Per descrivere il Colle di S. Quirico di Azzate non esiste
migliore narrazione di quella fatta nel 1931 da Giannetto Bongiovanni in Varese e la sua provincia che dice
testualmente:
“Il paese signoreggia
su un declivio di una breve catena di alture che serra ad oriente il lago di
Varese, in zona aprica, seminata di graziosi villaggi che posano le linde case
e le civettuole villette su un magico fondo di verde e di acque azzurrine. Lungi,
le vette delle Prealpi, a Nord, mentre i profili delle Alpi fermano l’occhio e
coronano l’orizzonte.
SLIDE N. 4
Suggestiva è la
passeggiata che attraverso la collina di S. Quirico porta alla torre omonima”.
Era usanza della nobile famiglia Riva, che si era
imparentata con la nobile famiglia Bossi, portare i loro ospiti in quella
pineta sul colle di San Quirico, che loro chiamavano “il Belvedere”.
In questa fotografia del settembre 1929 vediamo alcuni VIP azzatesi che,
favoriti forse dal clima cortese, salirono, per una scampagnata alla torre di
San Quirico: loro, alta società, sul punto alto dominanate.
Erano:
il cavalier professor Angelo Comolli, la signora Acquadro, la signora De
Martini, il conte Benigno Bossi, donna Elisa Borroni sua moglie, la signora
Matilde Mazzocchi, donna Angiola Riva-Cottalorda (la padrona di casa), la
contessa Cattaneo, la signora Mariuccia Comolli, il signor Carlo Olivieri, il
generale conte Avogadro di Collobiano, il nobile Luigi Bossi.
La festa del 1° maggio alla Torre di San Quirico coincideva
con la festa dei lavoratori, un tema molto caro al Partito Comunista, ma non
era la festa dell’Unità, anche se vi partecipa il Circolo Famigliare di Azzate
che allestiva un banco di mescita del vino ricavato dall’uva del Meridione che
lui stesso faceva pigiare e imbottigliare.
Non era quindi una festa politica ma piuttosto una
scampagnata che gli azzatesi, liberi dai loro impegni di lavoro, si concedevano
all’aria aperta, all’ombra dei pini lassù piantati.
Le sorelle Cottalorda non avrebbero mai acconsentito di
concedere la pineta per una festa politica di sinistra e la presenza del
maestro Baratelli, sindaco di Azzate, di chiara fede democristiana, ne è la
prova più lampante.
Vi partecipa anche il Moto Club Azzate i cui soci si
spingevano con le loro motociclette fino sulla sommità della collina.
I ragazzi, a differenza degli anziani, non raggiungevano il
San Quirico attraverso la strada che conduceva a Brunello, ma attraversavano i
boschi dietro l’Oratorio di San Rocco in linea retta, letteralmente scalando la
collina. Ogni percorso era valido e da qualunque direzione si giungesse la meta
era sempre la stessa: la pineta, che non aveva alcun tipo di recinzione in
torno a sé.
Al di là della festa del 1° maggio, i ragazzi frequentavano
i boschi del San Quirico anche in altre occasioni. Per esempio era molto in
voga l’abitudine di andare a costruire delle capanne in legno dove si giocava
“ai banditi” e si notava anche la presenza di qualche ragazza che andava a raccogliere,
nei periodi opportuni, i mughetti e i mirtilli, oggi del tutto scomparsi a
causa dell’inquinamento.
In autunno “si andava alla Torre” (questa era l’espressione
che veniva usata comunemente per significare la Collina di San Quirico) per
raccogliere le castagne e i funghi, e vi era anche l’usanza di andare a
prendere la “terra buona” che si formava all’interno dei ceppi di castagni
vecchi per piantare i fiori nei vasi di terracotta.
Una pratica che oggi sarebbe stata guardata con molto
sospetto fu quella messa in atto dai giovani azzatesi, subito dopo la seconda
guerra mondiale, intorno agli anni 1944 che, dopo la funzione dei vesperi in
chiesa parrocchiale, si recavano in gruppo sulle pendici della collina a
raccogliere sassi da impiegare nella costruzione dei muri dell’erigendo
Oratorio San Giuseppe, sottraendoli però, con grave danno, ai muretti a secco
che erano stati costruiti con tanta fatica dai contadini per sostenere le
pianelle su cui si coltivava la vite.
