giovedì 17 ottobre 2013

A spasso per Azzate

LE ABITAZIONI

Da quanto appare dalle descrizione fatte soprattutto in occasione di confische o pignoramenti si rivela che le condizioni di vita della gente comune dovevano essere estremamente difficili e a gran parte della popolazione erano riservate abitazioni insalubri, pesanti giornate di lavoro poco remunerate.
Le case che componevano l'agglomerato centrale erano per la maggior parte a due piani, piccole e addossate le une alle altre. Solo le famiglie benestanti e gli ecclesiastici abitavano in abitazioni proprie più ampie, anche se prive di ogni conforto.
La situazione era dunque di una popolazione ammassata in case comuni, sudice, putenti, scarse di luce e di aria. Frequentemente avveniva che a causa dell'ambiente malsano e un'alimentazione insufficiente si patisse di scrofola e di rachitismo.

Frazione Castello. Antica via del torchio.


Ovunque si vedevano lobbie e ballatoi di legno, tanto all'interno quanto all'esterno e le facciate erano, per lo più, a muri ruvidi senza intonaco, costruite con sassi misti a qualche mattone.
Le porte erano larghe e basse; le finestre piccole e quadre, contornate da una striscia dipinta a calce, erano sovente munite di grosse inferriate; solo le finestre delle case dei ricchi erano a vetri di una piccola misura e piombati fra loro. Le altre - coperte di carta detta stamegna, non avevano né persiane né imposte.
Sul tetto di qualche casa si elevava un solaio aperto o qualche altana di foggia diversa.
Erano le costruzioni che avevano formato le strade, non queste ultime a dare un allineamento ai fabbricati.
Le vie erano tortuose e anguste: angiporti e vicoli maleodoranti ed essudanti in viscido umidore.
I selciati, dove esistevano, erano grossolani, sconnessi e gli stillicidi delle grondaie dei tetti, senza canale, lasciavano cadere, quasi costantemente acqua sulle strade; il letame degli animali e la spazzatura delle case, erano ammonticchiate nei cortili e nelle contrade, dove si macerava anche il lino e la canapa; sul suolo pubblico si gettavano anche le acque putride: i macellai e i cervellieri usufruivano della strada per ammonticchiarvi le interiora tolte agli animali macellati.

Frazione Castello. Antica via del torchio.


Il centro storico di Azzate va scoperto a piedi e perciò si consiglia di depositare l’automobile nel parcheggio posto a duecento metri sotto il campanile della Chiesa Parrocchiale, raggiungibile dalla Rotatoria del tram sulla SP14 del Buon cammino e percorrendo il primo tratto della Via Vittorio Veneto. Alla Farmacia girare a destra e seguire il fabbricato del Cinema-Teatro Castellani, del  muraglione dell’Oratorio e dell’Azzate Calcio.

                                                            

Questo piazzale era una volta recintato da un alto muraglione e racchiudeva l’orto dell’Istituto della Beata Vergine Addolorata che si raggiungeva dal soprastante parco della Villa Cornelia (in cui fa bella mostra di sé un maestoso cedro del Libano) mediante un cancello in ferro ed una porta in legno, attraversando la pubblica via, che possiamo vedere ancor’oggi e sono stati mantenuti al loro posto in seguito ai lavori di adattamento a parcheggio eseguiti nel 19..

                                                                        
Volgendo lo sguardo a Sud è possibile vedere la  Collina di S. Quirico sulla cui sommità nel 1878 il nobile Claudio Riva faceva erigere la Torre e sistemava a pineta tutto il pianoro antistante.
Secondo quanto riferiva una lapide cristiana riportata dal Sormani e finita nella collezione di Villa Recalcati di Casbeno e poi dispersa, già nel quinto secolo dopo Cristo lassù si seppellivano i morti ed esisteva un antico convento di cui sono rimaste poche rovine.
La parte della collina più esposta al sole verso Brunello era coltivata a vite che dava un vino denominato come il suo omonimo più nobile di Montalcino e che gli attuali proprietari stanno tentando di riportare in auge con la nuova denominazione di Sommo clivo ripresa dalla lapide murata sopra la porta che dà accesso alla scala a chiocciola in pietra che conduce al terrazzo circolare della Torre che dice in latino di essere stata costruita sulla sommità del colle (in summo clivo).
                                  

Volgendo invece lo sguardo verso il campanile si nota una costruzione rossa ora sede della Polisportiva ed una indicazione viaria che ricorda Don Angelo Cremona che fu parroco di Azzate dal 1938 al 1979
Questo fabbricato e quello in posizione più elevata facevano parte della Stazione dei Carabinieri di Azzate poi trasferita all’incrocio di Via Renato Colli (partigiano di Azzate morto il 9.1.1945) e Via Acquadro (medico di Azzate morto nel 1941) cui seguì l’attuale nuova sede di Via delle Peschiere.
Possiamo ora lasciare il posteggio e iniziamo la nostra camminata per raggiungere il campanile.

