuto e
dotata di un piccolo altare. Sulla parete era stato dipinta ad affresco una
Madonna con in braccio il Bambino che le ingiurie del tempo avevano
notevolmente compromesso. Fu vana cosa l’amorevole premura di un volonteroso
restauratore improvvisato, autorizzato dal prevosto don Angelo Cremona, ad
allungargli la vita poiché di lì a poco la cappellina sarebbe stata abbattuta
per fare posto alla nuova serie di costruzioni che ospitano i portici ed i
negozi di Via Piave, lungo il percorso che una volta era stata la sede della
tramvia, come ricorda il nome della moderna rotatoria.
Si accedeva al Cimitero e
all’Oratorio di San Rocco attraverso un viale alberato che iniziava con la
Cappellina e una Via Crucis.
In questa vecchia cartolina della
stazione tranviaria di Azzate si riesce a malapena a vedere sulla sinistra la
strada alberata che portava all’ingresso del vecchio cimitero di San Rocco.
1929 l’Amministrazione comunale di Azzate inizia
l’edificazione di un nuovo cimitero sito
in Vegonno.
1958 spostamento
cimitero comunale.
Questa fase coincide con il
definitivo spostamento del cimitero comunale in un’area più periferica del
paese a Vegonno; a San Rocco testimonianza dell’esistenza del camposanto rimane
oggi il portico, un tempo riservato alle tombe di famiglia e che oggi non è più
utilizzato.
Contestualmente allo spostamento
del cimitero avviene la tamponatura della porta che dalla camera mortuaria
accedeva al campo e fu eliminato il muro di separazione tra la camera e la
sagrestia, creata nell’intervento del 1884.
Il cimitero risalente ai primi
decenni dell’ottocento, ampliato successivamente nel 1884, venne
definitivamente smantellato nell’ottobre 1958 ed in quel contesto furono
esumati i resti di Don Cazzaniga e Don Redaelli.
CONFRATERNITA DEL
SANTISSIMO SACRAMENTO
Esistevano già da alcuni anni ad
Azzate tre scuole devozionali, una dedicata al Santissimo Sacramento, la
seconda alla Dottrina Cristiana e l’ultima (forse anche la più antica) a Santa
Orsola.
Le prime due furono erette
canonicamente in occasione della visita pastorale di San Carlo Borromeo del 14
agosto 1574, mentre per la terza il Cardinale ebbe parole d’incoraggiamento.
Confraternita del Santissimo
Sacramento:
Sin dal XVI alla Schola Santissimi Corporis Domini, risultavano iscritti 25 uomini e 50 donne, era gestita da
un priore, un vice priore, un tesoriere, un cancelliere e da un sacrestano,
tutti maschi.
La Congregazione era supportata da
tutte le famiglie nobili di Azzate in particolare dalle Famiglie Bossi.
La Confraternita si occupava della manutenzione della Chiesa
di San Rocco che era anche sede delle loro riunioni e luogo di preghiera,
durante le processioni eucaristiche portavano per le vie del paese il
crocifisso oggi posto nell’apposita cappella.
IL PENSIERO DI DON LUIGI
CANTU’
San Rocco è sempre stata “cara” a Don Luigi, il suo
rammarico è di non aver potuto portar a termine il progetto di restauro
completo.
Molto significativa è stata una
relazione sui beni della Parrocchia che ha inviato in Curia Arcivescovile di
Milano nel 1989 :
San Rocco - E’ il problema più urgente. Per cominciare va
rifatto il tetto, in seguito gradatamente verrà sistemato anche l’interno.
L’Oratorio di San Rocco, la Chiesetta della Madonnina e quella di San Giorgio a
Vegonno, fanno parte degli edifici sacri
della Parrocchia. Purtroppo fino allo scorso anno San Rocco si apriva solo due
volte, il 16 agosto festa del Santo, e il 2 novembre, giorno dei “morti”,
essendo ex chiesa cimiteriale di Azzate. Quest’anno neppure in queste
occasioni.
Ho pensato, come è stato fatto per il restauro dell’organo
della prepositurale, di indire una sottoscrizione a cui tutti possono aderire,
con diecimila lire si potrà sottoscrivere il costo di una tegola. Anche per
questa iniziativa si raccoglieranno in una specie di Libro d’Oro da conservare
in Archivio, i nomi degli offerenti. L’iniziativa lanciata durante la
celebrazione di San Rocco raccoglierà tutte le offerte fino a saldo del debito
contratto per il rifacimento del tetto.
Don Luigi Cantù vi mette mano tra
il 1989 e il 1990 con il rifacimento totale del tetto, lavoro indispensabile
per garantire stabilità al resto della chiesetta ancora per lungo tempo.
Vengono anche rinforzate e legate
le travi maggiori, che non davano più garanzie di sicurezza, sono poi
imbrigliate le pareti perimetrali che sostengono il tetto con una correa in
cemento armato, infine viene completamente riassettato il campanile.
La spesa complessiva supera i 100
milioni. Non vengono elargiti contributi da parte di nessun Ente pubblico; il
restauro è pagato entro l’anno, grazie ad una sottoscrizione fra i
parrocchiani, che, come sempre, rispondono spontaneamente e con generosità e
alle offerte straordinarie dell’anno, in occasione della festa patronale, della
Madonnina e di Natale.
APPENDICE
La Chiesa di San Rocco è stata oggetto di varie
ristrutturazioni ed in particolare di opere di rafforzamento, purtroppo la situazione attuale ha portato la
Parrocchia a dare incarico di monitorare le numerose fessure attraverso
impianti a sensori di rilevamento.
Segnaliamo che la nostra Chiesa cara a tanti azzatesi che la vorrebbero come era ai suoi tempi
migliori, è stata oggetto di studio da parte di Valentina Foglia e Andrea
Livietti che ne hanno fatto oggetto delle loro tesi di laurea.