La
fotografia che vediamo è stata scattata il 1° maggio 1960 e possiamo notare: Alberto
Ceppi, Rina Crespi, Vito Tibiletti. Luciano Tibiletti, maestro Attilio
Baratelli, Amedeo Lomazzi detto Slima, Carlo Colli, Flavio, Bielin, Morganti,
Biasela,
La Collina di San Quirico era nelle sue viscere un bacino
naturale di acqua e ben lo sapeva la regina Maria Cristina di Borbone, o i suoi
stretti collaboratori, che le suggerirono di far costruire un acquedotto che
portasse acqua alla sua dimora, il cosiddetto Castello di Azzate, per avere
sempre ampia disponibilità d’acqua per gli usi domestici e per irrigare il
parco all’inglese che, proprio lei, aveva fatto allestire intorno alla sontuosa
villa che era stata della nobile famiglia Bossi.
Il progetto fu talmente saggio che, per non disperdere l’acqua
che avanzava, venne costruita una condotta “di ritorno” che portava il prezioso liquido nella
piazzetta antistante la villa e alimentava una fontanella cui tutta la
popolazione di Castello poteva attingere.
Inoltre volle costruire il “Fontanone”, come ricorda una lastra
metallica ora mezza corrosa della ruggine su cui sono incise le seguenti
parole:
SLIDE
N. 10
(Leggere)
SLIDE
N. 11
Gio.
Battista Riva (bisnonno delle “Parniselle”, soprannome che gli azzatesi avevano
affibiato alle nobildonne sorelle Daria e Valentina Cottalorda che vedete qui
in una fotografia vestite di bianco con il cappello) scrive da Como a Giovanni
Galli, suo fattore in Casa Riva ad Azzate, che dimostra come sul Colle di S.
Quirico si produceva nel 1843 un vino di ottima qualità.
La lettera gliela fa pervenire “per espresso con carretto”
e sicuramente gli è arrivata ancor più sollecitamente della nostra attuale
“posta prioritaria”.
L’occasione è quella di inviargli 50 sacchi di iuta che l’indomani
mattina dovranno essere riempiti di 50 moggi di frumento misura di Milano per
un compratore di Como.
Il compratore avrebbe voluto mandare ad Azzate un suo
incaricato per controllare la pesatura ma, data la distanza, si rimette
all’onestà del venditore e del suo fattore. Per questo il Riva si raccomanda al
fattore Galli di eseguire l’operazione con la massima cura affinché non
succedano sbagli di pesatura e lo esorta a chiudere bene la bocca dei sacchi
con buona corda per evitare che durante in viaggio possano aprirsi.
SLIDE N. 12
Il trasporto sarà eseguito da carratori della Camerlata
(una frazione di Como) ai quali il Riva concede la somministrazione di un
boccale di vino per ogni carro, qualora si prestino all’insaccatura, ed inoltre
concede loro un “rinfresco” a Como. Sarà a carico dei medesimi carratori il
fieno necessario per rifocillare gli animali.
Invita poi il suo fattore a ritornargli col carretto di
casa 6 brente di vino alle quali, se dovesse nevicare( la lettera è del 22
gennaio), ne aggiungerà altre 5 per appesantire il carretto. Queste però
dovranno essere prelevate nella cantina grande appena scesa la scala, miste con
altro vino “generale” in proporzione però maggiore dell’ultima volta. Questo ci
fa supporre che in cantina ad Azzate vi fossero due qualità di vino: una di
maggior pregio che poteva essere diluita con altro vino di qualità inferiore.
SLIDE N. 13
Invece il “vascelletto” che gli manda espressamente da
Como dovrà essere riempito con vino S.
Quirico, tolto dalla botte che il fattore ben conosce e che, ci
immaginiamo, fosse di qualità superiore.
L’ultima raccomandazione è quella di farsi trovare pronto
per le operazioni di pesatura e carico dei sacchi in modo che i carratori non
si fermino ad Azzate più del dovuto.
Chiude la lettera dicendogli: ”In qualche modo fate bolli
tre” che noi, malignamente, interpretiamo come volergli astutamente suggerire
di emettere soltanto tre bollette per il dazio.
SLIDE N. 14
Pro-memoria per la strada al San Quirico.