                               
Rasentiamo il muro della vecchia Caserma e facciamo attenzione ai tamponamenti grossolani eseguiti con mattoni nel vespaio posto sulla parte superiore che dava aria al fienile e possiamo ben immaginare che al piano inferiore fossero sistemate le stalle per il ricovero dei cavalli dei Carabinieri. Il fienile e le stalle, cessate la loro funzione, vennero adattati ad abitazione privata del maresciallo dei Carabinieri.

                                  


Il secondo fabbricato che si apre su un cancello di ferro era la vera e propria Caserma che dopo il suo trasferimento vicino al Municipio e le Scuole Medie di Via Acquadro venne convertito in abitazioni.
Siamo quasi prossimi al campanile, ma vale la pena di fare una piccola sosta per cogliere alcuni aspetti strutturali della chiesa parrocchiale e per far rimarcare che stiamo calpestando il suolo che una volta era destinato a cimitero. Esso venne poi trasferito a S. Rocco ed infine nel 1929 a Vegonno. Gli ecclesiastici ed i nobili Bossi avevano invece il privilegio di essere tumulati nei sepolcri posti sotto il pavimento della parte centrale della chiesa, con ingresso sotto l’attuale bussola, e come ricorda una lapide che, per il momento, è stata sistemata sotto la cappa del camino monumentale della sala consiliare in Villa Bossi-Tettoni-Benizzi-Castellani.
    
Lapide Bossi del sepolcreto.
                               
                          
Si vede chiaramente il presbiterio più alto con l’occhio centrale per dare luce; il coro rettangolare più basso addossato al presbiterio a mo’ di abside; la navata di sinistra la cui parte terminale, in corrispondenza del presbiterio, ospita il locale con i mantici per la ventilazione dell’organo; la sagrestia vecchia più bassa che si allinea sullo stesso filo del coro.

    
Chiesa Parrocchiale della Natività di Maria Vergine.
Navata laterale di sinistra con il coro e la vecchia sagrestia.
                                     

Possiamo ora vedere tutta l’imponenza del campanile con il suo concerto di cinque campane, ricostruito nel 1748 ed ispirato a quello più celebre del Bernascone per la Basilica di S. Vittore di Varese. I suoi 42 metri di altezza si sono resi necessari poiché i rintocchi delle campane dovevano giungere alle due frazioni di Castello e Vegonno ed ai numerosi cascinali disseminati su un vasto territorio.


Il gesuita Leonetto Clivone, delegato a tal scopo dal cardinal Carlo Borromeo, visitava nel 1569 la Pieve di Varese e toccò anche Azzate nella cui relazione, fra l’altro, disse: "Fuori dalla chiesa, a sinistra, alla distanza di otto braccia, si trova un grande campanile con due campane e dotato di un orologio pubblico, uno dei più antichi di tutta l'area ambrosiana”. Se, infatti, le meridiane impreziosivano comunemente le ville padronali e le case più modeste, gli orologi, con il loro ingombrante e delicato meccanismo fecero il loro ingresso abituale nella vita dei comuni milanesi e lombardi solo a partire dalla prima dominazione austriaca: quello di Azzate era di almeno due secoli più vecchio!
                                            