[1] A.S.D.Mi, Visite
pastorali, Pieve di Varese, volume 66.
[2] Non è esatto. E’ in forma
rettangolare con gli angoli smussati.
[3] Pagina 190.
L’Oratorio di San Rocco, uno dei cinque edifici sacri della Parrocchia di Azzate, sorge al decimo miglio dell’antica strada romana che univa Velate, nei pressi di Varese, al porto lacustre di Angera sul Lago Maggiore.
Vi si accedeva dall’attuale Via Cottalorda, come dimostra il
prospetto della sua facciata che si trova in asse perpendicolare con la strada
che conduceva a Brunello e sfruttava una leggera sopraelevatura del terreno
alla quale si accedeva tramite una rampa di gradini.
La sua posizione isolata rispetto al centro storico ne fece
la sede ideale come chiesa battesimale che doveva sorgere discosta dalla chiesa
parrocchiale per sottolineare il fatto che i catecumeni non erano ancora stati
ammessi alla comunità cristiana e, solo attraverso il battesimo, avrebbero
potuto farne parte.
L’affresco posto in facciata, sotto lo spiovente del tetto,
raffigura infatti San Giovanni Battista con accanto la Vergine Maria in trono,
immersi in numerose nuvolette che fanno loro da sostegno.
A rimarcare la funzione di chiesa battesimale venne
replicato un altro San Giovanni Battista sul lato sinistro del portone
d’ingresso, affresco purtroppo non più leggibile ai nostri giorni, unitamente a
quello di destra che rappresentava Sant’Antonio (?).
Una serie di paracarri in granito delimitava la scalinata di
accesso e la piccola piazzuola. Fra un paracarro e l’altro era inserita un’asta
di ferro rotonda con funzioni di corrimano e protezione.
Dalla piazzola si ascende con una gradinata rettangolare di
beole di sarizzo alla piccola soglia antistante il portone d’ingresso,
incorniciato da una lussuosa modanatura culminante in un …..L’Oratorio di San Rocco, uno dei cinque edifici sacri della
Parrocchia di Azzate, sorge al decimo miglio dell’antica strada romana che
univa Velate, nei pressi di Varese, al porto lacustre di Angera sul Lago
Maggiore.
Vi si accedeva dall’attuale Via Cottalorda, come dimostra il
prospetto della sua facciata che si trova in asse perpendicolare con la strada
che conduceva a Brunello e sfruttava una leggera sopraelevatura del terreno
alla quale si accedeva tramite una rampa di gradini.
La sua posizione isolata rispetto al centro storico ne fece
la sede ideale come chiesa battesimale che doveva sorgere discosta dalla chiesa
parrocchiale per sottolineare il fatto che i catecumeni non erano ancora stati
ammessi alla comunità cristiana e, solo attraverso il battesimo, avrebbero
potuto farne parte.
L’affresco posto in facciata, sotto lo spiovente del tetto,
raffigura infatti San Giovanni Battista con accanto la Vergine Maria in trono,
immersi in numerose nuvolette che fanno loro da sostegno.
A rimarcare la funzione di chiesa battesimale venne
replicato un altro San Giovanni Battista sul lato sinistro del portone
d’ingresso, affresco purtroppo non più leggibile ai nostri giorni, unitamente a
quello di destra che rappresentava Sant’Antonio (?).
Una serie di paracarri in granito delimitava la scalinata di
accesso e la piccola piazzuola. Fra un paracarro e l’altro era inserita un’asta
di ferro rotonda con funzioni di corrimano e protezione.
Dalla piazzola si ascende con una gradinata rettangolare di
beole di sarizzo alla piccola soglia antistante il portone d’ingresso,
incorniciato da una lussuosa modanatura culminante in un …..
Prima di addentrarci nell’argomento che l’Oratorio di San Rocco di Azzate è sorto come chiesa battesimale, sarà bene dare un’occhiata a quanto è stato scritto sul battistero di San Giovanni di Varese che possiamo considerare il primo battistero della Pieve di Varese.
Il centro di
Varese nei dati archeologici
Nell'area attualmente occupata dal complesso della Basilica e del Battistero sono state rinvenute le tracce archeologiche dei più antichi insediamenti umani a Varese; negli scavi terminati nel 2000, condotti sul lato sud del Battistero, si sono trovate tracce di un insediamento della prima età del ferro (IX.X sec. a.C.) da cui si passa direttamente all'età altomedioevale (VI-VII sec. d.C. - resti di un edificio ligneo-).
La mancanza di testimonianze dell'età gallica e romana è dovuta forse alla poca abitabilità del luogo che si presentava paludoso.
I primi edifici in muratura di cui si è conservata traccia risalgono al VII-VIII sec. d.C.: tra essi il primo impianto del battistero, di pianta poligonale e un edificio a sud dello stesso. La costruzione di un battistero - e probabilmente di un primo edificio della chiesa di S. Vittore - è indizio di una diffusione del cristianesimo nella zona che la tradizione lega al volere della regina Teodolinda e al marito Agilulfo.
Del IX e X sec. sono le tracce di un nuovo edificio di uso incerto, di nuovi muri perimetrali per il Battistero e le più antiche sepolture trovate nell'area, che da allora fu utilizzata come cimitero; nell'XI sec. troviamo finalmente anche le testimonianze documentarie dell'esistenza della chiesa di S. Vittore e del Battistero (pergamene dell'Archivio Prepositurale di San Vittore), cuore della pieve di Varese. Le pievi furono, dall'alto medioevo all'inizio dell'età moderna, le circoscrizioni ecclesiastiche di base in cui di articolavano i territori rurali delle diocesi e facevano capo ad una chiesa matrice e ad un battistero in cui si concentrava l'attività del clero pievano a favore di tutta la popolazione.