Differenza livello centimetri 30 sopra il muro della
letamaia al piano del fondo primo al berceau metri 27,50
salto lunghezza di metri 100. (Per il fatto che venga
nominata una letamaia, si presume che sul colle di San Quirico vi fosse una
stalla con degli animali).
Calcolando il tracciato del bosco al di là del berceau,
sarebbero di differenza metri 25.
E’ quindi necessario un tratto di strada a tourniquet di
metri 300 volendosi dare la pendenza dell’8% circa.
Per la pendenza del 10% occorrono almeno metri 250.
Così al suo digresso sarà necessario occupare metri 60 del
fondo Collobiano dal confine nostro
facendosi 3 tourniquet, compreso quello sotto al berceau.
N.B. - Calcolato la pendenza della prima tratta strada già
fatta fino al primo tourniquet si trovò in ragguaglio dell’8%.
La seconda
tratta ascendendo dal barbacano in su risultò del 6,50%.
Non crediamo che questo
pro-memoria sia stato redatto dal nobile Claudio Riva che, in altre occasioni,
come vedremo, viene definito come progettista e direttore dei lavori della
costruzione della torre. Sembrano piuttosto appunti di un ingegnere che aveva
dimestichezza con le misure e le pendenze.
SLIDE N. 15
Da una lettera del 26 agosto 1878 apprendiamo che il nob.
Claudio Riva sta costruendo sul Colle di S. Quirico un belvedere (ovvero “la
torre alta” come la definisce la figlia Angiola in un nota posteriore) del
quale ne è l’architetto e il sorvegliante.
Ci informa anche che molti villeggianti hanno preso dimora
nell’amenissimo paese di Azzate nonostante l’inclemenza del tempo.
La lettera, probabilmente per il suo riferimento alla Torre
del S. Quirico, fu conservata in archivio di famiglia ed è pervenuta fino ai
nostri giorni. Una nota dice di essere stata letta da Angiola Riva figlia di
Claudio nel 1932, quando aveva l’età di 53 anni.
Angiola Riva-Cottalorda, donna molto precisa, (la vediamo
qui con le figlie Daria e Valentina), aveva voluto predisporre un album sul
quale conservare le firme di tutti gli ospiti che si sarebbero recati al belvedere del San Quirico in quanto quella
amenissima passeggiata sembrava essere diventata una tradizione ormai
consolidata e molto apprezzata dai suoi ospiti. Ci sono rimasti i suoi appunti
dove ha abbozzato la scritta da apporre sul primo foglio dell’album. In un
primo momento aveva pensato a questo titolo: “Gentil visitatore che qui vi
portate, compiacetevi del Vostro illustre nome” che poi aveva cancellato e
aveva sostituito con quest’altro titolo: “Ad ammirare la bella natura, favorite
il Vostro nome”. Ma anche questo titolo non era di suo gradimento e, alla fine,
lo sostituì con quel’ultimo: “Se il Vostro nome scrivete, un favor grande
farete”.
Donna Daria Parravicini con il marito Giovanni Battista Riva
erano soliti accompagnare il loro piccolo figlio Claudio in ameno passeggio sul
Colle di San Quirico, il punto più alto di Azzate, e gli facevano apprezzare le
bellezze naturali di quegli orizzonti che arrivano fino alle Alpi.
Nel 1878 Claudio Riva fece costruire al termine del
belvedere che frequentava da bambino con i suoi genitori e con i loro ospiti,
la torre che dedicò all’amatissima moglie Daria dei conti Porro ed ai figli
carissimi.
Profuse in quest’opera, di cui fu architetto e sorvegliante,
tanto amore e tanto tempo fino a distoglierlo dai suoi impegni mondani e di
lavoro nella città di Como, dove la famiglia aveva uno splendido palazzo.
SLIDE N. 18
Da una lettera che scrive il 12 settembre 1886 all’avvocato
Giulio Cesare Bizzozero apprendiamo che prima del secolo XV sul Colle di San
Quirico vi era una chiesa il luogo solitario dove non veniva celebrata alcuna
funzione religiosa.
Sulla chiesa era imposto un feudo o chiericato rurale, il
cui patronato spettava al prete Beltramo Bossi, prevosto di Gallarate.
Venuto egli nella determinazione di erigere una Cappellania sotto il titolo dei Santi
Gerolamo, Pietro, Quirico martire e Giulitta, chiese ed ottenne l’approvazione
dall’arcivescovo di Milano.