La Chiesa Parrocchiale della Natività di Maria Vergine prospetta su una piazzetta circondata da altri edifici che non ne impediscono la visuale. Essa compare per la prima volta in un documento del 1184. Originariamente la chiesa aveva una pianta a croce latina: le navate laterali e l’attuale sagrestia furono aggiunte con i lavori del 1853. Nella prima metà del XVI secolo venne arricchita di nuove opere d’arte e restaurata.
Verso la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo la chiesa fu sottoposta ad alcuni lavori di restauro e ampliamento. Nel 1851 la chiesa venne nuovamente ampliata e nel 1853 furono scoperti dei sepolcri posti sotto la pavimentazione . Nel 1853-54 la chiesa  venne affrescata ed abbellita con stucchi opera di Emilio e Vincenzo De Bernardi e Gaetano Barabini.  
La chiesa risulta essere una fusione di molti stili, spesso in contraddizione tra loro: la facciata presenta elementi in cotto tipici dell’arte lombarda quali: medaglioni, santi nelle nicchie, sovrapporte e pinnacoli, che rivelano però un gusto revivalistico neo-gotico e un’attinenza all’eclettismo della seconda metà del XIX secolo.
Rinascimento lombardo e Gotico si fondono attingendo ad elementi stilistici non rintracciabili nella produzione gotica italiana(vedi sovrapporte laterali) al fine di ricostruire ex novo una specie di vetustà dell’edificio e di unificare, con uno stile improbabile, le due navate laterali con quella centrale inglobando  anche il grande finestrone semicircolare.
L’ interno è stato interamente ricoperto da una decorazione pittorica in “finto marmo” che si raccorda alla volta dipinta nel 1862 da Gaetano Barbini e che culmina dietro l’altare con un dipinto su muro raffigurante palme e girasoli , incorniciato in alto dalla frase :” filet unum ovile et unus pastor”. Questo dipinto non presenta figure umane, ma solo allegoriche tipiche di un gusto esotico che si trova anche nei dipinti della volta dove il pittore ha cercato di rendere realisticamente i costumi della Palestina. Infatti i girasoli , pur non essendo simboli cristiani rimandano all’idea di fedeltà essendo rivolti verso il sole (Dio). Lo stesso si può dire  delle palme riconducibili all’Immacolata Concezione. Entrando nella chiesa si percepisce la sensazione di un “horror vacui” esorcizzato dalla sovrabbondanza di decorazioni murarie e del pavimento. 
Il tesoro più importante custodito nella chiesa è il Matrimonio mistico di S. Caterina con S. Gerolamo, opera commissionata dal senatore Egidio Bossi e dipinta da Callisto Piazza nel 1542, collocata nella navata destra. La pala è realizzata con la tecnica  olio su tela e misura 260x 158 cm.
S. Gerolamo e il committente  risultano essere le figure più evidenti, al contrario di Santa Caterina e della Vergine, le cui fattezze risultano essere fin troppo comuni.
S. Gerolamo appare  sia come santo penitente, sia come santo erudito, infatti compare seminudo e si batte il petto con una pietra, secondo la tradizione del santo penitente, ma al contempo si trova ai suoi piedi la colonna spezzata sulla quale compare la scritta:” CALLISTO FACIEBAT MDXLII”.
Un altro simbolo importante è il libro aperto riferito alla Vulgata, cioè alla tradizione latina del Nuovo e del Vecchio Testamento attribuito al santo erudito nello studio. Probabilmente tra     l’iconografia del Padre della chiesa ed Egidio Bossi esiste un’analogia, in quanto quest’ultimo è giureconsulto di fama e redattore delle nuove costituzioni.
I modelli stilistici della pala si rifanno all’ambiente bresciano del Romanino e del Moretto da Brescia che il Piazza aveva frequentato in quel periodo.
Le due figure dei profeti costituiscono tuttora un mistero, in quanto sono dipinte su tavola e che hanno fatto discutere di una possibile composizione polittica della pala, successivamente smembrata e inserita in una cornice dorata entro cui sarebbero state poste piccole tavole del medesimo artista. Gli studiosi sono tuttora discordi, anche perché le tavole non rivelano niente, sono addirittura state danneggiate dai cattivi restauri dell’Ottocento.
Un’altra tela meritevole di attenzione è posta sulla parete destra, accanto all’altare. Essa è di scuola lombarda  del Settecento e raffigura S. Giovanni Evangelista e S. Carlo Borromeo, che introducono ad una visione del Paradiso e ad una rappresentazione del paesaggio azzatese del XVII secolo.



            

