Castello di Scaldasole. |
Il complesso monumentale di Scaldasole, una delle presenze
d'architettura fortificata medioevale più significative della provincia di
Pavia e dell'intera regione, è composto da un castello e da un ricetto. Tale
tipologia edilizia, unica nel panorama lombardo, è frequentissima nel vicino
Piemonte. Il nucleo originale del castello fu eretto alla fine del X secolo.
Nel 1404 Ardengo Folperti, alto dignitario visconteo ed appartenente ad una
nobile famiglia pavese, fece erigere il ricetto dagli architetti Milanino de
Saltariis, Bernardo e Martino de Soncino, assegnandogli la funzione di piazza
d'arme e di rifugio popolare, mentre il castello divenne la dimora signorile.
Nella seconda metà del secolo i marchesi Malaspina, nuovi feudatari di Scaldasole,
lo abbellirono con un portico ed una loggia. Il complesso edilizio, con le sue
sette torri medioevali, le volte e i camini rinascimentali, alcune sale
ottocentesche, ospitò alcuni illustri personaggi: nel 1491 Isabella d'Aragona,
figlia di Alfonso duca di Calabria e promessa sposa di Gian Galeazzo Sforza
duca di Milano, nel 1497 l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo e nel 1533 Carlo
V d'Asburgo; nel XIX secolo il ministro Camillo Benso conte di Cavour e diversi
altri statisti risorgimentali. La proprietà del castello e del feudo di
Scaldasole passò dai marchesi Sannazzaro ai nobili Campeggi e, nel XIV secolo,
ai Folperti. Quindi venne trasferita da Filippo Maria Visconti, nel 1436, al
camerario ducale messer Jñigo d'Avalos conte di Ribaldeo e nel 1444 a Giovanni
Pietro da Sesto, che la restituì ai Folperti nel 1451. Cinque anni dopo
pervenne a Francesco Pico della Mirandola conte di Concordia e nel 1461, per
atto di successione, a suo genero Giacomo Malaspina marchese di Fosdinovo. Nel
1577 fu ceduta al conte Rinaldo Tettoni,
il quale la vendette al cardinale Tolomeo Gallio di Como nel 1582. Gli eredi, i
Gallio Trivulzio duchi d'Alvito, alienarono le proprietà locali al loro
livellario Carlo Brielli nel 1799 che, tre anni dopo, le diede in investitura
perpetua al nobile Giovanni Antonio Strada di Garlasco. Il cardinale Tolomeo
Gallio, segretario alle lettere ed ai brevi di papa Pio IV e, successivamente,
segretario di Stato di Gregorio XIII, sistemò il giardino fastosamente, ma
purtroppo dell'opera tardorinascimentale non rimangono che due enormi magnolie
sul lato settentrionale del fossato, colmato per l'occasione, nonché una
scalinata in sasso, adornata da due statue di Vicenza, che scende ad occidente.
A poca distanza dall'ingresso settentrionale il prelato fece costruire delle
bellissime scuderie, ancor oggi ben conservate. Di particolare interesse sono:
il portico e la loggia del castello; i lunghi spalti merlati alla ghibellina
del ricetto; la cappella oratorio del cardinale Tolomeo Gallio; la quattrocentesca
Camera Longa dove il feudatario amministrava la propria giurisdizione e il
Consiglio della Comunità locale si riunì fino all'inizio del XIX secolo; la
sala da ballo in stile Luigi Filippo affrescata nel 1846 dal Maggi, allievo
dell'Appiani. All'interno del ricetto si possono inoltre ammirare delle
carrozze del XIX secolo, splendidamente conservate, un'armatura medievale ed
una raccolta di armi d'epoca.
(Estratto da: Castello di Scaldasole – notizie storiche).
Fara, Ghemme, Gionzana e Carpignano divennero nel 1575 feudo
comitale di Rinaldo Tettoni,
personaggio coinvolto in rischiose speculazioni che portarono alla confisca di
tutto il suo ingente patrimonio nel 1589.
(Estratto da: La storia di Carpignano Sesia).
Inizia un quinquennio (1581-1585)
di grave crisi finanziaria in tutta Europa. A Milano falliscono quasi tutti i
principali banchieri: nel 1583 Tommaso D'Adda, Rinaldo Tettoni, i fratelli Triddi e Cesare Foppa; nel 1584 Dario
Crivelli; nel 1585 Cesare Negrolo.
(Estratto da: Storia di Milano dal
1576 al 1600).
Nel 1585 il conte Rinaldo
Tettoni tenta senza fortuna di penetrare in Valtellina dal ducao di Milano
per sottrarre la valle al dominio Grigione.
(Estratto da: Museo senza frontiere tra Grigioni e
Valtellina).