La
Cappellania fu eretta nella chiesa parrocchiale di S. Maria
di Azzate, e fu dotata dal suddetto prete Beltramo Bossi con beni propri ed
unendovi il Chiericato di S. Quirico.
L’istrumento di fondazione a rogito del notaio Decapris, fu
celebrato il 2 dicembre 1438.
La chiesa di S.
Quirico rimase abbandonata e andò poi in rovina.
L’arcivescovo sotto il quale venne stipulato dal fondatore
Bossi l’istrumento di fondazione del Beneficio di S. Quirico e Giulitta era
Francesco Pizzolpasso o Piccol Passo bolognese, che governò la diocesi di
Milano dal 1435 al 1449. Pio e dotto fu tra i più distinti arcivescovi di
Milano nel XV secolo.
SLIDE N. 19
Intorno a quella
chiesa si ritrovarono molte sepolture, formate con pietre ai lati e
coperte pure di pietre. Giacevano in esse degli scheletri piuttosto corrosi dal
tempo. Non furono ritrovate lapidi con iscrizioni, né monete presso quelle
tombe, solamente due chiavi, poste nella chiesetta, una cesoia, alcuni chiodi,
frammenti di cocci graffiti e dipinti.
Su quel colle dicesi esistesse un convento, dicesi anche che
ivi si fossero ritirate molte persone
al tempo della peste,
poiché altrimenti non si saprebbe spiegare il perché di quei numerosi sepolcri
sul culmine di quel colle.
SLIDE N. 20
Un documento purtroppo senza data, ma certo anteriore
all’anno 959, è una sorta di pro-memoria di quanto i fattori della zona al di
là del lago dovevano consegnare a Santa Maria del Monte e, fra questi, si
citano quelli di Bregano, di Gavirate, di Barasso, di Velate, di Masnago, di
Biumo di Sopra, di Biumo di Sotto e di Oltrona che dovevano al capitolo di
Santa Maria del Monte determinate somme di denaro e determinati quantitativi di
grano e vino.
Si può supporre che anche l’antico monastero annesso alla
chiesa di S. Quirico esistente sulla sommità del colle vicino ad Azzate
riscuotesse dai contadini dei paesi vicini delle “regalie” che poi si sono
consolidate in quel feudo di S. Quirico che ancora nell’anno 1398 dovevano
pagare il tributo all’autorità politica.
SLIDE 21
La presenza di un antico monastero sul Colle di S. Quirico
di Azzate è confermata da una lapide cristiana che, al dire del Sormani, fu
trasportata a Casbeno nel palazzo dei marchesi Recalcati (poi sede dell’Hotel
Varese ed oggi sede della Prefettura di Varese), anche se avanzava qualche
riserva sulla sua datazione romana.
L’Allegranza nella sua opera De sepulcris cristianius sotto
il n. 31 asserisce di non averla trovata nel detto palazzo, ma sappiamo che la
raccolta Recalcati fu purtroppo quasi tutta dispersa.
La lapide, secondo la lettura del Mommsen riportava questo
epitaffio:
"HIC REQUIESCIT IN PACE AGNELLUS PRIOR VI CISTATUNI
QUI VIXET IN SECULO ISTO ANN PLS MS LXXX DP SVD SS IS APRILIS LIC.".
Il Sormani, nella descrizione manoscritta della Diocesi di
Milano legge nel 2° e 3° verso:
"VICI STATUNI" che egli crede indichi forse il paese di Schianno.
L'Allegranza dice potersi l'ultima abbreviatura LIC. spiegare per Liciniano
console nel 311, o per Licinio, console nel 312.
SLIDE N. 22
In questi nostri tempi moderni, prosaici, materialistici e
consumistici si pone scarsa o forse nessuna attenzione alle stupefacenti bellezze
che circondano i luoghi dove a noi fortunatamente è dato di vivere.
Orizzonti incantevoli: l'ampia e superba catena delle Alpi
innevate a ponente, le dolci colline ad oriente, le scure ma piacevoli e
benedicenti pendici prealpine a settentrione.
Tutto ciò non sfuggiva all'osservazione, alla commozione,
alla fantasia dei nostri antenati.