Sulla parete opposta è collocata una tela  orizzontale con una copia del famoso Cristo morto di Hans Holbein, conservato attualmente al Kunstmuseum di Basilea. Nel 1943 il professor Mario Rossi risistemò la tela accorgendosi che non si trattava di una copia autografa, come si era sempre pensato, bensì di uno studio sull’originale eseguito da un maestro lombardo del XVI secolo.
Le figure di S. Apollonia Martire e S. Lucia, poste al di sopra delle due entrate laterali sono attribuite al Nuvolone.
I lavori pittorici restanti sono tutti su muro, con le decorazioni della Cappella del Crocifisso, in fondo alla navata destra, con quelle nella cappella di S. Rosario e infine con quelle più recenti della volta della navata, del già citato Gaetano Barabini.
Le decorazioni pittoriche nelle due cappelle potrebbero essere della stessa mano; si è parlato di Isidoro Bianchi ma l’ipotesi è stata smentita a causa dell’eccessiva disinvoltura narrativa e della velocità esecutiva, non riconducibili al collaboratore del Morazzone.
Nella cappella del crocifisso sono raffigurati santi  vescovi della famiglia Bossi: Ansperto, vescovo di Milano nell’ 875 e S. Benigno anch’esso vescovo di Milano nel V secolo.
Si trova inoltre nella chiesa  un affresco staccato nel 1975 dalla sacrestia della chiesa di San Rocco, con una bella scena della “Natività di Maria” ascrivibile al XVII secolo.
Altre opere importanti presenti nella chiesa sono quelle lignee, soprattutto nei due pulpiti con confessionale, simmetrici, che incorniciano l’altare maggiore. Non sono queste ultime le opere più antiche: il coro dell’ abside è degli inizi del XIX sec. La bussola all’ ingresso è datata  1774 e le parti lignee dell’organo, ingrandito nel 1750, datano dal XVI alla metà del XIX sec. Senza dubbio sono frutto di un gusto architettonico ottocentesco.
Disegnati nel 1851 dall’ architetto milanese Carlo Maciachini, che di lì a pochi anni progetterà il cimitero monumentale di Milano ed eseguiti da Angelo Bossi, i due pulpiti ricostruiscono tutto l’accesso alla zona dell’altare, restituendo in parte unitarietà stilistica ad un edificio che non ne possiede molta.
Singolare anche l’idea di accomunare confessione e omelia in una sorta di rapporto ideale tra queste due pratiche devozionali.
Nelle colonne e nell’andamento semi circolare si sente il richiamo al Cinquecento/Seicento filtrato dalla cultura del revival tipica dell’architetto milanese.
 L’iconografia presente nei dipinti sulla volta e sulle vele tra gli archi è riconducibile al XIX secolo.
Di notevole importanza è lo stendardo intessuto d’oro  nella sacrestia con la Vergine vincitrice sul demonio su un lato e le figure di S. Carlo e S. Andrea  sull’altro.
Nell’inventario dei beni custodito dal parroco compare una grande tela con S. Gerolamo, che  necessita di un restauro, ma che probabilmente si rivelerà un’opera del XVII-XVIII secolo. Le acquasantiere sono invece del XVI secolo.
Entrando nella chiesa si percepisce una sensazione di pace e serenità, interrotte però dal traffico e dai rumori prodotti dai veicoli che transitano sulla strada adiacente. La chiesa risulta essere scarsamente luminosa ,o addirittura buia nelle giornate poco soleggiate. La luce solare viene filtrata dalle  vetrate colorate, cinque a semicerchio e una circolare . La prima, posta sopra il portale ha delle decorazioni geometriche, sovrastanti la navata destra si trova una vetrata raffigurante un serpente sotto cui vi è la scritta : PRUDENTIA, la corrispondente sinistra è invece disegnata sulla parete. Sulla seconda a destra è rappresentata una bilancia e la scritta : JUSTITIA, di fronte ad essa, sul lato sinistro compare una quercia con una spada, allegoria di FORTITUDO. Sopra l’abside si trovano due vetrate : una frontale circolare e una sul lato destro raffigurante una brocca d’acqua e un calice con la scritta TEMPERANTIA . Tuttavia grazie all’ausilio di faretti posti sopra l’altare e sulle colonne delle navate l’ambiente appare più luminoso. Lo spazio all’interno della chiesa e’ interamente colmato dagli arredi (panche e sedie) ; cosi come le pareti sono totalmente ornate da decorazioni, quadri e statue. Entrando all’interno della chiesa si ha una sensazione di solennità e quiete, anche grazie al buio e al silenzio, che permettono ai devoti una maggiore concentrazione durante la preghiera.    

            

Usciamo dalla chiesa e, di fronte a noi, troveremo un muraglione che confina con la Cappellina della Sacra Famiglia, mosaico di Luigi Brunella, che è stato sovrapposto al precedente affresco raffigurante S. Francesco, S. Caterina da Siena, patroni d’Italia, ai piedi del Crocifisso. Nella parte inferiore si leggeva la scritta “Patriae favete, fidem servate” (Servite la patria, conservate la fede) poi sostituito da “Sacra Famiglia proteggi le nostre famiglie”.







                                                                             
                                  
Un’ attenta osservazione della parte inferiore del muraglione ci farà scoprire il basamento in pietra di un pilastro in mattoni che, con un po’ di fantasia, ci farà immaginare l’ingresso (tamponato con pietre e mattoni) di quello che fu l’ossario dove vennero definitivamente depositati i resti degli scheletri venuti alla luce in seguito alla “bonifica” del campo santo. Vale la pena a questo punto osservare come il campanile sia stato costruito molto discosto dalla chiesa e questo per dare la possibilità di un eventuale allargamento delle sue navate, così come avvenne puntualmente nel 1853. Se ci si sposterà sul lato del campanile opposto alla chiesa sarà possibile osservare alla sua base un grande anello di ferro che servì per issare sulla torre campanaria le cinque nuove campane mediante una fune lunghissima tirata a braccia da tutta la popolazione che partecipò all’avvenimento nel Settembre 1948. (Ai più piccoli si diceva, invece, che l’anello serviva per trascinare il campanile al lago dove si abbeverava!).
Facendo il giro dell’isolato, attraverso Via Roma e Via N. Sauro, ci porteremo al civico n. 4 (?) dove, attraverso un androne preceduto da un bel portale in pietra, ci sarà possibile ammirare uno dei più significativi esempi di dimora affrescata e graffita. E’ la cosiddetta Casa Magni che quattro stemmi dei Bossi ci faranno immediatamente comprendere come sia stata una delle tante dimore della nobile famiglia che si presume nel Cinquecento la fecero abbellire da abili