Nell'area attualmente occupata dal complesso della Basilica e del Battistero sono state rinvenute le tracce archeologiche dei più antichi insediamenti umani a Varese; negli scavi terminati nel 2000, condotti sul lato sud del Battistero, si sono trovate tracce di un insediamento della prima età del ferro (IX.X sec. a.C.) da cui si passa direttamente all'età altomedioevale (VI-VII sec. d.C. - resti di un edificio ligneo-).
La mancanza di testimonianze dell'età gallica e romana è dovuta forse alla poca abitabilità del luogo che si presentava paludoso.
I primi edifici in muratura di cui si è conservata traccia risalgono al VII-VIII sec. d.C.: tra essi il primo impianto del battistero, di pianta poligonale e un edificio a sud dello stesso. La costruzione di un battistero - e probabilmente di un primo edificio della chiesa di S. Vittore - è indizio di una diffusione del cristianesimo nella zona che la tradizione lega al volere della regina Teodolinda e al marito Agilulfo.
Del IX e X sec. sono le tracce di un nuovo edificio di uso incerto, di nuovi muri perimetrali per il Battistero e le più antiche sepolture trovate nell'area, che da allora fu utilizzata come cimitero; nell'XI sec. troviamo finalmente anche le testimonianze documentarie dell'esistenza della chiesa di S. Vittore e del Battistero (pergamene dell'Archivio Prepositurale di San Vittore), cuore della pieve di Varese. Le pievi furono, dall'alto medioevo all'inizio dell'età moderna, le circoscrizioni ecclesiastiche di base in cui di articolavano i territori rurali delle diocesi e facevano capo ad una chiesa matrice e ad un battistero in cui si concentrava l'attività del clero pievano a favore di tutta la popolazione.
Archeologia
È all'epoca tardo romana e altomedievale che risalgono le più significative testimonianze individuate nell'attuale centro storico. Esse ci fanno supporre che il primo nucleo urbano sia stato edificato tra il VI e il VII secolo d.C., come documentano i ritrovamenti effettuati nelle ricerche del 1948-50 a lato del battistero di San Giovanni in cui sono state messe in luce le fondazioni del primo edificio battesimale poligonale, con vasca centrale ottagonale per il rito a immersione e absidiola, obliterato dall'attuale battistero di epoca romanica.
I recenti scavi, eseguiti in occasione della realizzazione di un'area a parcheggio a meridione del Battistero, testimoniano nell'area un più antico insediamento, databile alla prima età del ferro (IX-V secolo a.C.), con scarse testimonianze di un piano pavimentale effimero in limo argilloso, con esigui frammenti di recipienti ceramici d'ambito domestico.
L'assenza in situ di testimonianze relative all'età gallica e a quella romana ha consentito di rilevare che, nella sequenza stratigrafica, la successiva evidenza archeologica coincidesse con il costituirsi del primo nucleo della città attuale, di età altomedievale (VI-VII secolo). Ad esso si riferiscono i resti di un edificio ligneo, probabilmente con alzati in argilla e pavimentazioni in argilla e limo, distrutto da un incendio, cui seguono (VII-VIII secolo), i primi edifici in muratura, quali il primitivo edificio battesimale, di pianta poligonale, orientato, a cui devono riferirsi i piani pavimentali esterni in acciottolato e l'edificio sud, a destinazione residenziale, con fronte murario rettilineo e lacerto pavimentale interno in malta. Nel IX secolo e X secolo vi si addossano un nuovo edificio murario, di incerta funzione, di cui si è evidenziato un solo breve tratto murario, con le più antiche sepolture a struttura antropomorfa, e nuove murature perimetrali, forse di rinforzo, o per creare un superiore deambulatorio o matroneo, già attribuite nel 1948 all'originario battistero esagonale.
Nel XII secolo, sulle fondazioni del secondo battistero poligonale abbattuto (a eccezione dei due lati nord), si dà inizio, senza condurla a termine, alla costruzione del nuovo San Giovanni ad aula quadrata, con alzato in conci di serizzo. Il progetto verrà repentinamente modificato, a cavallo tra XII e XIII secolo, con la sostituzione del materiale lapideo, per la facciata e il lato sud, a favore della chiara pietra di Viggiù.
Nel XV-XVI secolo si diffonde nell'area cimiteriale la deposizione di inumazioni in cassa lignea, entro loculi rettangolari in laterizi. Uno di questi, adiacente al fronte murario dell'edificio meridionale, testimonia l'evoluzione formale di una sepoltura famigliare (presenti al suo interno undici individui) che, a partire dall'XI-XII secolo con loculo antropomorfo, viene rialzata nel XIII in forma rettangolo-ovoidale e infine ulteriormente rifatta, nel XV-XVI secolo, in forma rettangolare. Se nel XVI secolo si ha l'edificazione di un nuovo edificio residenziale nell'area sud-ovest, è di poco successiva la costruzione di una grande ghiacciaia interrata, di forma circolare e con parete muraria rastremata, che verrà utilizzata fino agli inizi del XX secolo.
È all'epoca tardo romana e altomedievale che risalgono le più significative testimonianze individuate nell'attuale centro storico. Esse ci fanno supporre che il primo nucleo urbano sia stato edificato tra il VI e il VII secolo d.C., come documentano i ritrovamenti effettuati nelle ricerche del 1948-50 a lato del battistero di San Giovanni in cui sono state messe in luce le fondazioni del primo edificio battesimale poligonale, con vasca centrale ottagonale per il rito a immersione e absidiola, obliterato dall'attuale battistero di epoca romanica.
I recenti scavi, eseguiti in occasione della realizzazione di un'area a parcheggio a meridione del Battistero, testimoniano nell'area un più antico insediamento, databile alla prima età del ferro (IX-V secolo a.C.), con scarse testimonianze di un piano pavimentale effimero in limo argilloso, con esigui frammenti di recipienti ceramici d'ambito domestico.