Luogo sacro, carico di leggenda prima ancora che di
storia, di visioni favoleggianti, suscitate da ruderi informi, era il Colle del
S. Quirico, sulla cui sommità più frequentemente e più facilmente si recava il
nobile nostro poeta commosso, vivente tra la nostra gente nell'età passata.
Vediamo di esporre in facile forma i suoi ispirati
sentimenti, secondo una trascrizione del maestro Attilio Baratelli.
SLIDE 23
Colle del San Quirico, tanto vago ed ornato di fiorenti vigneti, con la svelta torre in
cima, la natura a te d'intorno è lieta, bella e pura. I tramonti dietro la
ripida giogaia sono meravigliosi; le aurore sono ridenti dai profili dei colli.
Ma sotto i piedi, alcuni avanzi di rovine antiche vogliono
un saluto perché eccitano arcane visioni.
Con le ali mobili e nobili d'una fantasia ardente si
possono qui immaginare castelli ormai diroccati dove fischia il vento ed
ondeggiano i coloriti cimieri dei prodi guerrieri tra l'armi appese sulle
antiche pareti.
SLIDE N. 24
A lato si potrebbe osservare un'umile chiesiola ed un
chiostro popolato da vergini penitenti: cento fanciulle dal cuore innocente che
innalzano devote preghiere a Dio.
Intanto il poeta alza gli occhi al cielo che è buio, senza
stelle.
Giù la selva antica con il gemito straziante del vento tra
gli oscuri tronchi.
La luna allora squarcia le nubi e misteriosa splende sulla
torre.
Chi è quella misteriosa figura?
SLIDE N. 25
E' una fanciulla fuggente e danzante con le chiome al
vento.
Lancia un grido disperato, come un gemito che suona e
risuona nella valle trasportato dall'eco.
Il poeta allora ritorna in sé e si chiede: "Perché
fantastichi sull'età passate? Pensa e rimira la bella natura d'intorno, che
brilla sì cara e sì pura! Qui il creato ti schiude le sue gioie. Contemplale e
leva il tuo animo ed adora il Creatore".
Attilio Baratelli
SLIDE N. 26
Rimasta vedova
presto, crebbe da sola il suo figlio Quirico di tre anni, allevandolo nella
fede cristiana. Durante la persecuzione scatenata dall’imperatore Diocleziano,
santa Giulitta partì dalla città di Iconio con il figlio e due serve
affidabili, lasciandosi dietro la sua casa, le proprietà e i servi. Celando il
suo rango nobile, si nascose dapprima a Seleucia, e poi a Tarso. Ma intorno
all’anno 305 fu riconosciuta, arrestata e sottoposta a processo davanti al
governatore Alessandro. Rafforzata dal Signore, senza paura rispose alle
domande del giudice, e fermamente confessò la sua fede in Cristo. Il
governatore diede ordine di battere la santa con le verghe. Durante i suoi
tormenti santa Giulitta continuava a ripetere: “Io sono una cristiana, e non
sacrifico ai demoni”. Vedendo la madre torturata il piccolo Quirico incominciò
a piangere e voleva andare da lei. Il governatore Alessandro cercò di farlo
sedere sulle sue ginocchia, ma il bimbo si divincolò e gridò: “Lasciami andare
da mia madre, io sono un cristiano”. Il governatore gettò il bambino giù
dall’alto tribunale scagliandolo giù per i gradini di pietra. Il bambino colpì
la testa sugli spigoli taglienti e morì. Santa Giulitta, vedendo il figlio
squarciato, rese grazie a Dio che aveva permesso che il suo bambino fosse stato
reso perfetto prima di lei, e avesse ricevuto la corona incorruttibile del
martirio.
SLIDE N. 27
Dopo molti crudeli supplizi anche lei rese gloria a Dio col martirio, decapitata con una spada.
SLIDE N. 28
Questa è la scritta in latino riportata sulla lapide
immutata sopra l’ingresso della torre.
Leggiamo insieme la traduzione in italiano: “Questa torre,
sulla sommità del colle dei Santi Quirico e Giulitta, Claudio Riva eresse
nell’anno 1878. Alla moglie diletta Daria e al conte Porro ed ai figli dedicò”.
Questa scritta è molto importante perché chiarisce molte
cose. Prima di tutto l’anno della sua costruzione, il 1878. Vi sta da lontano
la torre sembra molto più antica, invece possiamo considerarla quasi della fine
dell’Ottocento.