                              

Come si misurava il tempo ci viene offerto dalla meridiana dipinta sulla villetta (allora si diceva "casino") poco più in là del cancello d'ingresso e si potrà anche dire che la condizione sine qua non del suo funzionamento è il sole. Da questo punto del parco si potrà dare uno sguardo d'insieme al fronte della villa, scorgendo il piano terra, il piano nobile ed il mezzanino più basso dei primi due, posto sotto il tetto, che ospitava la servitù.

                   


Appena sopra le finestre del piano terreno si possono notare sei medaglioni rappresentanti altrettanti personaggi Tettoni, che subentrarono ai Bossi nel possesso della villa dopo il 1634, in seguito al matrimonio di Bianca Bossi con Gerolamo Tettoni.
Sull'altro fronte della villa ci sono invece cinque medaglioni Bossi (tre "personalizzati" e due anonimi). Il primo a sinistra per chi li guarda è quello di Matteo Bossi, giureconsulto senatore di Milano e feudatario di Meleto Lodigiano, ricordato nella lapide appena vista come colui che munì la villa di un fossato e la abbellì con un giardino.
Retrocedendo di poco sotto il portico (sopra la porta del Moto Club Azzate) si può vedere un assaggio eseguito nell'intonaco che ha messo in luce un affresco quasi sicuramente trecentesco che dovrebbe testimoniare come questo sia il corpo di fabbrica più antico della villa.
Attraverso lo scalone si potrà ora accedere al primo piano, dove ha sede attualmente l’Ufficio Tecnico comunale. Quasi tutti i locali presentano cassettoni cosiddetti "a passa sotto" al di sotto dei quali corrono fasce decorative affrescate che si vorrebbero della scuola del Magatti.
Suggestivo è il salone d'onore o da ballo che attualmente è adibito a sala consigliare. Sul fondo un bel camino in pietra molera reca al centro lo stemma dei Bossi.
Ai lati due diverse versioni del gonfalone del comune. (Quello di sinistra è quello ufficiale: vi spicca un castello attorniato da un cipresso e tre spighe di frumento che stanno a significare le antiche glorie dei Bossi ed il carattere essenzialmente agricolo dell'economia del paese. In quello di destra, opera del valente pittore azzatese Giuseppe Triacca, sono raffigurate altre caratteristiche di Azzate: la cosiddetta Torre sul Colle di San Quirico; il bue che compare nello stemma dei Bossi (va sottolineato che gli Azzatesi sono detti "I boo da 'Za"); la palma e la corona del martirio che si riferisce probabilmente a San Benigno o a San Lorenzo; la facciata della chiesa parrocchiale di Santa Maria.
Usciti dalla sala consigliare si potrà accedere sulla destra alla sala che ospita la cappella privata di famiglia. Qui era custodito fino al 1969 un bel crocefisso in avorio attribuito alla scuola del Giambologna che fu donato dalla contessa Elena Benizzi-Castellani alla Parrocchia di Azzate.
Si ritorna all'aperto, ma prima di abbandonare la villa vale la pena di soffermarsi poco prima del cancelletto che dà sulla Via Conti Benizzi-Castellani per dare un'occhiata a due costruzioni che stanno a destra e a sinistra della villa.
Bisogna ricordare che questa è l'unica villa aperta al pubblico ed essendo tutte le altre private, la loro visita è consentita solo raramente e per un ristretto numero di persone.
Da qui in avanti bisognerà dunque accontentarsi di vederle solo esternamente.
Analogo discorso vale anche per le chiese: solo la parrocchiale è aperta al pubblico.
Dicevamo dei due fabbricati. Ebbene quello di destra (si vedono solo i tetti) è sicuramente una dipendenza della villa ed è pregevole poiché contiene al suo interno la cosiddetta "Stanza cortese" tutta affrescata. Sono raffigurate .....
.....
A sinistra sorge invece un altro corpo di fabbrica che si stringe tutt'attorno ad un torrione (si ha un bel colpo d'occhio di questo insieme anche dalla Piazza Cairoli). Qui risiedette per molti secoli un importante ramo della famiglia Bossi che si fregiò a partire dal 1690 del titolo di marchese, appoggiato sul feudo di Musso (alto Lago di Como). In parte, questo fabbricato, ospita attualmente il rinomato RISTORANTE MAI INTES.
Ci spostiamo ora davanti al cosiddetto Pretorio, cercando possibilmente un angolo tranquillo, al riparo dal traffico automobilistico particolarmente insidioso in questo punto, poiché occorrerà fare una trattazione piuttosto lunga.
(ATTENZIONE: quasi tutti i monumenti più significativi di Azzate sono segnalati da appositi cartelli indicatori gialli della Pro Loco sui quali sono riportati le date e gli elementi più significativi).
Innanzi tutto perché quest'edificio è detto Pretorio?
Dobbiamo risalire a quel lontano 1538 quando il senatore Egidio Bossi acquistò il Feudo della Val Bodia.
E' probabile che egli, a causa dei suoi impegni nella pubblica amministrazione di Milano, non risiedesse stabilmente ad Azzate per cui dovette nominare un suo sostituto, un pretore, che si era insediato in questa casa, che divenne, pertanto, il Pretorio.
Spiegata così l'origine del nome resta da scoprire da che cosa derivi tutta l'imponenza che emana questo fabbricato che non si è soliti di vedere ad ogni piè sospinto e pone subito degli interrogativi.
Si ritiene che il bugnato (cosiddetto dal particolare taglio della pietra) sia materiale di recupero di una fortificazione romana.
Detto così, di primo acchito, la cosa potrebbe meravigliare non poco ma se prendiamo in considerazione altri elementi che ci offre la storia, dovremo concludere che l'ipotesi non è poi così azzardata e, anzi, essa ci serve per suffragare altre ipotesi.