L'assenza in situ di testimonianze relative all'età gallica e a quella romana ha consentito di rilevare che, nella sequenza stratigrafica, la successiva evidenza archeologica coincidesse con il costituirsi del primo nucleo della città attuale, di età altomedievale (VI-VII secolo). Ad esso si riferiscono i resti di un edificio ligneo, probabilmente con alzati in argilla e pavimentazioni in argilla e limo, distrutto da un incendio, cui seguono (VII-VIII secolo), i primi edifici in muratura, quali il primitivo edificio battesimale, di pianta poligonale, orientato, a cui devono riferirsi i piani pavimentali esterni in acciottolato e l'edificio sud, a destinazione residenziale, con fronte murario rettilineo e lacerto pavimentale interno in malta. Nel IX secolo e X secolo vi si addossano un nuovo edificio murario, di incerta funzione, di cui si è evidenziato un solo breve tratto murario, con le più antiche sepolture a struttura antropomorfa, e nuove murature perimetrali, forse di rinforzo, o per creare un superiore deambulatorio o matroneo, già attribuite nel 1948 all'originario battistero esagonale.
Nel XII secolo, sulle fondazioni del secondo battistero poligonale abbattuto (a eccezione dei due lati nord), si dà inizio, senza condurla a termine, alla costruzione del nuovo San Giovanni ad aula quadrata, con alzato in conci di serizzo. Il progetto verrà repentinamente modificato, a cavallo tra XII e XIII secolo, con la sostituzione del materiale lapideo, per la facciata e il lato sud, a favore della chiara pietra di Viggiù.
Nel XV-XVI secolo si diffonde nell'area cimiteriale la deposizione di inumazioni in cassa lignea, entro loculi rettangolari in laterizi. Uno di questi, adiacente al fronte murario dell'edificio meridionale, testimonia l'evoluzione formale di una sepoltura famigliare (presenti al suo interno undici individui) che, a partire dall'XI-XII secolo con loculo antropomorfo, viene rialzata nel XIII in forma rettangolo-ovoidale e infine ulteriormente rifatta, nel XV-XVI secolo, in forma rettangolare. Se nel XVI secolo si ha l'edificazione di un nuovo edificio residenziale nell'area sud-ovest, è di poco successiva la costruzione di una grande ghiacciaia interrata, di forma circolare e con parete muraria rastremata, che verrà utilizzata fino agli inizi del XX secolo.
Storia
Le pievi furono, dall'alto medioevo all'inizio dell'età moderna, le circoscrizioni ecclesiastiche di base in cui si articolavano i territori rurali delle diocesi. Il nucleo centrale di ciascuna pieve era costituito dagli edifici della chiesa matrice e del battistero, dove si concentrava l'attività pastorale svolta dal clero pievano in favore di tutta la popolazione residente entro i confini del piviere.
La chiesa di S. Vittore e il battistero di S. Giovanni formavano il cuore della pieve di Varese, la cui esistenza è attestata nei documenti solo dal X secolo, benché l'origine sia senza dubbio assai più antica. La prima notizia sul battistero reperibile nelle fonti scritte è la citazione, nell'anno 1061, di terreni di proprietà di S. Giovanni nella castellanza di Bosto. Occorre poi attendere la seconda metà del XII secolo per trovare nuovamente menzione della chiesa di S. Giovanni, come luogo presso e dentro il quale vengono redatti vari atti notarili (1176, 1179, 1181, 1199).
All'inizio del Duecento, nel contesto di una fase di grande sviluppo del borgo di Varese in campo economico, istituzionale e demografico, l'antico edificio battesimale della pieve venne radicalmente rinnovato nelle sue strutture materiali, attraverso un ricostruzione che gli fece assumere l'aspetto conservato fino ai restauri ottocenteschi e sostanzialmente simile a quello attuale. All'interno le pareti accolsero la decorazione pittorica, vera antologia degli orientamenti devozionali della popolazione, in cui si riflettono i tratti peculiari della società varesina fra Tre e Quattrocento. Lo dimostrano alcuni fra i santi raffigurati (s. Ludovico di Tolosa, s. Leonardo, s. Antonio abate) e titolari degli altari (s. Dionigi, s. Eligio), che per la loro origine, l'area di diffusione del loro culto e le professioni di cui sono patroni rivelano l'importanza assunta dai commerci, e in particolare dalla fiera dei cavalli, per l'economia locale e i conseguenti intensi rapporti intrecciati dal borgo prealpino con il mondo d'Oltralpe. Il battistero di S. Giovanni, pur continuando a essere luogo di amministrazione dei battesimi durante la veglia del Sabato Santo (mentre alla vigilia di Pentecoste si battezzava a S. Maria del Monte di Velate), per qualche decennio fra Due e Trecento dovette essere utilizzato come cappella per gli aderenti alla schola o confraternita intitolata appunto a S. Giovanni Battista, a cui si deve la fondazione e il governo dell'omonimo ospedale eretto nel borgo sul finire del XIII secolo. Un indizio del rapporto fra il battistero e i membri della confraternita, esponenti del ceto dirigente varesino, è forse l'affresco del miracolo di S. Giacomo, probabilmente commissionato dal chirurgo Giacomo Codebò, devoto dell'apostolo e iscritto alla schola. L'interesse degli strati eminenti della popolazione per l'antico battistero si concretizzò durante il Trecento nella fondazione di due benefici di cappellania. Una cappellania fu eretta nel 1340 da Lorenzo de Sapore all'altare di S. Alberto; un'altra, dedicata a Tutti i santi, venne istituita nel 1358/1359 da Ottorino Grilli, già canonico di S. Vittore e divenuto in seguito camerario del vescovo di Ferrara Guido da Baisio. Il Grilli riservò ad alcuni membri della sua famiglia il diritto di nomina del