Nel ‘400 i Cattaneo, antichi signori di Sillavengo,
spostarono i loro interessi definitivamente in città, mentre la giurisdizione
sul paese passò in parte ai Tornielli ed in parte ai Caccia, finché a metà del
secolo venne infeudato dapprima ai Sanseverino, poi nel 1467 a Gaspare daSuessa
(un capitano di ventura), nel 1483 ai Caccia di Mandello; nella seconda metà
del ‘500 i loro eredi, Caccia di Proh, vendettero il feudo a Rinaldo Tettoni, al quale, a seguito
della sua bancarotta, fu confiscato verso il 1590.
(Estratto da: Stria economica. Il comune di Sillavengo -
Novara).
Il mulino era stato dislocato in un
punto focale lungo il percorso della Roggia Molinara: da qui si distribuivano i
diversi rivi per l’adacquamento dei prati e dei campi del paese di Landiona.
La parte inferiore della struttura risale al 1200 e presentava i tipici muri a ciottoli dei cascinali e delle chiese delle aree vicine al fiume Sesia.
La parte superiore è più tarda: venne edificata nel corso del 1700 e poi ricostruita nel 1868/69.
Dal 1202 fu di proprietà dei Signori di Casalvolone Buronzo, antica famiglia vassallatica di origine longobarda.
Già in origine il mulino, oltre alla macina del grano e del frumento, possedeva una sega ad acqua, come testimoniano le vicende del Ponte Cervo e l’atto di vendita del 20/11/1418.
Nella seconda metà del 1500 il mulino divenne proprietà del conte Rinaldo Tettoni, insieme al forno locale. Poi entrambi il 20 febbraio 1679 con la Locatio molendini Landione passarono alla comunità di Landiona.
La parte inferiore della struttura risale al 1200 e presentava i tipici muri a ciottoli dei cascinali e delle chiese delle aree vicine al fiume Sesia.
La parte superiore è più tarda: venne edificata nel corso del 1700 e poi ricostruita nel 1868/69.
Dal 1202 fu di proprietà dei Signori di Casalvolone Buronzo, antica famiglia vassallatica di origine longobarda.
Già in origine il mulino, oltre alla macina del grano e del frumento, possedeva una sega ad acqua, come testimoniano le vicende del Ponte Cervo e l’atto di vendita del 20/11/1418.
Nella seconda metà del 1500 il mulino divenne proprietà del conte Rinaldo Tettoni, insieme al forno locale. Poi entrambi il 20 febbraio 1679 con la Locatio molendini Landione passarono alla comunità di Landiona.
(Estratto da Il mulino della villa
Landiona).
La sua preparazione musicale, svoltasi con tutta probabilità nel capoluogo emiliano, fu rivolta sia alla musica sacra sia a quella profana, genere al quale appartengono la maggior parte delle opere rimaste. I suoi studi dovettero essere puntigliosi: da essi il C. si attendeva onori, come si deduce da questo passo della lettera (1580) di dedica delle Canzonette... Primo Libro a quattro voci, indirizzata al conte Rinaldo Tettone: "Quel desiderio d'Honor, che naturalmente hanno quasi gli Huomini tutti, onde chi in una, e chi in un'altra impresa longamente s'affatica ... Hà me ancor si ponto, e stimolato, che dando opera à musicali studi, m'ha fatto produr questa humile operina". È incerto quando avvenne il trasferimento da Bologna a Milano ed il motivo dello spostamento, ma certamente esso si verificò prima del 1580. Egli comunque venne a Milano per assumere l'incarico di organista in duomo e non alla Madonna di S. Celso, come si legge in tutti i repertori.
(Estratto
da: Gasparo Costa in dizionario biografico).
Quando
il Visconti entrò in città nel 1290, anche in questo caso come Capitano del
Popolo dopo
aver
sconfitto i Tornielli e i Cavallazzi, si stabilì in un castrum già
presente, cioè nella fortezza che Francesco della Torre aveva realizzato nel
1272 – quando era Podestà della città – dopo aver sedato una rivolta cittadina
contro i Torriani. Per meglio proteggersi da altri attacchi futuri, Francesco
della Torre fece dunque erigere «un castello detto la Turricella e in questo
circondò il palazzo dei Tettoni»37. È verosimile
che
questo castello, costruito in un arco temporale di appena due anni (1272-1273),
non fosse altro che un palazzo con torre, uno tra i tanti testimoniati in
città, scelto perché ubicato vicinissimo all’angolo sudovest
della
muraglia e quindi più facilmente circondabile con un muro.
Del
resto i Tettoni erano alleati dei
Tornielli, e l’appropriazione di tale area non dovette essere particolarmente
difficoltosa.
(Estratto da: rm.univr.it/biblioteca/volumi/barbero comba).