Veniamo a conoscenza del suo costruttore e il motivo della
sua costruzione: un atto di amore del nobile Claudio Riva alla moglie donna
Daria Porro, al suocero conte Gian Pietro Porro e ai figli Angiola,……
Notate che si usa l’espressione “eresse” e non “fece
erigere” per rimarcare che il nobile Claudio Riva vi partecipò in prima persona
come progettista e come direttore dei lavori.
Una bella fotografia del nobile don Claudio Riva in età
avanzata.
Ricordiamo che egli fu sindaco di Azzate dal 1886 al 1897
e gli azzatesi lo considerarono più un loro padre che un loro amministratore.
SLIDE N. 30
In questo piccolo
alberello genealogico vediamo la discendenza del conte Claudio Luigi Bossi, il
costruttore del cosiddetto Castello di Azzate (quello che noi conosciamo come
Villa Bossi-Zampolli) e del mutare dei cognomi dai Bossi, ai Cottalorda, ai
Riva, tutte famiglie che ebbero la quasi totalità della proprietà della Collina
di San Quirico.
Ma ritorniamo al nostro Colle di San Quirico che già in
passato veniva da tutti descritto come luogo panoramico di notevole bellezza e
non dimentichiamo che esso si trova nel territorio di Azzate che in latino si
dice Aciate e deriva da Acies che vuol dire: luogo con visione acuta, limpida,
stupenda, meravigliosa, sito d’incanto per la mente e per il cuore.
Quindi il nostro colle è un sito d’incanto in un
territorio d’incanto.
SLIDE N. 32
La torre ha un basamento esagonale di grossi sassi
squadrati che termina con un poggiolo (?) e continua nella sua altezza in forma
cilindrica, essendo stati impiegati solamente mattoni cotti che le conferiscono
quel tipico colore caldo.
SLIDE N. 33
Qui vediamo un solo corpo estraneo che è stato utilizzato
come architrave di una finestrella che dà luce alla scala interna a chiocciola,
tutta in sasso.
Guardate la maestria usata nel costruire le false caditoie
e le ghiere di coronamento, sfruttando semplicemente la volumetria del mattone.
SLIDE N. 34
Da questo punto in avanti vedremo altre fotografie che
commenterò a braccio per non rendere troppo pesante la presentazione che, fino
a questo punto, mi sembra già corposa!
SLIDE N. 35
Questa fotografia degli anni 40 ci mostra una parata del
periodo fascista nel cortile delle Scuole Elementari.
Sullo sfondo la Collina di San Quirico, ancora intatta nel
verde dei suoi boschi.
In lontananza sembra di vedere la torre.
SLIDE N. 36
Siamo in territorio di Brunello e in lontananza si vede la
Villa Bassetti in costruzione.
Il progetto fu elaborato dall’architetto …….
SLIDE N. 37
Una bella veduta della Villa dei nobili Riva.
Sull’ingresso si sono riuniti molti fanciulli con le loro
mamme.
Sullo sfondo altri personaggi stanno in posa: sono
probabilmente i proprietari dei negozi.
Sul balconcino fa capolino, quasi timidamente, qualcuno di
Casa Riva.
SLIDE N. 38
La nobildonna Valentina Cottalorda appoggiata a dei grossi
sassi che delimitano il “Belvedere” si ripara dai raggi del sole con un
civettuolo ombrellino.
Le escursioni al Colle del San Quirico erano anche il
pretesto per riunire amici ed amiche che si concedevano poi in villa eleganti
feste. Vediamo qui il travestimento in una dama di altri tempi.
SLIDE N. 40
Gli azzatesi ci tenevano a copiare i signori e la
scampagnata alla Torre di San Quirico era il pretesto per far indossare alle
fanciulle i vestiti più belli e poter dire: “C’era anche mia figlia!”.
SLIDE N. 41
Qui vediamo la piccola Anna Maffioli. (Forse è Massimo
Maffioli).
Anche i grandi non si sottraevano all’usanza di mettere il
vestito della festa e questo gruppo del Dopolavoro della Tessitura Maino ne è
la prova evidente.
Insomma, la festa alla Torre di San Quirico era un grande
festa!
La torre che svetta verso il cielo.
Sotto un pino un personaggio sconosciuto ammira il
panorama.