cappellano, il quale doveva essere sacerdote per assolvere all'obbligo della celebrazione di una Messa quotidiana. Il primo titolare noto, prete Francesco, è documentato nel 1371; dal 1375 al 1421 gli subentrò Giovanni de Zuchono. La cappellania, detta talvolta semplicemente di S. Giovanni, continuò a esistere nei secoli XV e XVI, quando ormai la funzione del battistero al servizio dei fedeli dell'intera pieve stava declinando a causa della progressiva erezione di fonti battesimali nelle chiese dei vari villaggi del piviere, elevate al rango di parrocchie in numero sempre maggiore tra Cinque e Seicento per rispondere al bisogno di una attività pastorale più capillarmente diffusa sul territorio. I testi delle visite pastorali, condotte tra il 1567 e il 1852, costituiscono fonte primaria di conoscenza riguardo alle vicende del S. Giovanni, registrando anche la diversità di mentalità e di atteggiamento dei visitatori che, pur restando fedeli alla forma della visita codificata da S. Carlo, mostrano maggior o minore sensibilità storico - artistica. Un eloquente esempio è dato dal modo con cui viene considerata la vasca monolitica di cui i visitatori generalmente notano la grandezza e i lati scolpiti, anche se, naturalmente, viene considerata prima di tutto per la sua funzione con l'inserimento a più riprese di un vaso ad acquasantiera; la descrizione più precisa è contenuta nella visita del card. Federico Borromeo (1612), in cui emerge la sensibilità artistica del presule, mentre l'arcivescovo Romilli (1852) considera l'antico fonte come una sorta di zoccolo su cui poggia il ciborio. Il fonte, che nel 1567 era collocato presso la parete aquilonare, sotto la scala che conduceva alla tribuna, viene subito trasferito nell'angolo orientale della parete opposta, ove resta sino al 1808, quando ritorna al centro della parete settentrionale, da cui verrà spostato nell'attuale posizione in occasione dei restauri del 1878. Un'altra vicenda di adattamenti continui riguarda l'altare: quando, intorno al 1580 i confratelli di S. Marta convertirono il presbiterio nel loro oratorio, l'altare era staccato dalla parete di fondo su cui erano posti degli stalli in muratura; nel 1616 gli scolari ottennero di poter addossare l'altare alla parete orientale, operando, a fine XVII secolo, ulteriori modifiche per ospitare sotto la mensa il simulacro del Cristo morto, utilizzato per la processione dell'Entierro; infine con i lavori di inizio Ottocento l'altare venne ulteriormente incassato nel muro. La scala che saliva alla tribuna, lungo la parete settentrionale, è legata a doppio filo con il sottostante altare (ora scomparso) dedicato alla B. V. Maria; sin dalla visita del 1567 venne ordinato l'abbattimento della scala e la costruzione di un'altra sulla parete opposta, a tal fine S. Carlo inviò a Varese il suo architetto di fiducia, Pellegrino Tibaldi; ma di tale disposizione non se ne fece nulla, sino al 1617, quando, abbattuta la scala interna, venne edificata l'attuale, posta all'esterno tra la parte orientale della chiesa battesimale e l'antica "domus" arcivescovile. L'altare ligneo aveva un ancona affrescata raffigurante la B.V. Maria con il Bambino tra i SS. Antonio Abate e Sebastiano; nella seconda metà del XVI secolo l'immagine era oggetto di particolare venerazione ed era ritenuta miracolosa, così come attestavano numerosi ex voto, dapprima in cera, poi in rame; davanti ad essa ardeva una lampada alimentata dalle offerte dei fedeli e curata da una donna di nome Orsola. E' probabile che l'abbattimento della scala abbia incontrato forti resistenze da parte dei Varesini che temevano un danneggiamento dell'immagine; tale timore venne superato, quando nel 1617 l'ancona venne staccata e posta insieme all'altare contro la parete che separava l'aula dall'oratorio di S. Marta: l'occasione venne sottolineata, come ricorda il cronachista Tatto, da solenni celebrazioni. L'immagine, ancora esistente nel secolo scorso, è poi andata dispersa; si può ipotizzare che, con il passare del tempo, la devozione nei suoi confronti sia andata scemando a favore di quella verso l'Addolorata. L'antichità del S. Giovanni, sede del fonte battesimale, luogo della nascita alla Grazia, suggerì al card. Federico Borromeo un accorato appello alla generosità dei Varesini affinché generosamente si adoperassero per la sua conservazione ed il suo restauro. In un'epoca ove la nascita delle parrocchie aveva portato ad un certo allentamento dei legami plebani, le cerimonie del sabato santo e della vigilia di Pentecoste costituivano un momento di unità dei parroci di tutta la pieve intorno al I restauri di fine Ottocento e quelli del 1948 - 1949 affrontarono, con differenti sensibilità e tecniche, i problemi del battistero come monumento, mentre negli ultimi decenni il nostro "bel San Giovanni", da sempre così legato alla fede dei Varesini, ha subito una crisi di identità, da una funzione liturgica come "sepolcro" nel triduo pasquale alla celebrazione di matrimoni; da sede di mostre che hanno fatto epoca, come le mostre biblica e missionaria promosse da mons. Manfredini, nello spirito del Concilio Vaticano II, alle ultime esposizioni relative al patrimonio storico - artistico della Basilica. L'inizio del terzo millennio dell'era cristiana ci consegna il Battistero ancora bisognoso di interventi materiali, ma ancor più di un netto recupero della sua peculiare identità: la ripresa tra le sue mura della celebrazione del Sacramento del Battesimo indica la via da percorrere per consegnarlo alle generazioni future come testimone di pietra della fede delle genti varesine.