Nel 1463 Fara risulta
infeudata a Francesco Attendolo, nel 1469 ad Antonio Borri e poi a Donato
Borri, cui è sequestrato il feudo nel 1477 per tradimento. Nel 1477 segue
quindi l’infeudazione a Gian Giacomo Trivulzio, poi a Manfredo Tornielli che
nel 1579 vende il feudo a Rinaldo
Tettoni, cui è confiscato nel 1581, restituito nel 1611 e devoluto nel 1640
per morte. Nel frattempo, risulta infeudata anche a Manfredo Tornielli
(Dessilani 2003). Subito dopo Fara risulta infeudata ai Farnese principi di
Parma, cui Carlo V aveva concesso in feudo il marchesato di Novara nel 1538,
che era stato successivamente riscattato da Fuentes, il governatore dello Stato
di Milano, nel 1602. Fara e Vespolate non vengono però riacquistate e rimangono
in possesso dei Farnese, tanto che l’inchiesta feudale del 1635 indica loro
come feudatari (ASM, Feudi Camerali p.a., 632 [14 ottobre 1635]; Bilotto
1997; Parma 1985; Parma 1998). Le consulte del Magistrato Straordinario del 23
agosto 1637 e degli anni 1661-64 reintegrano nuovamente il possesso del feudo
ai Farnese. Nel 1660 il duca di Parma trasferisce il feudo al suo maestro di
campo Francesco Serafini, all’interno della cui famiglia rimane fino al 1797.
In entrambe le occasioni la reintegrazione avviene grazie all’iniziativa della
comunità, con la riunione di tutti i capi di casa che esprimono il loro favore
nei confronti dei Farnese. Nel 1635 il feudo consiste solamente nel diritto di
nominare il podestà (titolare del Minor magistrato, e cioè della giurisdizione
sui rurali con diritto di appello al Senato) e il fiscale, mentre i dazi
(prestino, beccaria, vendita del vino a minuto, imbottato) sono di proprietà
del conte Gio. Batta Tettoni. Il notaio civile e criminale è a questa data
Matteo Tornielli, che non ha salario e si occupa di un solo processo per danni
dati, il cui colpevole è stato portato alle carceri di Novara non essendocene sul
posto. Nel 1668 i dazi appartengono alle convertite di S. Valeria di Milano,
assieme al dazio del traverso (riguardante tutto il vino non portato a Novara)
(ASM, Feudi Camerali p.a., 632 [22 maggio 1668]).
(Estratto da: Fara Novarese).
I Caccia di Mandello e Landiona si estinsero verso la fine
del secolo XVI nella persona di Maria che s’era sposata con Rinaldo Tettone, dell’antica famiglia
novarese, celebre condottiero dei suoi tempi.
(Estratto da: Teatro araldico ovvero raccolta generale delle
armi ed insegne gentilizie).
… in simbiosi mcon operazioni di cambio di elevata
comsistenza, di finnziamento del pubblico erario e di appalti fiscali, questi
protagonisti venivani chiamati hombres de
negocios. E gli operatori degni di questo nome a Milano, sono con in testa
il solito Negrolo, il Cusani, il Prata, il D’Adda e il Tettoni, il Caravaggio, Leonardo Spinola, i fratelli Doria, il
Cassina, il Canobio ed Emilio Omodei.
… Nel 1579 Rinaldo
Tettoni si sposa con Ottavia Foppa, sorella di Cesare Negrolo, socio di
Tommaso D’Adda, già cognato del primo: tutti e tre variamente presenti, in
compagnia o singolarmentem nei più rilevanti traffici di merci e cambi con
Lione.
(Estratto da: repositorio.uam.es/bitstream).
Rinaldo Tettoni,
di origine novaresi, era figura di spicco nel mondo della mercatura e dell’alta
finanza lombarda; socio d’affari e cognato di Tommaso D’Adda, nel 1579 si
imparentò con Cesare Negrolo, sposandone la sorella Ottavia.
Nel 1582 compariva tra i maggiori reddituari dello Stato, in società con il D’Adda, con una dotazione
di 8.724 scudi di redditi camerali.
…. Vi erano poi le irregolarità connesse alla pratica
quotidina della Tesoreria.
La più grave senza dubbio quella di aver costituito depositi
fruttiferi presso alcuni banchieri (Pelegro Doria, Cesare Negolo e Rinaldo Tettoni in testa) con le
giacenze di cassa che provenivano per lo più dalla bajas, intascadone i relativi interessi e obbligando di conseguenza
la Canera a ricorrere al prestito per mancanza di liquidità.
(Estratto da:
eprints.bice.cnr.it/3271/1/Il tesoro del re).
Azzate. Villa
Bossi-Tettoni-Benizzi- Castellani. Medaglione di Ippolito Bossi giureconsulto
collegiato
suocero di Rinaldo Tettoni.
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