1) Non lontano da Azzate era presente l'uomo preistorico (Isolino   Virginia sul Lago di Varese,
    Pizzo di Bodio).
2) In un prato nelle vicinanze della Cascina Roncasnino di Azzate è stata ritrovata una selce
    lavorata.
3) Già nel IV secolo d.C. sul Colle di San Quirico si seppellivano i morti.
4) In località La Torre di Daverio nel secolo scorso è stata scoperta una necropoli
    romana. Fa dunque meraviglia che in Azzate o nelle sue vicinanze vi fosse una stazione, oppure
    una fortificazione, oppure una torre romana? Si direbbe di nò. Ma, allora, quelli che hanno voluto
    spiegare l'origine del nome di Azzate, in latino Aciate, da ACIES nel senso di luogo fortificato,
    accampamento ... avevano visto giusto.              


                    



Lasciamo alle nostre spalle la cappellina e, dopo aver dato uno sguardo attraverso il cancello al lungo viale di pioppi che conduce alla Villa Sala, ultima dimora della nobile famiglia Bossi dei conti del Castello di Azzate, e uno sguardo a sinistra per una veduta d’insieme del vecchio fabbricato giallo che ospitava fino al 19.. l’antica Osteria della Colomba, uno dei più vetusti luoghi di mescita del vino del paese, già dei Bossi poi della famiglia Colli ed infine della famiglia Campi che gestiva anche un piccolo albergo e poteva ospitare i calessi trainati da cavalli dei mediatori che qui giungevano dal circondario per poi raggiungere con il tram il mercato di Varese.
Sulla facciata si scorge un affresco molto deteriorato rappresentante una crocifissione e nella sala principale una volta aperta al pubblico è collocato un maestoso camino in pietra molera con al centro una bella rappresentazione del bue dei Bossi.
Un centinaio di metri ci dividono dall’Oratorio di S. Rocco che si scorge, oltre la Rotatoria del Decimo miglio, così denominata poiché si trova al decimo miglio della strada romana che da Velate conduceva al porto lacustre di Angera.
Vale la pena di fare questa digressione dal percorso per vedere più da vicino la chiesetta che è affiancata da un parco pubblico che potrà, all’occorrenza, fare da punto di ristoro (Bar Albini e Ristorante Hosteria da Bruno). Al centro di questo parco è inserito il monumento ai caduti con anfiteatro a scalinate e sull’intera area esisteva un tempo il vecchio cimitero e la stazione del tram.
Dalla piazza vicina, con ampio parcheggio regolamentato per le automobili e capolinea dei pulmans da e per Varese, si estende in successione ininterrotta la zona dello shopping con svariati negozi di ogni  genere e alla Rotatoria del Montallegro si raggiunge il Supermercato Tigros, dietro il quale, in Via Acquadro, trovano sede l’Ufficio Postale e l’ASL. (Nel vicino centro commerciale ogni terza domenica del mese si svolge il Mercatino tra privati organizzato dalla Pro Loco Azzate).
Ma ritorniamo sui nostri passi dopo aver ricordato che l’Oratorio di S. Rocco aveva funzioni di fonte battesimale anche per i paesi di Brunello e Sumirago fin tanto che S. Carlo Borromeo lo fece trasportare nella parrocchiale e qui divenne la sede della Confraternita del Santissimo Sacramento.
Dalla cappellina (che i più pigri o i più frettolosi non avranno lasciato) imbocchiamo la Via Castello che conduce alla frazione omonima sede dell’avito castello della nobile famiglia Bossi che, è bene ricordarlo, non è l’attuale Villa Bossi-Zampolli.
Giunti in Piazza Collobiano prendiamo la stradina in salita e rasentiamo il muro di destra fino alla sua fine, noncuranti del solo apparente senso di aver perso la strada. Giungeremo in questo modo, anche contro logica, in un punto inequivocabile e che corrisponde all’ingresso del vecchio castello dei Bossi che un documento del 1290 dice appartenere a tre fratelli: Beltramo, Tommaso ed Aurigale.
La struttura forte e possente che emana da queste pietre miste a mattoni in cotto di epoche successive è inequivocabile anche se tradisce l’immaginario comune di un ingresso di un castello.
Tre sono gli elementi principali che lo caratterizzano e ne fanno il punto di forza: l’architrave possente in un solo blocco di pietra sormontato da un voltino in pietre longitudinali che danno la dimensione dell’apertura originale poi tamponata e ridotta alla porticina attuale; il massiccio contrafforte molto aggettato con funzioni di sostegno all’intera struttura e la graziosa finestrella a sesto acuto, strombata e arricchita da elementi in cotto e ad affresco oggi poco leggibili.
Alla primitiva struttura sono stati aggiunti in epoche successive il fienile di sinistra e forse anche il fabbricato di destra, come ricorda un documento del Cinquecento ad opera di Bernardo Bossi.