Le pievi furono, dall'alto medioevo all'inizio dell'età moderna, le circoscrizioni ecclesiastiche di base in cui si articolavano i territori rurali delle diocesi. Il nucleo centrale di ciascuna pieve era costituito dagli edifici della chiesa matrice e del battistero, dove si concentrava l'attività pastorale svolta dal clero pievano in favore di tutta la popolazione residente entro i confini del piviere.
La chiesa di S. Vittore e il battistero di S. Giovanni formavano il cuore della pieve di Varese, la cui esistenza è attestata nei documenti solo dal X secolo, benché l'origine sia senza dubbio assai più antica. La prima notizia sul battistero reperibile nelle fonti scritte è la citazione, nell'anno 1061, di terreni di proprietà di S. Giovanni nella castellanza di Bosto. Occorre poi attendere la seconda metà del XII secolo per trovare nuovamente menzione della chiesa di S. Giovanni, come luogo presso e dentro il quale vengono redatti vari atti notarili (1176, 1179, 1181, 1199).
All'inizio del Duecento, nel contesto di una fase di grande sviluppo del borgo di Varese in campo economico, istituzionale e demografico, l'antico edificio battesimale della pieve venne radicalmente rinnovato nelle sue strutture materiali, attraverso un ricostruzione che gli fece assumere l'aspetto conservato fino ai restauri ottocenteschi e sostanzialmente simile a quello attuale. All'interno le pareti accolsero la decorazione pittorica, vera antologia degli orientamenti devozionali della popolazione, in cui si riflettono i tratti peculiari della società varesina fra Tre e Quattrocento. Lo dimostrano alcuni fra i santi raffigurati (s. Ludovico di Tolosa, s. Leonardo, s. Antonio abate) e titolari degli altari (s. Dionigi, s. Eligio), che per la loro origine, l'area di diffusione del loro culto e le professioni di cui sono patroni rivelano l'importanza assunta dai commerci, e in particolare dalla fiera dei cavalli, per l'economia locale e i conseguenti intensi rapporti intrecciati dal borgo prealpino con il mondo d'Oltralpe. Il battistero di S. Giovanni, pur continuando a essere luogo di amministrazione dei battesimi durante la veglia del Sabato Santo (mentre alla vigilia di Pentecoste si battezzava a S. Maria del Monte di Velate), per qualche decennio fra Due e Trecento dovette essere utilizzato come cappella per gli aderenti alla schola o confraternita intitolata appunto a S. Giovanni Battista, a cui si deve la fondazione e il governo dell'omonimo ospedale eretto nel borgo sul finire del XIII secolo. Un indizio del rapporto fra il battistero e i membri della confraternita, esponenti del ceto dirigente varesino, è forse l'affresco del miracolo di S. Giacomo, probabilmente commissionato dal chirurgo Giacomo Codebò, devoto dell'apostolo e iscritto alla schola. L'interesse degli strati eminenti della popolazione per l'antico battistero si concretizzò durante il Trecento nella fondazione di due benefici di cappellania. Una cappellania fu eretta nel 1340 da Lorenzo de Sapore all'altare di S. Alberto; un'altra, dedicata a Tutti i santi, venne istituita nel 1358/1359 da Ottorino Grilli, già canonico di S. Vittore e divenuto in seguito camerario del vescovo di Ferrara Guido da Baisio. Il Grilli riservò ad alcuni membri della sua famiglia il diritto di nomina del cappellano, il quale doveva essere sacerdote per assolvere all'obbligo della celebrazione di una Messa quotidiana. Il primo titolare noto, prete Francesco, è documentato nel 1371; dal 1375 al 1421 gli subentrò Giovanni de Zuchono. La cappellania, detta talvolta semplicemente di S. Giovanni, continuò a esistere nei secoli XV e XVI, quando ormai la funzione del battistero al servizio dei fedeli dell'intera pieve stava declinando a causa della progressiva erezione di fonti battesimali nelle chiese dei vari villaggi del piviere, elevate al rango di parrocchie in numero sempre maggiore tra Cinque e Seicento per rispondere al bisogno di una attività pastorale più capillarmente diffusa sul territorio. I testi delle visite pastorali, condotte tra il 1567 e il 1852, costituiscono fonte primaria di conoscenza riguardo alle vicende del S. Giovanni, registrando anche la diversità di mentalità e di atteggiamento dei visitatori che, pur restando fedeli alla forma della visita codificata da S. Carlo, mostrano maggior o minore sensibilità storico - artistica. Un eloquente esempio è dato dal modo con cui viene considerata la vasca monolitica di cui i visitatori generalmente notano la grandezza e i lati scolpiti, anche se, naturalmente, viene considerata prima di tutto per la sua funzione con l'inserimento a più riprese di un vaso ad acquasantiera; la descrizione più precisa è contenuta nella visita del card. Federico Borromeo (1612), in cui emerge la sensibilità artistica del presule, mentre l'arcivescovo Romilli (1852) considera l'antico fonte come una sorta di zoccolo su cui poggia il ciborio. Il fonte, che nel 1567 era collocato presso la parete aquilonare, sotto la scala che conduceva alla tribuna, viene subito trasferito nell'angolo orientale della parete opposta, ove resta sino al 1808, quando ritorna al centro della parete settentrionale, da cui verrà spostato nell'attuale posizione in occasione dei restauri del 1878. Un'altra vicenda di adattamenti continui riguarda l'altare: quando, intorno al 1580 i confratelli di S. Marta convertirono il presbiterio nel loro oratorio, l'altare era staccato dalla parete di fondo su cui erano posti degli stalli in muratura; nel 1616 gli scolari ottennero di poter addossare l'altare alla parete orientale, operando, a fine XVII secolo, ulteriori modifiche per ospitare sotto la mensa il simulacro del Cristo morto, utilizzato per la processione dell'Entierro; infine con i lavori di inizio Ottocento l'altare venne ulteriormente incassato nel muro. La scala che saliva alla tribuna, lungo la parete settentrionale, è legata a doppio filo con il sottostante altare (ora scomparso) dedicato alla B. V. Maria; sin dalla visita del 1567 venne ordinato l'abbattimento della scala e la costruzione di un'altra sulla parete opposta, a tal fine S. Carlo inviò a Varese il suo architetto di fiducia, Pellegrino Tibaldi; ma di tale disposizione non se ne fece nulla, sino al 1617, quando, abbattuta la scala interna, venne edificata l'attuale, posta all'esterno tra la parte orientale della chiesa battesimale e l'antica "domus" arcivescovile. L'altare ligneo aveva un ancona affrescata raffigurante la B.V. Maria con il Bambino tra i SS. Antonio Abate e Sebastiano; nella