Possiamo notare i grossi sassi dove si era appoggiata la
nobildonna Valentina Cottalorda con l’ombrellino. Quel punto doveva
rappresentare un pericolo poiché è stata messa una protezione con dei paletti
in legno infissi nel terreno e del filo spinato.
SLIDE N. 44
La costruzione della Villa Bassetti è stata terminata e
non si vede più la gru che era stata piazzata al suo fianco.
SLIDE DA N. 45 A N. 50
(Progetti per la costruzione della torre)
Qualcuno di famiglia o forse qualche ospite era bravo in
disegno e ha fatto questo schizzo dei danni provocati dal fulmine ad una
robinia vicino al boschetto San Quirico.
SLIDE N. 52
Un altro danno provocato dal fulmine. Questo dimostra quanto
fosse importante il San Quirico per la famiglia Riva.
Questo disegno e le annotazioni fatte a matita su un
ritaglio di quaderno a righe sono una documentazione molto importante.
Apprendiamo da essi che i pini del San Quirico furono
piantati nel 1912 e dieci anni dopo furono regolati.
Donna Angiola Riva, figlia di Claudio Riva – il costruttore
della torre – abbiamo già detto che era molto precisa e non ha mancato di
annotare che i pini piantati avevano un’altezza variabile da 80 a 90 centimetri
e senza vettura – ossia il trasporto – costavano lire 1.30 al quintale, mentre
con la vettura costavano lire 1.50
Questo quadro ad olio del 1870 costituisce per noi un grosso
interrogativo in quanto non sappiamo cosa rappresenti e credo che nemmeno
Alessio Fornasetti e Annacarla Bassetti saprebbero dire cosa sia qui
raffigurato.
Forse si tratta dei rustici dove erano ricoverati gli
animali i cui escrementi alimentavano la letamaia che viene nominata nel
progetto della costruzione della strada che porta alla torre.
La Torre in un suggestivo contesto invernale.
Sicuramente queste sono le nobildonne Valentina e Daria
Cottalorda con alcune amiche. Non si sono avventurate fino sulla sommità della
torre ma si sono fermate alla prima balconata, come si addice a signorine di
buoni costumi.
Forse era prerogativa soltanto degli uomini di raggiungere
la sommità della torre, a causa di un abbigliamento più consono alla scala a
chiocciola.
Potete notare che sulla sommità vi era una specie di tamburo – oggi
sostituito da una lastra di ferro – che proteggeva la scala a chiocciola dalle
intemperie
Molto spesso le didascalie delle cartoline illustrate erano
imprecise. In questo caso la Torre di San Quirico viene definita “antica”, ma
di antico aveva ben poco poiché, lo ripetiamo per l’ennesima volta, essa venne
costruita nel 1878.
In questa fotografia è evidente che sul lato sinistro della
torre al di sopra della prima balconata, vi è una specie di banderuola.
SLIDE N. 59
L’avevamo già notata in una fotografia precedente.
Questa è la lapide che si trova al Cimitero di Azzate,
assieme a quelle di altri personaggi della nobile famiglia.
La prima parte potete leggerla da soli. Io vi leggo la parte
che è stata un poco oscurata dalle rose.
“Al prode soldato gli imperituri omaggi; allo sposo, al
padre il pianto della consorte Marianna contessa Bossi e dei figli Carlo,
Giacomo, Luisa”.
Ma ecco la parte più importante della lapide: alcune parole
del grande Alessandro Manzoni che ha voluto ricordare l’eroe di Austerlitz:
“Che belle ferite ho visto sulla fronte del bravo e buon generale Cottalorda!
Ma su quante fronti se ne devono vedere perché l’Italia sia Italia?”.
Siamo nel 1860 e Manzoni si rammarica che l’unificazione
d’Italia non sia ancora avvenuta.
Il generale Giacomo Cottalorda non fece in tempo a vedere la
torre costruita sul Colle d San Quirico (ricordo che fu costruita nel 1878 dal
padre di sua nuora) ma, forse, fece in tempo a vederla sua moglie Marianna
Bossi che morì nel 1881.
Questo foglietto propagandisco elettorale del dopoguerra
della lista n. 2 con scudo crociato e municipio di Azzate (per intenderci la
Democrazia Cristiana) deride la lista n. 1 dei socialcomunisti che non hanno il
coraggio di mostrarsi con i loro simboli tradizionali (la falce e il martello e
il sole nascente) e si nascondono dietro la torre coi merli, simulando la torre
di San Quirico.