                                                



                                  

Abbandoniamo la piazzetta antistante la Villa Bossi-Zampolli e imbocchiamo la strada in discesa. Alzando lo sguardo al secondo piano del primo fabbricato sulla sinistra è possibile vedere i resti di una decorazione ad affresco che contorna una finestra: il più evidente è l’avanzo di uno stemma dei Bossi in cui si vede la parte posteriore del bue.


                                  

Sulla seconda finestra si vede un altro stemma che rappresenta uno scaccato bianco e azzurro in fascia forse dalla Famiglia Avogadro di Collobiano.








                                      

Questo fabbricato termina con un angolo smussato in cui si apre una porta ed una finestra fra i quali è stato evidenziato un voltino in mattoni e al di sopra del quale appare una scritta ad affresco che segnalava l’antica tintoria dei Fratelli Lomazzi, accompagnata da un fiore bianco aperto in tanti petali, racchiuso in un cerchio.


                                                          

Vale la pena di superare l’andito coperto che immette nella cosiddetta Corte dei Sessa che presenta un interessante portico di quattro campate su due piani. Al di sopra delle attuali porte il recente restauro ha messo in evidenza gli archi in cui erano inseriti ampi portoni che chiudevano gli ambienti per il ricovero di grandi carrozze.

                         

E’ consigliabile a questo punto girare l’angolo e quello successivo per poter ammirare un affresco posto in una nicchia al di sopra di una porta che fa angolo con questo fabbricato e quello posto trasversalmente che si apre in due ampi porticati posti su due piani.
L’affresco rappresenta la Madonna assisa in trono con il Bambino affiancata dal vescovo S. Venanzio e S. Caterina d’Alessandria.                                                

                      

Mettendoci di fronte all’andito del civico n. … che immette nella cosiddetta Corte dei Colli (una volta abitata da famiglie di carratori) sono da notare i resti di un’elegante finestra in cotto a sesto acuto che preannunciano l’importanza del fabbricato che sarà possibile vedere superando il breve tratto di acciottolato al di là del portone d’ingresso.

                                           

Colpisce subito l’imponenza dei tre pilastri in blocchi di pietra sagomata che sorreggono archi a pieno centro e sui quali si scaricano le forze delle volte a crociera tinteggiate di nero al cui centro spicca a rilievo il monogramma di Cristo diffuso da S. Bernardino da Siena (Jesus Hominum Salvator).





     
Sulla parete centrale del porticato è visibile una decorazione ad affresco purtroppo martellinata in epoca successiva per fare aderire il nuovo strato di intonaco. Essa è composta da un’ampia zona di losanghe bianche e nere sovrastata da una fascia decorativa con motivi floreali molto semplici al di sotto della quale compaiono gli stemmi delle nobili famiglie Bossi di Azzate e Sessa di Daverio, forse a ricordo dell’unione matrimoniale avvenuta fra due nobili personaggi delle due famiglie che qui hanno abitato.
Un esame attento farà notare incise nelle losanghe delle scritte in carattere gotico a testimonianza della cattiva abitudine di imbrattare i muri che non ha risparmiato nemmeno i secoli passati.
Portandosi al centro della corte è possibile vedere la teoria dei ballatoi e della rampa delle scale che danno accesso ai piani superiori.