seconda metà del XVI secolo l'immagine era oggetto di particolare venerazione ed era ritenuta miracolosa, così come attestavano numerosi ex voto, dapprima in cera, poi in rame; davanti ad essa ardeva una lampada alimentata dalle offerte dei fedeli e curata da una donna di nome Orsola. E' probabile che l'abbattimento della scala abbia incontrato forti resistenze da parte dei Varesini che temevano un danneggiamento dell'immagine; tale timore venne superato, quando nel 1617 l'ancona venne staccata e posta insieme all'altare contro la parete che separava l'aula dall'oratorio di S. Marta: l'occasione venne sottolineata, come ricorda il cronachista Tatto, da solenni celebrazioni. L'immagine, ancora esistente nel secolo scorso, è poi andata dispersa; si può ipotizzare che, con il passare del tempo, la devozione nei suoi confronti sia andata scemando a favore di quella verso l'Addolorata. L'antichità del S. Giovanni, sede del fonte battesimale, luogo della nascita alla Grazia, suggerì al card. Federico Borromeo un accorato appello alla generosità dei Varesini affinché generosamente si adoperassero per la sua conservazione ed il suo restauro. In un'epoca ove la nascita delle parrocchie aveva portato ad un certo allentamento dei legami plebani, le cerimonie del sabato santo e della vigilia di Pentecoste costituivano un momento di unità dei parroci di tutta la pieve intorno al I restauri di fine Ottocento e quelli del 1948 - 1949 affrontarono, con differenti sensibilità e tecniche, i problemi del battistero come monumento, mentre negli ultimi decenni il nostro "bel San Giovanni", da sempre così legato alla fede dei Varesini, ha subito una crisi di identità, da una funzione liturgica come "sepolcro" nel triduo pasquale alla celebrazione di matrimoni; da sede di mostre che hanno fatto epoca, come le mostre biblica e missionaria promosse da mons. Manfredini, nello spirito del Concilio Vaticano II, alle ultime esposizioni relative al patrimonio storico - artistico della Basilica. L'inizio del terzo millennio dell'era cristiana ci consegna il Battistero ancora bisognoso di interventi materiali, ma ancor più di un netto recupero della sua peculiare identità: la ripresa tra le sue mura della celebrazione del Sacramento del Battesimo indica la via da percorrere per consegnarlo alle generazioni future come testimone di pietra della fede delle genti varesine.
Storia del
rito del Battesimo
Chi oggi giunge a Varese per visitare il battistero trova un edificio a pianta quadrangolare; al centro il visitatore può ammirare una vasca battesimale scavata nel pavimento, di forma ottagonale, sopra la quale si eleva un'altra vasca monolitica, ad altezza d'uomo, pure di forma ottagonale, al cui interno è stato infine collocato un piccolo fonte a forma di acquasantiera, analogo a quelli che siamo abituati a vedere normalmente nelle cappelle battisteriali delle nostre chiese. Tale situazione è l'esito finale di una lunga evoluzione, che ci permette in maniera chiara e sintetica di ripercorrere praticamente la storia stessa del rito del battesimo così come nella liturgia si è venuto configurando e sviluppando. Per comprendere adeguatamente come, nella storia della liturgia, si sia sviluppato il rito del battesimo in collegamento con lo sviluppo architettonico di battistero e fonte battesimale, dobbiamo partire da due brevi passi neotestamentari tratti dagli scritti di san Paolo. Innanzitutto la lettera ai Romani (6,4-5), dove l'apostolo afferma: "Per mezzo del battesimo siamo stati dunque sepolti insieme con Cristo nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione". Analogo il testo che troviamo nella lettera ai Colossesi (2,12): "Con Cristo infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti". In questi due brevi testi Paolo accosta il battesimo al mistero pasquale di Cristo (morte e risurrezione): coerentemente il rito del battesimo, che comporta di sua natura i due successivi atti dell'immersione e dell'emersione dall'acqua, venne interpretato fin dall'epoca antica, come un'azione misterica nella quale il neo battezzato rivive personalmente l'evento salvifico della pasqua del Signore. Ciò impose conseguentemente che lo stesso spazio celebrativo riservato a tale rito venisse strutturato in maniera tale da rendere in qualche modo visibile e sperimentabile l'esplicitazione di tale movimento di "discesa" e "risurrezione". Si può, quindi, riassumere come segue lo sviluppo del gesto sacramentale del battesimo nelle sue varie scansioni lungo la storia della liturgia: dall'immersione totale (secondo la forma orizzontale) si passa a quella parziale (secondo la forma verticale), con il corrispettivo cambiamento architettonico dalla vasca paleocristiana scavata nel pavimento alla vasca che si erge dal pavimento per giungere infine al fonte a forma di coppa; all'immersione parziale si aggiunge l'infusione dell'acqua sul capo, mentre con la generalizzazione del battesimo degli infanti, l'immersione finisce con il ridursi, per stilizzazione, alla sola intinzione del capo. Il passo successivo, al di fuori delle terre di rito ambrosiano, sarà la scomparsa pratica di ogni gesto di immersione, per quanto stilizzato, tanto che dal secolo XV la norma per l'amministrazione del battesimo è la sola infusione dell'acqua sul capo dell'infante. L'attuale sistemazione del battistero di Varese, con la felice sovrapposizione dei tre fonti battesimali, con i ricchi richiami simbolici dell'impianto ottagonale (giorno ottavo ossia il superamento e l'annullamento della scansione del tempo e l'introduzione all'eternità di Dio) e di quello esagonale (i sei giorni della creazione, riferimento trinitario, come multiplo di tre, in chiave antiariana, riferimento a Cristo stesso, il cui monogramma o chrismon è inscrivibile in un esagono) di ascendenza santambrosiana o più in generale patristica, può essere giustamente considerato come una mirabile sintesi architettonica dell'intera linea storica in cui la celebrazione del battesimo, in connessione ai contenuti dottrinali in essa implicati, si è andata progressivamente evolvendo. E così il visitatore che giunge al battistero di Varese, qualora sappia riannodare i fili di questa lunga linea storica che dal secolo VII è giunta sino a noi, troverà in questo edificio non solo un'interessante testimonianza di arte e archeologia, ma anche, se non soprattutto, un luogo dove si è per così dire condensata la tradizione liturgica della Chiesa in riferimento al sacramento della rinascita battesimale.