Una strofa dice:
“Non sei più la torre vera:
un cilindro con ringhiera.
Ti han ridotta un cono sciatto,
ad inganno solo adatto”.
SLIDE N. 62
Questo è l’aspetto della Collina di an Quirico che siamo
abituati a vedere ai nostri giorni.
Il suo aspetto nel passato era molto differente e possiamo
solo immaginarcelo.
SLIDE N. 63
Ci possono essere di aiuto due fotografie fatte sul versante
opposto, in territorio di Brunello.
SLIDE N. 64
Qui si sono conservate le pianelle, ma, purtroppo mancano le
viti.
SLIDE N. 65
Una situazione similare potevamo vederla in passato al Sacro
Monte di Varese. Tutto intorno alle cappelle, dove ora ci sono soltanto dei
boschi, era tutto un vigneto, come appare da questa bella stampa del Seicento.
SLIDE N. 66, 67 e 68
Altri particolari dei vigneti intorno alle cappelle.
SLIDE N. 69
Anche nel cosiddetto Catatsto di Maria Teresa del 1722 del
territorio di Brunello detto della Valle Bossia
SLIDE N. 70
Possiamo vedere molti appezzamenti di terreno configurati a
pianelle, su cui si coltivava la vite.
SLIDE N. 71, 72, 73 e
74
Altri
particolari dei vigneti.
SLIDE N. 75
SLIDE N. 57
Molto spesso le didascalie delle cartoline illustrate erano
imprecise. In questo caso la Torre di San Quirico viene definita “antica”, ma
di antico aveva ben poco poiché, lo ripetiamo per l’ennesima volta, essa venne
costruita nel 1878.
SLIDE N. 58
In questa fotografia è evidente che sul lato sinistro della
torre al di sopra della prima balconata, vi è una specie di banderuola.
SLIDE N. 59
L’avevamo già notata in una fotografia precedente.
SLIDE N. 60
Questa è la lapide che si trova al Cimitero di Azzate,
assieme a quelle di altri personaggi della nobile famiglia.
La prima parte potete leggerla da soli. Io vi leggo la parte
che è stata un poco oscurata dalle rose.
“Al prode soldato gli imperituri omaggi; allo sposo, al
padre il pianto della consorte Marianna contessa Bossi e dei figli Carlo,
Giacomo, Luisa”.
Ma ecco la parte più importante della lapide: alcune parole
del grande Alessandro Manzoni che ha voluto ricordare l’eroe di Austerlitz:
“Che belle ferite ho visto sulla fronte del bravo e buon generale Cottalorda!
Ma su quante fronti se ne devono vedere perché l’Italia sia Italia?”.
Siamo nel 1860 e Manzoni si rammarica che l’unificazione
d’Italia non sia ancora avvenuta.
Il generale Giacomo Cottalorda non fece in tempo a vedere la
torre costruita sul Colle d San Quirico (ricordo che fu costruita nel 1878 dal
padre di sua nuora) ma, forse, fece in tempo a vederla sua moglie Marianna
Bossi che morì nel 1881.
SLIDE N. 62
Questo è l’aspetto della Collina di an Quirico che siamo
abituati a vedere ai nostri giorni.
Il suo aspetto nel passato era molto differente e possiamo
solo immaginarcelo.
SLIDE N. 63
Ci possono essere di aiuto due fotografie fatte sul versante
opposto, in territorio di Brunello.
SLIDE N. 64
Qui si sono conservate le pianelle, ma, purtroppo mancano le
viti.
SLIDE N. 65
Una situazione similare potevamo vederla in passato al Sacro
Monte di Varese. Tutto intorno alle cappelle, dove ora ci sono soltanto dei
boschi, era tutto un vigneto, come appare da questa bella stampa del Seicento.
SLIDE N. 66, 67 e 68
Altri particolari dei vigneti intorno alle cappelle.
Anche nel cosiddetto Catatsto di Maria Teresa del 1722 del
territorio di Brunello detto della Valle Bossia
SLIDE N. 70
Possiamo vedere molti appezzamenti di terreno configurati a
pianelle, su cui si coltivava la vite.
SLIDE N. 71, 72, 73 e
74
Altri
particolari dei vigneti.
SLIDE N. 75
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