                                                   

Ritorniamo sulla pubblica via e soffermiamo la nostra attenzione sulla meridiana dipinta sulla facciata a destra della finestra in cotto prima segnalata. La sua scritta Horas non numero nisi serena ci avverte che non conta le ore se non quelle quelle serene, ma dubitiamo che possa farlo poiché in quella posizione non riceverà mai un raggio di sole e sarà destinata a tacere per sempre!
La Via Volta termina in una piazzetta sulla quale prospettano moumenti di grande importanza: al centro l’ingresso di Villa Borsa oggi sede del prestigioso Romantic Hotel Mai Intese, già abitazione del marchese di Musso Galeazzo Bossi; a destra l’ingresso di Villa Bossi-Tettoni-Benizzi-Castellani oggi sede del Municipio e della Biblioteca Civica; a sinistra (voltando le spalle) il cosiddetto Pretorio.
Colpisce l’imponente struttura a fasce sovrapposte di pietre bugnate appena interrotte da indispensabili aperture che, cessata la loro utilità, sono state prontamente tamponate, come la bifora in cotto il cui motivo viene ripetuto nell’edificio di epoca posteriore che gli sta a fianco.
Soltanto portandosi nel sottotetto di questa costruzione si ha la percezione della sua struttura perfettamente quadrata che conferma la sua funzione di torre di avvistamento, allorquando non esistevano i fabbricati verso il lago ed era in diretta comunicazione visiva con una torre analoga posta in prossimità della Chiesa di S. … di Calcinate degli Orrigoni e da qui alla torre di Velate e di S. Maria del Monte per giungere fino alla Torre di S. Maffeo di Rodero.
Si pensa che le pietre (soltanto quelle della facciata sono bugnate, mentre quelle degli altri lati parzialmente coperte da altre costruzioni successive sono lisce) siano state recuperate da una fortificazione romana esistente in loco dalla quale si vorrebbe anche far derivare il nome stesso di Azzate da Acies come luogo fortificato posto in bella vista.
Circa il suo nome bisogna ricordare che nel 1538 il Senatore Egidio Bossi aveva acquistato il Feudo della Val Bodia ma, per i suoi impegni d’ufficio a Milano, non risiedeva ad Azzate e pertanto nominò un suo sostituto, un suo pretore, che abitava ed esercitava in questo fabbricato che venne appunto detto Pretorio.
La costruzione che gli sta accanto è il frutto di un gusto revivalistico romantico dell’Ottocento che tende a ricreare scenografie di epoche passate con elementi e stili ormai superati, come dimostrano anche la torretta merlata della vicina Villa Bossi-Riva-Cottalorda oggi Ghiringhelli e la Piazza Cairoli che vedremo fra poco.
L’elemento che sembra più improbabile è la massiccia merlatura che corona la facciata mentre la bifora, le altre aperture, il portone, il falso muro a mattoni e la piccionaia sembrano più veritieri e conferiscono un’aura di eleganza e serenità.
Nella serraglia al centro dell’arco d’ingresso è dipinta la data del 18.. e due stemmi ricordano il destrocherio della nobile famiglia Riva di Como e l’impresa di un’altra famiglia a noi sconosciuta.

----
Bella ed invitante la scritta che dice che al lago mancano Km. 0,6 quindi la strada a destra porta a Capolago e quella di sinistra porta a Bodio.
E’ questo uno dei punti più panoramici di Azzate poiché lo sfondo impareggiabile del Lago di Varese e delle Prealpi è reso ancora più scenografico dall’imbuto che creano i due fabbricati.
I più volonterosi potranno iniziare da questo punto una passeggiata a piedi (oppure in automobile alla fine del percorso del centro storico) lungo la Via Monte Grappa e la Maccana che porterà a scoprire gli insediamenti rurali di Cascina Cassinello, Cascina Pan Perdù, Cascina Maccasa, Cascina Traverso, Cascina Favorita e Cascina Letizia.
Ritornando indietro, superata di poco la Cascina Maccana, sulla destra si incontra la Via Ma scagni lungo la quale sorgono la ex Cascina Fiori, oggi sede dell’Università della Birra, la Cascina Prada e la Cascina Galgin dalla quale partono altri due itinerari: quello in risalita lungo la Roggia Nuova o Roggia del Pateco che farà scoprire i vecchi insediamenti di tre mulini purtroppo ristrutturati in abitazioni moderne che ne hanno snaturato l’aspetto originale (Mulino di Rocco, Mulino di Cesare, Mulinello) e l’altro in discesa che, attraversata la Sud lacuale o Strada della Valbossa e la pista ciclabile intorno al Lago di Varese, porterà alla Madonnina del Lago.


Nessun commento:

Posta un commento