Chi oggi giunge a Varese per visitare il battistero trova un edificio a pianta quadrangolare; al centro il visitatore può ammirare una vasca battesimale scavata nel pavimento, di forma ottagonale, sopra la quale si eleva un'altra vasca monolitica, ad altezza d'uomo, pure di forma ottagonale, al cui interno è stato infine collocato un piccolo fonte a forma di acquasantiera, analogo a quelli che siamo abituati a vedere normalmente nelle cappelle battisteriali delle nostre chiese. Tale situazione è l'esito finale di una lunga evoluzione, che ci permette in maniera chiara e sintetica di ripercorrere praticamente la storia stessa del rito del battesimo così come nella liturgia si è venuto configurando e sviluppando. Per comprendere adeguatamente come, nella storia della liturgia, si sia sviluppato il rito del battesimo in collegamento con lo sviluppo architettonico di battistero e fonte battesimale, dobbiamo partire da due brevi passi neotestamentari tratti dagli scritti di san Paolo. Innanzitutto la lettera ai Romani (6,4-5), dove l'apostolo afferma: "Per mezzo del battesimo siamo stati dunque sepolti insieme con Cristo nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione". Analogo il testo che troviamo nella lettera ai Colossesi (2,12): "Con Cristo infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti". In questi due brevi testi Paolo accosta il battesimo al mistero pasquale di Cristo (morte e risurrezione): coerentemente il rito del battesimo, che comporta di sua natura i due successivi atti dell'immersione e dell'emersione dall'acqua, venne interpretato fin dall'epoca antica, come un'azione misterica nella quale il neo battezzato rivive personalmente l'evento salvifico della pasqua del Signore. Ciò impose conseguentemente che lo stesso spazio celebrativo riservato a tale rito venisse strutturato in maniera tale da rendere in qualche modo visibile e sperimentabile l'esplicitazione di tale movimento di "discesa" e "risurrezione". Si può, quindi, riassumere come segue lo sviluppo del gesto sacramentale del battesimo nelle sue varie scansioni lungo la storia della liturgia: dall'immersione totale (secondo la forma orizzontale) si passa a quella parziale (secondo la forma verticale), con il corrispettivo cambiamento architettonico dalla vasca paleocristiana scavata nel pavimento alla vasca che si erge dal pavimento per giungere infine al fonte a forma di coppa; all'immersione parziale si aggiunge l'infusione dell'acqua sul capo, mentre con la generalizzazione del battesimo degli infanti, l'immersione finisce con il ridursi, per stilizzazione, alla sola intinzione del capo. Il passo successivo, al di fuori delle terre di rito ambrosiano, sarà la scomparsa pratica di ogni gesto di immersione, per quanto stilizzato, tanto che dal secolo XV la norma per l'amministrazione del battesimo è la sola infusione dell'acqua sul capo dell'infante. L'attuale sistemazione del battistero di Varese, con la felice sovrapposizione dei tre fonti battesimali, con i ricchi richiami simbolici dell'impianto ottagonale (giorno ottavo ossia il superamento e l'annullamento della scansione del tempo e l'introduzione all'eternità di Dio) e di quello esagonale (i sei giorni della creazione, riferimento trinitario, come multiplo di tre, in chiave antiariana, riferimento a Cristo stesso, il cui monogramma o chrismon è inscrivibile in un esagono) di ascendenza santambrosiana o più in generale patristica, può essere giustamente considerato come una mirabile sintesi architettonica dell'intera linea storica in cui la celebrazione del battesimo, in connessione ai contenuti dottrinali in essa implicati, si è andata progressivamente evolvendo. E così il visitatore che giunge al battistero di Varese, qualora sappia riannodare i fili di questa lunga linea storica che dal secolo VII è giunta sino a noi, troverà in questo edificio non solo un'interessante testimonianza di arte e archeologia, ma anche, se non soprattutto, un luogo dove si è per così dire condensata la tradizione liturgica della Chiesa in riferimento al sacramento della rinascita battesimale.
(Estratto da:
Basilica di S. Vittore martire di Varese).
Oratorio di S. Rocco. San Rocco. |
Oratorio di San Rocco. San Rocco. |
Oratorio di S. Rocco. Santa Eurosia. |
Oratorio di S. Rocco. S. Antonio da Padova. |
Oratorio di S. Rocco. Cappella del Crocefisso. |
Oratorio di S. Rocco. Il battesimo di Cristo. |
Oratorio di San Rocco. L'annunciazione ai lati del battesimo di Cristo. |
Oratorio di S. Rocco. Madonna e Santi nel sottotetto della facciata. |
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