mercoledì 22 aprile 2015

FEDECOMMESSO


Fin dagli ultimi secoli del medioevo si era venuto formando l’istituto del fedecommesso familiare, mediante il quale il testatore, con una disposizione inserita nell’atto di ultima volontà, si assicurava che il suo patrimonio alla morte dell’erede, anziché essere devoluto secondo la volontà di costui o della legge, sarebbe stato restituito dall’erede integro ad una terza persona, e da questa ad un’altra, e via dicendo. Così l’individuo imprimeva al proprio patrimonio una sorte che lo avrebbe seguito nei passaggi futuri di generazione in generazione, senza che la volontà dei successivi eredi potesse modificarla; il patrimonio, divenuto inalienabile, era vincolato nei successivi trapassi, ipoteticamente all’infinito, secondo la serie delle sostituzioni determinate in origine.
L’istituto ebbe la più ampia diffusione e il massimo impiego quando si volle garantire il lustro continuato della famiglia attraverso una successione prestabilita di membri di essa con esclusione degli altri, soddisfatti con lasciti quanto più possibile esigui; il criterio prevalente dal Cinquecento fu appunto quello che il patrimonio domestico dovesse venire trasmesso nella discendenza maschile di primogenito in primogenito.
Nonostante l’evidente ingiustizia, per cui in ogni generazione tutti i fratelli e le sorelle erano sacrificati al primogenito tra essi, il sistema prosperò soprattutto tra i nobili e gli abbienti che aspiravano alla nobiltà.

In questo anche i Bossi non furono secondi a nessuno.

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